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Autore: Montelupo    05/05/2015    0 recensioni
Sara è una ragazzina che per gli ultimi 8 anni ha viaggiato per l'Italia cambiando casa e scuola ogni anno, non ha amici e l'unica persona su cui può fare affidamento è la madre.
Da quel lontano giorno in cui il padre sparì, rapito da quelle strane masse scure comparse nei cieli di tutto il mondo, le capita di svenire ogni qual volta vede un nuovo "grumo nero".
Qualcosa però cambia quando si trasferisce dalla zia Miria, una lontana parente con la mania dell'accumulo, che abita a Destani, paese della provincia bolognese.
Perché, dopo un semplice sguardo, nasce in Sara una forte alchimia che la lega indissolubilmente a Roberto e suo fratello Samuele?
Come mai hanno quelle doti?
Cosa c'è dietro alle attività anomale del "grumo nero"?
Chi sono i loschi individui che sembrano pedinare i tre amici?
Riuscirà a trovare le persone che cerca?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A casa Bucaneve la sveglia squillava alle 6.30 in punto. Ogni mattina Sara veniva scossa dal mondo dei sogni da quel fastidioso suono metallico. Ben avvolta nelle coperte e con gli occhi chiusi, la bambina aspettava che il papà la portasse in cucina per la colazione; il solletico della barba e l'odore di sonno di suo padre, un aroma polveroso di cellule morte unito al profumo floreale del detersivo delle lenzuola, erano la sveglia migliore che potesse desiderare.

Quel giorno l'orologio che i nonni le avevano regalato segnava le cinque del mattino, ma la luce, dritta e dura come spaghetti crudi, che filtrava a strisce dalle tapparelle e si schiantava sul grande armadio color lavanda, era come quella che vedeva ogni giorno dai banchi di scuola poco prima della merenda, quando a metà mattina il sole è alto e investe prepotentemente tutto quel che trova sul suo percorso: gli astucci gonfi di penne colorate, i quaderni a righe da riempire di dettati, il cestino pieno di temperature di matita, le teste spettinate dei bambini e la sottile polvere del gessetto usato dalla maestra. 
Quella mattina nessuno era venuto a svegliarla. L'assenza di rumori dalla camera dei genitori era il chiaro segnale che qualcosa non andava. Sara a quell'ora avrebbe già dovuto essere fuori casa. 
Dato che non voleva sentire sua madre dare i numeri come faceva ogni volta che erano in ritardo, quello era il momento per andare a svegliarla e incrociare le dita. Ma per farlo avrebbe dovuto lasciare quel caldo rifugio e avventurarsi per la casa silenziosa, cosa che non le piaceva per niente: ogni scricchiolio sembrava l'agguato feroce di un mostro pronto ad attaccare; una strombazzata di clacson dalla strada era come un rapace affamato appostato ai piedi del letto e ogni ombra diventava un fantasma spaventoso. Sara si era immaginata più volte di dover scappare da strani esseri tutti neri con lunghe braccia pronte a catturala e neanche la lucina verde, che i suoi genitori le accendevano ogni sera prima di andare a letto, serviva a tranquillizzarla. Come milioni, miliardi di bambini prima di lei, Sara aveva paura del buio. E i suoi genitori, come milioni, miliardi di genitori prima di loro, minimizzavano.
"Non è niente di che, vedrai che passerà", le dicevano sempre così, qualsiasi cosa brutta le capitasse. Lo ripetevano ogni volta che Sara cadeva dalla bicicletta, quando litigava con un amico, quando prendeva un brutto voto a scuola o quando spaventata dal rombo del temporale si nascondeva sotto alla coperta della nonna, ormai piena di buchi, per sbirciare la camera in preda al panico. Quei fori erano come le finestre di un solido e grande castello indistruttibile: i quadrati di lana, cuciti sapientemente tra loro, sembravano i mattoni; i fili tirati o strappati, che spuntavano qua e là, s'intrecciavano come tralci di edera; il bordo ricamato era il fosso che di solito circonda le mura. Ma neanche la coperta poteva sconfiggerlo, il buio.
Il peggio era quando, durante la notte, la pipì voleva uscire a tutti i costi. Il breve tragitto fino al bagno, attraverso la casa addormentata, era una vera e propria tortura: lo stomaco si stringeva, le ginocchia sembravano incapaci di sorreggerla, le labbra secche facevano da cornice al respiro affannoso, e l'eco delle pantofole gialle che strisciavano sul pavimento amplificavano i brividi che già provava. Era come se un'improvvisa secchiata d'acqua ghiacciata, chissà come, riuscisse ad attraversare il suo corpo, i muscoli, le vene, le ossa. Era come una scossa, che partiva dalla base della schiena e arrivava fino al collo, passava dalla nuca e finiva sulla punta dei capelli. Quei suoi capelli sempre arruffati.

Sara si fece forza e uscì dal letto, il pavimento di legno della cameretta era perfetto per le sue pantofole di panno giallo perché, scivolando come sul ghiaccio, riuscì a percorrere i pochi metri che la separavano dal corridoio. Una credenza, che occupava buona parte del passaggio, era l'ostacolo più grosso che Sarà doveva superare per raggiungere la camera dei genitori. Il vecchio mobile era carico di piatti decorati con motivi floreali in oro zecchino, usati solo qualche Natale quando venivano i parenti della mamma da Bologna; cinque sottili bicchieri a calice; diverse bottiglie di liquore stantio e di un paio di boccali di birra, presi dal padre quand'era ragazzo, durante uno dei suoi famosi viaggi in Germania durante l'October Fest. Oggetti assolutamente inutili, ma a cui i genitori erano affezionati.
Sara appiccicò la schiena al grosso mobile, senza staccarla mai, e con piccoli passi laterali attraversò il corridoio fino alla camera attigua dove corse a tirare con forza i cordoni delle tende color porpora dei genitori e il mattino, un assolato mattino di fine settembre, entrò finalmente in casa Bucaneve.
La mamma bofonchiò qualcosa con la bocca impastata ma Sara preferì evitarla, per il momento, visto che bastava un nonnulla per farla andare nel panico e filò dritta a torturare suo padre di baci e pizzicotti.
"Scusa, bambina mia. Questo coso si è fermato" disse sua madre, sbatacchiando con troppa energia la sveglia e peggiorando la situazione: le lancette ricaddero molli sul sei.
Clara, così si chiamava sua madre, non andava d'accordo con la tecnologia, qualsiasi tipo di tecnologia, dall'elettronica più avanzata fino ai più semplici attrezzi meccanici. Una volta aveva provato ad aggiustare il tostapane prendendolo a mestolate, peccato però che non si fosse accorta che la spina era staccata. Quel che rimase dell'elettrodomestico divenne il miglior porta pennelli che Clara avesse mai avuto nel suo studio di restauratrice.

Mentre Sara giocava a tirare i peli del braccio del padre, notò qualcosa di strano: "Mamma Che cosa è quella cosa?" Disse indicando fuori dalla finestra.
La bocca spalancata di Clara non prometteva nulla di buono. A pochi metri dal loro appartamento, in alto nel cielo, una grande massa scura roteava minacciosa.
"Piccola mia, devi starmi appiccicata. Promettilo!" il padre scosse la figlia per assicurarsi che lo ascoltasse. L'uomo sembrava aver perso il controllo mentre cercava di far ordine nei suoi pensieri.
"Lo prometto" Sara non avrebbe mai disubbidito al papà, si aggrappò stretta a lui come mai prima. 
"Clara, vieni via da lì. Chiama i tuoi genitori, devi dire che l'incendio non è scoppiato nel nostro palazzo, ma in quello di fronte".
"Ma papà" lo interruppe Sara "Non è un incendio, non vedi che ha delle specie di braccia?" 
"No amore, quelle sono esplosioni!" l'uomo scosse la testa senza badare troppo alle parole della figlia.
"Ma allora perché non fanno rumore?" chiese la bambina.
"Rumore?!"
"Sì papà, le esplosioni fanno rumore. Che cos'è?"
"Non ne ho la più pallida idea! Non è niente... Non avere paura, vedrai che passerà presto" l'uomo strinse Sara mentre Clara gli mimava che il cellulare e il telefono di casa non funzionava.
"Andiamocene immediatamente" senza dire altro si lanciarono furori dal loro appartamento.

L'ammasso scuro roteava senza il minimo rumore; un grosso gomitolo nero, fatto da centinaia di braccia intrecciate tra di loro, dominava i cieli di Roma. A Sara sembrò uno dei mostri che, nella sua fantasia, le facevano tanta paura la notte. Neanche la vicinanza di mamma e papà, questa volta però, riuscirono a fermare i brividi che le correvano per tutta la schiena.

Gli ascensori erano bloccati, dovettero fasi dieci piani a piedi. Sara sobbalzava ad ogni passo del padre senza lamentarsi, i respiri affannosi dei genitori erano in sincronia con i battiti del suo cuore.
"Prendiamo la macchina e andiamo dalla nonna... Prendiamo la macchina e andiamo dalla nonna... Prendiamo la macchina e andiamo dalla nonna..." l'uomo ripeteva la frase come un mantra, con la speranza che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Ma le grandi vetrate del palazzo mostrarono all'uomo una realtà diversa da quella immaginata: decine di auto erano ferme in mezzo alla strada, nessun veicolo si muoveva. Con le strade in quelle condizioni non avrebbero mai potuto usare la loro.
"È meglio andare in stazione centrale. Il viaggio è più lungo, ma sicuramente sarà più divertente" disse l'uomo cercando di rassicurare la figlia con la sua voce profonda.
"Va bene" rispose poco convinta Sara.
Il portone dell'ingresso era spalancato e la portineria deserta. 
Per strada la gente vagava confusa: diversi uomini e donne erano seduti sul bordo del marciapiede in attesa di capire cosa fare; famiglie intere, stretti come fossero un corpo solo, cercavano un qualsiasi tipo di riparo; anziani solitari borbottavano imprecazioni verso il cielo; gruppi di persone correvano rapidi, quasi a casaccio; lo scalpiccio dei tacchi e delle suole riempiva l'aria densa di silenzio; lacrime, molte lacrime, solcavano i volti. Ogni dove si vedeva gente disorientata e con lo sguardo rivolto verso quel strano ammasso nero nel cielo.
Sara e la sua famiglia s'incamminarono verso la stazione. La via principale era dietro l'angolo, avrebbero dovuto fare un bel pezzetto a piedi, ma almeno la strada era tutta dritta e non c'era il grosso rischio di perdersi in mezzo alla folla. 
Sara non aveva mai visto Roma così ferma. 
Il traffico di solito prepotente come un fiume in piena, carico di motorini spericolati e con i marciapiedi brulicanti di persone, sembravano un pallido ricordo. Roma era trasformata. Le automobili e gli autobus abbandonati donavano alla città un'aria surreale, era come trovarsi in un grande set cinematografico nel momento esatto in cui un'onda gigantesca o un mostro enorme irrompono sulla scena distruggendo tutto. 
"Probabilmente è saltata la corrente. Appena arriveremo in stazione, tutti di corsa sul treno!" l'uomo non era certo il tipo da scoraggiarsi facilmente, ma la stanchezza stava prendendo il sopravvento, "Piccola mia, ti va di camminare? Sono un po' stanco" L'uomo rallentò vistosamente per prendere fiato. La figlia iniziava a pesargli, i muscoli delle braccia si erano irrigiditi.
"Sì papà" la piccola cercò di non rallentare il ritmo della corsa, ma di tanto in tanto, le sottili ciabatte di panno giallo le sfuggivano dai piedi facendola incespicare. 
I sensi della bambina erano in allerta come quando un gatto sta puntando la preda. Sara riusciva a percepire i cambiamenti in tutto ciò che la circondava: l'aria e gli odori erano immobili, statici, come se il normale ciclo vitale stesse pian piano abbandonando gli oggetti attorno a lei. 
La schiena le formicolava come mai prima, le spalle si ritrassero per il fastidio ma il pizzicore riuscì a raggiungere la nuca. Il respiro era affaticato dall'aria pesante, come fosse più densa del normale, e i piedi erano inspiegabilmente incollati al terreno. Le pantofole sembravano pesanti come il cemento. 
Sara non riusciva più muoversi, immobile come una statua lasciò andare la mano di suo padre lanciato nella corsa verso la stazione. 
Non avrebbe dovuto fare un altro passo, se lo avesse fatto sarebbe stata la fine. 
Questo lei lo sapeva, non aveva dubbi.
Il grumo nero che ruotava indomabile in alto nel cielo, mosse le lingue che lo avvolgevano, i suoi tentacoli scattarono in mille direzioni ad una velocità impressionante, come elastici in tensione pronti a raccogliere persone. 
La bambina non fece in tempo a dire nulla, una nuvola di polvere nera avvolse suo padre portandolo via. 
Clara non si accorse di nulla: "Sara, Sara... Dov'è papà?" le chiese allarmata guardandosi intorno alla ricerca del marito. 
La piccola, con la mano alzata, indicò la massa nera nel cielo, ma non ebbe la forza di guardare in alto. Sara fissava le pantofole sporche di polvere ai suoi piedi, tornate improvvisamente leggere.
   
 
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