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Autore: scarlett_carson    08/05/2015    7 recensioni
Agli albori della civiltà umana, un piccolo gruppo nomade cerca di sopravvivere. Non sono veri e propri uomini, ma poco più che bestie. L'ostilità del mondo che li circonda sembra non dargli la possibilità di progredire. Alcune emozioni ed esperienze però sono universali.
Quando l’oscurità cadeva sembrava che tutte le specie entrassero in una sorta di breve letargo: i fiori si chiudevano, le foglie si ritiravano, le bestie cercavano riparo. Una categoria, quest’ultima, in cui la donna e la sua gente si sarebbero riconosciuti e non a torto.
Questa One Shot partecipa al contest "E storia sia!"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità
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Freddo, la donna aveva sempre freddo. Tremava come una foglia, cercava riparo dal vento gelido, ma invano. Tutti attorno a lei stavano congelando, ma per qualche motivo nessuno sembrava stare altrettanto male.

Una mano callosa e sporca si posò sul suo braccio, occhi familiari dello stesso colore dell’acqua impartivano un ordine che conosceva già.

“Tremare non serve a niente, devi stare ferma, affronta il dolore, affronta la sofferenza, altrimenti morirai.”

Non ci fu bisogno di articolare quelle parole, entrambi vivevano in un tempo in cui seppur fossero esistite sarebbero state superflue. L’uomo strinse ancora più forte il braccio. Voleva una risposta. Non un sì, né un cenno affermativo, voleva che la sua compagna incontrasse il suo sguardo e curvasse le spalle, sottomessa.

E così fece, riconoscendo la saggezza di quell’ordine, impose al suo corpo una rigidità innaturale e alla sua mente una forza che al momento non possedeva. La luce calda sarebbe arrivata come sempre, c’era solo da tenere duro e aspettare.

Sentì delle mani piccole e scarne afferrarle il seno. Il cucciolo aveva fame.

La donna fu lieta della necessità del piccolo di nutrirsi, in questo modo avrebbe potuto riscaldarsi e allo stesso tempo donare un po’ di tepore a quella creatura malmessa. La boccuccia avida del bambino ci mise poco a farsi strada, e sebbene fosse rimasto ben poco di cui nutrirsi, rimase attaccato al suo petto per ore. Sicuramente riteneva che fosse il posto migliore dove passare una notte così gelida, la madre paziente non poté dargli torto.                                                                                                                                                           

 Ormai non riusciva più a vedere le altre persone nella grotta, era troppo buio. Non riusciva neppure a sentirne i respiri tanto erano flebili. Quando l’oscurità cadeva sembrava che tutte le specie entrassero in una sorta di breve letargo: i fiori si chiudevano, le foglie si ritiravano, le bestie cercavano riparo. Una categoria, quest’ultima, in cui la donna e la sua gente si sarebbero riconosciuti e non a torto.

Un silenzio ancora più profondo era calato nel piccolo anfratto dove ore prima si erano rifugiati. L’uomo dormiva, ma era un sonno agitato e spesso interrotto. La donna lo guardò e sentì il desiderio di sfiorare i suoi capelli, ma non lo fece. L’uomo accanto a lei non era un bambino, si sarebbe arrabbiato se lo avesse trattato come tale. Risparmiò le sue carezze per il cucciolo addormentato al suo petto. Per qualche motivo sentiva di doverlo proteggere, non sapeva spiegarsi il motivo ma supponeva fosse in qualche modo collegato al fatto che prima fosse dentro di lei.

Era stata un’esperienza straordinaria. All’improvviso aveva sentito la vita nel suo ventre. Si era un po’ spaventata è vero, ma la donna dai capelli neri che viaggiava con loro le aveva indicato uno dei suoi figli. Avrebbe avuto anche lei un cucciolo. Ma avrebbe fatto male, come predetto dalla compagna di viaggio che le mostro due pugni appoggiati in corrispondenza della pancia.                                                                              

La donna non si era lasciata intimidire, da quando aveva sentito la vita non riusciva a pensare ad altro. Mentre raccoglieva le erbe o mentre svolgeva altre mansioni per la loro piccola comunità, continuava ad immaginare la piccola creatura che sarebbe uscita da lei. L’Uomo sembrava felice della rotondità del ventre della compagna. Le strinse il braccio, stavolta con dolcezza e avvicinò il suo viso, si guardarono per qualche istante: era stata brava. Com’era bello tenerlo vicino al suo petto ora, sentirne il peso, prendersi cura di lui. Un giorno lo avrebbe lasciato andare, quando sarebbe stato abbastanza forte per cacciare, ma ora il suo posto era lì, vicino alla sua mamma.

Confortata dal pensiero di poter avere il suo bambino ancora a lungo, la donna si addormentò. Si svegliò insieme agli altri qualche ora più tardi. La luce era tornata, era ora di rimettersi in cammino. Prima del tramonto gli uomini sarebbero andati a caccia e poi, la notte, ci sarebbe stata un’altra grotta ad accoglierli, il giorno dopo sarebbe accaduto lo stesso, così come quello dopo ancora e tutti gli altri a seguire.

Il cammino fu lungo e faticoso, non riuscirono a trovare corsi d’acqua perciò non si fermarono fino a molto tardi. Il globo luminoso era quasi al di là degli alberi, la caccia avrebbe dovuto essere breve stavolta. Gli uomini si allontanarono svelti, le donne i bambini rimasero a prepararsi per la notte.

La donna era la più giovane e quindi la più forte, toccò a lei trasportare gli utensili nella caverna. C’era qualche arma rudimentale, interamente in legno e per lo più pietre concave che si prestavano a contenere il cibo. I cuccioli attendevano le loro madri sul prato strappando ciuffi d’erba e infastidendo insetti tranquilli. Fu allora che le donne sentirono il verso di una bestia. Si spaventarono sebbene non fosse la prima volta che si imbattessero in una fiera. La bestia ruggiva in modo strano, quasi stridulo, aveva fame era magrissima. Fu chiaro che non se ne sarebbe andata a stomaco vuoto.

Le donne indugiarono, evitarono di muoversi troppo velocemente. Erano caute, sapevano che presto sarebbero giunti gli uomini. Quando l’animale puntò il cucciolo della donna, lo stallo s’interruppe. Il piccolo aveva il respiro veloce e gli occhi sgranati, aveva paura.

La donna balzò in avanti con l’intento di fare da scudo col suo corpo, ma la bestia poteva saltare molto in alto. La evitò, strinse il piccolo tra le fauci e corse lontano portandolo con sé.

Quella sera nella radura non si sentì altro che l’urlo straziato della madre, andò avanti per ore, ininterrotto. Riportò anche gli uomini a casa, ma vi giunsero troppo tardi. La donna era impazzita dal dolore, dovettero fermarla in cinque. Voleva correre chissà dove. Ma urlare in questo modo era pericoloso, se ne accorse lei stessa, avrebbe rischiato di attirare altre bestie. Perciò tenne per sé gli strilli e si dondolò freneticamente sulle ginocchia, nessuno la capiva.

Non avrebbe più stretto il suo cucciolo tra le braccia, mai più. Quella notte e tutte quelle dopo, la donna non tremò più per il freddo, ma per il lutto. Batteva i denti con ferocia, si graffiava le gambe ed era scossa da spasmi violenti. Fu una di quelle notti che sentì di nuovo il suo braccio stretto in una morsa. Era l’uomo, che da quel giorno nella radura non l’aveva più guardata. Ora la fissava, lo sguardo era sempre quello di comando, neppure il messaggio era mutato: “Tremare non serve a niente, devi stare ferma, affronta il dolore, affronta la sofferenza altrimenti morirai”.

Anche questa volta, la donna riconobbe la giustezza del comando, così riprese il controllo del suo corpo, si sciolse delicatamente dalla presa dell’uomo e lo guardò, ma stavolta non si sottomise.

 

Note:

Questa OS partecipa al contest “E storia sia!” indetto da 9dolina0

La Preistoria ha sempre suscitato un certo fascino su di me. La sfida di scrivere su qualcosa di così lontano sotto tanti punti di vista, mi ha stimolato molto. Quello che più ho trovato difficile è stata la descrizione delle relazioni interpersonali, non avendo un vero e proprio dialogo tra i personaggi ho dovuto concentrarmi sulla gestualità e il contatto fisico.

L’utilizzo di periodi brevissimi è voluto. Ho pensato che descrizioni complesse e periodi articolati non si sarebbero adattate bene al contesto, mentre frasi semplici e dirette sarebbero state più adeguate ad un’epoca nella quale manca o è ancora acerbo uno vero e proprio sviluppo del pensiero.

Se vi va di discuterne insieme lasciatemi una recensione!

 

A presto,

Ross

   
 
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