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Autore: samleo11    06/05/2015    2 recensioni
Come sia iniziata, forse non saprei davvero dirlo. Cercando di evitare il destino, sono inciampato nella storia della mia vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Never let me go


5:11 PM

Prendo con garbo la mia valigia. Scendo dall'aereo insieme agli altri passeggeri e mi incammino verso il centro dell'aeroporto. Mi investono i suoni festosi della gente che viene accolta a rientro da un lungo viaggio. I suoni, gli odori di casa. Due anni sono un'eternità ma ritrovarsi qui ora, mi fa sentire come se non me ne fossi mai davvero andato via. I luoghi in cui viviamo ce li portiamo dietro con noi, sono parte integrante della nostra anima, del nostro vivere quotidiano. Non me ne sono mai davvero andato via perché la mia casa è venuta con me. E questo l'ho capito appena ci sono tornato.

All'aeroporto mi attendeva la mia famiglia. L'abbraccio caloroso di mia madre, così dolce e fragile come me la ricordavo. E le pacche paterne di mio padre, forte e sempre una spanna sopra di me. Con piacevole sorpresa ho notato che erano cambiati tutti. I miei. Mio padre aveva tolto quegli orribili baffi, mia madre aveva iniziato con le tinte. Anche mia sorella. Ha 13 anni e a quell'età, la piccola ciocca di capelli verdi è un simbolo più che una moda. Tutti fanno bravate a 13 anni. La saluto affettuosamente anche se so che questo clima gioviale tra noi durerà ben poco.

In disparte dalla mia famiglia, ci sono i miei amici. Sì, tutti. Lì ad aspettarmi impazienti. Li abbraccio tutti, mi sono mancate le loro grida, i loro coretti da stadio, il loro ridere di tutto. Saluto Arthur come si saluta un fratello. Ci abbracciamo forte. Sono secoli che noi due non ci vediamo. Mi sembra passata una vita e ho paura che sia cambiato qualcosa. Io e lui non siamo più gli stessi.

Ma alle sue spalle una figura esile attira la mia attenzione. Emily. Splendida ai miei occhi. Di una bellezza che mozza il fiato.

Mi sorride e mi sussurra: "Piacere, Emily. Sono la ragazza di Arthur".

Le stringo la mano. La guardo negli occhi e lei mi sorride timidamente. Non vi so dire cosa generi un colpo di fulmine. Dopo di lei, non ne ho mai più avuti. È amore improvviso. E la parte razionale di te continua a ripeterti che non l’hai mai vista, e che quindi non puoi amarla. Ma hai la strana sensazione che lei è sicuramente quella lei. Quella che metterà ordine in tutto. In ogni parte. Ma non posso soffermarmi su questi pensieri, lei non è mia. E non potrà mai esserlo.
Ci avviamo fuori.

                                                                               ***    

I primi giorni sono stati ricchi di emozioni. Tutti volevano abbracciarmi, raccontarmi, chiedermi qualcosa. Essere così tanto al centro dell’attenzione non mi dispiaceva, ma quando finalmente il mio ritorno non fu più la cosa più eccitante capitata nell’ultimo periodo, ne fui sollevato. Potevo finalmente tornare alla mia vita.

Lo stage che avevo fatto mi aveva permesso di avere un comodo posto di lavoro appena rientrato a casa. Lunedì sarei andato alla sede centrale per il mio primo giorno di lavoro. Ero così entusiasta e con me, i miei amici, che decidono repentini di organizzare un party la vigilia del mio inizio, per festeggiare l’accaduto.

Mi sono vestito velocemente e all’orario prestabilito, Arthur è passato a prendermi con la macchina.

“Hey, campione!”, mi saluta quando entro in macchina.

“Non ho più unidici anni, papà!” dico, ridendo.

È vestito in maniera elegante. Il che è strano per uno come lui. Ma la cosa ancora più strana è che non so di cosa parlare. Due amici che si ritrovano dopo tanto tempo, di cosa parlano? Di tutto, giusto? Ebbene, questo tutto non veniva fuori.

“Emily non viene?”

“Più tardi, ha alcune faccende da sbrigare prima”

“Oh, capito”

“Già”

Insomma, l’imbarazzo totale. Mi giro verso il finestrino. Quanto mi piacerebbe avere la mia macchina, ma come al solito, serviva ai miei. Cosa dire? Cosa inventare? Fortunatamente arriviamo al pub.
Scendo e mi dirigo verso gli altri mentre Arthur parcheggia.

La serata scorre serena, e mi piace essere tornato tra i miei amici. Solo Arthur è quasi in silenzio. Non lo riconosco più. Era il tipo della baldoria, ora ridotto a un ragazzotto elegante che nasconde la faccia dietro la bottiglia di birra.

Emily è arrivata insieme alle sue amiche una mezz’oretta dopo il nostro arrivo. È seduta di fronte a me, quando mi fa segnale con lo sguardo di seguirla. Io e lei non abbiamo quasi parlato. Non capisco cosa mai possa volere da me. La guardo con fare interrogativo ma come risposta, mi fulmina con lo sguardo e si dirige verso il bagno. E io la seguo a ruota.

Siamo nel bagno. Il classico bagno da pub, non troppo.. come dire… vomitevole, per gli standard.

“Allora?” mi dice, sorridendo.

“Allora, cosa?”

“Alice, ti piace? È tutta la sera che ti fissa!”

“Alice, cosa? COSA? Tu mi hai fatto venire qui per parlarmi della tua amichetta che ha una cotta per me?”

“Perché cosa pensavi? Andiamo, ti piace o no, devo darle una risposta. E a me questi giochini da quinta
elementare non piacciono. Lo faccio solo perché è mia amica” e si sistema i capelli, guardandosi allo specchio.

“Emily, posso essere totalmente sincero con te?”

“Certo” sussurra, girandosi e guardandomi dritto negli occhi.

“Non ho la più pallida idea di chi sia Alice”

Mi guarda negli occhi, sembra che mi stia per rimproverare e invece scoppia a ridere. Si mette la mano davanti alla bocca e cerca di soffocare quel fiume in piena che è la sua risata, così argentina e fresca. Rido anche io, in una sorta di psicologico riflesso.

Quando smettiamo di ridere, lei mi indica la ragazza, che è, effettivamente, molto carina. Mi dice di stare attento a non menzionare ex e roba varia, o scoppierà in lacrime. Le dico che non sono in vena di storie serie, e lei mi guarda e sorridendo sussurra che nemmeno lei sta cercando nulla di tutto questo, ne è certa.

Restiamo in silenzio. La guardo, lei mi sorride timidamente ed esce. Mi appoggio sul muro e respiro piano.

Chiudo gli occhi e li riapro. Forse è per Emily, forse sono un idiota. Non devo assolutamente avvicinarmi mai più così tanto a lei. È di Arthur. Non posso. Apro gli occhi e fisso Alice.

È snella, capelli biondi (tinti sicuramente) e occhi scuri. Non esattamente il mio tipo, ma per questa notte può andare bene. Guardo i miei amici seduti e mi appresto a tornare. Il mio sguardo si posa su un segno. Anzi su un paio di parole, sul muro del bagno. Prima non c’erano. Ne sono tutt’ora certo.

James. 7th Ravenground Avenue. 5.11 pm.

E poi accanto a quello che doveva essere l’orario, uno strano simbolo a forma di rombo.

Non ho mai creduto molto alle coincidenze. Quella scritta era lì per un motivo. Lì c’era il mio nome. Ne ero attratto. Sentivo che quel nome, quelle lettere una accanto all’altra erano mie. O meglio, erano per me. Non so spiegare come, ma lo sapevo. Preso da questa sensazione, mi segno l’indirizzo e l’orario. E poi punto verso il mio tavolo.

Alice è una facile preda. Ha bevuto, ed è piuttosto semplice convincerla ad accompagnarla a casa. Quando tutti stanno andando via, Emily mi ferma afferrandomi il braccio.
“Non me la sballottare troppo. Mi serve domani per una presentazione” mi sussurra all’orecchio.
Mi giro a guardarla e le sorrido, lei mi risponde con un occhiolino e scompare nella macchina di Arthur.
Accompagno diligentemente Alice a casa, non facciamo molte chiacchiere. Quando arriviamo a casa, lei mi offre di salire e io, non me lo faccio ripetere due volte. Ci metto poco a farla mia, in fondo, l’ho accompagnata per questo.

                                                                                ***

Sono sveglio. La luce filtra chiara dalle finestre. Ho la testa che rimbomba e uno strano formicolio al braccio. Dovrei farmi visitare da un medico. O forse no, visto che la causa del formicolio sembra proprio dovuto alla ragazza che ha appoggiato la sua testa sul mio braccio. Ci metto un po’ a focalizzarla. Sorrido soddisfatto della preda e poso lo sguardo sul piccolo orologio poggiato sul comodino di lei.

Le 8:45. Sono in ritardo. Il mio primo giorno di lavoro. Mi alzo. Sento che lei si sveglia, ma non me ne preoccupo. Non ho il tempo di passare da casa, dovrò mettermi gli stessi vestiti. La ragazza mi mugugna qualcosa e io le dico che ho bisogno di una doccia.

In tempo record sono pronto e vestito. La guardo, sdraiata sul letto.
“Ci vediamo dopo?” mi dice, sollevando un sopracciglio.
“Chissà. È stato davvero bello, comunque, stanotte, Amanda” farfuglio mentre prendo il cellulare
“Alice” mi ammonisce lei, fa un lungo sospiro e aggiunge “Vedi di sparire dalla mia vista!”
Ai suoi ordini, madame, penso. Le sorrido a mo’ di sfida ed esco correndo giù per le scale. Mentre sono sull’autobus, chiamo disperatamente il mio amico, pregandolo di inviarmi per email tutte le informazioni che io ho lasciato sul mio pc a casa. Come inizio, non è dei migliori.

Arrivo trafelato al mio piano. Trovo la mia postazione. Mi guardo intorno e spero già nella pausa pranzo.

                                                                                ***

Il primo giorno è passato, pensai mentre sedevo in autobus. Non è stato malaccio, ne ho visti di peggiori. Ma la confusione nell’autobus mi soffoca. La gente continua a spintonarmi, finchè sento qualcuno pestarmi malamente il piede. Mi giro, infuriato, verso l’attentatore.

Emily. Mi guarda e scoppia a ridere.

“Scusami” sussurra tra le risate, causate sicuramente dalla mia faccia che è un misto tra rabbia e sorpresa. Cosa ci fa lei su questo autobus? È vestita in maniera sobria, e ha una lunga tracolla appoggiata su una spalla. Odora di carta da stampante, forse lavora qui vicino.

“A proposito, Don Giovanni, oggi Alice non si è presentata a lavoro! Si può sapere cosa hai combinato?”
Mi giro per risponderle e l’autobus si ferma. Guardo il tabellone per vedere quale fermata sia.

7th Ravenground.

Il mio cuore salta un battito. D’impulso prendo la mano di Emily e le dico che dobbiamo scendere. Insieme a noi scendono altre 20 persone circa. Quando finalmente siamo fuori, Emily mi lascia la mano e noto solo ora che è furibonda.

“Sei impazzito? Non è la mia fermata!” mi urla contro. Prova a fermare il bus ma non c’è verso. Torna indietro verso di me e mi dà dell’idiota, ma io le do ascolto. Guardo il mio orologio. 5.11 pm. Non può essere. Non può assolutamente essere una coincidenza. Riprendo contatto con la realtà quanto mi basta per dirle di andare a cercare a che ora passa il prossimo bus. Lei lo fa, stizzita.

“Tu abiti qui?” mi chiede scontrosamente.

“No”

“Cos… e per quale motivo al mondo sei sceso?”

“Niente”

“Tu sei pazzo” conclude

La guardo mentre fissa gli orari. Devo parlarne con qualcuno. Questa cosa è troppo strana, non è una coincidenza. Non può esserlo. Non sono pazzo. Prendo coraggio e le mostro il pezzo di carta su cui ho annotato l’indirizzo ieri sera.

“Lo vedi questo? Era scritto sul muro del bagno del pub accanto al mio nome. Ho visto la fermata e ho pensato di scendere e l’orario era esattamente 5:11 pm. Lo so che sono un idiota ma sentivo di dover scendere. Ero curioso, capisci?”

Prende il pezzo di carta in mano e mi guarda con un espressione di pietà che si riserva per i bambini, quando non capiscono qualcosa.

“James il muro era pulito. Non c’era nulla. Per di più il tuo orologio è messo male. Le 5:11 sono ora” mi dice, indicando il suo orologio.

“Te lo giuro, l’ho visto coi miei occhi” dico, mentre osservo il palazzo di fronte ai nostri occhi. Un tizio incappucciato passa e segna qualcosa sul muro con una bomboletta. Mi alzo in piedi e attraverso la strada. Emily urla il mio nome più volte ma non le do peso. Dopo un po’ la sento accanto a me.

“James è assurdo e anche se foss-“ il resto della frase viene coperto dalle sirene di un’ambulanza che a velocità astronomica passa e si ferma a qualche isolato più in là.

Mi giro verso la provenienza delle sirene, la gente sta correndo verso la nostra direzione. Altre ambulanze accorrono. Fermo un uomo e chiedo cosa stia succedendo, mi dice che c’è stato un violento incidente, tra una macchina e un il bus 32 della linea di città.

Emily dietro di me rabbrividisce. Era il bus su cui stavamo viaggiando. Guardo attonito di fronte a me, sperando di riuscire a scorgere qualcosa, ma il caos non mi permette di vedere l’autobus. Qualche giorno più tardi i telegiornali avrebbero confermato che nello schianto, avvenuto alle 5:11 pm, erano morte 7 persone. Di cui un bambino.

Emily apre con delicatezza il foglio con l’appunto.

“E’ lo stesso simbolo, James” mi dice con un filo di voce, indicando il segno che era stato appena fatto dallo sconosciuto incappucciato.


Note dell’autrice

Chi non muore… sì, c’ho messo un bel po’ per dare alla luce questo capitolo, ma tra impegni, università e altro, il tempo mi è volato via. Stiamo entrando nel corpo della storia, visto e considerato che è d’Avventura come genere. Spero vi sia piaciuto, e come sempre, vi sprono a lasciare commenti sugli aspetti sia negativi che positivi, o per chiedere chiarimenti.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito i primi due capitoli e che si sono addirittura appassionati alla mia storia *-*.
Grazie mille, S.
   
 
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