The
truth is, it doesn't get better.
There’s
always
going
to be a hole in your life where that one
person should
be.
But
they're not there.
Adorava
il modo con cui Ivan cercava di portarlo a letto, ogni volta
–
disperato, miserabile quasi, perché a Max piaceva l'atto in
sé
molto meno di quanto gli piaceva vederlo soffocare nelle sue voglie;
talvolta Ivan si abbassava alla preghiera, quale orrendo colpo basso
al suo orgoglio vorace, e oh quanto Max godeva a sentirlo mormorare
per la vergogna, quelle parole futili e distaccate sussurrate
all'orecchio. Si avvicinavano a quello che, più tardi,
sarebbe
diventato il dirty talking che a Max piaceva tanto fare, dall'uomo
altezzoso e arrogante che era, seppur nella posizione subordinata tra
i due; e se con le sue parole sputate con prepotenza e gemiti fosse
riuscito ad offendere Ivan, non era un problema suo –
d'altronde,
era Ivan a volere tutto questo, era Ivan che si aspettava la sua
insolenza (pure fuori dalle lenzuola, oltre che sotto) ed era sempre
Ivan a portarlo a desiderare quel momento come se ne dipendesse la
sua vita, e da persona razionale e ragionevole, quel tipo di pensiero
lo faceva tremare: mai nessuno l'aveva portato a pensare una tale
assurdità, mai nessuno gli aveva fatto accapponare la pelle
così
come gliel'aveva fatta accapponare Ivan, e sotto sotto, Max sapeva di
non essere riuscito a prevederlo.
Con
quale rimorso lo ammetteva, anche solo a se stesso.
Quella
strana relazione che lui e Ivan condividevano, sempre sesso e parole
morte in gola, era uno dei motivi per cui, all'alba di ogni giorno,
Max portava i piedi fuori dal letto consapevole che dietro le sue
azioni, dietro ogni suo movimento, c'era una ragione; ciò
che lo
spronava ad andare sempre più a fondo, sempre più
determinato, era
Ivan stesso, e il fatto che Ivan fosse sulla sponda opposta della sua
– come Kyogre e Groudon, l'acqua e la terra – e il
desiderio
incontenibile di fare di meglio, meglio di lui.
Una
relazione furente per due uomini furenti, sempre in lotta, nati per
essere nemici; non c'era modo per loro di far parte di uno stesso
team, perché l'affetto che li legava era un affetto
squilibrato,
malato – eppure, nessuno dei due sembrava risentirne.
Max
era assolutamente okay con l'idea di passare la sua vita sentimentale
in questo modo. Non c'era nessuno oltre ad Ivan con cui,
volontariamente, si sarebbe comportato in maniera tanto sincera,
tanto aperta, e dubitava ce ne sarebbero mai stati altri. Ivan era
rientrato nei suoi piani, nel modo più improvviso possibile,
prepotente, e tutto stava andando come per suo volere.
Ma
era proprio per questo – era proprio colpa del fatto che
tutto
stava andando perfettamente in linea con i suoi intenti, che la
situazione era degenerata nel peggiore dei modi.
Non
tutte le storie hanno un lieto fine, come si suol dire, e Max, tra i
tanti errori che aveva compiuto nella sua breve vita, aveva fatto
quello più grande.
Nessuno
di quei momenti di euforico piacere sarebbero potuti più
ripetersi,
così come nessun momento di tenerezza, più unici
che rari, ma
neanche troppo, e così via, ricordo dopo ricordo, ora
più vividi
che mai; nella sua mente calcolatrice, gli ingranaggi che prima
lavoravano con il più minimo degli sforzi avevano cominciato
ad
arrugginirsi, a rallentare, e questa volta non aveva più
nessuno a
cui addossare le sue colpe.
Diventato
il sovrano di una terra desolata, tutto ciò che gli rimaneva
da fare
era rimuginare sui suoi delitti; macchiato del sangue di vite
innocenti morte nel suo insulso tentativo di migliorare il mondo,
portandolo alla tanto fatidica Apocalisse che in molti discutevano e
ipotizzavano. E chi l'avrebbe mai immaginato, che proprio lui sarebbe
stata la causa di una visione del futuro che gli pareva tanto
insensata e impossibile?
Ma
l'avrebbe anche accettato – l'avrebbe tollerato –
se non fosse
stato completamente solo, o quasi, in quel grande disastro: Groudon
aveva sovrastato Kyogre, e con Kyogre, il Team Idro era stato
sbaragliato, nel senso più tragico del termine – e
Ivan era morto,
insieme a tanti altri, insieme a tutti gli altri, era morto e questa
volta, non sarebbe tornato indietro. Non ci sarebbe stata una seconda
possibilità.
Anche
il ragazzino che aveva cercato di fermarlo era andato, per sempre,
proprio quando non c'era più null'altro a cui aggrapparsi;
Max non
si sforzava nemmeno di ricordarsi il suo nome –
perché con quale
coraggio avrebbe potuto nominarlo, dopo tutto ciò che aveva
fatto- e
non fatto, soprattutto. Erano passati un paio di giorni, e
già
credeva di essere andato fuori di testa.
Camminando
a passo leggero – forse per paura che qualcuno lo sentisse,
ma chi
mai avrebbe potuto sentirlo, comunque? – tra le strade
deserte di
quella che avrebbe dovuto essere Orocea, un orrendo spettacolo di
minuti corpi rosa senza vita ammassati in piccoli gruppi da tre o
quattro gli si presentava davanti agli occhi stanchi; Orocea era nota
per essere costruita su colonie di Corsola che mantenevano gli
appalti stabili, amichevoli piccole creature che giocavano sul pelo
dell'acqua, galleggiando come palloncini pieni d'aria malgrado il
loro secondo tipo. Una delle prove inconfutabili che non c'era
abbastanza terra per l'uomo su cui abitare, uno dei motivi per cui
Max si era deciso di programmare quella che si era rivelata la
più
grande delle pazzie. E continuando a camminare, viaggiando
finché
non gli fossero mancate le forze fisiche e mentali, aveva notato che
della vita ne era rimasta, anche se poca, sparpagliata come pezzi di
vetro di un bicchiere caduto a terra: un Flareon, raggomitolato su se
stesso, teneva gli occhietti aperti con fatica, facendo la guardia a
quello che doveva essere stato il suo allenatore, accasciato
sull'erba secca; Max gli era passato accanto, e il Flareon aveva
ringhiato, come se l'avesse riconosciuto. Come biasimarlo, dopotutto.
E sentendosi debitore, di cosa non sapeva dirlo, Max divise una delle
sue Baccarance e la adagiò a terra, tenendosi a distanza; il
Pokémon
si era alzato e l'aveva presa con i denti, e Max si sentì il
cuore
stringere mentre il Flareon, appoggiata la bacca vicino alle labbra
del suo vecchio allenatore, si risistemava tra le sue braccia senza
vita, attendendo in eterno che si svegliasse. Max allora chiuse gli
occhi, commosso e addolorato, e si allontanò.
Aveva
assistito ad episodi simili, e si era accorto che ogni
Pokémon che
aveva incontrato rientrava nel tipo Fuoco, o Terra, ed era
così
spiegato il motivo per cui solo il suo Camerupt, del suo team, era
rimasto in vita.
Era
arrivato così il terzo giorno: Max si era appoggiato ad una
parete
di roccia, seduto a terra, stremato, stanco, stufo, e aveva portato
la testa indietro, appoggiando la nuca al sasso, lasciando che la
luce di quel sole che non tramontava mai gli bruciasse la pelle
pallida. Sentiva la Sfera Rossa schiacciarlo all'altezza del petto,
ed estraendola da una tasca interna della sua giaccia,
abbassò lo
sguardo per guardarla un'ultima volta: ancora così bella
alla luce
del sole, sembrava risplendere di luce propria, era il motivo per cui
era l'unico essere umano rimasto in vita.
Non
se lo meritava. La vita era un lusso che non sarebbe dovuto rimanere
con lui, e desiderava farla finita più di ogni altra cosa,
una volta
per tutte, sottraendosi la tortura di vedere il mondo andare ancora
più in rovina.
Strinse
la Sfera e la lanciò via, con una forza che pensava di aver
perso;
cadde e non si ruppe, e anzi, era ancora lì, e
lo guardava. Max avrebbe pianto se ne avesse avuto la
possibilità.
Socchiuse
gli occhi e attese. Prima di perdere i sensi, vide Ivan, abbassato a
terra, che gli sorrideva, solare come sempre.
«
Hey, » lo sentì dire, e chiuse gli occhi
There’s
nothing.
They’re gone.
And
it kills you inside, even if you think it won't. (x)
nda:
non sono molto sicura su come sia uscita e Ivan è un po'
messo lì a
caso, ma questa AU mi piace molto e volevo scriverci qualcosa su da
tempo.
E
anche, cambio di font perché questo mi piace davvero un
sacco. E' in
perenne corsivo e voglio dire how cool is that.