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Autore: Hiryuran    05/05/2015    0 recensioni
Premessa: storia complementare e "prequel" della precendete fanfiction "La mia guerra, la mia prigione". Splendid racconta gli ultimi momenti trascorsi con Flippy prima che decidesse di lasciare tutto e di finirla lì.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Al cuor non si comanda. Ho provato a farlo: ho iniziato un cammino tortuoso, il tutto per dimenticare l'unica persona che per me era importante, che dava un senso alla mia vita. Nonostante lo negasse, sapevo che da parte sua era lo stesso. Non proprio lo negava, preferiva ritirarsi nel suo gelo interiore giustificandosi con << non voglio avere bisogno di nessuno, basto a me stesso >>. E sapevo che non era cosí. Quelli con cui lo diceva non erano gli occhi che erano soliti sorridermi, quelli dentro ai quali mi specchiavo volentieri e ai quali mostravo sempre gioia. No, erano gli occhi iniettati di sangue, che gridavano "mondo fai schifo, ti odio!". Io ero la cura, la sua cura. Lo stringevo forte a me, fino a quando non si calmava e nei suoi occhi tornavo a scorgere la felicitá che lui cercava. Io soprattutto ero felice: non trovo le parole per descrivere il mio stato d'animo in sua presenza, il solo tenergli la mano, lo stare abbracciati...ora solo ricordi. Pensavo di proteggerlo, di essere piú forte del sua metá oscura, ma mi sbagliavo. Porto ancora le ferite e le cicatrici dei nostri combattimenti. L'ultima volta lo trovai seduto, con le braccia sul tavolo che facevano da nascondiglio alla sua testa e in mano reggeva un bicchiere vuoto e non si poteva non notare la bottiglia di vodka completamente vuota vicino a lui. Mi avvicinai con cautela, gli poggiai una mano sulla spalla: << E' tutto a posto? >> chiesi ingenuamente. Prima fu il silenzio. Pian piano sollevó la testa, mantenendo lo sguardo sempre fisso davanti a lui, come se avesse dei paraocchi. Sentivo il suo respiro farsi via via piú pesante, piú accentuato. << Dimmi... >> disse interrompendo quel silenzio cosí profondo tanto da sentirsi a disagio << ...non é forse corretto affermare che noi siamo soltanto delle creazione forgiate dalle nostre esperienze passate? Se cosí é, allora perché il baratro colpisce solo pochi eletti, tanto da destare quegli eletti dall'illusione che questa vita sia fatta di felicitá? No, non é cosi... >> infiló una mano nella maglia e tiró fuori le targhette militari, simbolo della sua eccellente carriera bellica; le portó davanti agli occhi, le fissava come se stesse cercando qualcosa, una qualche risposta << ...sangue e lacrime, tristezza e sofferenza, ecco la vera vita. Cosa resta a quelli che lo hanno scoperto? La condanna di essere marchiati dalla veritá, di valorizzare tutto, tanto da far sembrare futile e sacro anche il piú piccolo fruscio del vento. Si puó scegliere: o restare imprigionati in questa veritá oppure liberarsi dalle catene, non provare piú niente, annullarsi. La morte...lei, una cara amica, é la soluzione. >> . Era come se fosse a metá tra la calma e la pazzia piú folle. La sua voce era pacata, delicata, ma imponente. Il mio cuore non esisteva piú, dentro provavo solo rabbia. Avrei voluto picchiarlo, schiaffeggiarlo quanto meno per quello che aveva detto. Rinunciare alla vita...non é la soluzione. Mi presi tutta la calma del mondo, evitai di fare ció che volevo, non volevo correre il rischio di far svegliare la bestia.  
<< Questo puó essere, ma é vero nella misura in cui una persona é lasciata sola a sé stessa. Non é il tuo caso, perché molte persone ti vogliono bene...e tu sai ció che provo per te...ammazzerei chi oserá solo provocarti la piú lieve sofferenza. >> Iniziai ad accarezzare la sua guancia dolcemente, cercando di metterlo il piú possibile a suo agio. In tutto ció i suoi erano ancora piantati sulle targhette. 
<< Si...? Beh...é relativo... >> Si voltó verso di me, i suoi occhi verdi incrociarono il blu dei miei. Sorrise. Sbatté le palpebre e un attimo dopo i suoi occhi erano cambiati. In un movimento fulmineo prese il coltello dalla fodera attaccata al pantalone, mi bloccó il braccio e vi affondó la lama. Riuscii a evitare il peggio, me la cavai solo con un taglio abbastanza profondo sotto la spalla. Mi allontanai subito da lui, con la mano premevo sulla ferita e tenevo gli occhi allerti rivolti verso di lui. Si alzó e mi sorrise sadicamente con aria di sfida strofinando il coltello tra le mani tingendosele di rosso. << Sará divertente... >> il suo sguardo minacciava tempesta. 
<< No, non costringermi  a fare ció che non voglio... >> il braccio era ancora dolorante, ma potevo difendermi. Scattó verso di me, Con riflessi pronti lo ricevetti bloccandogli il braccio che reggeva il coltello e sbattendolo sul muro. Molló la presa, gli diedi un pugno sulla bocca dello stomaco costringendolo a piegarlo, poi un montante sotto al mento e un gancio sul labbro. Indietreggió, tenendosi con un braccio lo stomaco e con la mano dell'altro braccio si strofinava il labbro rotto dal quale usciva sangue. Dopo essersi pulito mi guardó togliendo il sangue sulla mano con la lingua emettendo uno strano sospiro. Presi il coltello da terra e lo puntai contro di lui. Sorrise e aprí il petto come per concedersi a me. 
<< Forza, fallo. Non esitare, veloce, poni fine alle mie sofferenze. >>
<< No, sará l'ultima cosa che farei... >> 
<< Bene, vediamo fin dove sai resistere... >> scattó per il secondo assalto. Mi parai col braccio e lui mi colpí con un montante e subito con la mano cercó di sottrarmi il coltello. Io tenni ben stretta la presa e gli sferrai un un calcio sul ginocchio. Era in procinto di cadere e si tenne a me e mi ritrovai a terra su di lui. Il combattimento continuó a terra, io sopra, lui sotto. Tra uno pugno e l'altro mi ritrovai a puntare il coltello sulla testa con gocce di sudore e di sangue che mi cadevano dal viso. Lui mi sorrideva ancora << Coraggio...COLPISCI! >>. Ero carico di adrenalina, mollai il coltello e gli sferrai un pugno con tutta la forza che avevo. Lui non si lamentava per il dolore, anzi, sorrideva istericamente. Mi alzai con respiro affannoso, con gli occhi su di lui. Lasciai cadere il coltello e feci per andarmene. 
<< Ahahaha, sei proprio un idiota, pensi di essere un eroe? No, non lo sei. Sei solo un codardo, un coniglio privo di qualsiasi forma di coraggio. >> Lo guardavo con commiserazione mentre strisciava a terra e si girava a pancia in su per vedermi. 
<< Hai ragione tu: sono solo un vigliacco senza coraggio. Non sono un eroe, tu lo sei. Tu sei il soldato, l'ufficiale giovane dalle grandi speranze che ha combattuto e ucciso portando la pace nel mondo. Io sono bravo solo a fingere a fare film, non sono alla tua altezza. >> 
<< Infatti è questa la verità. >> disse con convinzione ridendo come una iena.
<< Vero, nessuno è alla tua altezza, hai concluso molte più cose di me. Però sai cosa? Se essere un eroe, se avere coraggio significa uccidere e strappare vite a destra e a manca, ebbene sì: io sono un codardo, ma preservo la mia coscienza non diventando un mostro temuto da tutti. >>
No, non volevo dire questo. Queste parole, in questa circostanza, no, non erano parole: erano saette. Non era mia intenzione dirle, ma erano uscite dalla mia bocca senza alcun controllo.
<< Beh, potevi uccidere il mostro e essere acclamato come un eroe, ma hai preferito rinunciare e restare nella tua viltà. Pensi forse che non otterrò ciò che voglio? Pensi che io non possa benissimo da solo porre fine alla mia vita e cadere nelle fatali e tranquillizzanti braccia della morte? >>
<< Allora se questo ti rende felice, fallo. Buona fortuna. >>
Fu tutto quello che ebbi da dire, "buona fortuna". Col cuore ormai vacillato corsi via e me ne andai sbattendo violentemente la porta, come se volessi lasciare quanto era accaduto confinato in quel luogo.Tornai a casa tra mille fantasmi che mi perseguitavano. La prima cosa che feci fu di spogliarmi e dedicarmi a una sana doccia calda, nella speranza che l'acqua che scorreva su di me portasse via anche ciò che era accaduto. Una volta asciugatomi pensai a medicarmi le ferite. Oltre al taglio sotto la spalla avevo diversi lividi e sbucciature sulla parte superiore del corpo. Decisi di interrompere qualsiasi contatto umano quella sera: ero sconfitto, triste...solo. Avevo perso l'unica persona che per me significasse qualcosa. Andai a letto e non badai ai messaggi e alle chiamate sul mio telefono. Volevo un solo messaggio, una sola chiamata da una sola persona e nè l'uno nè l'altra c'erano. Spensi il cellulare e cominciai a rilassarmi attendendo il sonno, Mi addormentai di lato, abbracciando parte del cuscino e il mio inconscio sapeva chi rappresentava per me quel cuscino. Tra infiniti pensieri riuscii a cedere a Morfeo. Tante immagini, tante situazioni, ma solo cinque parole erano fisse nella mia testa: "è bellissimo stare con te". Ciò che mi affligge di più, ripensandoci, è  il fatto che queste parole, può sembrare strano, ma a discrezione delle previsioni, non fui io a dirle.
   
 
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