C’è un’aria strana, nella
porzione di tempo che fa scivolare la mattina verso le ore in cui il sole è più
caldo: una brezza leggera che porta con sé il profumo dei fiori che stanno
sbocciando sugli alberi, e quello dell’erba fresca poco fuori dalle porte del
villaggio, non troppo in là rispetto alla sua attuale abitazione. È un odore
strano, dolciastro – gli fa storcere il naso, a tratti, troppo diverso da
quello del sangue.
La casa del suo padrone sa ancora di nuovo, sebbene sia modesta e lui abbia già
imparato a conoscerne ogni stanza; nella maggior parte di queste non si azzarda
a entrare a meno che il padrone non lo inviti espressamente a farlo. Si prende
la libertà di stare solo in quella attuale, seduto sulla soglia che dà sul
piccolo giardino.
«Sayo.» si sente chiamare ma non è davvero
necessario, dal momento che qualsiasi cosa stia facendo quando è in casa presta
attenzione al minimo rumore. Tuttavia, quando voltandosi il suo sguardo
incrocia la figura del padrone, non comprende appieno cosa indichi ciò che l’altro
ha tra le mani. Non fa domande, però, limitandosi a guardarlo prendere posto al
proprio fianco.
«Sayo» ripete con voce gentile, facendogli cenno di
avvicinarsi e lui esegue, perché è per questo che vive, dopotutto: servire il
suo padrone «potresti allungare le braccia verso di me?»
È una richiesta particolare che non comprende, a essere sinceri, ma lo fa
ugualmente – allunga le braccia verso il padrone senza traccia di dubbio o
scarsa fiducia nel proprio sguardo; inizia ad avere sentore delle intenzioni
altrui quando le maniche delle sue vesti vengono portate su fino al gomito e,
poco dopo, un panno viene passato sulle sue braccia. Ci sono tagli che ormai si
stanno richiudendo, ma non può che sussultare Sayo,
perché l’ultima volta in cui è stato ripulito con tanta cura e gentilezza è
così lontano che lo ricorda a fatica.
«Padrone» pronuncia con lo sguardo sulla figura davanti a sé «c’è qualcuno che
devi uccidere? Una battaglia da affrontare?» domanda, perché cos’altro può
significare tanta dedizione nei propri confronti, se non che c’è bisogno di lui
nella forma migliore che possa offrire?
Con sua sorpresa, il padrone ride sommessamente: è un suono piacevole, quasi
elegante, anche se c’è una sfumatura che non riesce a cogliere appieno; non
riesce a comprenderne il motivo, ma si sente stringere all’altezza del petto. Sa
che non è paura, ma cosa sia non saprebbe dirlo.
«Nessuna battaglia.» assicura il padrone «Pensavo, potremmo andare per la via
principale del villaggio, raggiungerne le porte oltre la zona dei negozi e
camminare vicino a quella alberata.» pronuncia, posando il panno e osservando
per qualche momento il proprio operato, prendendo poi un altro strumento di cui
Sayo ignora il nome corretto: «I fiori offrono già
uno spettacolo di tutto rispetto. Ed è passato ormai un anno, da quando sei
qui, o sbaglio?» domanda, il sorriso per un momento rivolto a lui, prima di
tornare a occuparsi delle sue braccia.
«Mh.» mormora Sayo,
sbirciando il viso altrui di tanto in tanto «Vi piacciono i fiori, padrone?»
«Molto. Lo scorso anno, quando ti ho trovato, ricordo distintamente che un
ciliegio era fiorito in anticipo.» rammenta ad alta voce, con affetto «Per me, Sayo, quel ciliegio è stato come un fiore di Udonge.»
Comincio con un piccolo
esperimento la discesa nell’inferno delle spade.
Ho voluto mantenere l’idea di un aspetto umano delle spade, e restare generica
sull’identità/sesso del padrone per rendere il fatto che potrebbe essere
chiunque proprio come un player di questo gioco maledetto.
Il fiore di “Udonge”
è in riferimento alle parole del figlio del primo padrone di Sayo (che usa la spada per uccidere l’assassino di sua
madre) e al tempo stesso a una delle possibili frasi del login della spada
stessa; secondo la tradizione buddhista è un fiore che appare raramente al
punto da essere utilizzato come metafora di una rara opportunità. Per il
padrone di questa fic, questa rara fortuna è stata
entrare in possesso di Sayo.
Sì, sto cercando di dare un po’ di gioia a ‘ste
spade.
(Se non foste pratici della sua storia, vi rimando qui)