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Autore: Ferula_91    31/12/2008    2 recensioni
... Sentii in quel momento il tram ripartire e allarmato mi appoggiai al finestrino. Lei portò l’indice destro alla bocca socchiudendo appena gli occhi e quando mi voltai per rivederla un’ultima volta non c’era più...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le giornate di novembre mi sono sembrate sempre così prive di significato, passano veloci e silenziose come il passo di un gatto. Quell’alone grigiastro che le ricopre come una cappa di fumo, la nebbia sinistra che si diffonde silenziosa e gli alberi spogli, vittime di quel fatale processo di nascita o morte che affrontano impotenti.

Quando penso a novembre mi viene in mente il colore marrone: sarà per le castagne, sarà perché risaltano i tronchi nudi delle piante, comunque sia quando chiudo gli occhi è questo quello che mi appare: una grande, estesa, piatta macchia marrone.

E dal finestrino dell’autobus -il mio compagno mattutino da molti anni- amo osservare la gente che cammina indaffarata sul marciapiede, immaginare dove stiano andando e che cosa facciano nella vita, pensare a come è la loro vita e a come era stata la loro infanzia. Non sono un tipo invadente, sono solo curioso di capire questo mondo apparentemente perfetto nel quale abitano miliardi di persone una diversa dall‘altra. E’ divertente ma al tempo stesso strabiliante sapere una cosa così inimmaginabile, essere a conoscenza del fatto che non troverai mai uno perfettamente uguale a te.

Ed è a novembre, in un noioso ed insignificante mercoledì mattina che l’ho notata.

La inquadrai subito dal finestrino dell’autobus fermo per il solito traffico metropolitano, e non potei non fissarla con viva meraviglia. Non era una ragazza fondamentalmente bella, a mio modesto parere, però attirava l’attenzione su di sé senza rendersene conto, senza volerlo: aveva una bellezza tutta sua, propria, che non aveva paragoni.

Era appoggiata ad un muro bianco spento, infagottata in un cappotto altrettanto bianco forse un po‘ troppo leggero per la stagione. Il berretto di lana copriva la testa, lasciando scoperti solo alcuni ciuffi di un biondo candido e immacolato che accarezzavano il volto liscio e perfetto.

Le gote erano spruzzate di un vivace rossore dovuto alla bassa temperatura ed incorniciavano gli occhi colorati di un acceso blu che, nonostante la distanza e la folla che smorzava la visione, notavo perfettamente come se fossero stati a un centimetro da me.

Non faceva nulla di particolare che potesse catturare gli sguardi, fissava il cielo solitaria in un sacro silenzio; eppure i miei occhi non si muovevano, restavano inchiodati a lei, attirati da quell’aura mistica che diffondeva, e pervasi dalla paura che anche un solo battito la potesse perdere per sempre. Nessuno si voltava a guardarla o a parlarle. Era come se intorno a lei ci fosse stato un muro che la rendeva invisibile e per un attimo mi sentii fortunato per essere l’unico a poterla vedere.

Appoggiai la testa al finestrino e distolsi subito gli occhi quando notai che la ragazza aveva spostato lo sguardo dal cielo e l’aveva posato su di me.

Una vampata d’aria calda, seguita da un vento gelido mi penetrò fino alle ossa, facendomi rabbrividire, mentre le orecchie presero a fischiarmi forte.

La guardai nuovamente, quasi timoroso di incrociare quegli occhi così luminosi, e arrossii non appena vidi che lei mi sorrideva. Ricambiai goffamente il gesto, facendo finta di nulla, sperando in piccola parte che quel sorriso non fosse per me. Sentivo come di non meritarmelo, di non essere all’altezza di tale visione, ma la mia perplessità svanì quando mi voltai e notai che dietro di me non c’era nessuno.

Una placida pace percorse ogni mio muscolo, affievolendolo, e i sensi si estesero all’infinito portandomi ad uno stato di dormi-veglia. Ma la mia voglia di continuare ad ammirare quella ragazza riportò immediatamente i miei occhi su di lei, bramosi di un minimo di luce che emanava.

Sentii in quel momento il tram ripartire e allarmato mi appoggiai al finestrino. Lei portò l’indice destro alla bocca socchiudendo appena gli occhi e quando mi voltai per rivederla un’ultima volta non c’era più.

Dal muro si alzò lentamente, danzando lieve fra il grigiore mondano, una piuma bianca che volò via, unica traccia del suo passaggio.

  
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