Serie TV > Merlin
Ricorda la storia  |      
Autore: Leia    30/12/2008    3 recensioni
Arthur va a far visita alla tomba di sua madre. Merlin lo accompagna. Sullo sfondo, la morte del sole nel giorno del solstizio d'inverno. Prima della notte più lunga dell'anno, e dell'alba più luminosa. [warning! Spoiler episodio 1x13, 'Le Morte d'Arthur'. Pairing: Merlin/Arthur]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Prima stagione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Arthur si rimise in piedi, lentamente, raddrizzando il busto con un'insolita cautela. Il braccio doveva fargli ancora male.
Merlin lo notò, ma frenò l'impulso di correre da lui per sorreggerlo. Certamente si sentiva ancora molto debole, ma Arthur non l'avrebbe ammesso per nulla al mondo. E poi, non l'avrebbe comunque fatto, avvicinarsi senza venire chiamato. Non lì, non quel giorno.
Il vento era freddo, le sue sferzate decise. Merlin rabbrividì. Socchiuse gli occhi, osservando il principe fermo a una decina di passi da lui. Le larghe spalle di Arthur si stagliavano contro la luce del tramonto. Le colline intorno a Camelot erano bellissime a quell'ora, e nella mente del giovane mago passò un pensiero. Durò un istante, insieme ad una sensazione di strana ma assoluta perfezione, che lui però percepì con grande nitidezza.
Non vorrei essere da nessun'altra parte.
"Merlin, i fiori".
La voce di Arthur lo scosse. Mosse le dita della mano destra, ricordandosi del mazzo di ellebori ed eriche che teneva stretti nel pugno, dietro la schiena. Arrivò velocemente accanto al principe. Non aspettò che gli dicesse altro. Si chinò sulla lastra di marmo bianco ai loro piedi, e posò delicatamente i fiori sulla superficie levigata.
Trascorsero una manciata di secondi. Merlin teneva la testa bassa, gli occhi fissi sulla scritta dorata incisa nella pietra.
"Grazie per avermi accompagnato, Merlin".
"Dovere, Sire".
"Mio padre... non sa che vengo qui. O forse lo sa, ma ogni anno sceglie di ignorare la mia sparizione da palazzo per metà giornata, nel giorno del mio compleanno".
Arthur fece un piccolo, triste sorriso. Il giovane mago mosse appena la testa, cogliendolo appena prima che l'amico riprendesse a parlare. "Non mi ha mai fatto domande. Potrei fare qualsiasi cosa oggi, qualsiasi, e lui non mi chiederebbe comunque alcuna spiegazione... ".
Il principe scosse il capo, piano, e Merlin finalmente lo guardò. L'idea che Uther rinunciasse ad imporre il proprio controllo sul figlio, anche se solo per un giorno all'anno, aveva certamente un che di incredibile. Però lui sapeva. Nessuno glie l'aveva mai raccontato chiaramente, ma era talmente ovvio...
Ygraine, regina di Camelot e consorte di Uther Pendragon, morta lo stesso giorno della nascita del figlio.
La ragione per cui il Re non aveva mai voluto far visita alla sua tomba, per di più in compagnia di Arthur, era lampante.
E così triste.
"Mi... dispiace".
Merlin lo disse a voce bassa, senza esser certo di fare cosa gradita al principe, che nel frattempo aveva preso a vagare con lo sguardo tra le nuvole lontane, illuminate dagli ultimi, infuocati raggi di sole del crepuscolo. Ironicamente, quello era anche il giorno più corto dell'anno. In tutti i regni in quel momento si stava festeggiando il Solstizio d'Inverno, l'addio al sole in attesa della sua rinascita, all'alba del giorno dopo, e della sua vittoria sulle lunghe tenebre della notte. Nella sola Camelot, quella sera, non si sarebbe gioito intorno a falò e balli. Perché non si sarebbe celebrata alcuna festa. Né per il Sole, né per Arthur. Esattamente come negli ultimi vent'anni, per volere di Uther Pendragon.
Alle parole di Merlin, però, il ragazzo biondo serrò la mascella e fece un piccolo cenno di assenso col capo. Non lo guardò.
"Ti ringrazio". Con il braccio buono afferrò un lembo del mantello per sollevarlo e avvolgerlo attorno al collo scoperto. Il vento aveva cominciato a farsi gelido. "Ora... sarà meglio andare".
"Arthur... ".
Merlin arrestò il primo passo del principe, che già si era voltato per tornare dal piccolo gruppo di guardie in attesa poco lontano.
"Posso capire quello che provate. Mio padre... se n'è andato di casa poco prima della mia nascita".
Questa volta non era rimasto a pensarci troppo. E forse aveva fatto un errore.
"So che non è la stessa cosa, ma...", tentò di correggersi, cercando le iridi azzurre di Arthur, levigate come acquemarine dall'aria tersa di dicembre. " ... era solo per farvi sapere che... vi comprendo. E che vi sono vicino".
Il giovane Pendragon restò in silenzio per dei lunghissimi istanti. Merlin trattenne il fiato, ma non distolse lo sguardo dal suo.
"Ma tua madre non ha mai espresso il desiderio che tu non fossi mai nato... ". Arthur mormorò quella parole con voce bassa e ferma. Non c'era del comune dolore nella sua voce, bensì un'inesprimibile rassegnazione, vestita di strati di amara consapevolezza per uno stato di cose appreso nel corso di anni trascorsi in maniera esasperatamente lenta. Trascorsi a tentare di provare al proprio padre di valere qualcosa, mettendo poi sotto verifica i riconoscimenti conquistati ogni giorno. Scegliere di farlo autonomamente. Per aver la certezza di esser degno di venire chiamato non 'Re di Camelot', ma semplicemente figlio mio.
Merlin percepì la profondità di quella sofferenza, e tutta la fragilità che si celava dietro ad un'armatura fatta di acciaio, muscoli, sfrontatezza e arroganza, costruita con minuziosa attenzione nel corso di quella vita, per quanto giovane, e desiderò non aver mai detto nulla.
"Perdonatemi, Sire", disse velocemente, voltandosi a fissare i lunghi fili d'erba ondeggianti sotto il cielo sempre più scuro. "Sono bravissimo a parlare sempre a sproposito, come ben sapete. Ma... ". Si morse la lingua. Sapeva che avrebbe dovuto frenarsi ancora, ma non ce la fece. O non volle farlo. "... sono certo che vostro padre vi ama. Diventerete un grande guerriero e un grande sovrano, e sono convinto che lui lo sa".
Inaspettatamente, Arthur rise.
"Di certo non sei mai prevedibile, Merlin. Beh, quasi mai", disse, e allungò le labbra in un sorriso allegro. "Naturalmente non contiamo i giorni in cui sei prevedibilmente irritante... ". Merlin ridacchiò con lui, sollevato. Il principe attese, poi i suoi occhi tornarono malinconici. "Non so cosa davvero pensi mio padre. Forse non lo saprò mai. Ma a forza di ripetermi che sarò un buon re, quasi quasi inizi a farmelo credere... ".
Solo in quel momento Merlin si ricordò di aver pronunciato quelle stesse identiche parole appena qualche giorno prima, quando aveva creduto di dover offrire la propria vita all'Antica Magia per poter salvare sua madre... E ancor prima di lei, Arthur stesso. Era andato nelle sue camere per dirgli addio, convinto che le loro strade si sarebbero divise quella notte. Che il loro destino insieme sarebbe rimasto soltanto il sogno di un futuro che non si sarebbe mai realizzato.
Sentì una fitta al petto, come se qualcuno gli avesse afferrato il cuore in un pugno. Un senso di soffocamento gli salì nella gola. Era insopportabile.
"Merlin... ".
Arthur aveva aggrottato le sopracciglia, e il suo sguardo, adesso, era fisso sui propri piedi. "... l'altra sera, quando sei venuto nelle mie stanze a tarda ora, ho pensato che... ". Si fermò, incerto. Quello che disse poi lo fece uscire dalle labbra con lentezza. Forse non avrebbe mai immaginato di pronunciare certe parole. A Merlin, il suo servitore. E con una tale malinconia. " ... che te ne saresti andato. Che non ti avrei mai più rivisto".
Merlin restò immobile. Poi si girò, ancora una volta. Non riuscì a mettere a fuoco con precisione il volto di Arthur - la luce rimasta inondava il cielo alle loro spalle di una tenue tinta rosea, limitandosi a tracciare il profilo del giovane Pendragon con un alone dorato - ma Merlin sapeva che per la prima volta, con lui, l'amico aveva abbassato ogni difesa. Chissà quanto gli era costato. Quanto gli stava costando.
Deglutì. Il ricordo dell'amara sensazione provata quella sera non lo voleva lasciare. E d'un tratto si rese conto di quanto fosse stato tutt'altro che vago con quel dolorosissimo congedo. L'ironia delle sue battute non era stata capace di nascondere il messaggio di addio ad Arthur. Come se avesse voluto che lui sapesse. Che sapesse ogni cosa.
"Erano solo parole, Sire".
Sapesse... cosa?
"Certo... certo. Naturalmente".
Silenzio. Solo il fruscio dell'erba mossa dal vento. Arthur sorrise nella penombra, poi si incamminò verso i cavalli, legati ad un grosso albero dal tronco nodoso. Era a metà strada quando Merlin parlò ancora.
"Ma statene certo... ". Il ragazzo alzò la voce per coprire il soffio del vento. "... non fuggirò dalle mie responsabilità come fece mio padre. Il mio posto è qui, a Camelot. Accanto a voi. Ora... ora lo so".
La figura di Arthur, completamente avvolta dal mantello, si ergeva nella radura come una giovane pianta dalle fronde rigogliose. Slanciata, verde, forte, ma ancora poco temprata dalle intemperie delle stagioni. Merlin rimase a fissarlo con la bocca socchiusa.
Era evidente. Avrebbe avuto bisogno di qualcosa, per crescere. Di qualcuno. Un aiuto, o un riparo, nelle serate in cui la pioggia si sarebbe fatta battente ed il vento troppo freddo. O nelle notti troppo buie e troppo lunghe, proprio come quella che avevano davanti...
Sì, un sostegno. Per un po' di tempo. Quello necessario affinchè le radici si saldassero alla terra. Sempre più in basso, verso la linfa.
Merlin si avvicinò all'amico di qualche passo. Mentre l'aria lo colpiva tra le scapole, si strinse nelle spalle.
... perché lui ha bisogno di me. Ed io di lui.
"Allora, parlavi sul serio... ".
Il principe di Camelot cercò i suoi occhi, e questa volta il tramonto gli illuminò il viso.
"Che cosa?".
"Quando dicevi... che sarai felice di essermi fedele fino al giorno della tua morte".
Merlin si morse un labbro. Sollevò il viso al cielo. Nella sua testa rivide in un istante, con precisa chiarezza, il volto pallido di Arthur, le sue palpebre chiuse, il sangue che gli si allargava sulla spalla. Uther schiacciato da una disperazione muta, troppo grande per essere espressa, mentre attraversava il cortile del castello con il figlio morente tra le braccia. E poi, ancora, Gaius, sull'Isola dei Beati. Sua madre, coperta di piaghe. Will, che invece se n'era andato davvero...
Chissà perchè non riusciva a fare altro che pensare alla morte delle persone che amava, e non alla propria. Nonostante fosse arrivato così vicino a trovarsela di fronte, solo poche ore prima, ed innumerevoli volte, ormai, da quando era accanto ad Arthur...
Sfregò una mano sugli occhi umidi.
Delle persone che amava...
"Certo. Non potrei immaginare un futuro migliore per me, Sire".
Ringraziò l'oscurità e la distanza che ancora li separava. Arthur non aveva notato le sue lacrime.
Non permetterò che accada più.
Voi dovete vivere. E regnare.
Do per scontato che la mia vita sarà lunga...
Per voi. Per proteggervi.

Mandò giù il fastidioso groppo che aveva in gola. Attese. Il silenzio del principe durò parecchi secondi.
" ... bene", disse infine lui, velocemente.
Il sole era ormai calato dietro le colline. Merlin si mosse nuovamente verso il futuro re di Camelot. Quando gli giunse accanto, entrambi ebbero un attimo di esitazione. I loro sguardi si incrociarono, ma fu solo per poco. Subito li distolsero dal viso dall'altro, abbassandoli sull'erba alta.
"E'... davvero giunta l'ora di tornare. Inizia a fare molto freddo, e voi dovete riposare", mormorò, allungando il passo verso i cavalli.
Arthur si toccò la spalla ferita. Il suo bel viso si deformò in una piccola smorfia di fastidio.
"Sì, forse hai ragione".
Le guardie in attesa nella radura li videro avvicinarsi. Arthur ordinò loro di iniziare a muoversi verso il castello con un cenno del braccio, e quelli obbedirono, dirigendo lentamente i cavalli sul sentiero avvolto dalle ombre della sera.
Merlin si mise a slegare le redini dal ramo a cui le aveva fissate. L'altro lo osservò. Sembrava indeciso se dire o no qualcosa.
"E' soltanto che, a volte... ho la sensazione che non riuscirei a sopportarlo... ".
Merlin condusse i cavalli vicino ad Arthur. Inclinò la testa, senza capire.
"Cosa intendete?".
Il principe restò con la bocca semiaperta, ma non rispose. Fissò Merlin solo per dargli le spalle un attimo dopo. Afferrò le redini del proprio destriero, ma quando tentò di montarlo si ricordò della sua momentanea invalidità. Sospirò, frustrato.
"Un altro posto vuoto nella mia vita". Scosse la testa. "Mi è difficile ammetterlo, proprio come l'idea di non essere sempre capace di bastare a me stesso. Di non essere in grado di farcela da solo. Anche se la cosa si limiterebbe... a poche volte, ecco".
Merlin strinse le labbra. Si accostò a lui, mentre nella sua testa prendeva lentamente forma il senso di ciò che Arthur aveva appena ammesso.
Non l'aveva mai visto così arrendevole. La capacità di mettere a nudo le proprie paure di fronte agli altri non era esattamente una delle caratteristiche principali del figlio di Uther Pendragon.
Sorrise. Un piccolo, grato sorriso, rivolto solo alla sera.
Mi vuole accanto a sé.
"Tutti hanno bisogno degli altri", disse poi con tono fintamente rilassato, aiutando Arthur ad infilare il piede nella staffa. "Anche un principe. Soprattutto uno... stupido, arrogante principe come voi, direi".
A quelle parole lui si voltò di scatto, intenzionato a replicare, ma Merlin lo spinse improvvisamente verso l'alto. Solo quando Arthur toccò - piuttosto violentemente, anche - la sella, ed ebbe lanciato un sonoro lamento di dolore per la torsione troppo brusca della spalla ferita tornò a guardare il suo servitore. Gettandogli un'occhiata non delle più benevole.
"Potrei anche ripensarci, sai?", sentenziò con tono vagamente minaccioso. Prese a massaggiarsi il collo indolenzito. "Sì, potrei benissimo prendere un altro... ".
"Non lo farete". Merlin sorrise ironicamente. "Vi divertite troppo a giocare al principe invincibile con me".
"Merlin, tu, razza di... ".
" ... e sono anche l'unico a cui potrete, sempre, mostrare la vostra debolezza".
Il ragazzo bruno serrò le redini del secondo cavallo tra le dita, e con un rapido movimento si issò su quello di Arthur, sedendosi alle sue spalle.
"In quelle rarissime, sporadiche occasioni in cui esprimerete il bisogno di avere qualcun altro accanto a voi, si intende". Infilò le braccia sotto quelle del principe, prendendo il comando della cavalcatura. "Tipo... questa".
Arthur prese ad agitarsi, e nel tentativo di voltarsi a guardare Merlin diede un altro strappo alla spalla.
"Posso... posso benissimo arrivare al castello guidando da me il mio cavallo, Merlin!", esclamò quindi, cercando di soffocare le fitte di dolore. "Non sono certo al punto di non poter... urgh ". Merlin piegò il braccio sinistro fino a premerlo non proprio inavvertitamente sulla clavicola del principe.
"Mh, dicevate?".
"Sei... sei davvero... ", biascicò immediatamente l'altro tra una fitta e l'altra. "... insopportabile. Sì, insopportabile".
Iniziarono a muoversi sulla strada sterrata, una decina di metri più indietro dal cavallo dell'ultimo soldato. Il destriero di Merlin, invece, li affiancava a qualche passo di distanza, docile.
Il vento si era placato, e tutt'intorno si era fatto d'un tratto irrealmente silenzioso. Ma la campagna di Camelot, di notte, suggeriva tutt'altro che timore.
Merlin fece un profondo respiro, assaporando quell'insolita tranquillità. Arthur parve muovere appena la testa nel sentire il fiato dell'amico sul proprio collo, ma Merlin ebbe la netta impressione che fosse stato percorso da un brivido. E solo in quel momento se ne accorse. Del calore che il corpo di Arthur emanava.
Restò per un attimo fermo, non osando nemmeno muovere le braccia, posate sulle anche dell'amico. Poi, con estrema lentezza, provò a spingersi leggermente in avanti.
Quando sentì il proprio petto aderire alle scapole di Arthur, ed il tepore dell'ampia schiena diffondersi sulla sua pelle, ebbe paura che l'altro si sarebbe scostato. Ma non lo fece.
"Merlin... ".
La voce del principe, adesso, era così vicina al suo orecchio. Sentiva le sue ciocche bionde sfiorargli la guancia, la vibrazione provocata da quel timbro basso e roco trasferirsi dalla sua gola alla propria.
"... sì?".
"Grazie".
Merlin non lo poteva vedere, ma era certo che sulle labbra di Arthur, in quel momento, si stesse allungando un sorriso. Minimo, ma pur sempre un sorriso.
"Per essere insopportabile, voglio dire".
Il mago lo imitò, increspando gli angoli della bocca. Rilassò finalmente le spalle, e non ebbe timore nel saldare con più fermezza i propri gomiti ai fianchi di Arthur. Sentì il proprio corpo come annullarsi, e, allo stesso tempo, diventare cosciente di se stesso come mai gli era accaduto prima. Nemmeno nei momenti in cui aveva usato la magia. Nemmeno il giorno in cui aveva sperimentato i suoi poteri per la prima volta.
Estese le sue sensazioni, senza fretta, fino ad incontrare nuovamente quello stato di sconosciuta e perfetta pace che aveva provato osservando Arthur nella luce del crepuscolo, poco prima. Ora la comprendeva. Ora riusciva a tenersela vicino, stretta addosso, sotto la pelle. Era inebriante. Ed esatta.
... non vorrei essere da nessun'altra parte. Oggi, fino alla fine della mia vita.
"Di nulla, Sire. Sarà sempre... sempre un piacere".
Respirò forte. I capelli di Arthur sapevano di alberi, legno e muschio. Poi restò in ascolto, attento. Udì solo il loro respiro, quasi a sincrono, ed il rumore degli zoccoli dei cavalli sulla ghiaia.

- fin

Note: ho immaginato che il compleanno di Arthur/anniversario della morte di Ygraine cadessero il 21 dicembre, giorno del Solstizio d'Inverno. Senza alcuna ragione particolare, o probabilmente perchè ho immaginato questa storia proprio negli ultimi giorni di dicembre. Soltanto dopo sono andata a ricercare più informazioni sulla festività in sé, della quale conoscevo soltanto il lato puramente astronomico, ignorandone quasi completamente quello celebrativo e leggendario. Beh, sono rimasta piacevolmente sorpresa. Credo infatti che i significati legati del solstizio - che potete trovare elencati qui sotto - possano adattarsi perfettamente alla leggenda di Camelot e alla figura di Arthur, per non parlare del suo "destino" con Merlin e degli avvenimenti raccontati negli ultimi episodi della prima stagione.

Questa festività solare cade nel primo giorno d'inverno, molto piu' conosciuta come la notte del Solstizio Invernale. La celebrazione del solstizio d'inverno si diffuse rapidamente in tutta Europa e nacque così nelle campagne la festività di Yule, legata alla celebrazione del sole e della madre terra che si prepara, riscaldata dai primi raggi, alla futura semina. Tra i vari temi legati a Yule il principale è quello della battaglia tra il vecchio Re dell'Agrifoglio, simbolo di oscurità e di vecchiaia, e il giovane Re della Quercia che simboleggia la luce del nuovo anno. 
Il vecchio sovrano viene simbolicamente ucciso e il giovane Re prende il suo posto sul trono per governare. 
Con il rito del ceppo di Yule si perpetua ogni anno, oltre alla tradizione di stringersi tutti attorno al fuoco, anche questa antica e ripetuta battaglia. 
Da tutto questo e dalle pratiche che seguono, è facile arrivare alla conclusione ed alla comprensione del perchè la chiesa cristiana avesse scelto questo periodo per festeggiare la natività del Cristo [...] Il Cristo viene comunque associato al Sole come simbolo di luce vivificante e quindi entrambe le festività possono fondersi tranquillamente tra loro senza contrasti; chi conosce la Magia Bianca lo sa.

Il termine 'solstizio' viene dal latino solstitium, che significa letteralmente “sole fermo” (da sol, “sole”, e sistere, “stare fermo”). Se ci troviamo nell’emisfero nord della terra, nei giorni che vanno dal 22 al 24 dicembre possiamo infatti osservare come il sole sembra fermarsi in cielo, fenomeno tanto più evidente quanto più ci si avvicina all’equatore. 
In termini astronomici, in quel periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. 
Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima. 
Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. 
Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta. Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo “Natale”.

È un momento di passaggio ciclico considerato nell'antichità magico e drammatico: i giorni diventano sempre più corti e bui, fino ad arrivare alla notte più lunga dell'anno. 
L'oscurità prende il sopravvento sulla luce, la notte è più lunga del giorno. 
Tutta la natura è come sospesa in questa morte simbolica che attende una resurrezione. Morte della luce, morte del sole come divinità fecondante e portatrice di calore, di vita, di benessere. Il sole cede il posto alla tenebra, per poi rinascere, come rigenerato. 
Le giornate dopo il solstizio divengono sempre un po' più lunghe, e di nuovo il potere del Dio Sole cresce e si manifesta nella sua luce. 

È una simbologia carica di valenze magiche e propiziatorie centrate sul mito della morte-rinascita. 
Morte del vecchio per il nuovo, morte del vecchio e usurato Dio Sole per la vitalità del Sole Fanciullo, morte del seme nel grembo della Madre Terra che si apre ad accoglierlo. 
In tutte le culture e fin dall'antichità più remota, questo periodo dell'anno veniva celebrato e ritualizzato ed erano grandi fuochi ad illuminare la notte, candele, falò attorno a cui festeggiare per incoraggiare l'avvento della luce, la nuova nascita del giorno ed il sole novello nella sua ascesa.

[...] Il solstizio stesso è chiamato "la porta", un tempo custodita dal guardiano Giano Bifronte (con l'avvento del cristianesimo il romano Giano dai due volti ha ceduto il posto ai due Giovanni) che sono il simbolo di una contemporanea esistenza di due dimensioni, che durante i solstizi si congiungono e le porte sono aperte ed è permesso il varco; è il tempo della morte simbolica dell'adepto che si avvicina al rito iniziatico.


[da http://www.materterra.it/Article44.htm]
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Leia