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Autore: Papillon_Anto    03/05/2015    1 recensioni
Rapunzel!Klaine
(Dal testo)
“Dunque, Devon.”, disse Kurt, cercando di alzare la voce per sembrare più chiaro. “Io e te ora faremo un patto.”
Devon alzò un sopracciglio. “Un patto.”
“Esattamente.”, confermò Kurt. “Innanzitutto voglio che tu mi dica cosa sono queste.”, disse Kurt, indicando il quadro che aveva dipinto quel mattino, con le luci fluttuanti. Devon sembrava annoiato.
“Sono le lanterne che lanciano per il principino perduto.”, borbottò. Kurt sentì il cuore saltargli nella gola: aveva avuto ragione per tutto quel tempo, allora, non erano solo stelle.
“Io voglio che tu mi porti a vederle.”, disse senza tanti preamboli. “Domani sera, come di ricorrenza, queste luci appariranno nel cielo e io voglio poterle vedere di persona, e tu mi accompagnerai. Allora, e soltanto allora, io ti restituirò la tua borsa."
(...)
“Kurt.”, soffiò Blaine, sfiorandogli le dita con le proprie. “Si avvererà.”
Kurt tirò su con il naso, cercando gli occhi di Blaine. “E se anche fosse? Cosa- cosa dovrei fare, dopo?”
Blaine non esitò nel rispondere. “Beh, è la parte più bella direi.”, sussurrò con decisione. “Ti cercherai un nuovo sogno.”
Genere: Avventura, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sue Sylvester | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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...Buonasera!
Siamo Je e Anto, Papillon_ e _Anto, avete presente?
Ecco, un bel giorno ci siamo rese conto che Rapunzel e Flynn sono troppo Kurt e Blaine, così abbiamo deciso di scriverci sopra una storia e... davvero, sono loro. Spiaccicati. Roba da non credere, gente.
Speriamo con tutto il cuore che vi piaccia, ci siamo divertite veramente tanto a scriverla.
Niente, buona lettura! 





 
At last I see the light
 


Questa è la storia di un ragazzo il cui nome è Kurt Hummel.
Una storia che comincia con qualcosa di semplice: il sole.
Era una notte buia e silenziosa, quella in cui inspiegabilmente dal cielo era piovuta una goccia di sole. Si diceva in giro che fosse una cosa molto rara, un vero e proprio miracolo, perché di solito dal cielo non piovono gocce di sole – e se succede, e perché quella parte di Terra è destinata a grandi cose.
Da quella goccia di sole nacque un magico fiore dorato.
Nel regno vicino, la giovane regina Elizabeth Hummel stava per dare alla luce il suo primogenito, ma da alcuni giorni era gravemente malata. Suo marito e re Burt Hummel era molto preoccupato per lei, e aveva fatto di tutto per permetterle di guarire, non trovando però nessuna soluzione adatta, né chiamando a corte diversi medici e né rivolgendosi a donne dalle capacità curative. Il Regno era in subbuglio, e Burt più di ogni altra cosa non poteva permettersi di perdere la moglie con in grembo il frutto del loro dolce amore.
Fu così che Burt ordinò a tutti i suoi sudditi di andare alla ricerca di un piccolo miracolo: quel “qualcosa” che avrebbe permesso alla regina di sopravvivere. Non importava che fosse un infuso, una pianta o una persona: Burt avrebbe pagato qualsiasi cifra pur di vedere sua moglie e suo figlio sani e salvi.
Le guardie e i sudditi girarono in lungo e in largo per trovare ciò che il re aveva ordinato: viaggiarono sulle coste, esaminando mille tipe di conchiglie diverse ma non trovandone nemmeno una dagli effetti curativi; bussarono ad ogni piccola casa del regno per scoprire se qualcuno fosse a conoscenza di un metodo per porre fine alla malattia della regina, ma purtroppo nessuno sapeva niente.
Il Re stava quasi per perdere ogni speranza, quando improvvisamente un giorno una delle sue più giovani guardie gli disse che aveva miracolosamente trovato un fiore dai petali dorati. Con l'aiuto di qualche letterato di corte si scoprì che era un fiore magico, e venne così preparato un infuso che sarebbe poi stato dato da bere alla regina.
Nessuno naturalmente poteva sapere le origini di quel fiore, come non potevano sapere che quel fiore era il bene più prezioso per un'anziana donna che, da quando lo aveva visto sbocciare dal nulla grazie a una goccia caduta dal cielo, lo aveva protetto con tutte le sue forze. Quell'anziana donna si chiamava Sue Sylvester; giravano strane voci sul suo conto, si diceva che fosse stata bandita dal regno perché aveva tentato più volte di fare del male alla famiglia reale per poterne acquistare il potere, e che stesse cercando in ogni modo di trovare la formula dell'eterna giovinezza.
E Sue l'aveva trovata. Quel suo più grande desiderio risedeva in quel piccolo fiore dorato: ogni volta che lei ci si inginocchiava vicino non doveva fare altro che cantare una semplice e concisa melodia, e il fiore di conseguenza si illuminava irradiando luce e permettendole di ritornare giovane, facendo scomparire dal suo viso e dal suo corpo ogni segno di bruttezza e vecchiaia.
Quella notte, Sue si vede strappare via ogni barlume di speranza di avere una vita piena e migliore: senza quel fiore, l'unico sulla Terra, non sarebbe mai potuta rimanere giovane per sempre. Stava quasi per disperarsi, quando venne a sapere da alcune voci di mercanti nel Regno che un infuso molto potente era stato fatto bere alla regina, e che sembrava che piano piano si stesse riprendendo.
Circa quindici ore dopo, il principino venne alla luce. E a Sue venne in mente un'idea.
 
Il principino venne chiamato Kurt, un nome tedesco che richiamava le origini degli Hummel, perché a questo nome veniva spesso attribuito il colore giallo, e la prima cosa che le dita paffute e inesperte di quel neonato andarono a cercare, fu proprio il lembo di una copertina gialla. Di secondo nome gli venne messo Elijah, per il semplice fatto che la sua prima parte ricordava vagamente il nome di sua madre, Elizabeth, e perché in una lingua antica richiamava il potere del sole.
Un bambino nato da una goccia di luce, pieno di vita e speranza, con gli occhi più puramente azzurri che il regno avesse mai visto, la pelle chiara e una stramba particolarità che lo rendeva differente da tutti gli altri bambini. C'erano delle piccole ciocche di capelli dorate che nascevano dal punto più basso e centrale della sua nuca, spostate sulla destra; ciocche di capelli che si rincorrevano formando una treccina minuscola che, quando lasciata alla luce, sembrava oro che luccicava. Burt ed Elizabeth rimanevano ore e ore a giocherellare con quella piccola treccia, rigirandosela tra le dita e scherzando tra di loro sul fatto che fosse nata dal nulla, visto che Burt era calvo ed Elizabeth mora. Ma non importava, perché Kurt rimaneva il bambino più bello che avessero mai potuto desiderare.
Per festeggiare la nascita, re e regina lanciarono in aria una lanterna dorata, invitando anche tutti i sudditi a fare lo stesso: per qualche giorno il loro regno si riempì di mille meravigliose lanterne colorate che fluttuavano nel cielo, mescolandosi alle nuvole e ai comignoli che spuntavano dalle case più alte.
E fino a quel momento, ogni cosa era perfetta.
Finchè smise di esserlo.
 
***
 
In una notte buia come le altre, mentre il piccolo Kurt stava dormendo beato nella sua culla, improvvisamente dalla finestra della sua cameretta entrò di soppiatto Sue Sylvester, un mantello nero e largo che la avvolgeva tutta per coprirla da eventuali guardie. Si avvicinò con cautela al piccolo lettino di Kurt, estraendo dalla tasca la forbice che aveva portato con se e poi, guardandosi attorno per accertarsi che non ci fosse nessuno, sorrise malignamente e incominciò a intonare la melodia del fiore.
 
Flower gleam and glow,
Let your power shine,
Make the clock reverse,
Bring back what once was mine.



Come una magia, la treccina che nasceva dalla nuca di Kurt cominciò ad illuminarsi, portando luce nell'ambiente circostante. Sue sorrise compiaciuta, quando si rese conto che le rughe che in quei giorni aveva accumulato nelle sue mani piano piano tendevano a scomparire, lasciando il posto a una pelle liscia e levigata. A quel punto, Sue mi morse compiaciuta il labbro inferiore e chiuse le lame della forbice attorno a qualche ciocca dorata del principino, soddisfatta di aver trovato la soluzione dei suoi problemi, ma non appena i capelli di Kurt vennero strappati smisero di essere luminosi e diventarono scuri, perdendo ogni loro potere.
Sue guardò la manciata di ciocche che aveva in mano indignata: quello che era appena successo significata che la magia che per tutti quegli anni aveva cercato era rimasta concentrata in un neonato che aveva una treccina dorata. In un moto di rabbia pensò di strappargli via tutti quei bellissimi capelli con un gesto repentino, perché se non avesse potuto avere lei un lieto fine allora non ce l'avrebbe potuto avere nessun altro – ma poi, quando riacquisto un briciolo di calma, le venne in mente una soluzione molto più semplice ad appagante.
Sue raccolse con braccia ferme quel piccolo bocciolo e gli accarezzò una guancia con le dita. Non era assolutamente nata per essere madre, ma aveva disperatamente bisogno di rimanere giovane e bella, e non poteva rinunciare a tutto quello adesso che lo aveva trovato. Si guardò attorno un ultima volta, poi con passi veloci si diresse verso la finestra; nel farlo, urtò col mantello un piccolo carillon che cadde sul pavimento, svegliando il principino che inevitabilmente si mise a piangere.
Vennero raggiunti nel giro di qualche istante dal re e dalla regina, che nel trambusto della stanza riuscirono a scorgere nell'oscurità la figura di una donna che aveva tra le braccia il loro piccolo in lacrime. L'ultima cosa che Burt ed Elizabeth Hummel riuscirono a vedere fu il ghigno soddisfatto di quella vecchia, poi con un movimento repentino del mantello, questa scomparve nel buio della notte.
 
***
 
Il re e la regina diedero ordine di cercare il principino in tutto il regno, ma le ricerche furono del tutto inutili: Sue aveva portato Kurt lontano da loro, nel punto più angusto e buio della foresta, in una torre che era rimasta abbandonata in una grande radura.
Lassù, Sue Sylvester si prendeva cura di Kurt con le attenzioni amorevoli di una madre; lo crebbe con tutto l'amore che riusciva a donare, ma soprattutto, sfruttò al massimo potere dei suoi capelli. Ogni qual volta Sue sentiva che il suo corpo si stava lentamente abbandonando alla caducità, raccoglieva tra le mani la treccina di Kurt e cominciava a cantare la canzone del fiore con dolcezza, e poco dopo la sua pelle tornava bella e il suo volto senza difetti. A volte gli scioglieva quella treccina e gliela ricomponeva con le sue abili dita, accompagnando il tutto con le note di quella canzone che la facevano rimanere giovane, bella e desiderabile.
Kurt cresceva di giorno in giorno, e piano piano si stava trasformando in un bambino bellissimo ed intelligente. I suoi occhi blu avevano acquistato qualche spruzzo verde paglia e giallo sole, e quegli occhioni enormi si posavano sul mondo privi di rabbia e malizia.
Poco dopo i cinque anni, com'era comprensibile, iniziarono le domande. Mentre Sue gli spazzolava la treccina e la ricomponeva velocemente, Kurt chiedeva perché non la poteva tagliare almeno un po', visto che ormai gli arrivava quasi ai piedi. Sue gli diceva sempre che i suoi capelli erano magici e che andavano protetti, e che nessuno si sarebbe mai dovuto avvicinare a loro. Erano preziosi e andavano tenuti nascosti come una gemma rara. A Kurt venne proibito di tagliarli anche solo di poco, e così lasciò che quella treccina crescesse.
Kurt chiedeva perché non poteva mai uscire, e Sue gli rispondeva con dolcezza che il mondo là fuori era pieno di ostacoli e pericoli, e che l'animo di Kurt era troppo buono per essere sporcato da quelle disgrazie. Kurt si limitava a cantare la canzone del fiore per Sue con malinconia, perché laggiù, infondo al cuore, la speranza di uscire da quella torre cresceva giorno per giorno insieme a lui.
“Promettimi che rimarrai qui, Kurt. Con me, sempre con me, che non mi lascerai, perché il mondo là fuori è pieno di pericoli e io non voglio che ti venga fatto del male.”, diceva sempre Sue. “Devi rimanere qui, dove sei al sicuro. Hai capito, fiorellino mio?”
“Sì, mammina.”, borbottava Kurt, le guance rosse che si muovevano insieme alla sua testolina su e giù, per dare enfasi alla sua risposta. Cercava di non farsi vedere dalla sua mamma, ma spesso Kurt si sentiva triste quando doveva promettere lei di rimanere lì per sempre, perché la verità è che nel suo cuore la voglia di andarsene era tanta. Voleva essere libero, libero come un uccellino che spiega le ali in primavera e che non ha paura di niente, che vola alto nel cielo.
 
***
 
Le mura di quella torre, però, non potevano nascondere tutto.
E fu così che con il passare del tempo, Kurt cominciò a sentire che sotto la sua pelle stava nascendo qualcosa, qualcosa di dolce e potente al tempo stesso. Era un sogno.
Il sogno di poter andare a vedere le luci fluttuanti.
Ogni anno, il giorno del suo compleanno, nel cielo sopra di lui venivano lanciate in aria migliaia e migliaia di luci – e ogni anno, Kurt se ne innamorava sempre di più, e rimaneva ad osservarle per tutta la notte e parte dell'alba, fino a quando non ce n'erano proprio più e lui doveva sgattaiolare sotto le coperte per far credere a sua madre che aveva dormito.
Non poteva sapere che in realtà quelle luci erano lanterne che sua madre e suo padre ordinavano di lanciare nel cielo il giorno del suo compleanno, nella speranza che Kurt in qualche modo potesse tornare da loro.
Nella speranza che potesse ricordare.
 
***
 
Pavarotti sgusciò in silenzio fuori dalla finestra, poi corse a nascondersi dietro una pianta e si mimetizzò tra le rose mutando il suo colore. Oramai aveva sfruttato ogni più piccolo nascondiglio di quella torre e non si stupì affatto quando Kurt spalancò le finestre con la convinzione di averlo trovato.
“Direi proprio che Pavarotti non si è nascosto qui fuori…” mormorò Kurt incapace di trattenere un sorriso.
Il camaleonte fece appena in tempo a ghignare, che una treccina dorata si arrotolò attorno alla sua coda e lo trascinò all’interno della torre.
“Preso! Sono ventidue a zero per me” disse Kurt soddisfatto, poggiandosi le mani sui fianchi. “Vogliamo fare a chi arriva primo a ventitré?”
Pavarotti rifiutò la sfida con un cipiglio e Kurt sbuffò, lasciandosi cadere sul davanzale. “D’accordo. Cosa ti va di fare?”
Kurt stava quasi pensando di proporgli un altro gioco, quando Pavarotti sorrise entusiasta e indicò con la coda il mondo che stava lì fuori ad aspettarli in tutta la sua bellezza, con prati verdi e fiori colorati, ma a Kurt era stato insegnato che il mondo non era altro che un posto orribile e non aveva per niente voglia di correre dei rischi. In quella torre lui era al sicuro e mai nessuno gli avrebbe fatto del male.
“Sì, non credo proprio” mormorò Kurt con un sorriso forzato. “Mi diverto tanto a stare qui. E anche tu!”
Il camaleonte fece una linguaccia e il ragazzo roteò gli occhi divertito.
“Andiamo Pavarotti, non si sta così male qui dentro!” poi saltò giù dal davanzale e cominciò a correre: la giornata era appena cominciata.
 
And so I'll read a book
Or maybe two or three
I'll add a few new paintings to my gallery
I'll play guitar and knit
And cook and basically
Just wonder when will my life begin?

 
Dopo quasi diciotto anni trascorsi rinchiuso in una torre, Kurt piuttosto che deprimersi aveva cercato di crearsi un mondo tutto per sé all’interno di quelle mura.
Di prima mattina impiegava il suo tempo nelle faccende di casa, poi cercava di migliorare le sue abilità in cucina, spesso prendeva qualche libro dalla libreria o passava ore a dipingere. Nel corso degli anni aveva sperimentato un po’ di tutto: il teatro, la ceramica, era piuttosto bravo anche a cucire ma soprattutto era dotato di molta fantasia, e forse era proprio per questo che stava ancora in piedi.
 
Quel giorno in particolare Kurt aggiunse un nuovo dipinto alla sua galleria, proprio sopra al camino: disegnò un cielo scuro pieno di luci, monti verdi e un ragazzo di spalle inginocchiato su un albero, lo sguardo puntato verso l’alto e una treccina dorata che scendeva lungo il tronco e poi scompariva nel dipinto.
Osservò tristemente quell’immagine e pensò a quanto sarebbe stato bello vedere quel suo sogno diventare realtà, ritrovarsi in mezzo a tutte quelle luci e respirare un po’ di quella libertà che non gli era mai stata concessa, un po’ di quel mondo a cui gli era stato proibito di fare parte.
Si fidava ciecamente di sua madre, ma proprio non riusciva a credere che fuori da quella finestra ci fosse un pianeta così tanto spietato. Solo il fatto che poteva sentire il vento tra i capelli e i fili d’erba infilarsi tra le dita dei suoi piedi doveva essere una sensazione bellissima. Come alzare gli occhi al cielo e guardare un cielo aperto anziché il tetto della torre, sentire il calore del sole sulla propria pelle, correre all’aria aperta senza timore di sbattere contro un muro o rompere qualcosa… cosa c’era di sbagliato in tutto questo?
E forse Sue aveva ragione, forse era solo apparenza, ma Kurt avrebbe preferito correre il rischio piuttosto che restarsene segretato in quella torre per tutta la vita. In fondo vivere che senso aveva se non poteva farlo davvero?
 
Mancavano ventiquattro ore alla comparsa delle luci e lui aveva tutta intenzione di impiegarle al meglio: avrebbe chiesto gentilmente a sua madre di lasciarlo andare per qualche ora come regalo per i suoi diciotto anni.
“Questo è un gran giorno, Pavarotti. Finalmente glielo chiederò” disse Kurt al suo amico, mentre rimetteva a posto i pennelli e i colori per dipingere. E quando udì la voce di sua madre fuori dalla torre che gli chiedeva di sciogliere la sua treccina per poter entrare, sorrise elettrizzato. “Ci siamo!”
Scostò le tende davanti al suo nuovo dipinto per nasconderlo e poi saltò giù dal camino. “Kurt? Non mi va di diventare vecchia qui sotto”
“Arrivo madre!” esclamò Kurt mentre si affacciava alla finestra. Agganciò la sua treccia all’amo e un attimo dopo questa scivolò giù fino al prato verde che circondava la torre. Appena Sue si aggrappò ai suoi capelli, Kurt cominciò a tirare e pochi secondi dopo la donna era in piedi sul davanzale. Aveva già qualche ruga che gli circondava gli occhi e alcuni capelli bianchi che risplendevano sotto la luce del sole.
“Benvenuta, madre” mormorò Kurt mentre si rimetteva a posto la treccina dorata.
“Kurt, come fai a fare questa cosa ogni giorno dell’anno senza alcuna eccezione? Sembra un’attività così estenuante, tesoro” mormorò Sue, mentre accarezzava il viso liscio del ragazzo.
Kurt scrollò le spalle lusingato. “È una cosa da nulla…”
“Allora non capisco perché tu ci metta tanto” disse, prima di scoppiare in una fragorosa risata. “Caro, sto scherzando!”
Kurt cercò di stare al gioco e rise un po’ con lei, poi si schiarì la voce e si avvicinò a Sue che era corsa davanti allo specchio per osservare il suo riflesso. “D’accordo. Dunque, madre, come ben sai domani è-”
“Tesoro, tua madre è molto stanca. Ti andrebbe di cantare per me?” lo interruppe bruscamente Sue, dopo aver esaminato con estrema cura le rughe che gli erano comparse sul viso.
Kurt era disposto a fare ogni cosa pur di farsi ascoltare, così cominciò a girovagare per la stanza e trascinò la poltrona al centro dove fece sedere sua madre, poi prese uno sgabello per lui e mise tra le mani della donna una spazzola.
Sue guardò male Kurt mentre cantava la canzone del fiore ad un ritmo insolitamente veloce, e quando ebbe finito non fece in tempo neanche a rimproverarlo che la voce del soprano riprese a parlare senza dargli molta scelta.
“Dunque, madre, domani è un giorno molto importante ma non mi hai chiesto il perché, perciò ascolta: è il mio compleanno!” esclamò con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
“No, non può essere, ricordo la cosa perfettamente. Il tuo compleanno è stato l’anno scorso” gli ricordò lei con dolcezza, mentre cercava di scrollarsi di dosso il ragazzo che le si era lanciato addosso per abbracciarla.
“La cosa buffa dei compleanni è questa: ogni anno ritornano” ridacchiò Kurt, cercando di non far trapelare l’agitazione dal suo tono di voce. “Madre, compirò diciotto anni, e volevo chiederti- quello che vorrei tanto per questo compleanno, in realtà quello che… uhm…”
Sue sbuffò rumorosamente. “D’accordo Kurt, smettila di borbottare. Conosci le mie regole sul borbottio. È davvero irritante” e senza prendersi neanche una pausa aggiunse “scherzo tesoro, sei dolcissimo. Ti voglio tanto bene, caro.”
Kurt si accarezzò distrattamente la treccina e stava quasi pensando di mollare, quando Pavarotti mosse la zampa per invitarlo a provarci ancora. Così un piccolo sorriso giocò sulle sue labbra per quella esortazione e finalmente si decise a parlare.
“Voglio vedere le luci fluttuanti” disse tutto di un fiato.
Sue, che stava armeggiando vicino al cestino della frutta, lasciò cadere la mela all’interno e sorrise nervosa. “Che- che cosa?”
Kurt salì in piedi sullo sgabello vicino al camino e poi scostò le tende per scoprire il suo dipinto. “Be’, la mia speranza era che tu mi portassi a vedere le luci fluttuanti.”
Sue lanciò un’occhiata al disegno, e sorrise un po’ più rilassata quando vide il disegno di un cielo e tante luci gialle che lo riempivano. “Oh, tu stai parlando delle stelle.”
“È questo il punto. Ho fatto la mappa delle stelle e loro non cambiano mai! Ma queste compaiono tutti gli anni quando è il mio compleanno, madre, solo quando è il mio compleanno. E non riesco a fare a meno di pensare che in realtà brillino per me…” bisbigliò tristemente Kurt, portandosi una mano sul petto. “D-devo vedere quelle luci, madre, e non semplicemente dalla finestra, ma di persona. Ho bisogno di sapere che cosa sono.”
“Vorresti uscire dalla torre?” domandò Sue come se avesse appena detto un’assurdità. Si avvicinò alla piccola finestra e chiuse di scatto le porte, impedendo alla luce del sole di entrare nella stanza. “Non credo proprio che sia il caso…”
Nel giro di un paio di  minuti Sue riuscì come al solito a fare il lavaggio del cervello al ragazzo: sei svampito e finiresti nei guai, gli ingenui come te lì fuori li mangiano a colazione, restare qui con la tua mamma che ti protegge e veglia su di te è il regalo migliore che tu possa chiedere per il tuo compleanno…
Kurt era ufficialmente spaventato a morte quando si gettò tra le braccia di Sue, gli angoli della bocca piegati verso il basso e gli occhi spalancati e intrisi di terrore.
“Tesoro, non devi mai più chiedermi di uscire da questa torre” disse Sue, gli occhi scuri per la rabbia che tradivano la dolcezza che stava cercando di ostentare.
“Sì, madre” mormorò Kurt ingoiando quel nodo che gli si era formato nella gola.
“Oh, io ti voglio talmente bene, caro…” sussurrò la donna accarezzandogli la guancia con dolcezza, sperando che le sue parole riuscissero ad alleviare la rabbia e la tristezza che stava leggendo negli occhi di Kurt in quel momento.
Come previsto il suo sguardo si illuminò un po’. “E io anche di più.”
“E io anche più del tuo più” rispose Sue lasciandogli un bacio tra i capelli, e dopo avergli accarezzato la sua preziosa treccina per un’ultima volta, lo lasciò andare.
Si rimise la mantella, prese il suo cestino e armata della sua giovinezza, lasciò di nuovo la torre con l’aiuto di Kurt.
“Ciao ciao, ci vediamo dopo fiorellino!” esclamò, ancor prima che i suoi piedi toccassero terra.
Kurt tolse i capelli dall’amo e poi guardò sua madre mentre spariva tra i boschi. “Mi trovi qui” sussurrò tristemente incrociando le braccia sul davanzale e poggiando la testa su di esse.
E mentre la sua treccina oscillava libera nel vento fuori da quelle mura, Kurt realizzò che sarebbe rimasto intrappolato nella torre per tutta la vita, e non poteva fare assolutamente niente per cambiare le cose.
 
***
 
Devon scivolò dall'ampio tetto con maestria, seguito immediatamente dopo da Puck e Sam, i banditi più popolari di quel piccolo Regno. Era una giornata come le altre, soleggiata e piena di vita, eppure Devon sapeva che il furto che a breve avrebbero compiuto lui e i suoi compari avrebbe cambiato tutto.
Si stavano dirigendo con cautela al palazzo reale, per poter rubare quella che era la corona del principino perduto. Era rimasta inutilizzata per quasi diciotto anni, ormai, e Devon francamente credeva che non ci sarebbero stati problemi a rubarla perché andiamo – chi diavolo se ne sarebbe accorto? Insomma, fino a prova contraria nessuno usava quella corona.
Devon di corporatura era il più piccolo dei tre ladri, di conseguenza il più veloce; per quel motivo li precedeva sempre durante quei momenti. E mentre aspettava che gli altri lo raggiungessero con affanno osservava il panorama con fierezza ed esclamava ad alta voce quanto bella fosse quella giornata.
Purtroppo, essere il più piccolo comportava anche la parte più sporca del lavoro: era quello che doveva intrufolarsi in case e palazzi e raccogliere il bottino come concordato. Fu così che Sam e Puck lo aiutarono a legarsi ai fianchi una corda e la utilizzarono per calarlo giù dal salone principale del castello, dove al centro, posata su un cuscino rosso, posava la corona del principino perduto.
Fu anche troppo facile per Devon recuperarla: ebbe anche tutto il tempo di augurare a una guardia di guarire presto dal raffreddore. Naturalmente, Puck e Sam dovettero sbrigarsi a tirarlo su, e una volta trovatosi coi piedi per terra, Devon cominciò a correre insieme agli altri due ladri per i tetti del regno con quanta più velocità aveva nelle gambe.
“Non sono nemmeno le otto e la nostra vita è già cambiata così tanto!”, esclamò Blaine, facendo un lungo balzo per superare l'ultimo ostacolo che separava loro dal bosco circostante il regno. Puck e Sam, dietro di lui, si scambiarono una lunga occhiata.
“Vedi di correre, Anderson.”, borbottarono quasi all'unisono. Devon alzò le braccia al cielo, continuando a correre all'impazzata.
“Ehy, cosa sto facendo! Siete voi quelli lenti.”, mormorò lamentandosi. Il fitto bosco stava piano piano lasciando spazio a sempre più radure, ma con grande sfortuna presto i tre banditi si trovarono davanti a una parete alta e pericolosa. Devon la studiò con un sopracciglio alzato, poi fece per arrampicarsi, ma Sam e Puck lo trascinarono nuovamente verso il basso, guardandolo con volti pieni di sospetto.
“Dacci la borsa, Anderson.”, grugnì Puck, allungando una mano verso di lui. Devon spalancò la bocca, indignato.
“Che cosa?! Volete dirmi che dopo tutto questo tempo non vi fidate ancora di me?”, chiese, indicando il proprio petto con fare teatrale. Puck e Sam non cambiarono minimamente la loro espressione, e Devon fu costretto così a sfilarsi la borsa con uno sbuffo e consegnarla a loro. Fece segno ai propri compagni di precederlo e, senza il minimo tentativo di grazia, Devon iniziò ad arrampicarsi sui loro corpi per scalare quella parete, probabilmente mettendo il piede in faccia a Sam a un certo punto. Una volta arrivato in cima, Sam allungò la mano verso di lui per essere aiutato, ma Devon scrollò le spalle.
“Mi dispiace ragazzi.”, mormorò, fingendo di essere davvero triste. “Ma ho le mani occupate.”, borbottò, sollevando la borsa di pelle che conteneva la corona. Detto questo, Blaine riprese a correre più veloce che poteva immergendosi in una nuova parte del bosco, Puck e Sam ormai lontani da lui che urlavano freneticamente il suo nome.
 
Devon non riusciva a capire razionalmente come aveva fatto a seminare i suoi due compagni e le guardie; si era limitato a correre a perdifiato lungo i sentieri che trovava, allontanandosi più velocemente possibile dai vocii che richiamavano il suo nome. Si rese conto forse troppo tardi di essersi allontanato troppo dalla strada che conosceva e, a un certo punto, raggiunse un punto buio e nascosto della foresta che non aveva mai visto prima. Preso dalla fretta e dall'adrenalina, sentendo dietro di sé il nitrire di un cavallo, si precipitò dietro a una tenda di foglie che proveniva da un vecchio salice, sperando di potersi nascondere. Non poteva sapere che in realtà ci fosse una vera e propria radura lì dietro. Era - enorme, a dir poco enorme, con cascate tutte intorno e moltissimi alberi ad adornarla, ma la cosa che colpi Devon più di tutte fu una torre. Era posta esattamente al centro della radura: sembrava vecchia e disabitata, ma per qualche ragione Devon si sentì spinto ad andarci, per evitare che le guardie lo trovassero con un colpo di fortuna. Non fu particolarmente difficile scalare la torre, e una volta arrivato in cima Devon estrasse dalla sua preziosa borsa la famigerata corona. "Finalmente soli.", mormorò guardandola attentamente. Non ebbe nemmeno il tempo di ammirarla come doveva, perché quasi immediatamente dopo un suono metallico riempì l'aria, poi il mondo diventò buio.
 
Kurt brandiva con entrambe le mani una padella che aveva trovato tra le infinite cianfrusaglie che teneva nella torre, gli occhi sbarrati e il fiato corto per aver appena colpito quello sconosciuto, Pavarotti sulla sua spalla che tremava come una foglia. Nessuno era mai entrato nella torre. Nessuno, mai, ed era destabilizzante che quel - ragazzo, forse? Fosse arrivato così dal nulla. Kurt deglutì rumorosamente, gettando verso Pavarotti un'occhiata preoccupata. Il piccolo camaleonte scese dal suo braccio per mettersi di fronte a lui, cominciando a fare con la bocca strani versi per far capire a Kurt che di quel tipo non ci si poteva fidare. Kurt teneva ancora la padella salda tra le mani, e con cautela la avvicinò a un ciuffo di riccioli ribelle che copriva il volto di quel ragazzo. Lo spostò con delicatezza, e finalmente riuscì a vederlo in viso.
Oh.
Lui - non era assolutamente un mostro. Era un ragazzo proprio come lui.
Non aveva strani denti appuntiti o la pelle squamata. Anzi, era...era carino, Kurt era quasi certo di quello. Non che avesse visto molti altri ragazzi in vita sua, ma sembrava carino, con quelle lunghe ciglia scure che sembravano piccole piume, le guance arrossate e i riccioli neri che gli incorniciavano il volto. Se Kurt avesse dovuto dare un volto alla cattiveria non le avrebbe di certo dato quello.
In ogni caso, non poteva di certo tenere un ragazzo nel bel mezzo della torre sapendo che sua madre sarebbe potuta tornare da un momento all'altro. Per quello Kurt cominciò ad ingegnarsi: raccolse tutti i suoi capelli e li avvolse cautamente attorno a quello sconosciuto, aiutato dal piccolo e fedele Pavarotti, proprio come se fosse una corda. Cercò il luogo adatto per nasconderlo, ma alla fine decise di sistemarlo in qualche modo nell'armadio, facendolo rimanere in piedi per miracolo.
Una volta chiuse le ante, Kurt si lasciò scappare un lungo sospiro di sollievo.
“Ho chiuso una persona nell'armadio.”, borbottò, passandosi le mani tra i ciuffi di capelli ribelli sulla fronte. “Ho chiuso una persona nell'armadio!”, ripetè quasi urlando, cercando gli occhietti di Pavarotti, che sembrava fiero di lui. “Ora mia madre non potrà più dirmi cosa non posso fare, visto che sono più che responsabile e so come occuparmi dei cattivi.”, spiegò,  sentendosi alquanto orgoglioso di quello che era appena riuscito a fare. Come nemmeno farlo apposta, pochi minuti più tardi sua madre arrivò alla torre con la solita richiesta di sciogliere i suoi capelli giù dalla torre: come sempre, Kurt gettò fuori dalla finestra la sua treccina che magicamente si intrecciò al corpo della madre, raccogliendola senza sforzo.
Lei si tolse il mantello rosso che la copriva, offrendogli un piccolo sorriso.
“Madre.”, esordì Kurt, raccogliendo tutto il coraggio che aveva in corpo. “C'è una cosa che ti devo dire- vedi-”
“Spero che non sia di nuovo il discorso sulle lanterne, tesoro.”, borbottò sua madre, estraendo dal cestino che aveva portato con sé diverse mele, che poggiò su un davanzale lì vicino.
“Arriverò anche a quello, madre.”, spiegò Kurt, avvicinandosi all'armadio. “Se ora voi mi ascoltaste-”
“Pensavo che avessimo finito di parlarne, Kurt.”
“No, madre, non abbiamo finito. Volevo semplicemente dirti che tu credi che sia non sia in grado di badare a me stesso, ma la verità è-”
“Kurt, adesso devi smetterla. Sono stanca di ripetere sempre le stesse cose.”, lo rimproverò Sue in tono scocciato.
“Ma su tu prestassi attenzione-”
Basta Kurt!”, gridò sua madre, perdendo la pazienza. “Tu rimarrai chiuso in questa torre per tutta la vita!”
Kurt spalancò gli occhi, al quel punto, le mani che si stavano allungando verso le porte dell'armadio che tornarono lungo i fianchi. Sua madre non aveva mai urlato così tanto, in tutti quegli anni passati insieme. L'ultima cosa che voleva era farla arrabbiare.
Sue a quel punto sospirò, sedendosi. “Ecco, perfetto.”, borbottò. “Ora sono la cattiva.”
Kurt deglutì, sentendosi distrutto. Osservò l'armadio un'ultima volta, poi sua madre, e per qualche inspiegabile ragione ebbe un'idea che diede al suo cuore un po' di speranza.
“In realtà volevo solo dirti che ho trovato il regalo che vorrei per il mio compleanno.”, sussurrò, la voce che tremava leggermente. Sue alzò lo sguardo verso di lui.
“E sarebbe?”, chiese in un mormorio.
“Il colore fatto di conchiglie, quello che mi avete portato dalle spiagge lontane quando ero ancora bambino.”, disse piano. Sue sembrò accigliarsi.
“Kurt, fiorellino- si tratta di affrontare un viaggio di almeno tre giorni.”
“Lo so.”, rispose Kurt. “Ma trovavo che fosse un'alternativa migliore alle lanterne.”
Sue sembrò ponderare bene la cosa, e alla fine si alzò dalla sedia con un sospiro, passandosi entrambe le mani curate tra i capelli biondi. “Va bene, direi che posso farlo.”, disse con un breve sorriso. Fece qualche passo verso Kurt e lo raccolse tra le braccia, permettendogli di farsi piccolo contro di lei.
“Mi dispiace di aver urlato in quel modo.”
Kurt francamente aveva ancora un po' paura. “Non fa niente.”, mentì. “Va tutto bene adesso.”
Solo poi sua madre si calò nuovamente dalla finestra, sussurrando un “Ti voglio bene” a cui Kurt rispose con le solite parole, “Io te ne voglio di più.”. Sue ormai era scesa dalla torre, quando mormorò “E io anche più del tuo più.”, qualcosa che Kurt non poteva sentire, perché era già tornato verso l'armadio, e aveva fatto in modo che il ragazzo che era capitato lì per caso ne uscisse fuori.
 
***
 
Devon si sentiva ancora piuttosto stordito quando riaprì gli occhi. Percepiva qualcosa di umido nell'orecchio, emesse una sotto specie di gemito, e poi un nuovo colpo lo fece tornare nell'oblio-
 
La testa gli faceva decisamente male, e c'era di nuovo quella cosa strana e umida nel suo orecchio – un momento, era un camaleonte, quello? Devon scrollò la spalla sulla quale quell'esserino si era appoggiato, facendolo cadere. “Ma la vuoi smettere?”, borbottò, grattando l'orecchio sulla spalla. Solo poi si rese conto di essere issato ad una sedia: c'erano quelli che potevano benissimo essere capelli tutti attorno a lui, una piccolissima treccia che lo avvolgeva moltissime volte come una corda dorata infinita.
Devon tentò di muoversi per liberarsi di tutti quei capelli, ma ogni volta che le sue mani sforzavano troppo questi sembravano stringerlo ancora di più, quasi come se sapessero di non dover mollare la presa. A quel punto, qualcosa si mosse nel buio di quella torre.
“Chi sei tu? E come hai fatto a trovarmi?”
Devon alzò gli occhi al cielo. Come sequestratore di persona non era un granché, quel tipo. “Scusa?”
Fu in quel momento che dal retro di una colonna si fece avanti un ragazzo – in mano aveva una padella puntata verso di lui, un cipiglio preoccupato che smuoveva i suoi lineamenti.
“Chi sei tu e come hai fatto a trovarmi.”, ripeté quel ragazzo, e non sembrava nemmeno una domanda. Più una minaccia.
Devon tentò di dire qualcosa. Qualsiasi cosa avesse senso e potesse tirarlo fuori da quella bizzarra situazione, ma al momento era decisamente troppo concentrato a perdersi negli occhi d'oceano che aveva quel ragazzo – erano davvero i più chiari e puri che avesse mai visto, come il cielo limpido appena dopo le tempeste. Aveva la pelle bianca come il latte e le gote leggermente arrossate per tutto il trambusto che c'era appena stato – e Blaine lo trovò davvero molto, molto bello.
“Io non so chi tu sia.”, mormorò, rimanendo ad osservarlo ancora per un po'. “Però posso dirti chi sono io.”, buttò lì. “Ciao, sono Devon Anderson, molto, molto piacere.”
Il ragazzo assottigliò le palpebre. “Allora, Devon Anderson.”, disse con cautela Kurt, cominciando a camminare attorno al corpo di quel ragazzo. “Sei qui per i miei capelli, vero? Cosa vuoi farci, rapirli?”, borbottò, puntando la padella contro la sua gola. “Venderli?”
“Stai calmo, biondino.”
“Mi chiamo Kurt.”, quasi ringhiò l'altro, spingendo la padella sulla sua pelle.
“Auf Wiedersehen.”, lo prese in giro Devon, deglutendo subito dopo. “Senti, non sono qui per i tuoi capelli. Cioè sono- uhm...interessanti, credo. Ma in questo momento vorrei tipo che sparissero. Letteralmente.
A quel punto Kurt si rilassò lentamente; la sua schiena tornò dritta e tolse piano piano la padella dal mento di quel ragazzo – Devon. “Non vuoi- tagliare i miei capelli? Davvero?”
“Senti, non so nemmeno di che cosa tu stia parlando. Mi stavano inseguendo, va bene? Sono arrivato in questa radura, ho scalato la torre e sono arrivato qui, fine della storia.”, spiegò vagamente lui. “E ora gentilmente, potresti dirmi dov'è la mia borsa?”
Kurt guardò furtivamente il dolce Pavarotti, appollaiato alla sua spalla. Si voltò in modo che Devon non potesse ascoltare la sua conversazione e raccolse il camaleonte tra le mani.
“Non mi sembra cattivo,”, bisbigliò. “Credo che potremmo fidarci di lui. Penso che potrei chiederglielo.”, concluse infine. Pavarotti sembrava fare il tifo per lui.
“Dunque, Devon.”, disse Kurt, cercando di alzare la voce per sembrare più chiaro. “Io e te ora faremo un patto.”
Devon alzò un sopracciglio. “Un patto.”
“Esattamente.”, confermò Kurt. “Innanzitutto voglio che tu mi dica cosa sono queste.”, disse Kurt, indicando il quadro che aveva dipinto quel mattino, con le luci fluttuanti. Devon sembrava annoiato.
“Sono le lanterne che lanciano per il principino perduto.”, borbottò. Kurt sentì il cuore saltargli nella gola: aveva avuto ragione per tutto quel tempo, allora, non erano solo stelle.
“Io voglio che tu mi porti a vederle.”, disse senza tanti preamboli. “Domani sera, come di ricorrenza, queste luci appariranno nel cielo e io voglio poterle vedere di persona, e tu mi accompagnerai. Allora, e soltanto allora, io ti restituirò la tua borsa. È nascosta in un posto che non potrai mai indovinare.”
Devon si guardò attorno furtivamente. “E' sicuramente nascosta in quel vaso, non è vero?”
Uhm. Beh, Kurt non voleva arrivare a tanto, ma a mali estremi estremi rimedi: prese la padella e diede un nuovo, forte colpo a quel ragazzo. Sistemò velocemente la borsa che aveva messo nel vaso sotto un piccolo gradino che portava alla sua stanza, e aspettò che Devon si svegliasse di nuovo. Quando lo fece non sembrava stare tanto bene.
“...l-la devi seriamente smettere con quella padellaccia.”, biascicò. Kurt gliela puntò nuovamente alla gola.
“Adesso è nascosta in un luogo che non troverai mai.”, disse con un sorriso furbo. “Allora, mi porterai a vedere le lanterne?”
“Senti biondino, non ho tempo io per queste cose.”, borbottò Devon. “Senza contare che non ho un bellissimo rapporto con il regno. Anzi: diciamo piuttosto che ci odiamo. Senza il piuttosto.”
Kurt gli si avvicinò con cautela. “Potrai smontare questa torre mattone dopo mattone, ma non troverai mai la tua preziosa borsa.”, gli spiegò con calma. “Se mi porti a vedere le lanterne, invece, la borsa sarà tua, è una promessa. E io mantengo sempre le mie promesse. Sempre.
Devon lo guardava senza capire, il sopracciglio triangolare spesso che era saettato ancora più in alto. Sbuffò sonoramente. “Senti, io non volevo arrivare a questo. Ma mi hai costretto, quindi...sguardo che conquista.”, sussurrò con trasporto e la voce roca, arricciando le labbra e spalancando gli occhi. Kurt rimase a guardarlo, completamente impassibile, il petto che si muoveva piano a ritmo dei suoi respiri.
E a quel punto, Devon cedette.
“Oh, e va bene.”, grugnì. “Ti porto a vedere queste dannate lanterne.”
“Sì!”, esclamò Kurt, cominciando a salterellare e battendo le mani, Pavarotti vicino che esultava insieme a lei. Il ragazzo cercò di ricomporsi, sistemandosi i capelli e sorridendo appena. “Dunque, partiamo subito. Puoi cominciare a scendere dalla torre.”
Devon non se lo fece ripetere due volte. Scese dalla torre con calma, stando attento a mettere i piedi nei punti giusti.
Kurt, dal canto suo, era combattuto. Aveva desiderato tutta la vita uscire da quella torre, ma in un certo senso era successo tutto troppo in fretta. Il suo desiderio più grande era quello di uscire con il permesso di sua madre, ma stava facendo tutto a sua insaputa, e quella costante consapevolezza lo faceva stare in pensiero.
Pavarotti a un certo punto gli fece una carezza con la testolina sul collo, e Kurt trovò in quel gesto il coraggio di arrampicarsi sulla finestra e legare i propri capelli all'uncino. Doveva solo saltare.
“Ci siamo.”, sussurrò, aggrappandosi alla sua stessa treccina. “V-voglio sapere cos'è la libertà.”, disse senza pensarci, e immediatamente dopo si lasciò andare, cadendo a grande velocità sempre più giù, fino a quando si trovò a una manciata di centimetri dal terreno. Allungò un piede, poi un altro, immergendo i piedi nudi nell'erba soffice sotto di lui. Il suo petto si riempì di qualcosa di completamente nuovo, e ben presto Kurt si ritrovò a correre in mezzo alla radura, con una voglia matta di correre, saltare, gridare, addirittura volare.
Perché forse era quello il sapore della libertà.
 
***
 
Sue capì che qualcosa non andava nell’esatto istante in cui, mentre camminava per andare a prendere il regalo di compleanno per Kurt, si ritrovò un cavallo reale nei pressi della torre.
Lasciò cadere il cestino a terra e cominciò a correre, a correre e a correre senza fermarsi neanche per riprendere fiato, perché non poteva permettersi nemmeno di respirare in quel momento, e quando finalmente arrivò alla radura il cielo era un po’ più scuro e nuvoloso di quanto non lo fosse prima.
Provò a non lasciarsi prendere dal panico, provò a chiamare Kurt e sperava ardentemente che da un momento all’altro questo si affacciasse, gli sorridesse come al solito e poi lanciasse giù dalla torre la sua treccina, e tutte le sue paure sarebbero svanite perché Kurt era ancora ad aspettare il suo ritorno come sempre. Non era cambiato niente. Non sarebbe mai cambiato niente.
Ma non udì la voce squillante del ragazzo che la salutava, non vide il suo sorriso impertinente mentre si affacciava dalla torre e non soprattutto vide la sua preziosa treccina oscillare libera nel vento.
Prima che il panico la travolgesse del tutto come un fiume in piena decise prima di infiltrarsi nella torre, e mattone dopo mattone liberò la porta che aveva fatto murare anni prima.
E quando finalmente entrò ed ispezionò ogni angolo della torre, realizzò che il suo peggior incubo si era appena avverato: Kurt era scappato, e la sua assenza era palpabile.
La torre non era mai stata così spenta, non quando c’era Kurt con la sua vivacità, la sua voce e il suo sorriso che la riempiva di luce. Così come aveva portato la gioia in quel posto, così se l’era trascinata via con lui.
Per questo corse subito a scostare le tende ma servì solo a peggiorare le cose, perché una luce grigiastra filtrò dalla finestra e portò solo più buio in quella torre vuota.
Nella penombra però notò un piccolo luccichio, e voltandosi vide che proveniva da sotto di uno dei gradini che portava alla camera di Kurt.
Corse subito a vedere di che si trattava e lì sotto ci trovò una borsa, dove all’interno c’era un diadema e un foglio di carta spiegazzato, con sopra la foto di un ragazzo che non aveva mai visto in vita sua.
 
Devon Anderson
Ricercato
 
Quando Sue lasciò di nuovo la torre, questa volta al posto di un cestino pieno di mele si portò dietro un pugnale che le sarebbe stato sicuramente più utile.
 
***
 
Bastarono dieci minuti passati con Kurt per far capire a Devon che doveva liberarsene al più presto.
Era il ragazzo più strano che avesse mai conosciuto e non voleva averci niente a che fare, soprattutto non nel bel mezzo di una fuga dal regno per aver rubato una corona che lo avrebbe fatto diventare ricco.
E poteva fare il sacrificio di accompagnare quel ragazzo a guardare le lanterne, certo che poteva, ma il problema era che non lo voleva affatto.
Lo osservò per un po’ e da quello che vide capì che Kurt lo avrebbe fatto diventare matto se solo avesse passato altri cinque minuti in sua compagnia: prima aveva cominciato a correre sui prati squittendo come un bambino felice, poi si era nascosto dietro un cespuglio a piangere mormorando qualcosa come “sono una brutta persona”, “mammina non sarebbe fiera di me” e aveva continuato così per minuti interi, alternando momenti di pura felicità a depressione cronica.
Kurt sembrava davvero vulnerabile e spaventato, così decise di puntare proprio su questo per fargli cambiare idea e riportarlo dentro quella torre, dove avrebbe finalmente recuperato la sua borsa e poi sarebbe scappato via. Sarebbe stato facile come respirare raggirarsi un tipo ingenuo come lui.
 
Kurt era poggiato contro un cespuglio, aveva il viso tra le mani e stava singhiozzando incessantemente,  quando a passi felpati Blaine si avvicinò a lui e si piegò sulle ginocchia per stargli vicino.
“Uhm… sai, non posso fare a meno di notare che sembri leggermente in guerra con te stesso…”
Kurt si tolse le mani dal viso per poter guardare Devon. “C-che cosa?”
“Ho capito solo a grandi linee, naturalmente. Madre iperprotettiva, vietatissimo uscire… insomma ragazzi, è roba seria!” disse mentre si rimetteva in piedi un’altra volta. “Ma vorrei alleggerirti la coscienza: fa parte del crescere! Un po’ di ribellione, qualche avventura, è giusto così! È salutare addirittura.”
Pavarotti saltò sulla sua spalla e lo fissò cercando di capire che intenzioni avesse il ragazzo, ma questo lo scacciò via velocemente.
“T-tu credi?” mormorò Kurt con un sorriso smorzato, asciugandosi le lacrime.
“Certo, sei tu che ci rimugini troppo sopra! Tuo madre se lo merita? No. Le spezzerai il cuore e ne sarà schiacciata? Ma è chiaro! Però tu devi farlo lo stesso.”
Kurt spalancò la bocca, emettendo un piccolo verso sorpreso. “Le s-spezzerò il cuore?”
“A metà” aggiunse distrattamente Devon.
“Ne sarà schiacciata?” domandò ancora Kurt sconvolto.
“Completamente” rispose, mentre si avvicinava a Kurt per aiutarlo ad alzarsi.
“Le si spezzerebbe il cuore sì, hai ragione” biascicò Kurt accarezzandosi distrattamente la treccina.
Devon si morse un labbro. “In effetti sì, ho ragione… oh, che peccato. Non è mio costume farlo, ma ti libero dal nostro patto. Si torna a casa.”
Kurt sbatté le palpebre confuso. “Che- che cosa?”
“Esattamente, ma non ringraziarmi. La padella, la rana” disse Devon, mettendo la padella di Kurt sotto al suo braccio e il piccolo camaleonte sulla spalla, poi lo afferrò per un braccio e cominciò a trascinarlo dolcemente. “Io recupero la mia borsa, tu recuperi un rapporto madre-figlio basato sulla reciproca fiducia e voilà! Dichiariamo chiusa la strana alleanza-”
Kurt gli diede una gomitata nello stomaco e lo spinse via con forza. “No! Io voglio andare a vedere le lanterne.”
“Oh, insomma!” sbottò Devon, quando vide il suo piano geniale scivolargli via come niente. “Che cosa devo fare per riavere la mia borsa?”
Kurt gli puntò contro la padella con fare minaccioso, e proprio mentre stava pensando a cosa dire per riuscire a spaventarlo, il cespuglio vicino al quale era appoggiato poco prima cominciò a muoversi freneticamente.
Kurt corse a ripararsi dietro Devon e con un balzo gli saltò addosso, allacciando le gambe attorno ai suoi fianchi. Nascose il viso dietro la sua spalla e tese un braccio in avanti, cercando di mettere in bella vista la sua pericolosissima padella.
Poi un piccolo coniglietto saltò fuori dal cespuglio e li guardò con aria curiosa e Kurt lo scrutò appena, mentre la paura pian piano svaniva nel realizzare che non era niente, che era solo un animaletto innocuo e che non gli avrebbe fatto del male.
“Sta’ attento, potrebbe fiutare la tua paura” mormorò Devon girando appena la testa per guardare Kurt, che solo in quel momento si accorse di essere ancora addosso a lui.
Si affrettò a rimettere i piedi a terra e fece qualche passo indietro  per mantenere delle distanze che qualche secondo prima, preso dalla foga del momento, aveva decisamente violato. “S-scusa, Devon, è solo che… potrei essere un po’ teso, ecco” bisbigliò, con le guance arrossate per l’imbarazzo.
E fu allora che Devon ebbe un’idea: se non riusciva ad approfittare della vulnerabilità di Kurt, poteva giocare con le sue paure. “Ho l’impressione che i criminali e i furfanti siano da evitare, giusto?”
“Sarebbe meglio” bofonchiò Kurt, ridacchiando timidamente.
Devon fece un sorriso enorme e prese il ragazzino sottobraccio. “Hai fame? Conosco un posticino niente male!”
 
 
***
 
Kurt era fiducioso riguardo al posto in cui Devon lo stava portando.
Sembrava proprio che il suo compagno di viaggio stesse iniziando a capirlo, a riconoscere le sue paure e a rispettarle, e mentre si avvicinavano alla loro destinazione non poté fare a meno di pensare a quanto fosse stato fortunato a trovare proprio lui.
Gli sarebbe potuto capitare un delinquente, uno di quei mostri che gli descriveva sua madre ogni volta che osava parlare del mondo che c’era fuori da quella torre, e invece aveva trovato Devon, questo ragazzo gentile e affascinante che si intimidiva ogni volta che Kurt gli puntava contro la padella. Insomma, non era niente male uscire da casa per la prima volta in tutta la sua vita ed essere in grado di intimidire qualcuno.
La locanda dove Devon lo stava chiamando si chiamava “Il bell’Anatroccolo” e Kurt ne fu entusiasta, perché lui adorava gli anatroccoli e sarebbe stato veramente carino pranzare in un posto che si chiama così.
“È un posto caratteristico, perfetto per te! Nessuno vuole che ti spaventi e rinunci a fare quello che vuoi” gli disse Devon dolcemente, mentre si avviavano uno affianco all’altro verso la locanda.
Kurt si sentiva lusingato, non aveva mai avuto così tante attenzioni in vita sua e non era per niente abituato, così non disse niente e si limitò a mormorare qualcosa riguardo agli anatroccoli mentre stringeva spasmodicamente a sé la sua padella.
Devon concordò col fatto che gli anatroccoli fossero davvero carini mentre arrivavano alla locanda, poi spalancò la porta e chiese a gran voce al capo di avere il tavolo migliore.
Bastò uno sguardo all’interno di quel posto per far spaventare Kurt a morte, che sussultò e corse di nuovo a nascondersi dietro Devon.
La prima cosa che notò Kurt erano uomini: uomini enormi, alcuni con uncini affilati al posto delle mani, sorrisi perfidi che rivelavano denti storti e ingialliti dal fumo ed elmetti di ferro in testa con corna lunghe e spaventose.
Quando Devon lo trascinò all’interno poté sentire anche l’odore pungente di quegli uomini, e se non fosse stato spaventato a morte avrebbe consigliato loro di farsi una doccia, perché il loro odore mischiato a quello dell’alcol e del fumo era veramente nauseante.
Invece si limitò a tendere il braccio in avanti, la mano che impugnava il manico della padella e lo sguardo che cercava disperatamente di sembrare minaccioso mentre Devon lo spingeva sempre più in avanti, sempre più in mezzo a quella gente.
Quando notò che un uomo alle sue spalle stava toccando la sua treccina, si affrettò a raccoglierla tutta tra le braccia per provare a proteggerla.
Era così ovvio che qualcuno avrebbe provato a tagliare i suoi capelli, e la sua mamma gli aveva sempre detto che erano preziosi e che doveva prendersene cura e lui lo avrebbe fatto.
“Ehi biondino, non hai una bella cera” mormorò Devon fingendosi preoccupato. Kurt sembrava abbastanza spaventato da poter andare via adesso. “Questa è una baracca a cinque stelle, se non riesci a stare qui è meglio che ritorni a casa…”
Questa volta lo trascinò verso la porta spalancata, ma proprio quando erano quasi arrivati una mano la chiuse di scatto, e Devon riconobbe un foglio di carta spiaccicato vicino alla porta.
“Questo sei tu?” grugnì l’uomo, indicandogli la sua foto segnaletica sul manifesto.
Kurt a malapena registrò ciò che accadde dopo: Devon venne sollevato di peso da una decina di uomini che lo volevano tutto per sé, così da poter avere una ricompensa da parte del regno quando lo avrebbero consegnato. Stavano già programmando cosa fare con tutti quei soldi che avrebbero guadagnato e Kurt non aveva la più pallida idea di cosa stava succedendo, ma qualunque cosa fosse non era una gran cosa, così cominciò a prendere a padellate le braccia muscolose di quegli uomini sperando che questo potesse servire a liberare Devon.
“Ehi, lasciatelo andare! Ridatemi la mia guida!” continuava ad urlare, ma presto capì che non sarebbe servito a niente, e quando si accorse che uno degli uomini stava per colpire Devon in pieno viso, si guardò nervosamente intorno cercando un modo per evitare che questo accadesse.
Alla fine trovò un pezzo di legno e arrotolò attorno la sua treccina, in modo che questo cadesse e richiamasse l’attenzione di tutti i presenti. Difatti si zittirono tutti e si voltarono a guardare il ragazzo, che li fissò con aria di rimprovero e la fronte arricciata. “Mettetelo subito giù!”
Gli uomini restarono fermi in quella posizione, indecisi su cosa fare. Perché mai avrebbero dovuto ascoltare quel ragazzino?
“Sentite, io non so dove mi trovo e ho bisogno che lui mi accompagni a vedere le lanterne, perché è il sogno più grande della mia vita! Ritrovate un po’ di umanità! Nessuno di voi ha mai avuto un sogno?”
E fu in questo modo che Kurt si guadagnò l’amicizia di quegli uomini.
Bastò riunirsi tutti insieme e condividere i loro sogni, cantando e ballando come non avevano mai fatto prima: c’era chi voleva diventare un pianista, chi un cantante, chi un imitatore, chi un pasticciere e alla fine c’era Devon che voleva soltanto diventare ricco. Ognuno in quel posto aveva un sogno che si era tenuto dentro per tanto tempo, ed era così bello poterne parlare che tutta la rabbia provata poco prima si perse tra le urla e le risate.
La festicciola fu interrotta dall’arrivo dalle guardie e prima che queste potessero entrare, Devon prese Kurt per mano e lo trascinò sotto al bancone degli alcolici.
“Dov’è Anderson?” domandò una delle guardie quando entrarono nella locanda.
Devon strinse forte la mano di Kurt spaventato dall’idea che qualcuno lì dentro potesse consegnarlo, ma lo stesso uomo che prima gli aveva bloccato l’uscita si avvicinò e abbassò una piccola leva, dove si aprì un piccolo passaggio in discesa.
“Vai, vivi il tuo sogno” disse quasi commosso, mentre passava a Devon una piccola lanterna che sarebbe stata utile una volta arrivati lì sotto.
“Grazie, lo farò” sussurrò Devon in trance.
L’uomo storse il naso. “Il tuo fa schifo, dicevo a lui” aggiunse poi indicando Kurt. Il ragazzo lo ringraziò con un bacio sulla guancia e poi, insieme a Devon, intrapresero il passaggio che portava a chissà dove.
 
Si ritrovarono in una grotta buia, illuminata solo dalla lanterna che Devon stava tenendo tra le dita. Passeggiarono per un po’ in silenzio, poi quest’ultimo capì che parlare sarebbe stato meglio dal momento che quel posto era a dir poco spaventoso. C’erano scheletri ovunque, ma Kurt non sembrava per niente inquietato da questo.
“Be’ devo ammettere che non ti facevo capace di questo. Sono piuttosto colpito-”
“Lo so!” esclamò Kurt così forte che Devon sussultò un po’. “Lo so” aggiunse poi più calmo per sembrare perlomeno modesto. Devon scosse la testa divertito e riprese a camminare.
“Allora Devon” mormorò Kurt schiarendosi la voce. “Da dove vieni?”
“Oh scusa biondino, ma non fornisco retroscena… anche se incomincio ad essere abbastanza interessato al tuo. Dunque, so che è meglio non parlare di treccine”, Kurt scosse la testa. “E di madri” continuò Devon, e Kurt scosse la testa di nuovo. “Francamente ho paura di chiedere della rana…”
“Camaleonte” lo corresse Kurt, pignolo.
“Dettagli” borbottò Devon. “Quindi la mia domanda è questa. Se il tuo desiderio di vedere le lanterne è così forte, perché non ci sei andato prima?”
Kurt fu preso in contropiede a quella domanda e stava giusto cercando le parole adatte per potergli dare una risposta di senso compiuto, quando alcuni sassolini cominciarono a cadere e la terra sotto ai loro piedi prese a tremare.
“D-Devon?” balbettò Kurt spaventato.
La strada che avevano appena percorso cominciò a riempirsi di guardie – tra loro c’era anche Maxiumus, il cavallo bianco – e Devon capì che era arrivato il momento di scappare di nuovo.
Mise una mano sulla spalla di Kurt e ripresero a correre insieme, ma quando lasciarono la grotta si ritrovarono in una diga. Erano bloccati e se solo avessero fatto un altro passo sarebbero precipitati nel vuoto, e farsi arrestare dalle guardie non era un’idea allettante per Devon.
Kurt fece l’unica cosa che poteva fare in una circostanza del genere: passò la sua padella a Devon e poi arrotolò la treccina ad un pezzo di legno per poi potersi lanciare insieme ad essa dall’altra parte della diga, l’unico posto che le guardie non erano riuscite a raggiungere.
Devon si ritrovò da solo con quella padella tra le mani e mentre le guardie cercavano di prenderlo lui provò a difendersi con essa, e contro ogni previsione ci riuscì: le stese tutte a suon di padellate fin quando non restò da solo.
“Oh, mica male! Devo correre a comprare una di queste!” esclamò, rigirandosi tra le mani la padella.
Pensava davvero di essere solo, ma Maximus era lì con una spada incastrata tra i denti pronto a combattere.
Devon era piuttosto sicuro che quella fosse la cosa più strana che avesse mai fatto o che solo avesse immaginato di poter mai fare in vita sua: insomma, chi può dire di aver lottato con un cavallo?
E soprattutto di aver perso, perché Maximus colpì la sua padella con la spada e Devon guardò tristemente la sua arma cadere in acqua. Era finita, non c’era più niente che potesse fare-
Poi una treccina avvolse la sua mano e venne trascinato da Kurt giù nel vuoto, e dopo aver oscillato nel nulla per un po’ finì su un altro lato della diga. Stava quasi per lasciare andare la treccina quando il cavallo bianco fece cadere una piccola trave per far in modo che potesse congiungersi a Kurt, e Devon spalancò gli occhi allarmato.
“Salta, biondino!” esclamò, strattonando la sua treccina.
Kurt capì che se lo avesse fatto l’impatto non sarebbe stato doloroso dato che Devon gli stava tenendo i capelli, così lo fece e arrivò velocemente  sulla terra ferma.
Devon approfittò dell’acqua per scivolare giù e raggiungere Kurt, e avevano giusto incominciato a scappare quando all’improvviso sentirono un forte boato: senza smettere di correre Devon si voltò appena per capire cosa stesse accadendo: la diga stava esplodendo davanti ai suoi occhi, le guardie erano già state sommerse d’acqua e i prossimi sarebbero stati loro se non si fossero dati una mossa.
L’unica via d’uscita che c’era davanti a loro era una minuscola grotta, e proprio quando corsero a rifugiarsi all’interno di essa, un sasso cadde e bloccò l’uscita. Devon fu contento in tutto quel casino di ritrovare la loro padella.
Il sasso bloccava la loro uscita ma l’acqua riusciva comunque a filtrare all’interno, così i due cominciarono a salire sempre più in alto per non morire soffocati.
Era comunque impossibile, non avevano più nessuna via di scampo: sarebbero stati sommersi d’acqua e non c’era niente che potessero fare per evitare che accadesse.
Devon si tuffò in acqua e andò alla ricerca di una via d’uscita finendo per tagliarsi il palmo della mano mentre Kurt invece cominciò a colpire i sassi con il manico della padella sperando che questo servisse a liberarli, ma qualunque cosa facessero era del tutto inutile.
“Non si vede niente lì” mormorò Devon.
Kurt in un impeto di coraggio si tuffò in acqua, ma Devon lo afferrò per le spalle prima che potesse allontanarsi. “Ehi, mi hai sentito? È buio pesto lì sotto, non serve a niente” mormorò, spostandogli una piccola ciocca di capelli dagli occhi.
“È tutta colpa mia” bisbigliò Kurt. “Aveva ragione lei, non avrei dovuto farlo. Ti prego, scusami.”
Devon sentì qualcosa a livello del petto contorcersi quando vide Kurt scoppiare in lacrime e cavolo- faceva male, sembrava quasi che una bomba gli fosse esplosa all’interno del corpo. Era più o meno questo l’effetto che faceva vedere Kurt piangere, e faceva male più di quanto gli facessero male i piedi quando scappava dal regno, più di una padellata in testa, più di qualsiasi altra cosa avesse mai provato.
Era un dolore pulsante che lo faceva sentire vulnerabile e nudo, ma non era terrorizzato da questo perché era con Kurt, e con Kurt poteva permettersi di sentire ogni cosa, poteva perfino permettersi di essere chiunque lui volesse.
Perfino se stesso.
“B-Blaine” sussurrò Devon ad un tratto, avvolgendosi il corpo con le braccia.
Kurt si asciugò gli occhi. “C-che cosa?”
“Il mio vero nome è Blaine Anderson. S-sai, almeno un altro deve saperlo.”
Kurt sbuffò un sorriso e capì che adesso era il suo turno di rivelare un segreto. “Io ho una treccina magica che risplende mentre canto.”
I due sorrisero divertiti, poi il significato delle parole di Kurt colpì entrambi all’improvviso e si guardarono consapevoli. “K-Kurt, che cosa fa la tua treccina?”
“Risplende… quando canto…” sussurrò Kurt, un sorriso che cresceva pian piano sulle labbra rosee.
E così cominciò ad intonare la canzone del fiore. Cantò anche quando l’acqua li sommerse, e Devon si portò una mano alla bocca incredulo quando vide i capelli di Kurt illuminarsi nell’oscurità.
Ma non aveva il tempo per quello, prima dovevano trovare una via d’uscita al più presto perché non potevano restare vivi per così tanto tempo in apnea.
Per fortuna intravidero un piccolo varco tra alcuni sassi, e così nuotarono velocemente verso di essi.
Dopo averne spostati alcuni, tutti i sassi finirono per cadere e Kurt e Devon - o meglio, Blaine – finirono nel lago. Nuotarono fino al tramonto per poter lasciare quel posto e si fermarono solo quando arrivarono in una parte del bosco.
Kurt tossì e sputacchiò un po’ dell’acqua che aveva bevuto. “Ce l’abbiamo fatta.”
“La tua treccina risplende” ribatté Blaine, scioccato, senza neanche guardare Kurt che saltava fuori dal lago e cominciava a saltellare allegro sull’erba verde del prato.
“Siamo vivi. Io sono vivo!”
“Non me lo aspettavo” bofonchiò l’altro, poi fissò il piccolo camaleonte che sembrava più umano del suo padrone in quel momento. “La sua treccina risplende.”
“Blaine?” lo chiamò Kurt.
“Risplende per davvero!” sottolineò ancora Blaine.
“Blaine!”
“Che c’è?” sbottò, mentre si passava le dita tra i ricci bagnati.
Kurt raccolse la sua treccina dal lago e fece un sorriso enigmatico. “Non risplende soltanto.”
Blaine guardò il ragazzo, poi scelse di fissare di nuovo il camaleonte in cerca di un po’ di conforto. “Perché diamine mi fissa in quel modo?”
 
***
 
Ormai il sole era tramontato da un po', alcune strisce arancioni scuro e rosso sporcavano leggermente il cielo a ovest, quando Kurt e Blaine si diressero in una piccola radura che c'era vicino al fiume. Blaine – wow, era ancora straordinariamente strano chiamarlo così – preparò un fuoco e ci si sedettero attorno, e Kurt a quel punto raccolse con abilità la sua lunga treccina e cominciò ad attorcigliarla attorno al palmo della mano di Blaine che si era ferito durante quell'infernale pomeriggio.
“Hai un'aria stranamente enigmatica mentre mi fasci la mano.”, sussurrò Blaine guardandolo con un certo interesse. Kurt sorrise appena, senza rendersi conto di aver stretto i capelli forse un po' troppo, provocando a Blaine una piccola smorfia.
“Scusa.”, soffiò. “Uhm, ora...promettimi di non dare in escandescenze, okay?”
Blaine alzò un sopracciglio triangolare verso di lui, e Kurt si impuntò. “Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”, fu costretto a borbottare Blaine. A quel punto, prendendo un bel respiro, Kurt iniziò a intonare la canzone del fiore, e nel giro di qualche istante la sua treccina si dipinse di un oro acceso, illuminandosi. Blaine spalancò gli occhi di fronte a quella magia, seguendo la luce fino a puntare gli occhi nel palmo della sua mano. Quando Kurt ebbe finito di cantare lasciò che la treccina scivolasse di lato, il palmo della sua mano che ora si era fatto completamente liscio, senza più alcun tipo di ferita.
Blaine era consapevole di aver fatto una promessa, ma – insomma, i capelli di quel ragazzo brillavano ed erano – magici, e come faceva una persona a rimanere impassibile di fronte a tutto quello? Fece per aprire la bocca, un piccolo rantolo che stava per uscire, quando Kurt allungò le mani verso di lui.
“Niente escandescenze.”, disse. “Me lo avevi promesso.”
Il gridolino di Blaine andò scemando. “Uhm, oh...sì, voglio dire- i tuoi capelli sono magici.”, borbottò, per poi ridacchiare. “Sono solo- uhm- un po' sorpreso, t-tutto qui. Insomma, da quanto la cosa va così?”
“Da sempre, credo. Ci sono nato con questi capelli.”, spiegò pazientemente Kurt, prendendo la sua treccina tra le dita. “Cerco di proteggerli con tutte le mie forze, perché se qualcuno dovesse tagliarli diventerebbero scuri e perderebbero tutto il loro potere.”, sussurrò, e nel farlo mostrò a Blaine una ciocca di capelli che era rimasta corta sulla sua nuca, diventata scura. Kurt si fece appena più triste. “Un dono come questo deve essere sempre protetto. Ecco perché mia madre non mi ha mai- ecco perché non sono mai- mai uscito da...”
“Non sei mai uscito da quella torre?”, completò per lui Blaine, spalancando gli occhi. Kurt si ritrovò ad annuire impercettibilmente.
“E davvero intendi ritornarci?”, gli chiese a quel punto il ricciolo. Kurt si morse leggermente il labbro inferiore, rendendosi conto forse per la prima volta quanto esattamente fosse combattuto.
“Io- no, credo di no. O forse sì, uhm-”, sussurrò. “E' complicato.”, disse infine, affondando il volto tra le mani, rannicchiandosi sempre più vicino al tronco d'albero dietro di lui. Sentì Blaine farsi più vicino, e percepì le sue dita sfiorargli una spalla. Forse fu per quel piccolo gesto che Kurt trovò il coraggio di non piangere, così rialzò il volto nuovamente e puntò i propri occhi in quelli di Blaine, sorridendo appena.
“Allora, Blaine Anderson, eh?”, chiese con un piccolo ghigno. Blaine alzò gli occhi al cielo per divertimento.
“Sì, oh- ti risparmio la lacrimevole storia di Blaine, un giovane orfano costretto a crescere con le proprie forze.”, disse tutto d'un fiato. Kurt sbattè le palpebre un paio di volte, avvicinandosi a Blaine per dimostrargli che invece era davvero interessato alla storia, e Blaine nell'accorgersene ridacchiò.
“C'era un libro, uhm- che leggevo sempre ai bambini più piccoli di me. Il suo protagonista si chiamava Devon, era una audace briccone, un avventuriero, sai- e riusciva a far innamorare tutti di lui con il suo grande fascino.”
Kurt rise appena. “Anche lui era un ladro?”
Blaine si bloccò a quella domanda. “Uhm- in realtà no. Lui, beh- aveva abbastanza soldi da permettersi qualsiasi cosa volesse in realtà. E agli occhi di un ragazzo che non aveva niente, ecco, significava molto. Era tutto ciò a cui potessi aggrapparmi.”
Gli angoli della bocca di Kurt erano perennemente rivolti verso l'alto.
“Non devi raccontarla a nessuno questa storia però, devi promettermelo.”, borbottò Blaine. “Insomma, rovinerebbe la mia reputazione.”
“Oh, non sia mai.”, lo prese in giro Kurt.
“Ehy, la reputazione è tutto ciò che un uomo ha!”, insistè Blaine, e a quel punto scoppiarono a ridere insieme, guardandosi negli occhi. Blaine non seppe capire se fosse per via del fuoco che gettava una luce leggera sul volto di Kurt quella sera, o perché dopo tutto quello che avevano passato quel pomeriggio effettivamente ogni cosa sembrava più preziosa, ma Kurt era bello, davvero bello sotto la luce delle stelle, e i suoi occhi erano macchiati di mille colori, e c'erano quelle piccole, quasi invisibili lentiggini sul naso-
Blaine si scostò sbattendo le palpebre, come se si fosse svegliato da un sogno. Dio, che stava combinando? “Uhm, vado a prendere altra legna.”, borbottò, alzandosi in piedi. Kurt annuì, facendosi piccolo piccolo contro il tronco.
Blaine non aveva percorso che qualche passo, quando si sentì chiamare.
“Blaine?”, pigolò Kurt, a qualche metro da lui. Blaine si voltò con un leggero sorriso sul volto. “Per la cronaca, Blaine Anderson mi piace molto più di Devon.”
Il sorriso del ricciolo si allargò. “Beh, saresti il primo a pensarla così. Grazie.”, soffiò semplicemente, prima di addentrarsi nel bosco.
Kurt rimase a fissare il punto in cui era sparito per diverso tempo, prima che dietro di lui sentisse un ramo spezzarsi e una voce familiare.
“Finalmente se n'è andato.”, trillò la voce di sua madre. Kurt si voltò all'istante, il cuore che gli si gelava nel petto. Pavarotti, che era stato accanto a lui per tutto quel tempo, si fece piccolo piccolo nascondendosi dietro il tronco d'albero.
“Madre?”, soffiò Kurt. “Pensavo- come hai fatto a-”
“A trovarti?”, borbottò sua madre, venendo ad abbracciarlo. “Che sciocco caro, pensavi davvero che non ci sarei riuscita? Sono molto, molto più intelligente di te e di quel piccolo ladruncolo. Forza ora, torniamo a casa-”
“Madre, no.”, la fermò Kurt, separandosi da lei. “I-io non tornerò a casa. Blaine- lui mi sta accompagnando a vedere le lanterne.”, spiegò con dolcezza, il cuore che perdeva un battito. “Credo di piacergli.”
“Piacergli?”, sputò Sue. “Oh, per carità caro. Ma ti sei visto? Probabilmente sta solo sfruttando la tua ingenuità. Alla prima occasione ti volterà le spalle.”
Kurt sentì il proprio cuore precipitare. “T-ti sbagli. Lui non è così. Non mi farebbe del male.”
“Ma certo, tu non sbagli mai. Ma certo.”, lo punzecchiò sua madre, avvicinandosi a lui con un ghigno spaventoso sul volto. I suoi occhi erano quasi neri nella notte. “So che sai che vuole solo una cosa da te.”, borbottò, estraendo dal mantello la borsa che Kurt aveva nascosto. “Non appena la riavrà ti lascerà andare.”
Kurt strinse le braccia attorno al proprio petto. “N-non è vero. Tu menti- non tornerò a casa con te-”
“Va bene, va bene.”, ringhiò Sue, allargando gli occhi impercettibilmente. “Segui pure quel ladro, fatti spezzare il cuore. Tanto sappiamo entrambi chi dovrà ricattare i cocci. Perdi, Kurt.”, sussurrò, prima di sparire di nuovo nella foresta, lasciando cadere davanti a sé la preziosa borsa di Blaine. Kurt la raccolse e e si affrettò a nasconderla come poteva sotto i suoi indumenti, e proprio quando si stava sistemando la maglietta Blaine tornò con la legna dietro di sé.
“Va tutto bene, Kurt?”, chiese con una vena di preoccupazione. Kurt si voltò quasi immediatamente, regalandogli il sorriso migliore che riusciva a creare.
“S-sì.”, mentì, sperando che Blaine non potesse vedere oltre quel sorriso. “Sì.”
 
Il mattino dopo, Kurt fu svegliato da delle urla.
Precisamente, urla che provenivano da Blaine.
Fece appena in tempo a mettersi a sedere che vide – un cavallo, sì, proprio un cavallo, trascinare Blaine lontano, mentre guidava con tutta la forza che aveva. Kurt si precipitò verso di loro e afferrò le braccia di Blaine, impedendo al cavallo di portarlo via con sé.
Si mise di fronte a quell'animale e cominciò a fargli qualche carezza, scoprendo che si chiamava Maximus. Tutto sommato non era cattivo come cavallo, ma era stato addestrato per fare del male ai delinquenti, per cui era logico che volesse fare del male a Blaine.
“Sei stanco perché hai dovuto seguire questo cattivone per tutto il regno?”, chiese a Maximus, che gli rispose imbronciandosi. Però, era anche intelligente. Affondò le dita nella sua criniera perfettamente curata, poi sorrise appena.
“Ascolta, so che dev'essere dura per te. Ma oggi è un giorno speciale, sai? È il mio compleanno! Quindi ti sarei davvero grato se solo per oggi non dessi la caccia a Blaine. Da domani potete ricominciare.”
Maximus e Blaine si guardarono per un tempo che parve infinito, e dopo uno sbuffo finirono per scrollare le spalle e accettarsi a vicenda. Kurt esultò di gioia, lanciando un'occhiata di pura gratitudine a Blaine.
“Lo faccio solo perché è il tuo compleanno.”, borbottò lui, precedendolo nella camminata che avrebbe portato loro verso il regno. Kurt lo rincorse, regalandogli un dolce sorriso.
“Beh, conta molto per me. Grazie.”, soffiò appena, sfiorandogli un polso con le dita. Il respiro di Blaine gli si bloccò nella gola, e furono costretti a interrompere la camminata per un attimo.
“Comunque- beh- hai ragione, è un giorno speciale oggi. Ti giuro che cercherò di fare del mio meglio per non rovinare niente.”, borbottò Blaine piuttosto impacciato. “Tanti auguri, Kurt.”
E a quel punto il cuore di Kurt cominciò a battere in un modo che non aveva mai, davvero mai sperimentato prima.
 
***
 
La mattina del compleanno di Kurt fu la più incredibile, magica, strana ed esilarante di tutte quelle che Kurt aveva avuto in una vita. Lui e Blaine riuscirono finalmente a raggiungere il regno, entrando quasi indisturbati grazie alla presenza di Maximus. Per Kurt ogni cosa era come un piccolo miracolo: essere lì a contatto con la gente, i piccoli sorrisi che le persone gli offrivano, tutta quella vita e vita e vita che esplodeva da ogni gesto. Gli sembrava se di essere in trepidante attesa, e di tanto in tanto cercava gli occhi di Blaine, che lo stava guardando con un stupore meravigliato. L'unico grande problema si dimostrava essere proprio la treccina di Kurt: dovunque andasse la gente per sbaglio la pestava non rendendosi conto che fossero capelli, così a un certo punto, stanchi di tutto quello, Kurt e Blaine raccolsero la treccina e la tennero tra le braccia, indecisi sul da farsi. Fu un caso fortuito il fatto che a pochi metri da loro alcune bambine si stessero acconciando i capelli a vicenda. Rimasero semplicemente scioccate quando videro la quantità dei capelli di Kurt, e si precipitarono da lui, chiedendogli di poterlo sistemare. Alla fine, le bimbe acconciarono la treccina sulla testa di Kurt con alcuni fiori, in modo che formasse un intreccio regolare. Quando Kurt cercò gli occhi di Blaine per chiedergli come stesse, Blaine non parlò: il fiato aveva abbandonato il suo petto. Perché Kurt era davvero tanto, troppo forse per quel mondo. Troppo generoso, troppo buono, troppo luce ed emozioni, e non meritava le ferite. E Blaine - lui voleva fare di tutto per non procurargliele.
 
Blaine così lo portò in giro per il regno tra corse perdifiato e sbuffi di risata, perché di tanto in tanto dal nulla spuntavano fuori guardie e lui doveva fare tutto il possibile per non farsi riconoscere. Le loro mani erano costantemente intrecciate e i loro corpi vicini, e quella della vicinanza era una cosa alla quale entrambi stavano iniziando ad abituarsi, come qualcosa di reale. Blaine cercava la mano di Kurt con la stessa naturalezza con cui succedeva il contrario, e spesso le loro guance si tingevano di rosso. Blaine lo portò in biblioteca, dove lessero molti libri insieme e dove Kurt dipinse con fatica una parete con l'immagine di un sole. E poi lo fecero anche nella piazza principale, e in altri luoghi ancora, perché il sole a quanto pare era il simbolo del principe andato perduto. Alla fine, Kurt aveva il viso e le braccia tutte sporche e rise fino alle lacrime, ma poi Blaine lo aveva aiutato a ripulirsi, e ogni cosa si era sistemata.
Verso tardo pomeriggio in piazza cominciarono i festeggiamenti, e molta gente scendeva dalle proprie case per ballare e suonare. A un certo punto anche Kurt venne trascinato in pista e fu costretto a ballare con un sacco di signore, ma si divertì da morire, soprattutto perché continuava a cercare Blaine per sorridergli. E a un certo punto finirono anche in coppia insieme. Fu inaspettato; si ritrovarono l'uno tra le braccia dell'altro così, e non riuscirono più a staccarsi, almeno finchè una voce squillante non gridò che era tempo di ritirarsi per preparare le lanterne e così con riluttanza Kurt e Blaine lo fecero, il cuore che batteva come mille cuori.
 
***
 
Kurt fu piuttosto stupito di scoprire che per l'occasione, Blaine aveva deciso di prendere in prestito una piccola barca. Si sedettero sopra e Blaine cominciò a remare verso il contro del lago che circondava il regno, Pavarotti che di tanto in tanto saliva sulle spalle di Kurt e del suo nuovo bizzarro padroncino, che finalmente aveva imparato a non scacciarlo malamente.
“Blaine, dove stiamo andando?”, chiese Kurt con curiosità, guardandosi intorno e non vedendo altro che chilometri e chilometri di distese di acqua. Blaine gli regalò un sorriso piccolo, tutto enigmi e Presto ogni cosa avrà senso.
“Per il tuo giorno più importante avevamo bisogno di un posto che fosse all'altezza.”, mormorò a quel punto. Continuò a remare con calma e senza sosta fino a raggiungere un punto del lago dal quale il castello era ben visibile in tutta la sua maestosità: erano circondati da barche destinate a commerci che probabilmente erano vuote, e c'era un pacifico silenzio attorno a loro, quasi piacevole. Il sole ormai era completamente tramontato e il cielo si era tinto di nero, con qualche piccola stella che brillava in punti ben stanziati tra di loro.
Kurt e Blaine rimasero senza dire nulla per molto tempo. Rimanevano semplicemente fermi ad osservare la superficie piatta del lago con il Regno di fronte a loro, le dita di Kurt che si infrangevano distrattamente contro il lago sotto di sé.
La verità era che sentiva un nodo amaro al livello della gola e non sapeva come disfarsene. Non sapeva nemmeno come chiamarlo: se paura, ansia, eccitazione, emozione tutti insieme, troppo forti e reali da provare per una sola persona. Dal canto suo, Blaine sembrava sereno come sempre, ed era così bello sotto le luci appena accennate dei fari delle strade del villaggio.
Kurt a un certo punto chiuse gli occhi, e fu allora che Blaine parlò.
“Ehy.”, mormorò appena. “Stai bene?”
“Sì, credo di sì.”, si difese Kurt, stringendosi nelle spalle. “Sono solo...terrorizzato.
“E perché mai?”, chiese Blaine, facendoglisi più vicino.
“Sono rimasto per diciotto anni ad osservare da una finestra di una torre quelle luci, e l'unico desiderio che ho avuto in tutto questo tempo era di poter essere libero. E di poterle vedere. E adesso- adesso sono qui, e sono terrorizzato, perché tutto quello che ho sempre sognato potrebbe non avverarsi, e-”
“Kurt.”, soffiò Blaine, sfiorandogli le dita con le proprie. “Si avvererà.”
Kurt tirò su con il naso, cercando gli occhi di Blaine. “E se anche fosse? Cosa- cosa dovrei fare, dopo?”
Blaine non esitò nel rispondere. “Beh, è la parte più bella direi.”, sussurrò con decisione. “Ti cercherai un nuovo sogno.”
Poi accadde tutto molto lentamente. Blaine allungò una mano per sistemare un fiore che stava per cadere dalla particolare acconciatura di Kurt e lo mise sul palmo della propria mano per porgerglielo. Lui lo raccolse con cautela e lo adagiò sulla superficie del lago, increspandola, e si rese conto solo un momento più tardi che lì, proprio lì dove c'era il fiore, brillava una piccola luce.
Era minuscola, un bozzolo, eppure al contempo era tutto, e Kurt alzò lo sguardo per vederla: era una lanterna. A pochi metri dalla parte laterale del castello, una lanterna stava fluttuando nel cielo avvicinandosi sempre di più alle zone più alte del regno, e poi su, sempre più su, fino a confondersi con le stelle.
Kurt perse quasi l'equilibrio nel mettersi in piedi per poterla guardare meglio. Sentiva gli occhi pizzicare, le ginocchia molli perché tutto quello era ciò che aveva sognato fin da piccolo, ed era lì, tutto concentrato in quel momento, in quelle luci che abbandonavano la terra e si alzavano verso il cielo. Tutte le paure che aveva provato fino a quel momento – aver deluso sua madre, averla in qualche modo tradita, star sbagliando nel fidarsi di Blaine – svanirono in un battito di ciglia, perché adesso Kurt era lì a vedere le lanterne proprio come Blaine gli aveva promesso, e quello significava che la vita non era così orribile come sua madre gli aveva sempre raccontato.
Presto anche moltissime altre lanterne si unirono alla prima, creando una vera e propria distesa di puntini luminosi che rendeva il cielo un esplosione di stelle – e Kurt non sapeva cosa dire, cosa fare, come comportarsi, perché non aveva mai creduto che tutto quello potesse diventare reale. E invece ora era lì – ed era grazie a Blaine.
Non sussultò nemmeno quando si voltò e trovò Blaine a poca distanza dal suo corpo. Gli sorrise, grato, e Blaine lo fece di rimando, raccogliendogli le mani e portandolo al loro posto di origine, al centro della barca.
E nel frenetico cercare delle parole che potessero essere abbastanza, Kurt alla fine ispirò e pensò che ancora una volta dovesse lasciare parlare il cuore.
 
All those days watching from the windows 
All those years outside looking in 
All that time never even knowing 
Just how blind I've been 
Now I'm here, blinking in the starlight 
Now I'm here, suddenly I see 
Standing here, it's all so clear 
I'm where I'm meant to be 


And at last I see the light 
And it's like the fog has lifted 
And at last I see the light 
And it's like the sky is new 
And it's warm and real and bright 
And the world has somehow shifted 
All at once everything looks different 
Now that I see you 



Kurt era quasi senza fiato quando terminò di cantare, i suoi occhi erano completamente persi in quelli di Blaine e Blaine lo guardava come se fosse un tesoro, qualcosa di prezioso che andava protetto, e senza pensarci Kurt a quel punto ridacchiò e tirò fuori dagli strati di vestiti la famigerata borsa di Blaine e gliela porse.
“I-io-”, mormorò, deglutendo appena. “Avevo paura di dartela, in realtà. Non lo so il perché, ma adesso non ho più paura, e forse non ti sembra chiaro, non so spiegarlo nemmeno io-”
Blaine alzò un braccio e posò dolcemente due dita sulle labbra di Kurt, per poi accarezzargli appena la guancia, un tocco sfiorato, come se volesse imparare a memoria la consistenza della pelle di Kurt, i dettagli, e andare oltre. Gli sorrise.
“Sto cominciando a capirlo.”, disse semplicemente, abbassando la borsa per farla scivolare di lato, in netta dimostrazione che ora poco gli importava di quell'oggetto. Kurt sentì il cuore nella gola, perché per qualche strano motivo accanto il sogno della sua vita si stava realizzando, ma lui aveva occhi solo per Blaine – solo per Blaine - e non riusciva nemmeno a pentirsene.
“Uhm, anch'io ho qualcosa per te.”, sussurrò poco dopo Blaine, porgendogli una lanterna e tenendone una per sé. “Doveva- volevo che fosse tutto perfetto.”
Kurt percepì l'emozione pura nella voce di Blaine e si trovò a raccogliere la lanterna dalle sue mani per poterla spingere verso il cielo, dove cominciò a scontrarsi dolcemente contro quella di Blaine, quasi come non fosse in grado di allontanarsi.
 
All those days chasing down a daydream 
All those years living in a blur 
All that time never truly seeing 
Things, the way they were 
Now she's here shining in the starlight 
Now she's here, suddenly I know 
If he's here it's crystal clear 
I'm where I'm meant to go 



E a quel punto entrambi si avvicinarono intrecciando le loro dita e guardandosi negli occhi, mille luci attorno a loro che illuminavano appena i loro visi emozionati e i loro occhi lucidi. Blaine si diede dello stupido almeno un milione di volte per non essere riuscito a capire prima quanto esattamente Kurt fosse importante per lui, quanto gli si fosse conficcato nella carne impedendogli di diventare una persona peggiore; Kurt era la sua luce, quella luce che finalmente riusciva a vedere, ed era così dolce, e luminoso, brillava come un sole e forse di più, e non aveva più alcun dubbio: Kurt era la sua destinazione, il posto che stava cercando da una vita, quello in cui voleva stare.
 
And at last I see the light 
And it's like the fog is lifted 
And at last I see the light 
And it's like the sky is new 
And it's warm and real and bright 
And the world has somehow shifted 
All at once, everything is different 
Now that I see you, now that I see you



L'ultima parola della canzone era uscita appena mormorata da entrambi, e proprio come se Blaine non riuscisse più a trattenersi avvolse con un tocco leggero la guancia di Kurt, spostando con un movimento lento una ciocca di capelli ribelle dietro il suo orecchio. E poi si avvicinò altrettanto lentamente, senza mai smettere di guardarlo, e il cuore di Kurt stava battendo forte, talmente forte nella sua gabbia toracica e si ritrovò a chiudere gli occhi aspettando il tocco delle labbra di Blaine-
Ma il bacio non arrivò.
Kurt si ritrovò a sbattere le palpebre, leggermente confuso e forse un pochino deluso. Vide che Blaine stava fissando un punto oltre lui, probabilmente sulla spiaggia, con un'apprensione che non gli aveva mai visto sul volto. Sembrava quasi – arrabbiato, e forse stanco e leggermente preoccupato, così Kurt provò a voltarsi per capire cosa stesse guardando.
“Va...va tutto bene, Blaine?”, chiese in un sussurro, stringendo le sue dita un po' più forte. Blaine sembrò riscattarsi  e cercò i suoi occhi, tornando ad assumere un'espressione dolce e rassicurante.
“Certo.”, soffiò appena, accentuando la carezza sulla sua guancia ma staccandosi. “Solo- credo che ci sia una cosa di cui mi devo occupare.”, borbottò, prima di cominciare a remare per permettere alla barca di tornare verso la riva. Arrivarono in pochi minuti: Blaine aiutò Kurt a scendere e gli accarezzò le braccia con dolcezza, recuperò la borsa dalla barca e poi, alzandosi sulle punte lasciò un piccolo, innocente bacio sulla fronte di Kurt.
“Torno subito, va bene?”, gli disse con dolcezza, prima di voltarsi per cominciare a camminare lungo la riva. Pavarotti risalì il suo braccio e si rannicchiò sulla spalla di Kurt, guardandolo con occhi tristi.
“E' tutto a posto, Pavarotti.”, soffiò Kurt. “Tornerà presto, me lo ha promesso.”
 
***
 
Blaine non era per niente stupito di vedere Sam e Puck lì, pronti ad aspettarlo. Si limitò ad alzare gli occhi al cielo e gettare la borsa verso di loro.
“Sempre in forma vedo.”, borbottò, sorridendo a entrambi. Nessuno dei due sembrava felice di vederlo. Voleva dire loro che adesso della borsa gli fregava ben poco, che aveva trovato un bene molto più prezioso che voleva proteggere e che l'avrebbe arricchito, ma improvvisamente Sam gli si avvicinò e senza dire niente gli mise un sacco attorno alla testa.
“Non ci accontentiamo più della corona.”, disse. “Vogliamo qualcosa di molto più prezioso.”
E prima che Blaine potesse anche solo pensare di protestare, il suo mondo diventò buio.
 
***
 
Kurt stava accarezzando la testolina di Pavarotti, quando finalmente da lontano riuscì a scorgere una figura nel buio.
“Finalmente.”, sussurrò, alzandosi in piedi. “Stavo cominciando a pensare che mi avessi lasciato qui e fossi scappato con la corona, ma è assurdo, ver-”, la voce di Kurt andò scemando, quando invece di Blaine davanti a lui si presentarono due ragazzi. Sembravano rozzi e per niente buoni.
“E' esattamente quello che ha fatto.”, borbottò uno dei due, quello coi capelli più scuri. Indicò con un braccio un punto lontano del lago, e quando Kurt provò a guardare, vide che in lontananza una piccola barca si stava allontanando dalla sponda, e che alla guida c'era una persona che assomigliava tremendamente a Blaine.
“Ma-”, soffiò, iniziando a indietreggiare. “Non può essere, lui- lui me lo aveva promesso-”
“Beh, immagino che ti abbia preso in giro, biscottino.”, ghignò Sam, avvicinandosi a lui pericolosamente. “Ti ha venduto in cambio della corona.”
“No.”, disse immediatamente Kurt, scrollando la testa. “No no no no- non ci credo, lui non è così-”
“Facciamola finita.”, ringhiò il ragazzo moro, avventandosi su di lui. Kurt lo schivò per miracolo e cominciò a correre nella direzione opposta sperando di riuscire a seminarli, ma quei ragazzi erano troppo veloci per lui. Per miracolo Kurt avvistò un varco nella foresta dalla quale erano arrivati e fece per addentrarsi in essa, ma un ramo per terra gli fece perdere l'equilibrio. Aspettò con terrore le braccia che sarebbero arrivate a sollevarlo, coltelli che probabilmente gli avrebbero tagliato i capelli e poi la gola-
Ma improvvisamente un suono metallico squarciò l'aria, e presto Kurt alzò lo sguardo per rendersi conto che sua madre aveva colpito i due delinquenti.
“M-mamma.”, mormorò, alzandosi in piedi. Non ci pensò due volte: si precipitò da lei, praticamente scomparendo tra le sue braccia, e sue madre lo tenne fermo lì, accarezzandogli lievemente la schiena.
“E' tutto finito adesso, sei al sicuro con la tua mamma.”, disse Sue con decisione. Si separò da lui cercando i suoi occhi. “Forza adesso, andiamocene a casa.”
 
***
 
“Kurt…”
Mancavano oramai poche ore all’alba quando Blaine si svegliò alla guida di una barca, con delle corde avvolte attorno al corpo che lo tenevano fermo, la corona tra le dita e il nome di Kurt impresso sulla bocca.
Appena aprì gli occhi, e anche dopo quando realizzò di essere legato, il suo primo pensiero fu solo Kurt.
Per tutta la vita non era stato una brava persona, aveva sempre calpestato gli altri senza pensarci due volte se questo serviva ad ottenere ciò che voleva o a toglierlo dai guai, ma per la prima volta, Blaine mise al primo posto una persona che non era lui.
“…Oh Dio, Kurt!” esclamò con più enfasi, mentre una serie di guardie entravano nel porto e correvano verso di lui, con gli occhi fissi sulla corona che teneva stretta tra le dita.
“N-no, no ragazzi, parliamone prima, okay?” chiese Blaine cercando di mantenere la calma, anche se era difficile adesso che delle guardie lo avevano circondato e tirato di peso dalla barca. “Kurt. Dov’è Kurt?” urlò, e l’eco della sua voce si disperse nel regno.
Venne chiuso in una cella dove trascorse le ore restanti della notte sveglio a pensare, poi la mattina le guardie tornarono a prenderlo.
“Chiudiamo questa faccenda una volta e per tutte, Anderson” disse con voce rauca uno di loro.
Blaine sbatté le palpebre confuso. “D-dove mi portate?”
Il silenzio delle guardie parlava chiaro, e l’unica cosa che riuscì a pensare Blaine in quel momento, è che sarebbe morto senza vedere Kurt nemmeno per un’ultima volta.
 
 
***
 
Sue lasciò scivolare nel cestino accanto al letto l’ultimo petalo che Kurt aveva incastrato tra i capelli, poi sospirò contenta. “Ecco qui. Come se non fosse mai accaduto.”
Lanciò un’occhiata a Kurt, che era seduto sul bordo del suo letto con lo sguardo basso per nascondere i suoi grandi occhioni azzurri velati dalle lacrime, e si alzò con un altro sospiro.
“Io ti avevo avvisato, tesoro” mormorò Sue, quasi dispiaciuta. “Il mondo fuori è crudele ed egoista. Anche se vede un piccolo raggio di sole, lui lo distrugge.”
Kurt non disse niente, impaziente di vederla andare via: voleva stare solo, voleva piangere tutte le lacrime che stava trattenendo per orgoglio, e farlo davanti a sua madre significava darle ragione, confermare le sue idee assurde sul mondo fuori che sembrava così sbagliato: stava soffrendo, ma ne era valsa la pena.
Era uscito dalla torre, aveva convinto una massa di uomini burberi ad inseguire i loro sogni, era scappato dalle guardie, era quasi morto in una diga, aveva dormito all’aperto accanto al fuoco, aveva visitato il paese e realizzato il suo sogno di vedere le lanterne, ma la parte più bella del suo viaggio è che lo aveva vissuto con Blaine accanto. Blaine che non vedeva da sole poche ore e che già gli mancava da morire.
Quando sentì la porta della sua camera chiudersi, si gettò di schiena sul letto con un sospiro.
Tra le mani aveva ancora il fazzoletto viola che gli aveva regalato Blaine mentre erano in paese – sopra c’era raffigurato il sole, il simbolo del principe perduto.
Era solo uno stupido fazzoletto ma era tutto ciò che gli era rimasto di Blaine, così se lo portò al petto e lo strinse forte, come se da questo dipendesse tutta la sua vita.
Poi accadde tutto all’improvviso: stava fissando il soffitto quando cominciò a notare, tra tutti i dipinti che ci aveva fatto, tanti piccoli soli. Improvvisamente questi si colorarono come se fossero veri, ma soprattutto erano identici a quelli che aveva visto ovunque in paese il giorno prima.
Oltre ai simboli per il principe perduto, Kurt nella piazza aveva notato un’altra cosa: su un muro c’erano raffigurati il re e la regina con in braccio un bambino con i capelli biondi e gli occhi blu, con i suoi stessi spruzzi verdi paglia e giallo sole.
Si rivide nei stessi occhi di quel bambino, solo nei suoi occhi, poi il bambino si trasformò in quello che era lui adesso, nella sua camera, davanti allo specchio e una corona tra i capelli.
Ad un tratto la visione finì e si ritrovò in piedi nella sua stanza, gli occhi spalancati e spaventati e le gambe gli cedettero per lo shock: cosa significava tutto questo?
 
***
 
Blaine stava camminando tristemente tra le celle della torre, i polsi ammanettati dietro la schiena e due guardie al suo fianco che lo accompagnavano verso l’uscita.
Era la fine: stava per morire e non poteva fare niente per impedirlo. Non aveva più nemmeno le forze di ribellarsi, tutte quelle che gli erano rimaste erano concentrate su un paio di occhi blu, verdi e gialli ed era tutto ciò che riusciva a pensare. Ti prego fa’ che Kurt stia bene, fa’ che Kurt stia bene-
Alzando un attimo lo sguardo vide che in una delle celle erano rinchiusi anche Sam e Puck. Tutta la rabbia che provava nei loro confronti tornò in superficie e spintonò forte le guardie per liberarsi, poi raggiunse le sbarre e afferrò Sam per il colletto della maglia.
“Come diamine avete saputo di lui?” sbraitò. “Avanti, dimmelo!”
“È- è stata quella signora” piagnucolò Sam, gli occhi ridotti a due fessure per la paura che Blaine riuscisse a fargli male, malgrado ci fossero le sbarre a dividerli.
“Quella signora?” domandò Blaine, e quando realizzò di chi si trattasse le guardie tornarono a prenderlo e lo trascinarono con forza.
“No, no!”  continuò a dimenarsi Blaine. “Io devo andare, voi non capite! Lui è in pericolo-”
Ma le guardie non volevano saperne niente: continuarono a camminare tirandosi lui dietro, fino a quando non arrivarono al piccolo atrio che precedeva l’uscita, dove era stato preparato il patibolo.
Proprio in quel momento tutte le porte si chiusero e le tre guardie si insospettirono: una di loro si fece avanti per capire cosa stesse succedendo, e mentre questo era distratto, le altre due vennero tirare sopra per i vestiti da un uncino.
Quando l’unica guardia rimasta si voltò e trovò Blaine da solo, la porta alle sua spalle si aprì e un uomo lo colpì con una padella. Blaine sorrise, riconoscendolo: erano uno di quelli che aveva conosciuto alla locanda con Kurt.
“Una padella, eh?” rise allegramente Blaine, e i suoi pensieri tornarono di nuovo a Kurt e al loro primo incontro. “Chi lo avrebbe mai detto?”
Poi la porta alle loro spalle venne messa giù da un’altra serie di guardie, così i due furono costretti a correre mentre venivano inseguiti. La corsa per fortuna non durò troppo tempo: altri due uomini che arrivavano sempre dal Bell'Anatroccolo, riuscirono a mettere a tappeto anche le altre guardie.
Quando Blaine e l’altro uomo arrivarono finalmente fuori pensavano che fosse finalmente finita, ma un’altra schiera di guardie stavano correndo verso di loro ed era impossibile sfuggire a così tante persone.
Ad un tratto Blaine venne sollevato di peso dal suo amico, e senza nemmeno accorgersene questo lo posizionò su una specie di carriola, che aveva un estremo rivolto verso l’alto e uno verso il basso, un po’ come le altalene a carosello dei bambini.
“Testa in giù” ordinò l’uomo, mettendosi anche lui in quella posizione per fargli vedere.
“Testa in giù” ripeté Blaine, eseguendo velocemente l’ordine.
“Braccia in dentro” continuò l’altro, e Blaine gli diede retta di nuovo.
“Ginocchia aperte” disse ancora il suo amico.
“Ginocchia aperte” ripeté Blaine, mettendosi in posizione. “Aspetta, perché dovrei tenere le ginocchia aperte-”
Non ebbe nemmeno il tempo di finire la domanda che qualcuno si buttò sull’altra estremità della carriola, e così venne lanciato in aria. Urlò per lo spavento e strinse forte le palpebre per non guardare la fine che avrebbe fatto, ma ad un tratto si ritrovò su qualcosa che quando aprì gli occhi identificò questo qualcosa come Maximus.
Erano sul ponte del regno, e Maximus che era un cavallo reale, era lì pronto a portarlo in salvo.
“Max… sei stato tu a portarli qui?” biascicò emozionato. “Ti ringrazio. Io- io davvero, ti ringrazio. Mi sembra che per tutto questo tempo non siamo mai riusciti a capirci e invece ora…” si bloccò quando vide l’espressione scocciata del cavallo. “Sì hai ragione, è meglio andare.”
Proprio in quel momento vennero raggiunti da altre guardie, così Blaine si aggrappò con forza al cavallo mentre correva sul ponte alla velocità della luce, poi saltava sui tetti delle case nelle vicinanze e alla fine atterrò in paese.
“Va bene, Max” sussurrò Blaine senza fiato. “Adesso portami da Kurt.”
 
***
 
Sue iniziò a insospettirsi quando la torre divenne improvvisamente silenziosa.
Certo, sapeva bene che Kurt non era dell’umore adatto per tornare a cantare e saltellare da una parte all’altra come era solito fare, ma non era per niente abituata a quel silenzio.
Così si avvicinò alla rampa di scale e iniziò a salire lentamente. “Kurt? Che succede lì sopra?” domandò, ma non ottenne nessuna risposta.
Quindi continuò a salire e si bloccò sul penultimo gradino quando vide Kurt scostare le tende della sua stanza con uno strattone, aggrapparsi ad esse con forza e inchiodare lo sguardo a terra.
“Sono il principe perduto” borbottò, deglutendo.
Sue sbuffò. “Kurt, quante volte devo ripetere che odio i borbottii-”
Kurt alzò sguardo e Sue spalancò appena la bocca quando vide i suoi occhi oscurarsi, il viso contratto in una smorfia che esprimeva tutta quella rabbia che Kurt non aveva mai provato in diciotto anni.
Sono il principe perduto” disse forte e chiaro, gli occhi fissi sul viso di Sue che a quelle parole era decisamente sbiancata. Vide la sua mano aggrapparsi alla ringhiera e forse tutto ciò era dovuto alla rabbia che sentiva ribollirgli dentro, ma Kurt non si era mai sentito più forte. “Ho forse borbottato, madre?” domandò, quando notò compiaciuto il suo silenzio. “…O forse non dovrei chiamarti così?”
Sue rinsavì, e si affrettò a superare l’ultimo gradino che lo superava da suo figlio – Kurt era suo figlio e non poteva lasciare che questo cambiasse -, e rise nervosamente afferrandolo per un braccio. “Andiamo tesoro, ma cosa sono queste domande-”
“Sei stata tu!” esclamò Kurt spingendola via con forza. “La responsabile sei solo tu!”
Sue lo guardò con aria di rimprovero. “Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto per proteggere te.”
Ma Kurt non si lasciò intimidire – dio, non lo avrebbe fatto nemmeno per sogno, così la spintonò via di nuovo e cominciò a scendere le scale velocemente. “Per tutta la vita mi sono nascosto da un mondo che mi avrebbe usato per il mio potere, quando avrei dovuto nascondermi da te!”
“Kurt, dove te ne andrai? Lui non ci sarà più per te”, disse Sue con un ghigno.
Kurt sbatté le palpebre. “Che- che cosa gli fai fatto?”
“Quel criminale verrà impiccato per i suoi delitti.”
Era la prima volta in assoluto nella sua vita che Kurt provava la rabbia, eppure per quanto fosse forte quel sentimento, venne scavalcato dal dolore quando udì quelle parole.
Blaine, il suo Blaine, stava per essere ucciso.
Aveva la testa di così tanti pensieri, il cuore pieno di così tanti sentimenti diversi e si sentì impotente, perché Blaine stava per essere ucciso e non solo non poteva impedire che questo accadesse, non poteva nemmeno essere lì per lui.
Ma in tutto quel caos una cosa la sapeva: non avrebbe permesso a Sue di usarlo, e quando questa provò a regalargli una carezza, lui bloccò il suo polso con così tanta forza che Sue inciampò sui suoi stessi piedi e lo specchio alle sue spalle si frantumò in mille pezzi.
“Ti sbagliavi riguardo al mondo, e ti sbagliavi riguardo a me. Non ti permetterò mai più di usare il potere dei miei capelli!”
E con queste parole si incamminò verso la finestra: non importava dove, se ne sarebbe andato e si sarebbe lasciato alle spalle Sue, gli ultimi diciotto anni di bugie, si sarebbe lasciato alle spalle ogni cosa e avrebbe ricominciato una nuova vita.
Ma Sue, come ogni volta, rovinò ogni suo piano.
 
 
***
 
Max accompagnò Blaine fino a dentro la radura, poi questo corse velocemente verso la torre e rivolse lo sguardo verso l’alto. “Kurt, Kurt! Sciogli i tuoi capelli!”
Esitò solo un secondo, poi capì che non poteva aspettare, doveva rivedere Kurt subito e portarlo in salvo. Così iniziò a scalare la torre, mattone dopo mattone, ma pochi secondi dopo la treccina scivolò giù e Blaine si aggrappò ad essa per arrampicarsi, mentre il sollievo si emanava pian piano nel suo corpo al pensiero che Kurt stesse bene.
Quando arrivò sopra, Blaine scavalcò il davanzale della finestra ed entrò nella torre. “Dio Kurt, credevo di non rivederti più-”
Si bloccò quando entrando nella torre non incontrò il sorriso meraviglioso di Kurt, le sue braccia che correvano ad accoglierlo, ma vide soltanto Kurt in un angolo, con i polsi legati dietro la schiena e un foulard che gli copriva la bocca. Stava provando a dirgli qualcosa, ma tutto ciò che Blaine riusciva a sentire erano mormorii.
“Santo cielo Kurt, che cosa ti ha fatto-”
Un ultimo mormorio di Kurt, la sensazione che qualcuno fosse alle sue spalle e poi una lama affilata che lo pugnalava all’altezza del petto. Faceva male, faceva veramente malissimo, ma gli occhi spenti e lucidi di Kurt facevano male anche di più.
“Finalmente, ora possiamo andarcene in un posto in cui non ci troveranno mai” ghignò Sue soddisfatta, tirando la catena con cui aveva legato Kurt.
Iniziò a trascinarlo ma questo non smetteva un secondo di dimenarsi e Kurt era forte, era veramente forte e non era così facile. “Kurt, smettila di ribellarti!”
Kurt scosse la testa e nel farlo il foulard scivolò via dalla sua bocca. “Mai, non smetterò mai di ribellarmi. Per tutta la mia vita, ogni minuto di ogni giorno, proverò a scappare da te” disse duramente, poi la sua voce si affievolì mentre proseguiva. “Invece se mi permetti di salvarlo, verrò via con te.”
“No Kurt, non farlo-” gemette Blaine, mentre se ne stava sul pavimento con una mano pressata contro la sua ferita.
“Permettimi di salvargli la vita, e sarò tuo per sempre. Smetterò di ribellarmi, te lo giuro, ogni cosa tornerà come prima. Ma permettimi di salvarlo, per favore.”
 
Sue legò Blaine vicino alla rampa di scale, per essere sicura che non provasse a scappare insieme a Kurt.
Appena se ne andò, Kurt si precipitò letteralmente su di lui e prese il suo viso tra le mani. “B-Blaine, io-”
Blaine tossì forte e Kurt intuì che non era il momento per quello – Blaine era pallido, pallido a livelli davvero allucinanti ed era tutta colpa sua.
Prese la mano che aveva ancora pressata contro la ferita e perse almeno un paio di battiti quando vide quanto fosse grave. “Oddio, mi dispiace tanto, ora io-”
“No, Kurt” mormorò Blaine, mentre l’altro cominciava a trafficare con i suoi capelli.
“Devi fidarti di me, Blaine, okay? Ora risolvo questo casino-”
Blaine scosse la testa. “Non ti lascerò fare questo.”
“E io non ti lascerò morire”, ribatté Kurt, guardandolo dritto negli occhi.
“M-ma se mi salverai, s-sarai tu a morire Kurt, e io solo… non posso-”
Kurt posò una mano sulla sua guancia e l’accarezzò dolcemente. “Ssh, andrà bene, vedrai.”
“Ehi, aspetta” sussurrò Blaine, sporgendosi verso Kurt e ricambiando la sua carezza. Kurt sentì gli occhi riempirsi di lacrime al pensiero che non avrebbe mai più riavuto momenti così con Blaine, ma almeno aveva l’occasione di salvargli la vita: sarebbe andato via, ma era la cosa migliore che potesse fare in quel momento.
Mentre pensava a questo Blaine si sporse un altro poco, tirò da dietro la sua schiena un pezzo di vetro dello specchio che si era rotto e tagliò la treccina di Kurt in un colpo solo.
“No, no-” esclamò Sue, mentre guardava i capelli giallo sole scurirsi fino a diventare castano chiaro, il colore naturale di Kurt. “No, no! Che cosa hai fatto, che cosa hai fatto-” gemette disperatamente, afferrando tutti i capelli e stringendoli a sé, come se questo potesse servire a qualcosa. Come se questo potesse riportarli indietro e darle la sua giovinezza.
Ma i suoi capelli diventarono bianchi, il suo corpo si riempì di rughe e lo specchio frantumato davanti a lei gli mostrò il riflesso di una donna anziana, quella donna che non era mai stata e che sarebbe dovuta diventare già tempo fa.
Si abbassò il cappuccio sul viso per coprirsi mentre continuava a disperarsi, e senza nemmeno accorgersi indietreggiò verso la finestra. Pavarotti ne approfittò per ostacolare il suo cammino con quelli che una volta erano stati i capelli di Kurt e questa inciampò, cadendo dalla finestra. Tra l’altezza della torre e le sue ossa deboli che non potevano sopportare lo schianto, morì sul colpo appena il suo corpo toccò terra.
Kurt d’istinto allungò le braccia verso la finestra per poter fare qualcosa – dopotutto Sue era stata la sua mamma per tanto tempo e le aveva voluto bene, malgrado tutte le bugie, e non sapeva come fare a stare fermo a guardarla morire senza alzare nemmeno un dito.
E mentre a poco a poco lo shock si impadroniva di lui, si accorse di Blaine steso a terra e privo di sensi.
Adesso era Blaine ad avere la priorità, Blaine che in due giorni lo aveva amato più di quanto non avesse mai fatto Sue in diciotto anni.
Si precipitò di nuovo su di lui e lo raccolse velocemente tra le sue braccia. “No no no no Blaine, no non mi fare questo, non morire Blaine ti prego-”
Blaine si impose di aprire gli occhi perché Kurt lo stava chiamando, doveva provare a vivere almeno per lui, ma riusciva a sentire la vita che lo stava lasciando secondo dopo secondo. Avrebbe voluto così tanto provare a stare sveglio, a vivere solo per lui, ma non ne era in grado. Stava morendo e non poteva sfuggire a questo.
Riuscì a malapena guardare Kurt prendere una mano e portarla tra i suoi capelli corti, provare a cantare la canzone del fiore tra le lacrime, e non poteva vederlo farsi questo. Non voleva che si facesse del male così tanto solo per lui.
“Kurt…” lo richiamò, mentre Kurt rinunciava definitivamente a cantare e faceva in modo che le loro dita si intrecciassero.
“D-dimmi, Blaine” sussurrò questo, cercando con tutte le sue forze di non piangere.
Blaine lo fissò con gli occhi socchiusi, mentre le loro mani si posavano insieme sulla spalla di Kurt. “T-tu eri il mio nuovo sogno” sussurrò.
Kurt si morse un labbro per trattenere un singhiozzo. “E tu eri il mio, Blaine.”
Blaine registrò appena le sue parole, poi esalò il suo ultimo respiro e si abbandonò tra le sue braccia.
Kurt lo cullò con dolcezza, canticchiando piano l’ultima strofa della canzone del fiore. Erano le parole più tristi, e la sua vita era stata sempre così priva di emozioni che non si era mai soffermato a pensarci.
Non aveva mai pianto ascoltando o cantando le parole di una canzone triste, non aveva mai vissuto,  aveva cominciato a farlo solo quando aveva incontrato Blaine e sapeva che in quel momento stava morendo un po’ anche lui insieme a quel ragazzo.
Alla fine non ce la fece più ad essere forte: crollò e basta, lasciando che i singhiozzi lo scuotessero e le lacrime scivolassero via una dopo l’altra.
Aveva scoperto che sua madre non era sua madre e che lo aveva preso in giro per tutta la vita, l’aveva vista morire, e come se questo non fosse già troppo, Blaine era stato pugnalato e adesso era morto anche lui.
Non aveva più niente, aveva perso ogni cosa, aveva tutto il diritto di soffrire, di urlare, di piangere, di stringere il corpo privo di vita dell’uomo che amava per l’ultima volta.
Una delle mille lacrime che pianse andò a posarsi sulla guancia di Blaine, e improvvisamente su quella piccola porzione di pelle si formò un sole.
Kurt lasciò andare istintivamente il suo corpo, e spalancò gli occhi quando vide che dalla ferita iniziarono ad uscire delle strisce di luce, quasi come se fossero raggi di sole, e si sollevarono in alto circondando Blaine.
Durò solo pochi secondi, poi la ferita tornò a risucchiare tutta la luce e la stanza calò di nuovo nell’oscurità.
Kurt deglutì appena mentre riportava lo sguardo su Blaine, e il cuore gli si bloccò nel petto quando vide le sue palpebre tremare. Poi si sollevarono, rivelando i suoi meravigliosi occhi intrisi di miele.
“K-Kurt…” lo chiamò Blaine, con tono estremamente serio.
“Blaine?” rispose Kurt sorpreso.
Il ragazzo si prese una pausa prima di continuare. “Te l’ho mai detto che ho un debole per i bruni?”
Kurt emise un urlo di gioia perché Blaine era vivo- il suo stupido ed egocentrico e bellissimo Blaine era vivo ed era lì con lui, così si gettò sul suo corpo e lo strinse forte, mentre un raggio di sole si faceva strada dalla finestra illuminando la stanza.
Blaine si sollevò a fatica per ricambiare l’abbraccio, e Kurt finì per scivolare sul suo grembo mentre le braccia di Blaine lo avvolgevano e la sua testa affondava nella curva del suo collo. “Sono vivo, Kurt.”
E Kurt rise, Kurt rise forte perché la sua vita in un giorno era finita ed era ricominciata allo stesso tempo, perché adesso era libero, poteva uscire da quella torre e stare con Blaine per sempre.
Lo spinse dolcemente via per poterlo guardare negli occhi, e il suo sguardo saettò per attimo sulle sue labbra curvate in un sorriso stupido. Solo per un attimo, perché poi afferrò il ragazzo per il colletto e lo tirò a sé, facendo in modo che le loro labbra si toccassero.
Blaine spalancò un po’ gli occhi guardando impacciato Kurt che provava a baciarlo, poi semplicemente abbassò le palpebre e infilò le dita tra i suoi capelli corti, mentre ricambiava il bacio con passione.
Non c’erano parole per descrivere come fosse baciare Kurt. Era come baciare il sole, Kurt era il sole, e si sentiva incredibilmente fortunato a tenere quel frammento di cielo tra le braccia.
 
*
 
La mano di Blaine era sulla schiena e Kurt cercava di immagazzinare tutto l'ossigeno possibile con piccoli respiri, mentre il Regno sotto di loro si stava rapidamente svegliando, raggi di sole che si affacciavano pigramente attraverso le cime delle torri più alte del castello.
Erano stati scortati da una guardia nel terrazzo principale ed era stato detto loro di attendere lì, e a quel punto Kurt aveva puntato i suoi occhi in una parte lontana del panorama, indescrivibile, e Blaine glie era rimasto accanto tutto il tempo, sempre, senza lasciarlo mai.
Gli adagiò le labbra sulla tempia, l'eco di un tocco.
“Andrà tutto bene.”, gli disse piano. “Sei pronto.”
Kurt si rigirò tra le braccia e praticamente si aggrappò al suo corpo con entrambe le mani, immergendo le dita nella stoffa del suo maglione blu e strofinando il naso sul suo collo.
“Mi prometti che non mi lasci?”
“Mai.”, disse automaticamente Blaine, ed era incredibile il fatto che sapesse cosa dirgli al momento giusto nonostante lo conoscesse da giorni, da una manciata di ore, praticamente. Lo strinse più forte, e da lì Kurt poteva quasi sentire il battito del suo cuore, dolce e frenetico; il suo corpo era praticamente bollente e certo e reale, e poi-
“Ti amo.”, disse semplicemente Blaine. In modo naturale e inaspettato, come se lo sapesse da sempre ma lo avesse realizzato ora, e avesse sentito il bisogno fisico di dirglielo, che radicale arrivava dal petto.
Kurt sollevò la testa verso di lui e sorrise appena. “Anch'io ti amo.”, soffiò di rimando. Poi Blaine appoggiò la fronte alla sua, e stavano per baciarsi quando furono interrotti dal rumore di un portone che veniva aperto.
Sulla soglia, Elizabeth guardava Kurt come se fosse un piccolo miracolo. Dietro di lui, Burt stava già piangendo.
Kurt lasciò andare il corpo di Blaine e senza pensarci si avvicinò a quelli che erano stati per tutto quel tempo i suoi veri genitori, strappati via da un destino che nessuno di loro meritava. Elizabeth lo scrutava; esaminava i suoi occhioni blu, la sua pelle diafana e i tratti dolci del viso, e dopo un sospiro di sollievo si sporse in avanti e lo prese teneramente tra le braccia. Burt non aspettò molto ad unirsi a loro: fece qualche passo e raccolse la moglie e il figlio tra le braccia.
Blaine osservava la scena come fa un bambino a cui non è stato dato il permesso di partecipare, che sbircia dietro una porta aperta, il cuore pieno di un sentimento che non avrebbe mai creduto di provare.
In mezzo a quel groviglio di arti, Kurt allungò una mano verso di lui.
“E' stato lui a salvarmi.”, disse tra le lacrime. “È stato Blaine.”
E allora – soltanto allora, Elizabeth e Burt si spostarono di poco per permettere anche a Blaine di far parte dell'abbraccio.
 
***
 
Il Regno rimase in festa per settimane intere, dopo il ritrovamento del Principe perduto. Vennero invitati nobili di tutti i dintorni e su grande richiesta di Kurt e Blaine anche i teneri e assurdamente pazzi amici che avevano trovato alla locanda, che piano piano riuscirono a modo loro a coronare i propri sogni – perché ognuno di noi può farcela, se lo vuole davvero.
Blaine chiese a Kurt di sposarlo molto presto – anche se a lui piaceva dire il contrario, e cioè che era stato Kurt a chiederglielo, e che lui aveva accettato dopo molta insistenza da parte del suo ragazzo (ma quelli erano dettagli perché ehy, la reputazione è tutto ciò di cui un uomo ha bisogno).
Quando Kurt e Blaine si sposarono, non ebbero dubbi di che parole usare nelle loro promesse.
Era una giornata splendida di inizio estate e fuori il sole brillava e scottava sulla pelle – avevano deciso di sposarsi in un punto del regno dal quale si vedeva il mare, con fiori e fronzoli e lanterne che venivano lanciate.
Kurt aveva preso la mano di Blaine tra le proprie, Blaine aveva gli occhi enormi e lucidi e pieni di un sentimento troppo grande per essere compreso dalla maggior parte delle persone.
 
"Blaine, io sono un uomo che ha sempre vissuto nell'oscurità, e tutte le persone che sono entrate nella mia vita hanno provato a farmi uscire verso la luce o a respingermi nelle tenebre...“
 
„Onestamente pensavo che non avrei mai trovato il vero amore.“
 
„Poi sei arrivato tu, e anche se qualcuno mi avesse detto che non avrebbe funzionato e che dopo tutte le nostre difficoltà e tutto il nostro lavoro sarei rimasto solo e col cuore a pezzi-
 
"Avrei detto di sì."
 
„Sono un work in progress."
 
"Sono un work in progress."
 
"Tu non mi chiedi di uscire dall'ombra, mi aiuti a strappare via qualsiasi cosa sia davanti al sole. È tempo per noi di camminare alla luce del sole, insieme, per sempre. È qualcosa che vorresti fare?"
 
"Lo voglio."
 
"Lo voglio."
 
...e poi vissero per sempre felici e contenti, nella consapevolezza di essere l'uno il sole e il sogno di una vita dell'altro.
 
   
 
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