Freddo, la donna aveva sempre freddo.
Tremava come una foglia, cercava riparo dal vento gelido, ma invano. Tutti
attorno a lei stavano congelando, ma per qualche motivo nessuno sembrava stare
altrettanto male.
Una mano callosa e sporca si posò sul suo braccio,
occhi familiari dello stesso colore dell’acqua impartivano un ordine che
conosceva già.
“Tremare
non serve a niente, devi stare ferma, affronta il dolore, affronta la
sofferenza, altrimenti morirai.”
Non ci fu bisogno di articolare quelle
parole, entrambi vivevano in un tempo in cui seppur fossero esistite sarebbero
state superflue. L’uomo strinse ancora più forte il braccio. Voleva una
risposta. Non un sì, né un cenno affermativo, voleva che la sua compagna
incontrasse il suo sguardo e curvasse le spalle, sottomessa.
E così fece, riconoscendo la saggezza di
quell’ordine, impose al suo corpo una rigidità innaturale e alla sua mente una
forza che al momento non possedeva. La luce calda sarebbe arrivata come sempre,
c’era solo da tenere duro e aspettare.
Sentì delle mani piccole e scarne
afferrarle il seno. Il cucciolo aveva fame.
La donna fu lieta della necessità del
piccolo di nutrirsi, in questo modo avrebbe potuto riscaldarsi e allo stesso
tempo donare un po’ di tepore a quella creatura malmessa. La boccuccia avida
del bambino ci mise poco a farsi strada, e sebbene fosse rimasto ben poco di
cui nutrirsi, rimase attaccato al suo petto per ore. Sicuramente riteneva che
fosse il posto migliore dove passare una notte così gelida, la madre paziente
non poté dargli torto.
Ormai non riusciva più a vedere le altre
persone nella grotta, era troppo buio. Non riusciva neppure a sentirne i
respiri tanto erano flebili. Quando l’oscurità cadeva sembrava che tutte le
specie entrassero in una sorta di breve letargo: i fiori si chiudevano, le
foglie si ritiravano, le bestie cercavano riparo. Una categoria, quest’ultima,
in cui la donna e la sua gente si sarebbero riconosciuti e non a torto.
Un silenzio ancora più profondo era calato
nel piccolo anfratto dove ore prima si erano rifugiati. L’uomo dormiva, ma era
un sonno agitato e spesso interrotto. La donna lo guardò e sentì il desiderio
di sfiorare i suoi capelli, ma non lo fece. L’uomo accanto a lei non era un
bambino, si sarebbe arrabbiato se lo avesse trattato come tale. Risparmiò le
sue carezze per il cucciolo addormentato al suo petto. Per qualche motivo sentiva
di doverlo proteggere, non sapeva spiegarsi il motivo ma supponeva fosse in
qualche modo collegato al fatto che prima fosse dentro di lei.
Era stata un’esperienza straordinaria.
All’improvviso aveva sentito la vita nel suo ventre. Si era un po’ spaventata è
vero, ma la donna dai capelli neri che viaggiava con loro le aveva indicato uno
dei suoi figli. Avrebbe avuto anche lei un cucciolo. Ma avrebbe fatto male,
come predetto dalla compagna di viaggio che le mostro due pugni appoggiati in
corrispondenza della pancia.
La donna non si era lasciata intimidire,
da quando aveva sentito la vita non riusciva a pensare ad altro. Mentre
raccoglieva le erbe o mentre svolgeva altre mansioni per la loro piccola
comunità, continuava ad immaginare la piccola creatura che sarebbe uscita da
lei. L’Uomo sembrava felice della rotondità del ventre della compagna. Le
strinse il braccio, stavolta con dolcezza e avvicinò il suo viso, si guardarono
per qualche istante: era stata brava. Com’era bello tenerlo vicino al suo petto
ora, sentirne il peso, prendersi cura di lui. Un giorno lo avrebbe lasciato
andare, quando sarebbe stato abbastanza forte per cacciare, ma ora il suo posto
era lì, vicino alla sua mamma.
Confortata dal pensiero di poter avere il
suo bambino ancora a lungo, la donna si addormentò. Si svegliò insieme agli
altri qualche ora più tardi. La luce era tornata, era ora di rimettersi in
cammino. Prima del tramonto gli uomini sarebbero andati a caccia e poi, la
notte, ci sarebbe stata un’altra grotta ad accoglierli, il giorno dopo sarebbe
accaduto lo stesso, così come quello dopo ancora e tutti gli altri a seguire.
Il cammino fu lungo e faticoso, non
riuscirono a trovare corsi d’acqua perciò non si fermarono fino a molto tardi.
Il globo luminoso era quasi al di là degli alberi, la caccia avrebbe dovuto
essere breve stavolta. Gli uomini si allontanarono svelti, le donne i bambini
rimasero a prepararsi per la notte.
La donna era la più giovane e quindi la
più forte, toccò a lei trasportare gli utensili nella caverna. C’era qualche
arma rudimentale, interamente in legno e per lo più pietre concave che si
prestavano a contenere il cibo. I cuccioli attendevano le loro madri sul prato
strappando ciuffi d’erba e infastidendo insetti tranquilli. Fu allora che le
donne sentirono il verso di una bestia. Si spaventarono sebbene non fosse la
prima volta che si imbattessero in una fiera. La bestia ruggiva in modo strano,
quasi stridulo, aveva fame era magrissima. Fu chiaro che non se ne sarebbe
andata a stomaco vuoto.
Le donne indugiarono, evitarono di
muoversi troppo velocemente. Erano caute, sapevano che presto sarebbero giunti
gli uomini. Quando l’animale puntò il cucciolo della donna, lo stallo
s’interruppe. Il piccolo aveva il respiro veloce e gli occhi sgranati, aveva
paura.
La donna balzò in avanti con l’intento di
fare da scudo col suo corpo, ma la bestia poteva saltare molto in alto. La
evitò, strinse il piccolo tra le fauci e corse lontano portandolo con sé.
Quella sera nella radura non si sentì
altro che l’urlo straziato della madre, andò avanti per ore, ininterrotto. Riportò
anche gli uomini a casa, ma vi giunsero troppo tardi. La donna era impazzita
dal dolore, dovettero fermarla in cinque. Voleva correre chissà dove. Ma urlare
in questo modo era pericoloso, se ne accorse lei stessa, avrebbe rischiato di
attirare altre bestie. Perciò tenne per sé gli strilli e si dondolò
freneticamente sulle ginocchia, nessuno la capiva.
Non avrebbe più stretto il suo cucciolo
tra le braccia, mai più. Quella notte e tutte quelle dopo, la donna non tremò
più per il freddo, ma per il lutto. Batteva i denti con ferocia, si graffiava
le gambe ed era scossa da spasmi violenti. Fu una di quelle notti che sentì di
nuovo il suo braccio stretto in una morsa. Era l’uomo, che da quel giorno nella
radura non l’aveva più guardata. Ora la fissava, lo sguardo era sempre quello
di comando, neppure il messaggio era mutato: “Tremare non serve a niente, devi stare ferma, affronta il dolore, affronta
la sofferenza altrimenti morirai”.
Anche questa volta, la donna riconobbe la
giustezza del comando, così riprese il controllo del suo corpo, si sciolse
delicatamente dalla presa dell’uomo e lo guardò, ma stavolta non si sottomise.
Note:
Questa
OS partecipa al contest “E storia sia!” indetto da 9dolina0
La
Preistoria ha sempre suscitato un certo fascino su di me. La sfida di scrivere
su qualcosa di così lontano sotto tanti punti di vista, mi ha stimolato molto.
Quello che più ho trovato difficile è stata la descrizione delle relazioni
interpersonali, non avendo un vero e proprio dialogo tra i personaggi ho dovuto
concentrarmi sulla gestualità e il contatto fisico.
L’utilizzo
di periodi brevissimi è voluto. Ho pensato che descrizioni complesse e periodi
articolati non si sarebbero adattate bene al contesto, mentre frasi semplici e
dirette sarebbero state più adeguate ad un’epoca nella quale manca o è ancora
acerbo uno vero e proprio sviluppo del pensiero.
Se vi
va di discuterne insieme lasciatemi una recensione!
A
presto,
Ross