Storie originali > Poesia
Ricorda la storia  |      
Autore: Mary CM 93    07/05/2015    0 recensioni
Come trasformare un dolore incomprensibile in un'incomprensibile poesia (?)
Genere: Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa poesia non sarà “sturm und drang”, neppure racconterà di uno struggimento d’animo o di un patimento interiore che toglie il respiro anche solo a pensarci.

Perché se così fosse, non la capiresti.

Non hai mai capito granché, a rifletterci.

Ed io, a mia volta, non ti ho mai capito granché, a pensarci.

Questa trama lineare, per nulla ampollosa, senza ghirigori barocchi, priva d’intreccio che non fosse quello dei nostri corpi, in cui fondamentalmente nessuno dei due capiva un cazzo dell’altro e di tutto quello che accadeva, comunque non mi dispiaceva affatto.

Nel senso che mi garbava proprio, e quando qualcosa ti è particolarmente gradito, sai, è inevitabile, ti manchi, nel momento in cui non l’hai più.

Non c’era un senso, né uno più profondo e complesso, né tanto meno uno più superficiale e scarno.

Assaissimo strano questo fatto, così strano che mi sento persa senza il nostro non senso, che mi proteggeva e mi abbracciava tutta la notte, allontanando in modo apotropaico tutto ciò che di razionale tentava di avvicinarsi al nostro fragilissimo castello di cristallo.

Terrei a precisare che “castello di cristallo” è un’allitterazione, “apotropaico” fa’ comunque la sua figura, perciò sembra solo che io non sappia scrivere, ma soprattutto volevo far sapere che “assaissimo” esiste, eccome se esiste ed è anche una parola succosa, bella e succosa, sì.

Ad ogni modo, eravamo belli, non so dire se tanto quanto “assaissimo”, forse, però, eravamo assaissimamente belli, splendidi, meravigliosi, stupendi, superlativi, lo eravamo in modo così indescrivibile, che temo di essermi inventata il termine “assaissimamente”, presa dalla foga di raccontare a tutti quanto fossimo magici, tutti nudi in una camera un po’ spoglia, anche lei.

Sempre un mezzi ubriachi, tre quarti ingenui, un etto infantili, sbadati, dimenticandoci anche dei sentimenti altrui, giocavamo insensibilmente.

Io mi arrogavo il diritto di qualche capriccio, che assecondavi con una tale spontaneità, che un capriccio quasi non pareva più.

Tu eri esageratamente vanesio, ma quel troppo che serviva per farmi sentire irresistibile, così che vanesio quasi non sembravi più.

I tuoi baci erano un po’ come andare alle giostre per fare mille giri su tutte quelle che ci sono: gli autoscontri, i calci in culo, la piovra, la nave dei pirati, le montagne russe. E avremmo speso miliardi per i biglietti, avremmo fatto una coda interminabile e spero saremmo riusciti a rubare il pupazzetto premio, fottendolo ad un bambino. E lo avrei poi utilizzato io, sì, anche se fossi stato tu a vincerlo.

Il tuo sapore era come quello di un diabetico, ma insaziabile di dolci, che ha appena mangiato cascate di orsetti gommosi, poi ha comprato zucchero filato alla fragola, dopo mele caramellate a non finire, ancora cioccolatini di ogni gusto, a volontà e, per finire, una big babol gigante. Avrei fatto le bolle con la bocca, mentre mi avresti guardata vederle scoppiare, appiccicandomisi su tutto il viso.

E il fare l’amore era come andare su di un’altalena, con l’intento di prendere il volo e sfiorare il cielo con le dita, chiedendoti di spingermi forte, sempre più forte, finché non avrei visto i miei piedi staccarsi follemente dal terreno. E poi saremmo andati sullo scivolo, quando fosse stato scaldato dal sole cocente e avrebbe scottato, ma saremmo scesi ugualmente, con i pantaloncini corti, bruciandoci un po’ le cosce e le mani. Ma saresti stato al fondo, ad aspettarmi, osservandomi divertire, mentre la pelle mi si arrossava.

Ed i ricordi con te sono milioni di canzoni, ma non di quelle melensi e malinconiche che mi fanno scrivere, con le lacrime che mi rigano le guance. No, quello è già accaduto con tanti, per troppo tempo. Tu sei quella musica tamarra, con il testo quasi assente, che fa solo molto rumore, a lungo andare fastidioso e parecchio monotono, ma che ballerei dimenandomi fino all’alba, anche sola, anche nella mia mansarda, saltando ed agitandomi in modo sgraziato, senza un contegno, ridendo in maniera ridicola.

Anche se, quando si ride, come quando si fa l’amore, non si è mai ridicoli. Impossibile.

Ma sei uno stronzo, un maledetto coglione e questi termini non hanno proprio nulla di poetico, però, fanculo, non siamo e mai saremo due intellettuali, perché noi i paroloni e le cose auliche, ponderate e ben curate non sappiamo neppure cosa siano.

Tuttavia, siamo amanti, credo valga ed anche molto come categoria a cui afferire, no? Perché loro sono passionali, ribelli, travolgenti, per una notte, almeno, insieme.

E non ho detto “appartenere”, perché l’appartenersi è qualcosa di più, di momentaneo, di speciale.

E, all’inizio, non ho parlato di “comprendere”, perché quello lo facevamo, appieno, nel coccolarci, nel massaggiarci, nell’essere ironici, nel mangiare da schifo ogni piatto cucinato da me e quelle pizze scadenti nei locali più tristi.

Mi chiedono se io ti ami, rispondo di no, decisamente no, assolutamente no, indiscutibilmente no. L’amare è un impegno, è dedizione, costanza, serietà. Non si ama a giorni alterni, anche se forse in quelli pari ti amerei un pochino meglio, così, a sensazione.

Il “ti amo” è una parola pesante, faticosa, che proprio non si addice a questo mio scritto così scanzonato e nuovo per me; sappilo, comunque, che ho adattato la mia poesia a te, e anche se non ti amo, credimi, non è cosa da poco, è da assaissimo.

Eravamo devastantemente belli. Urlavamo beltà su ogni centimetro della nostra pelle inumidita.

Divertente questo gioco, entusiasmante, emozionante, adrenalinico, è solo che alcune giostre mi fanno venire la nausea, perché vorticano troppo e proprio non le reggo, i soldi per i biglietti preferirei spenderli in libri, fare troppa coda mi annoia tremendamente e non credo di avere pazienza a sufficienza. Il pupazzetto premio non lo si può proprio rubare ad un bambino, non si fa per una questione di etica, insomma. Mi piacciono i dolci, certo, ma non mi va di ritrovarmi con la bocca impastata e le carie che prendono il sopravvento, scusami. E tra l’altro, a causa nostra, un diabetico sarebbe già morto, non si scherza su questi argomenti. Forse no, nemmeno l’altalena e lo scivolo, non siamo bambini, dai. E per le canzoni, ho così mal di testa.

Ah, ed il ti amo, anche quello è un bel gioco, solo ho un dolore lancinante, dentro, una fitta che proprio non si decide a svanire. Magari perché oggi è un giorno dispari, sarà per domani.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Poesia / Vai alla pagina dell'autore: Mary CM 93