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Autore: Shainareth    03/05/2015    7 recensioni
Se qualcuno mi avesse chiesto in che modo eravamo arrivati a un tale livello di degenerazione, non avrei saputo rispondere. L’unica cosa che posso dire è che era cominciato tutto durante quella che sembrava essere una normalissima assemblea di classe [...]
Long nata in un momento di pura follia.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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RIUNIONE DI CLASSE - CAPITOLO SETTIMO




«È una pazza criminale!» stava starnazzando Ambra da qualche parte, lontana da me e attorniata dalle sue migliori amiche che tentavano di farle aria con la prima cosa che avevano trovato sotto mano. Alla fine il vestito le aveva ceduto davvero, ma non al punto da svergognarla come avrei voluto; dopotutto, però, non era stato un male, dato il suo incontro ravvicinato con Kentin. In ogni caso, Nathaniel si era premurato di cederle la propria giacca per coprire lo strappo sul corpetto.
   Alla fine la recita era stata sospesa a tempo indeterminato, anche se, visto il modo in cui la maggior parte dei genitori aveva portato via i bambini con aria indignata, difficilmente ci sarebbe stata una ripresa. Senza contare che due delle attrici in scena non erano conciate proprio nel migliore dei modi: nella colluttazione che era seguita dopo che ero andata in berserk, io avevo perso un’ala e il fiocchetto sulla coda, mentre Ambra, oltre al vestito strappato, si ritrovava anche con tre graffi sulla guancia sinistra ed una vistosa ciocca di capelli in meno all’altezza della tempia, che cercava disperatamente di coprire come poteva.
   «È violenta! Un caso disperato!» continuava ad insultarmi, senza avere più il coraggio di venirmi a dire cose del genere in faccia. «Voglio che sia espulsa dalla scuola!»
   Come se qualcuno avesse potuto testimoniare che ero stata io a conciarla in quel modo… Cioè, in effetti, tutta la classe avrebbe potuto farlo. Uhm.
   «È un animale! Dovrebbero metterla in uno zoo!»
   La sua voce stridula cominciava ad infilarmisi un po’ troppo nelle orecchie e se non l’avesse piantata subito, probabilmente sarei tornata da lei per prenderla a sberle – di nuovo.
   «Mi ha persino strappato il vestito!»
   «Ehi, no!» protestai a quel punto, girandomi di scatto nella sua direzione. «Quello l’hai fatto da sola!»
   Ambra mi rivolse un’occhiata oltraggiata. «Lo hanno visto tutti che sei aggressiva e violenta! E tutto solo perché sei invidiosa della mia bellezza, che fa gola persino al tuo amichetto!»
   «Tu!» ruggii con voce cavernosa, schiumando di rabbia come una scimmia idrofoba, e pronta persino a scattare ancora nella sua direzione, se avesse osato dire una parola di troppo su Kentin. «Lurida zocc…!»
   Quella mia epica risposta fu messa a tacere bruscamente da una mano che, con decisione, mi afferrò per il mento e mi costrinse a voltare di nuovo il viso. Fu allora che incontrai gli occhi severi di mia madre, che dardeggiavano furiosi. Deglutii a forza.
   Ebbene, in tutta onestà, mi ero completamente dimenticata della sua presenza fra il pubblico.
   Oh, a proposito del pubblico.
   Come ho già avuto modo di dire, dopo il mio piccolo spettacolo personale, molti genitori si erano precipitati a portare via da lì i loro poveri bambini, poiché, a sentir loro, non s’è mai visto un pessimo esempio del genere, neanche in televisione. Altri, comunque, avevano continuato a ridere per l’intera faccenda. Il che, lo confesso, mi parve ancora più eccessiva, come reazione. I piccoli, infine, avevano manifestato diversi tipi di gradimento al riguardo: alcuni si erano spaventati, altri si erano divertiti, altri ancora avevano cercato di emulare il Drago, saltando addosso alla Principessa per lacerarne le carni. Beh, forse i genitori che erano andati via indignati non avevano del tutto torto…
   «Non mi sono mai vergognata tanto in vita mia», iniziò mamma, fissandomi con collera. «Sembra quasi che io abbia cresciuto una selvaggia! Ti rendi conto di quello che hai combinato?»
   Certo che me ne rendevo conto, non c’era bisogno che lei lo sottolineasse, mortificandomi più di quanto già non fossi. Precisiamo, Ambra la meritava davvero una lezione, ma se dovevo essere obiettiva fino in fondo, forse non in quel momento: si era trattato di un incidente, lo sapevo. Solo che la gelosia mi aveva accecata fino al punto da farmi perdere la lucidità mentale. L’unica consolazione che potevo ricevere da quanto accaduto era che, in fin dei conti, viste tutte le volte che quell’arpia se l’era cavata ai miei danni, le avevo finalmente fatto scontare ogni cosa col botto, per di più a sangue freddo. Beh, non proprio freddo. In ogni caso, non riuscivo a pentirmene fino in fondo.
   «Prova a guardarti attorno», disse ancora mamma, inducendomi a spostare lo sguardo sui miei compagni di classe. Dall’altro lato della scenografia, Ambra, Li e Charlotte stavano ancora lagnandosi per la sciagura capitata loro nel momento in cui mi ero trasferita al liceo; più in là, Peggy e Capucine stavano parlottando sottovoce, la prima seriamente accigliata, l’altra con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra; più vicine a noi, le mie compagne erano impegnate a porsi domande su cosa sarebbe successo e se fosse o meno il caso di riprendere lo spettacolo; poco distante, Castiel e Lysandre si osservavano intorno con aria annoiata, mentre Nathaniel, stranamente affianco a loro, mi fissava con sguardo torvo. C’era da capirlo, poveretto: in un attimo avevo mandato in frantumi ogni suo sogno romantico, avevo compromesso il suo ruolo da eroe all’interno della recita, gli avevo quasi spaccato uno zigomo con una gomitata quando aveva provato a dissuadermi dal mordere ancora il polpaccio di sua sorella, e avevo ridotto quest’ultima in uno stato piuttosto pietoso. Almeno per lui avrei potuto sentirmi in colpa per averla picchiata. Forse.
   Mia madre sospirò pesantemente. «Non credi che dovresti andare a chiedere scusa?» Aveva ragione da vendere, lo sapevo bene. Tuttavia, mi pesava non poco doverlo fare. Atteggiai il viso in una smorfia, pronta a mettere da parte l’orgoglio, quando lei aggiunse: «Immagino che gli farà piacere.»
   Aggrottai la fronte. Gli farà? Ah, quindi non stava parlando di Ambra?
   Seguii lo sguardo di mia madre e mi accorsi solo allora che era puntato sul terzetto che, non troppo lontano, se ne stava all’ombra di alcuni alberi. Mi morsicai un labbro e, senza proferire parola, mi avviai a passo spedito – sia pur zoppicando per le conseguenze della lotta – in quella direzione.
   Non appena fui a pochi metri da loro, Armin alzò gli occhi su di me ed io mi irrigidii all’istante. «Hulk, al confronto, è un agnellino», iniziò con un’espressione a metà fra il serio ed il faceto. Poi, approfittando del mio umiliato silenzio, spostò lo sguardo su Alexy che, in ginocchio accanto all’amato morente, mi rivolse un’occhiata languida e nervosa, come a voler dire: Non vedi in che stato pietoso lo hai ridotto?!
   Vergognandomi come una criminale, mi accucciai anch’io vicino a Kentin, steso sull’erba con un panno umido sugli occhi, nella speranza di contenere la nausea dovuta al dolore che, del tutto inavvertitamente, gli avevo provocato con una solenne ginocchiata fra le gambe. Non lo avevo fatto apposta, si intende; solo che, durante la zuffa, non ero riuscita a controllare del tutto i movimenti e lui, troppo vicino a me ed Ambra, ci era andato di mezzo.
   «Come… ti senti?» pigolai timidamente, non osando muovermi per toccarlo.
   Lo vidi inspirare aria a pieni polmoni e, con un gesto lento, portarsi una mano al volto per sollevare il panno e sbirciare nella mia direzione. Ci fissammo negli occhi per alcuni, lunghi istanti. Infine, abbozzando un sorriso, allungò un braccio nella mia direzione. «Vieni qua», mi disse solo. Non me lo feci ripetere due volte e mi avvicinai ulteriormente, lasciando che mi circondasse le spalle e mi stringesse a sé per rassicurarmi circa il suo stato di salute.
   «Mi dispiace così tanto…» piagnucolai contro la sua spalla.
   «Ricordami di non farti mai arrabbiare seriamente», mi sussurrò con voce roca, affondando il naso fra i miei capelli ed aspirandone il profumo – presumibilmente di sangue rappreso. Aveva capito che lo avevo fatto per lui? Sì, chiunque se ne sarebbe accorto, dannazione.
   «Ehi, basta così», s’intromise Alexy, afferrandoci entrambi per un braccio per staccarci l’uno dall’altra. «Avete fatto la pace? Bene, ora bisogna pensare a cose più urgenti.»
   «Aaah, la gelosia…» sospirò con fare teatrale Armin. Suo fratello lo ignorò, Kentin fece una smorfia ed io mi costrinsi a soffocare un risolino imbarazzato, mentre mi passavo una ciocca dei capelli arruffati dietro ad un orecchio. «Devo proprio dirvelo, però», riprese Armin, accigliandosi. «Con la vostra entrata in scena, ci avete rovinato la sorpresa.»
   «Che sorpresa?» domandai di riflesso.
   Lui e Alexy si scambiarono un’occhiata complice, trattenendo a stento un sorriso. «Avevamo intenzione di metterlo noi, in scena, un bel drago», spiegò il secondo. «Stamattina avevamo tardato anche per quello: stavamo finendo di raccattare pezzi utili per un drago coi fiocchi. Solo che Armin non era mai soddisfatto.»
   «Certo che no!» esclamò lui, tutto convinto. «Un drago dev’essere maestoso e terrificante, mica piccolo e carino come qualcuno di mia conoscenza!» Incrociai le braccia al petto e misi il broncio come una bambina. Divertito dalla mia reazione, Armin sorrise. «Ma te lo concedo: anche se non sei imponente e spaventosa come l’Arcidemone del Quinto Flagello, fai gli stessi danni. Vero, Kentuccio?»
   «Piantatela di chiamarmi così…» borbottò stancamente quello, premendosi i palmi delle mani sulle palpebre chiuse.
   Armin tornò a rivolgersi a me con aria preoccupata. «Meno male che ci avete pensato prima.»
   «A cosa?»
   «A sfornare dodici marmocchi», fu l’ovvia risposta che seguì quella mia domanda ingenua. «Credo che ormai lui non sia più in grado di…»
   «Tappati la bocca!» lo mise a tacere Kentin, saltando su a sedere di scatto. Un capogiro lo colse e subito io e Alexy ci precipitammo a sostenerlo prima che potesse ricadere all’indietro.
   «Non preoccuparti, Kentuccio: rimarrò con te nella buona e nella cattiva sorte!» gli assicurò quell’esaltato dai capelli azzurri, stringendogli appassionatamente la mano.
   Kentin se la scrollò di dosso con un certo fastidio. «Ti risparmio il sacrificio, grazie!»
   In quel momento, qualcuno chiamò l’adunata a gran voce e quando ci voltammo per capire cosa stesse accadendo, vedemmo Peggy avanzare al centro della scena, battendo le mani per attirare la nostra attenzione. «Tutti qui, subito
   «Sembra un generale», commentò Armin, rimettendosi in piedi con fare pigro. Alexy ed io aiutammo Kentin a sollevarsi con cautela e, quando fummo certi che riuscisse a reggersi senza troppi sforzi, iniziammo ad avanzare lentamente verso gli altri.
   «Uh, Lazzaro è resuscitato», commentò Castiel non appena ci vide, un sorriso strafottente in volto tutto per il nostro povero Cavaliere, ferito dal suo stesso fedele compagno alato.
   «Sai, capo?» cominciò Armin, tornando per un attimo a vestire i panni del Mago oscuro, braccio destro del Malvagio della nostra recita. «Tutto sommato ci è andata bene: pensa se la furia del Drago si fosse scatenata contro di noi.»
   «Credi davvero che questa mocciosa mi faccia paura?» ribatté l’altro, ridendo. Era ammirevole che avesse ancora il fegato di scherzare in quel modo, nonostante le condizioni disastrose di Ambra, lo zigomo quasi rotto di Nathaniel e lo stato larvale in cui avevo ridotto Kentin. Persino Rosalya aveva smesso di darmi addosso per la storia del costume rovinato.
   «Volete stare un po’ zitti, per favore?» ci richiamò all’ordine Peggy, visibilmente infastidita. Quando infine riuscì ad avere un po’ di silenzio, ci squadrò tutti, uno per uno, e il suo sguardo accigliato si soffermò un secondo di più sulla sottoscritta. Immaginavo che ce l’avesse con me per averle mandato a monte la recita e, in tutta onestà, non potevo biasimarla.
   «Anzitutto», riprese poi, «lasciatevi dire che, da quel che ho potuto vedere oggi, sapete essere più infantili dei bambini per cui avreste dovuto recitare.» E questo era indubbio.
   «Però è stato divertente», fu il commento vivace con cui Iris osò interromperla. Dagli sguardi degli altri nostri compagni di classe, intuii che nessuno sapeva se appoggiare o meno il suo entusiasmo. Di certo non lo facevano i feriti di guerra.
   «In ogni caso», tornò a parlare Peggy, recuperando dalla propria borsa il quaderno su cui aveva annotato tutto ciò che riguardava la recita e che, in verità, mi era parso di vederle in mano anche durante la nostra pietosa esibizione, «grazie a voi ho raccolto parecchio materiale.»
   Mi permisi di corrucciare la fronte. Non fui l’unica ad avere quella reazione, tant’è che Nathaniel azzardò con voce severa: «Prego?»
   L’altra sfoggiò un sorrisetto soddisfatto. «Andiamo, non penserete davvero che abbia organizzato tutta questa farsa solo per un’opera di beneficienza…» Rivolse uno sguardo a Capucine, che subito le allungò una macchina fotografica. «Per fortuna ho avuto anche una valida assistente», continuò Peggy, prendendo l’apparecchio digitale e mettendolo al sicuro nella borsa.
   «Ci stai dicendo che hai fatto tutto questo per un tornaconto personale?» osservò Lysandre, sollevando un sopracciglio sotto alle corna da cervo, un’aria meravigliata in volto. Lui, per lo meno, era forse uno dei pochi a non avere motivo di temere il peggio, visto che non si era esibito davanti al pubblico, se non per un sottofondo canoro improvvisato. A parte il suo ridicolo costume, si intende.
   Peggy si strinse nelle spalle. «Ognuno fa quel che può», fu la prosaica risposta che diede. «Avevo bisogno di qualche notizia succulenta per il giornale e nessuno di voi era disposto a concedermela. Così ho dovuto trovare una soluzione alternativa.»
   Il sinistro scricchiolio delle nocche delle dita di Castiel attirò l’attenzione di tutti. «Dammi un buon motivo per non iniziare a picchiare una donna», sibilò in direzione della nostra compagna, più diabolica persino di lui, che pure era vestito da demone.
   «Non vi bastano quelli che vi hanno costretti ad assecondarmi in questa storia?» replicò serafica l’altra.
   «Chi ci dice che non sia un bluff?»
   «Vuoi davvero che svergogni qualcuno di voi, magari proprio te, davanti a tutta la classe?»
   Il silenzio che seguì fu più eloquente di mille parole. Era ovvio che tutti noi, nessuno escluso, avessimo un qualche scheletro nell’armadio da voler nascondere accuratamente; e per quanto non avessimo la sicurezza che quelle di Peggy fossero solo minacce infondate, non fummo abbastanza coraggiosi da arrischiarci a contraddirla. Maledetta ficcanaso.
   Lei sospirò deliziata, mentre sfogliava le pagine del proprio quaderno. «C’è da dire che, in effetti, se non vi foste lasciati andare così tanto, forse sarei riuscita ad ottenere molte più informazioni», ebbe il coraggio di aggiungere con espressione meditabonda. I suoi occhi scuri indugiarono per qualche altro istante sugli appunti, ma poi si sollevarono e si puntarono dritti su di me, mentre la linea della sua bocca si assottigliava per il disappunto. «Indoviniamo di chi è la colpa?»
   «Ho già chiesto scusa», borbottai di malavoglia, arrossendo quando mi sentii gli sguardi di tutti addosso.
   «Di certo non a me», puntualizzò Ambra, indignata.
   «Vuoi che ti dia una ripassata?» ebbi la faccia tosta di ribattere. Mia madre, più in disparte, si schiarì rumorosamente la voce ed io fui costretta a tacere il resto delle mie intimidazioni ai danni di quell’oca.
   Ci pensò anche Peggy a rimettermi al mio posto, poiché prese a frugare di nuovo nella borsa. «Non me ne faccio niente delle tue scuse», chiarì seccata. «Quindi, almeno tu, dovrai pagare per la magra figura che abbiamo fatto davanti al nostro giovane pubblico.»
   Corrucciando la fronte, fui sul punto di scattare, ma mi trattenni per ovvie ragioni e mi limitai a domandare: «Perché solo io? Anche Ambra ha fatto un bel casotto!»
   «Oh, pagherà anche lei, seppur indirettamente», mi rassicurò Peggy, tirando fuori dalla borsa un plico all’interno del quale sembravano esserci parecchie foto che non lasciò vedere a nessuno. Mi permisi di preoccuparmi appena.
   «Non è giusto!» protestò Ambra, convinta che nessuno si fosse accorto che la prima in procinto di alzare le mani sulla scena, per schiaffeggiare Kentin, era stata proprio lei.
   L’altra la ignorò e, recuperata l’immagine che cercava, rimise le altre da parte. «Ecco qua: la prova che tutto ciò che Cappuccetto Drago dice a proposito di Castiel è una colossale balla.»
   Lui aggrottò le sopracciglia, io sgranai gli occhi. «Di che diamine stai parlando?» chiesi, divertita da quell’invenzione. Tuttavia, il sorriso mi morì sulle labbra non appena Peggy girò la foto nella nostra direzione e mostrò a tutti ciò che vi era raffigurato sopra: un abbraccio affettuoso fra me e Castiel.
   Qualcuno scoppiò a ridere, qualcun altro trattenne il fiato per lo stupore. La presa del braccio con cui Kentin si stava sostenendo a me si strinse pericolosamente attorno al mio collo, quasi volesse strangolarmi, proprio mentre Ambra urlava come se qualcuno le avesse ammazzato il cane – che non aveva. «Lo sapevo!» esclamò poi, voltandosi verso di me con intenzioni omicide.
   «Ma che ca…?!» sbottò invece Castiel, facendo per agguantare il ritratto. Peggy glielo sottrasse giusto in tempo, ma non poté impedire a Nathaniel di fermarle il polso della mano con cui sorreggeva la foto per osservarla più da vicino.
   «Andiamo, è sicuramente un fotomontaggio!» affermai con foga, indignata, nonostante la presa ferrea di Kentin. «Peggy le escogiterebbe tutte pur di ottenere uno scoop!»
   «Non stavolta!» protestò lei, cercando di liberarsi dalla stretta di Nathaniel. «Questa foto è autentica!»
   «Bugiarda!»
   «No, ha ragione lei», commentò atono il nostro biondo Principe dallo zigomo arrossato e illividito. «Sembra che non sia stata manomessa.» La sua voce pacata mi mise i brividi.
   Castiel fu di tutt’altro avviso. «Ma che cavolo vai dicendo?!»
   «Guardala bene», lo invitò Nathaniel, piazzandogliela sotto al naso.
   «Balle!» protestai ancora, per nulla convinta da tutta quella storia. E come potevo esserlo?! Mi sentivo sinceramente ferita e ingiuriata.
   «Merda…» biascicò invece Castiel, portandosi una mano davanti alla bocca con aria preoccupata. «Purtroppo hanno ragione loro.» Lo fissai come se fosse pazzo.
   «Quando mai ci saremmo abbracciati, noi due? In quel modo, per di più!»
   Occhieggiò per pochi attimi nella mia direzione, esitante. «Debrah», disse poi, allungandomi la foto che ci ritraeva.
   Fu allora che mi crollò il mondo addosso.
   Avevo completamente rimosso l’accaduto, probabilmente per un’inconscia autodifesa; ora che però potevo osservare meglio l’immagine, associandola al nome di quella maledetta ex di Castiel, ogni ricordo iniziava a tornare a galla: dopo aver sbugiardato Debrah davanti a tutti e aver fatto riaprire gli occhi proprio a Castiel, quest’ultimo aveva finito col ringraziarmi, esprimendo il desiderio di rimanere da solo con i propri pensieri. Ed io, stupida dal cuore tenero, lo avevo rincorso per fargli capire che, nonostante tutti i nostri screzi, non ero tipo da voltare le spalle a chi aveva bisogno di aiuto o anche solo una spalla su cui piangere. Era stato allora che – ebbene sì – ci eravamo abbracciati. E sebbene fosse stato il contatto di pochi attimi, tanto era bastato affinché, non sapevamo come, quella dannata Peggy riuscisse a cogliere un’istantanea del momento.
   «E hai pure il coraggio di negare!» La voce petulante di Ambra tornò a ferirmi le orecchie, facendomi uscire dal coma cerebrale in cui ero caduta in seguito a quella sconcertante scoperta. La fissai con occhi vacui, incapace di rispondere per le rime. «L’ho sempre saputo che sei innamorata di lui!»
   Fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso. «Ti ammazzo!» strepitai, pronta a saltarle di nuovo alla gola.
   Ad impedirmelo ci pensò Kentin, che mi trattenne ritrovando miracolosamente le forze, proprio come il Lazzaro nominato da Castiel pochi minuti prima. «Spiegami un po’ questa storia», mi ordinò, continuando a tenermi arpionata per il collo.
   «Vorrei sentirla anch’io», lo appoggiò Nathaniel, fissandomi con rabbia e delusione, le braccia incrociate al petto.
   Avrei voluto picchiarli di nuovo, questa volta intenzionalmente: possibile che la spropositata scenata di gelosia nei confronti di Ambra, che per di più aveva coinvolto anche loro, fosse già stata accantonata, nella loro mente?
   «Kentuccio, hai visto?» infierì Alexy, cogliendo la palla al balzo, sia pure con palese divertimento. «Non ci si può proprio fidare, di lei!» affermò, stringendosi all’altro suo braccio.
   Quello se lo scrollò di nuovo di dosso come se fosse stato una mosca fastidiosa. «Levati di torno!» esclamò, mentre Armin rideva.
   «Oh, non maltrattare il mio fratellino!» ebbe il coraggio di redarguirlo poi, continuando a sghignazzare.
   Kentin forse neanche lo ascoltò, troppo concentrato com’era nel serrare la presa e nello stringermi a sé con fare possessivo. Mi chiesi se ne sarei uscita viva. «Castiel!» invocai allora, come se improvvisamente lui fosse diventato la mia sola àncora di salvezza. «Di’ qualcosa!»
   Lo vidi sbuffare e scrollare le spalle. «È inutile negare l’evidenza: ormai ci hanno scoperti.» Mi si gelò il sangue nelle vene. Era forse impazzito?! Un attimo dopo, però, forse a causa dell’espressione che gli regalai, scoppiò a ridere e alzò le mani ai lati del capo. «D’accordo, d’accordo…» mi rassicurò. «Anche perché, se non chiarissi questo malinteso, la mia reputazione andrebbe a farsi un giro per le fogne.»
   «E la mia no?» domandai retoricamente, in tono stizzito.
   «Quindi?» incalzò Kentin che, sanguigno com’era, non riusciva neanche a controllare il tono della voce né a rendersi conto di dare spettacolo davanti all’intera classe. Non che io non avessi fatto di peggio, prima. Molto peggio, in effetti.
   «Ti pare davvero che possa farmela con una così?» E, nel dirlo, Castiel mimò una tavola piatta davanti al proprio torace, tanto per mortificare un po’ la mia femminilità.
   «Appunto», sottolineai, velenosa. «Di certo non perdo il mio tempo correndo appresso ad un troglodita del genere.»
   Lui sorrise a mezza bocca, divertito dalla mia risposta, ma decise finalmente di mettere in chiaro le cose. «Diciamo che Peggy ci ha beccati nell’unico momento in cui abbiamo deciso di fare una tregua. Rotta dopo… quanto? Due giorni?» mi chiese conferma.
   «Anche meno, credo», bofonchiai, stufa di quella situazione. E del fatto di essermi ritrovata per l’ennesima volta al centro dell’attenzione per colpa di altri. Di quella maledetta Ambra, per l’esattezza.
   Anzi.
   A voler essere onesti, la vera responsabile di tutto era un’altra: Peggy.
   Le lanciai uno sguardo torvo, poiché ogni cosa capitata quel giorno era soltanto dovuta al suo diabolico piano per estorcerci indirettamente delle informazioni personali. Anche adesso, per esempio, stava scribacchiando su quel maledetto quaderno, lo stesso che aveva usato anche alla riunione di classe. Era dunque plausibile ipotizzare che sin da allora avesse iniziato a raccogliere materiale su ognuno di noi.
   Rimaneva però il problema che nessuno avrebbe potuto ribellarsi alla sua volontà: quella disgraziata avrebbe benissimo potuto avere altro materiale compromettente su ognuno di noi. Non ricordavo di aver vissuto altre esperienze imbarazzanti come quella con Castiel, con gli altri compagni di classe, però era bene guardarsi alle spalle da qualunque tipo di pettegolezzo. Ripensai persino a quella volta in cui, uscendo dal bagno della scuola, non mi ero accorta che mi si era appiccicata una striscia di carta igienica sotto alla suola della scarpa, se non dopo che ero uscita in corridoio; anche se non mi aveva vista nessuno, ora il dubbio che Peggy potesse averci fatto su un intero servizio fotografico mi impediva di agire in alcun modo, maledizione.
   Il nostro generale con le lentiggini finalmente ci congedò, e le righe si ruppero. Persino Kentin allentò la morsa ed io fui libera di tornare a respirare a pieni polmoni. E di accorgermi pure che, oltre ad Ambra, anche Melody mi stava fissando con aria contrariata: che ora avesse iniziato a reputarmi una poco di buono? Sospirai, rassegnata al fatto che forse non avrei mai potuto sperare di instaurare un rapporto di affetto reciproco con lei. D’altra parte, non me la sentivo neanche di darle torto, visto il modo in cui Nathaniel trascurava la loro amicizia per gironzolarmi attorno. Non che io avessi colpe, al riguardo, ma l’amore è cieco e la gelosia del tutto irrazionale. Chi poteva saperlo meglio di me, che avevo quasi castrato l’uomo che amavo?
   «Se non ce la fai a camminare, ti diamo un passaggio noi, fino a casa», stava dicendo Armin a Kentin, agguantando il cellulare per chiamare i propri genitori, mentre qualcuno si stava già mobilitando per smontare la scenografia e raccattare tutto quello con cui avevamo allestito uno spettacolo iniziato in modo riprovevole e finito in modo a dir poco pessimo.
   «Piuttosto», cominciò invece mamma, tornando ad avvicinarsi a noi e puntando gli occhi su Alexy, le braccia incrociate al petto ed un’espressione non troppo amichevole in volto, «avrei qualcosina da ridire sul genere di confidenze che ti prendi con mia figlia.» Dunque non le era sfuggita nemmeno la pacca che lui mi aveva dato sul fondoschiena per appiccicare la coda al mio costume.
   Alexy rise, scrollando le spalle. «Stia tranquilla», prese a rispondere con fare allegro, aggrappandosi affettuosamente al braccio di Kentin. «Le assicuro che, a Cappuccetto Rosso, preferisco di gran lunga il Cacciatore.»
   Colta alla sprovvista, mamma batté le palpebre, rimanendo senza parole. «Quante volte devo dirti di scollarti di dosso?!» sbottò il povero Cacciatore, imbarazzato, cercando di liberarsi dalla sua presa con una smorfia che parlava da sola.
   Decidendo di non indagare oltre, mia madre tornò a rivolgersi a me, sia pure con aria perplessa. «Mi sa che dovrai spiegarmi un bel po’ di cose, quando saremo a casa», mi fece presente. Mi arresi a quella prospettiva. D’altra parte, anch’io al posto suo avrei preteso di capire che razza di relazioni intrecciasse mia figlia a scuola. E meno male che papà non aveva assistito a tutto quello che era successo, altrimenti… non volevo neanche immaginarlo. Sperai che mamma mantenesse il segreto.
   Alcuni minuti più tardi, durante i quali finimmo di sgombrare il parco, finalmente io e i miei compagni di classe ci demmo appuntamento l’indomani mattina a scuola. Infine, dopo aver chiesto scusa a Kentin per l’ennesima volta e aver ricevuto in risposta un sorriso ed una rassicurazione, ripresi la via di casa insieme a mia madre.
   «Certo che non vi annoiate, a scuola», fu l’allegro commento con cui per fortuna se ne uscì mentre attraversavamo la strada.
   «Sì, beh… diciamo che la mia classe è parecchio vivace», risposi, iniziando a rilassarmi dopo l’estenuante prova mentale – e fisica – a cui Peggy ci aveva sottoposti quella mattina.
   Mamma sogghignò fra sé e, quando fummo davanti al portone, mi lanciò uno sguardo divertito. «Solo una raccomandazione», disse infine, mentre cercava le chiavi nella borsa. «Dodici nipoti mi andrebbero anche bene, ma, per favore, non farmi diventare nonna prima del tempo.»












Ed eccoci giunti alla fine di questa follia. Credo di aver risolto tutto ciò che nella storia avevo lasciato in sospeso. O sbaglio? Comunque sia, spero di non aver deluso le aspettative di nessuno. In caso, me ne scuso profondamente, la colpa è sempre del neurone che vive di vita propria, non certo mia.
In realtà, avrei già in mente un'altra long, ancora più idiota e ridicola di questa, ma devo ancora maturare bene l'idea e, soprattutto, la trama. Anche perché è più "complessa", come roba, e non posso andare alla cieca come ho fatto in quest'occasione. Almeno credo. Ci penserò, perché non è neanche sicuro che io la metta per iscritto.
Che altro dire se non grazie per aver seguito e letto questa storia fino alla fine, per averla aggiunta fra le seguite/preferite/ricordate (siete stati veramente in tanti! O_O;;; ) e per aver perso alcuni minuti del vostro preziosissimo tempo libero per condividere con me i vostri pensieri al riguardo? Grazie di cuore! ♥
Buona domenica a tutti!
Shainareth





  
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