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Autore: InsurgentMusketeer    09/05/2015    2 recensioni
- “Non intendevo offendervi”, replicò il moschettiere rispettosamente, “ma ognuno ha il suo posto nel mondo e, in tutta sincerità, non credo che quello dei moschettieri sia il vostro.”
- "Vi è mai successa una cosa come questa? Rifiutare il distacco da una persona cara, rifiutarlo al punto da non renderle neanche una visita. Ma lei sarebbe stata d'accordo. E' qui che preferisco ritrovarla.”
- “Con chi credi di parlare, brutto idiota?!” esplose la ragazza spingendolo indietro con tutta la sua forza. L'uomo dondolò all'indietro e cadde a terra come un sasso, lasciando al suo posto un rumore sordo e cupo.
Una ragazza, quattro moschettieri, una Parigi stretta nella morsa di mille segreti e strategie. Tra gli inganni orditi dal Cardinale Richelieu e il Conte di Rochefort, questa volta, i valorosi soldati di Tréville non saranno soli: il capitano ha ingaggiato per loro un aiuto molto, molto speciale.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il troppo silenzio che albergava in quella stanza umida si strinse ostinatamente nella cappa di calore prodotta dal sole mattutino, intrappolato nei muri e nelle finestre costellate di vapore. L’atmosfera si era fatta tesa.
Porthos fece un cenno eloquente ad Aramis e il compagno capì. Il moschettiere tirò su col naso e socchiuse gli occhi, concentrandosi: era pronto. Dovevano esserlo entrambi. Guardò Aramis che gli lanciò un’occhiata rassicurante. Strinse le labbra e prese un grosso respiro.
Porthos scoprì le carte che aveva in mano e l’ubriacone dalla barba bianca di fronte a lui sgranò gli occhi incredulo.
Chiudo!” ruggì Porthos saltando su dalla sedia con una risata profonda. Lanciò soddisfatto le carte sul tavolo e si alzò dimenando in aria i pugni. Aramis ridacchiò e battè una pacca sulla spalla all’avversario di Porthos.
“Ti ha stracciato, amico”, disse, “per oggi sono tre franchi.”
“Ha barato!” strillò il vecchio con voce roca indicando Porthos con un dito sottile e nodoso, “ha barato, il mascalzone!”
“Andiamo, nonnetto”, replicò Porthos allargando le braccia, “il gioco è il gioco e la ruota gira. E adesso, se abbiamo finito con i proverbi..”
Tese una mano e mosse le dita verso il palmo. Il vecchio roteò gli occhi infastidito e frugò nella tasca alla ricerca di quanto spettava al moschettiere. Gli mise in mano tre tintinnanti monete e se ne andò barcollando intontito dal vino, borbottando parolacce sottovoce fino a che non fu fuori dalla taverna.
Elly osservò Porthos gongolare e aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto:
“Dimmi che non hai barato.”
Porthos fece spallucce.
“Ovvio che no.”
“Certo che ha barato”, s’intromise D’Artagnan sorseggiando del vino con un mezzo sorriso.
“Bè, il fine giustifica i mezzi. Era così, no?”
“Un po’ squallido applicare questa filosofia all’azzardo”, rispose serafico Athos sollevando un sopracciglio.
Porthos chiuse gli occhi con fare saggio:
“L’azzardo E’ una filosofia. Che volete saperne voi femminucce?”
“Ehi!” protestò Elly. Il moschettiere ridacchiò affondandole il cappello sulla faccia. La ragazza lo risistemò e si rivolse ad Athos.
“Devo proprio tenerlo?” sbottò.
Athos le si avvicinò e le sfregò il naso contro la guancia:
“Non sai ancora di cosa sono capaci gli uomini ubriachi quando vedono una ragazza.”
Lei alzò un sopracciglio e gli sorrise. Poi posò lo sguardo verso Porthos, Aramis e D’Artagnan, seduti al tavolo poco lontano da loro. Il moschettiere più giovane aveva steso le gambe su un’altra sedia di fronte a sé e tutti e tre erano contornati dall’ombra ambrata creata dalla flebile luce delle candele. La ragazza chinò gli occhi e riprese a tormentare il braccialetto al polso. L’incontro di quel pomeriggio le aveva tolto ogni lucidità e qualunque cosa facesse, la faceva distrattamente. La sua mente era rimasta intrappolata all’orfanotrofio, nella stanza di sorella Renée, dal primo all’ultimo pensiero.
Athos si mise davanti a lei oscurandole la visuale dei compagni. Poggiò un braccio contro il muro dietro di lei e la guardò socchiudendo i profondi occhi azzurri.
“Sei strana da oggi pomeriggio.”
Elly trasalì.
“Eh?”
“Hai capito benissimo. Ho detto che sei strana.”
Lei s’inumidì le labbra passandoci la lingua e guardò altrove.
“Non è niente, sono solo un po’ stanca”, mentì.
Athos inspirò a fondo e si schiarì la gola:
“Mi hai appena fornito la prova del contrario.”
“E come avrei fatto?”
“Quando non mi guardi in faccia, mi nascondi qualcosa.”
Elly rimase zitta e chinò il capo.
“Pensavi di essere l’unica a saper osservare e trarre delle conclusioni da quello che vede?” domandò il moschettiere.
Elly fece una mezza risata, lo guardò e lo abbracciò, chiudendo gli occhi. Nascose il viso nella giacca di Athos e lo strinse forte a sé senza dire una parola. Il moschettiere le cinse le spalle con le braccia e le posò un impercettibile bacio sulla testa.
“Che succede?” chiese.
“Vic mi aveva detto che sorella Renée doveva parlarmi.”
“E’ la suora che ti ha cresciuta, vero?”
“Proprio lei.”
“Non dovresti prendere per buono quello che dice quell’idiota a priori, Elly.”
“Invece stavolta aveva ragione.”
Athos sollevò lo sguardo al soffitto, zuppo di umidità e calore.
“Sei andata a parlarci?”
Elly annuì sfregando il viso sulla camicia bianca di Athos.
“Ti..ti ricordi quando siamo stati insieme nella foresta? Il giorno della missione?” gli chiese.
Athos annuì.
“Vi avevo detto che ero stata adottata, che probabilmente ero figlia di una donna che non aveva potuto mantenermi. Vi avevo parlato dei miei fratelli, della rivolta. Dei miei genitori adottivi.”
“Me lo ricordo.”
Elly strinse le labbra e le palpebre:
“Dimentica tutto. Devi dimenticare tutto come ho fatto io. Quella non era la mia famiglia adottiva. Era la mia famiglia naturale.”
Athos s’irrigidì. Sentì Elly tremare contro il suo petto, spaventata, e le sue dita stringere la sua giacca dietro la schiena. Socchiuse le labbra e sospirò.
“Come hanno potuto nascondertelo per tutto questo tempo?” le chiese in un soffio.
Due grosse lacrime bollenti rigarono il viso di Elly. Athos sentì la camicia inumidirsi, ma la lasciò sfogare in silenzio stringendola più forte a sé.
“Ha detto..ha detto che aspettava che crescessi. Ma poi me ne sono andata via con Heléne.”
Sollevò lo sguardo e lo guardò. Athos s’immerse nei suoi grandi occhi liquidi di pianto.
“Era..era la mia vera famiglia. E io l’ho persa tutta.”
Elly si morse il labbro inferiore battendo leggermente un pugno al muro dietro di sé e Athos le prese il viso tra le mani.
“Ci sarà un modo per trovarli”, la rassicurò, “li troveremo, te lo prometto. Se non si sono allontanati da Parigi, in qualche modo salteranno fuori.”
 D’Artagnan, Porthos e Aramis notarono la ragazza col viso basso e intristito e si avvicinarono con discrezione. Aramis le pizzicò una guancia e mormorò:
“Qualche problema?”
Elly scosse la testa.
“Vengono a galla troppe cose nei momenti sbagliati, quando sono meno preparata ad affrontarle.”
Porthos, D’Artagnan e Aramis guardarono Athos interrogativi.
“La suora che gestiva l’orfanotrofio in cui è cresciuta le ha detto della sua vera famiglia”, spiegò il moschettiere, “non l’avevano adottata. Ma sorella Renée gliel’ha tenuto nascosto perché credeva che in questo modo avrebbe sofferto di meno.”
I moschettieri tacquero e D’Artagnan poggiò il bicchiere di vino sul tavolo dietro di sé.
“I tuoi fratelli sono ancora vivi, però”, soggiunse il guascone incrociando le braccia al petto. Elly tirò su col naso e lo guardò.
“Sì. Ma sorella Renée non ricorda nemmeno il loro cognome. È passato troppo tempo e nella rivolta devono essere stati in molti ad aver perduto il proprio nome di famiglia. C’erano molti bambini piccoli nel nostro quartiere.”
Porthos annuì  e battè una lieve pacca sulla spalla alla ragazza. Il cuoio nero e rosso dello spallaccio di Elly produsse un rumore cupo contro il colpo.
“Non sia mai detto che i moschettieri del Re vengano giocati da due ragazzini sopravvissuti a una rivolta”, sentenziò sorridendole, “ora che questa disgustosa faccenda dell’anello si è chiusa, direi che potremmo metterci sulle tracce dei tuoi fratelli. Dico bene?”
Aramis e D’Artagnan fecero un grande sorriso che scaldò il cuore alla ragazza.
Dovunque siano i miei fratelli, voi non sarete mai niente di meno di loro.
“Grazie, ragazzacci”, sussurrò la ragazza con un mezzo sorriso. Porthos spalancò le braccia e lei lo abbracciò ridendo. Allargò le braccia e strinse anche Aramis e D’Artagnan che le scompigliarono i capelli sollevandole il cappello a tesa larga.
La taverna si era svuotata e l’oste puliva distrattamente il bancone con un panno strappato e rigonfio d’acqua. Guardò di sottecchi i moschettieri allontanarsi e quando uscirono, D’Artagnan sollevò lo sguardo al cielo.
“Dev’essersi fatto proprio tardi”, commentò socchiudendo gli occhi.
“Comunque ho barato”, annunciò innocentemente Porthos sollevando le spalle. Elly sorrise e gli diede una manata sulla spalla.
“Ti si leggeva in faccia, criminale.”
“Senti chi parla di criminali. Hai fatto esplodere una piazza.”
Abbiamo fatto esplodere una piazza. Anche se forse avremmo dovuto far saltare anche Mastro Guglielmo.”
“Perché sapete, la sua famiglia ha lavorato anche al servizio dei Medici”, aggiunse Aramis in tono imperioso.
Porthos, Elly e D’Artagnan fecero riecheggiare le loro risa in mezzo ai vicoli bui e umidi che conducevano alla guarnigione. In coda al gruppo, Athos strinse con dolcezza la mano di Elly e lei si voltò sorridendogli.
“Allora anche tu perdi il controllo, ogni tanto”, la stuzzicò il moschettiere. Elly fece una smorfia:
“Ci tenevo a mostrarti il lato più sensibile di me. Mi sono impegnata.”
Lui inarcò le sopracciglia:
“Allora credo di doverti fare i complimenti per l’ottimo lavoro.”
Si fermò, la tirò a sé e la baciò. La ragazza sentì il cuore saltarle in gola e sorrise ricambiando il bacio. Il moschettiere la strinse in un abbraccio e i loro occhi chiusi annullarono qualunque altra vita attorno che non fosse la loro, insieme.
Elly strofinò il naso contro quello di lui e gli sorrise. Sapeva che Athos non avrebbe sorriso di rimando, ma aveva imparato ad amare anche quei suoi lati tanto chiusi. Non c’era crepa da cui non riuscisse a trasparire un raggio di luce e a lei bastava intravederla nei suoi occhi sereni, di tanto in tanto.
“Perché non ci mettete anche una serenata?” li rimbeccò Aramis lasciando riecheggiare la voce oltre il portico della guarnigione, “sareste deliziosi!”
Elly scosse la testa ridendo e Athos fece una smorfia divertita. Li raggiunsero nella caserma e le loro voci si sentirono sempre più lontane oltre il lato del portico che dava sulla strada.
Dietro un angolo di pietra umida di un muro dismesso, Rochefort li osservava con fiato corto.
I suoi stretti occhi chiari brillavano di riflessi ferrei sotto la luce della luna e il suo labbro superiore si sollevò in una smorfia involontaria di fastidio. Qualcosa di rosso come il sangue gli ribollì al centro del petto e strinse i pugni sotto la giacca pesante, affondando la testa più a fondo nel cappuccio. Senza battere le palpebre una sola volta, continuò ad osservare Porthos, Aramis, D’Artagnan. Poi Elly e Athos.
Le sue labbra si ridussero a una fitta linea stretta, il suo respiro si accorciò e il suo battito cardiaco accelerò di colpo.
Quindi è così.
Loro due.
Lei. Con lui.
In un moto di rabbia che lo investì e non riuscì a sfogare, graffiò il muro con le dita mentre Elly si stringeva al moschettiere. Trascinò la mano fino in fondo al muro senza curarsi della pelle bruciata e del sangue che colava giù lungo il dorso e fino al polso. Distese le dita cominciando a sentire un dolore acuto che si propagò fino alla testa. Il sangue gli pulsò rabbioso nelle tempie e si voltò di scatto nel buio, ritornando al palazzo avvolto dal nero della notte.
 
 
 
 
 
 
 
Un bicchiere si frantumò con violenza contro il muro e il vetro esplose in mille minuscoli pezzi che brillavano come diamanti. Il rumore acuto dell’impatto attraversò le orecchie di Milady da parte a parte e sussultò sentendo quel bicchiere esploderle nella testa. Deglutì disgustata e guardò Rochefort immerso nella luce pallida dell’alba tormentarsi le polsiere della divisa e accompagnare ogni gesto nervoso con una smorfia di disgusto. Milady de Winter riusciva a nascondere i suoi sentimenti più reconditi e a camuffarli per trarne vantaggio, ma di fronte a quelle sconsiderate reazioni di Rochefort, non ebbe paura di ammettere che il cuore le tremò nel petto e vide nero davanti ai suoi occhi per qualche secondo.
“Non capisco cosa vi abbia turbato così profondamente di quanto avete visto, Rochefort”, disse spezzando il silenzio. La sua voce rimbombò nella grande sala.
Il consigliere si voltò di scatto verso di lei come una serpe pronta ad attaccare.
“Tacete. Non ho alcun bisogno che voi capiate.”
Lei lo guardò dall’alto dei suoi grandi occhi verdi.
“Sembra che quella ragazza vi faccia un brutto effetto, Rochefort. Eppure, devo mettervi in guardia da lei.”
“State zitta”, sibilò il conte, gli occhi iniettati di sangue e le sopracciglia aggrottate. Ma Milady non aveva intenzione di lasciar avvicinare troppo Rochefort alla ragazza. Avrebbe mandato a monte i suoi piani, i suoi progetti. L’avrebbe inevitabilmente esposta. Doveva assolutamente impedire che Rochefort prendesse altri contatti con lei.
E forse, è stata un avversario decisamente troppo valido per morire per mano tua, Rochefort, pensò. Il mondo sarebbe di gran lunga più noioso, senza lei tra i piedi.
 Alzò lo sguardo fieramente e proseguì.
“E’ un moschettiere, Rochefort. Ed anche inaspettatamente furba e abile.”
“Chiudete quella bocca o vi ammazzerò come un cane rognoso.”
“Ho avuto modo di averci a che fare, non molto tempo fa. La sua tempra non ha nulla da invidiare a quella di qualunque uomo.”
“Ho detto..”
“Ed ha anche la fastidiosa tendenza a..”
Milady rievocò sorridendo il giorno in cui, per ordine di Richelieu, aveva avvelenato la ragazza. Ricordò il modo miracoloso in cui si era salvata, scampando a morte certa.
“..A non arrendersi facilmente.”
Rochefort si voltò di scatto capovolgendo una sedia che si spaccò in due contro il pavimento di marmo. Il rumore produsse un eco profondo che si levò fin sopra il soffitto. Il conte si aggrappò con le dita all’orlo della scrivania intarsiata di legno lucido fino a vedere sbiancarsi le nocche. La bocca si piegò in un ringhio di follia e i suoi occhi divennero vitrei.
“Sparite dalla mia vista”, ruggì sottovoce alla donna, “o giuro sulla mia stessa vita che le mie mani stringeranno così forte quel vostro lurido collo che gli occhi vi schizzeranno via dalla testa. Non vi salverete due volte dalla morte.”
Milady de Winter lo fissò per qualche istante senza l’ombra di esitazione. Qualche istante più tardi gli voltò le spalle e uscì dalla sala sbattendo la porta dietro di sé.
Rochefort ritornò immerso nel silenzio e attaccò le mani al vetro della finestra riflettendo il proprio volto inferocito nel vetro trasparente. Fece aderire i polpastrelli alla finestra finchè riuscì a sopportare il dolore, poi le staccò via lasciando due grossi aloni candidi sul vetro e qualche goccia di sangue vermiglio.
Lo impedirò, disse tra sé chiudendo gli occhi, lo impedirò a costo della mia stessa vita.
 
 
 
 
 
 
 
Porthos strinse le labbra e scosse la testa deluso e abbattuto. Abbandonò le braccia lungo i fianchi e sollevò lo sguardo al cielo, seccato.
“Avreste davvero intenzione di diventare moschettieri in questo modo?” si lamentò rivolgendosi ai cadetti. Porthos li squadrò uno per volta e loro tennero gli occhi bassi. Molti di loro si massaggiavano parti del corpo gonfie e arrossate, qualcun altro cercava di riparare le scarpe rotte nelle esercitazioni. Il ragazzino più grassottello si detergeva il sudore via dalla fronte col dorso della mano, sporco di terra. Una scia nera si trasferì anche al centro della sua fronte e non se ne accorse neppure.
“Sto cominciando a perdere seriamente la pazienza”, borbottò Porthos, “impegnatevi come si deve o potete benissimo girare i tacchi e andarvene.”
Poco lontano, Elly e Aramis sollevarono le sopracciglia.
“Tu che dici?” chiese Aramis alla ragazza. Lei sollevò le spalle.
“Ce ne sono un paio per i quali varrebbe anche la pena provare. Ma gli altri sono tutti troppo distratti, impauriti o scoordinati.”
“Tréville non voleva che venissero qui.”
“Vorrei ben vedere. Con tutto quello a cui abbiamo da pensare ultimamente, i cadetti erano l’ultima cosa che ci servisse tra i piedi.”
D’Artagnan si avvicinò a loro guardando Porthos venirgli incontro col capo basso.
“Ancora niente di fatto?” domandò.
“No” ribattè Aramis, “punto e a capo con tutti loro.”
Elly impugnò la spada e la fece roteare lasciandola sibilare nell’aria.
“Vediamola così”, disse ai compagni, “distraiamoci. Impegniamoci con questi ragazzini e non pensiamo a Rochefort, ai miei fratelli o a qualsiasi altra cosa che..”
La frase le morì sulle labbra quando Porthos si voltò di scatto verso l’entrata della guarnigione. Elly sentì le gambe molli e diverse sensazioni accavallarlesi nello stomaco: prima sconforto, poi incredulità. Infine rabbia e pazienza perduta.
Nel portico era comparsa la solita vecchia faccia di Vic. Il solito corpo smilzo e allampanato, la solita zazzera di capelli neri accasciata sul viso e le spalle, i soliti occhi verdi come i prati in primavera che spuntavano tondi e brillanti al centro del viso sbarbato. Il naso sottile e aquilino e le labbra carnose e strette in una smorfia di disagio. Il ragazzo fece una carezza a Sirio e distolse lo sguardo da lei.
“Non ci posso credere”, mormorò D’Artagnan. Elly ripose la spada nel fodero con rabbia.
“Nemmeno io”, ringhiò infuriata andando incontro al ragazzo.
“Posso sapere cosa diavolo ci fai di nuovo qui?” gli chiese in un soffio a un centimetro dal suo naso.
Vic deglutì a fatica e sorrise con altrettanto sforzo.
“Non..non mi hai trattato esattamente benissimo, l’ultima volta in cui ci siamo visti.”
“Avrei dovuto scoppiare in lacrime di commozione? Saltarti al collo e ridere con la veste candida che mi svolazzava dietro la schiena?”
“Io..”
“Tu un accidente, Vic. Maledizione, quanto sei invadente.”
Vic sospirò e il labbro gli tremò. Elly pensò per un attimo che fosse sul punto di scoppiare in lacrime.
“Cosa vuoi da me, Vic?” gli domandò con un tono più docile, ma stringendo entrambi i pugni lungo i fianchi.
Il giovane la guardò fisso negli occhi. Elly avvertì un uragano nella testa che la riportò a quando era all’orfanotrofio, a quando aveva solo diciannove anni ed era sicura che Vic sarebbe stata la persona con cui costruire qualcosa.
Aveva perso tutto e Heléne e Vic erano la sua unica speranza di riscatto. Sognava che un giorno si sarebbero trasferiti altrove, in un posto bellissimo in cui non si sentivano bambini piangere durante le notti perché avevano paura dei mostri sotto ai letti, in cui i più piccoli s’infilavano nei letti dei più grandi soltanto per sentirsi abbracciare. Non un posto come l’orfanotrofio, in cui anche i più grandi come lei avrebbero voluto piangere, ma non potevano farlo prima di aver consolato i più piccoli. Elly voleva un posto in cui ridere e piangere liberamente, anche nello stesso momento. Lo aveva sempre detto anche a Vic.
“Voglio soltanto che tu ragioni”, le disse Vic riportandola alla realtà e scuotendola per le spalle, “noi possiamo fare grandi cose, insieme. Torna con me, andiamocene via, sposiamoci ora che siamo cresciuti! Noi potremmo..”
Elly si scosse con durezza dalla presa del ragazzo e lo guardò infuriata.
“Adesso arrivi e pianifichi una vita sperando che sarà sufficiente sottopormela, perché io possa accettarla? Mi fai davvero così idiota?” disse alzando il tono della voce. Il suo grido attirò le attenzioni di Porthos, Aramis e D’Artagnan che puntarono gli occhi addosso a Vic con fare minaccioso.
“Se non la smette di importunarla, stavolta mi innervosisco sul serio”, asserì Aramis indurendo il tono. Porthos annuì.
“Fare i gentiluomini troppo a lungo non paga mai.”
Vic s’inumidì le labbra con la lingua.
“Ascoltami Elly, io..”
“Tu niente! L’ultima volta che mi hai promesso qualcosa ti ho trovato con le mani sul sedere di un’altra! Solo perché ti avevo chiesto del tempo! Quanto pensi di risultare credibile?!”
Si avvicinò ancora di più alla sua faccia e i suoi lineamenti così familiari e vicini le fecero montare una rabbia color del sangue dietro agli occhi.
“Ne ho abbastanza delle mezze promesse tradite della gente”, sibilò tremando, “ne ho abbastanza di bugie, di verità nascoste e di situazioni alle quali non sono preparata a reagire. Ho trovato la mia dimensione, Vic. E non la lascerò.”
Lui lasciò cadere rumorosamente le mani lungo i fianchi ed espirò ironico.
“Vuoi davvero fare il moschettiere per tutta la vita?!”
Elly lo afferrò violentemente per il bavero e lo sbattè con la schiena contro il muro. Il ragazzo sobbalzò dolorante e spaventato dall’espressione di acciaio di Elly.
“Hai indovinato”, ruggì, “e tu sei fuori da questa e da tutte le mille vite che mi appresterò a vivere. Hai avuto la tua occasione, mi hai illusa e mi hai delusa. Non ho posto per seconde chance, quando posso darne una sola a chi la coglierà al meglio.”
Fece un cenno col capo dietro di sé indicando i moschettieri, poi si battè l’indice sullo spallaccio producendo un rumore atono.
“Lo vedi questo? È esattamente quello che sono. Sto bene dove sono e ho trovato il mio posto in cui ridere e piangere liberamente, e anche contemporaneamente. Te lo ricordi, Vic? Te lo ricordi, vero?”
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime che velarono le iridi color del mare. Le sue guance si arrossarono e la voce le si spezzò in gola. Lasciò andare la presa sul bavero del ragazzo con disprezzo.
“E’ per colpa di quel moschettiere”, mormorò Vic abbassando lo sguardo, “lo so che è per lui.”
Elly ringhiò e gli puntò un dito in faccia.
“Quando capirai cosa significa trovare la persona con cui speravi di tornare a sorridere con le mani sulle chiappe di un’altra, forse ti renderai conto del valore che ha mantenere la propria parola.”
Vic la guardò di sbieco e notò l’indice della ragazza tremare di nervosismo.
“Io non amo te. Amo Athos. Amo il modo in cui ride in faccia ai pericoli, amo il modo in cui parla, amo il modo in cui si muove, amo il modo in cui non sorride mai e il modo in cui mi dà sempre addosso, quello in cui mi dice che sono un’irresponsabile e una pazza e un’idiota, ma ti dirò di più, amo soprattutto il modo in cui ha capito tutto quello che avevo nascosto dentro e non avevo mai capito nemmeno io.”
Indietreggiò e fra i due regnò il silenzio. Nello stomaco di Vic si annidò un gomitolo di dolore, rabbia e cocente delusione.
“Ti auguro la fortuna che ho avuto io, Vic”, gli disse scacciando via una lacrima dalla guancia, “trova una persona come Athos e ti accorgerai di quanto tempo stai sprecando adesso con me.”
Lo guardò per un altro lunghissimo istante e poi gli voltò le spalle, sperando di non vederlo più.
Vic sentì gli occhi pizzicare e il naso bruciare a contatto con le lacrime. Osservò Elly andarsene lontano da lui, tornare dai moschettieri senza voltarsi. Girò di scatto le spalle, i lunghi capelli neri sferzarono contro il suo viso accartocciato dalla delusione. Corse con lo sguardo basso fuori dalla guarnigione, con una sensazione di disordine e odio contro Athos sparsa in tutto il corpo. Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva l’occasione: si era portato via Elly. Lui aveva sbagliato, ma tutti avevano diritto a una seconda possibilità. Elly gliel’avrebbe concessa, se Athos non si fosse messo tra i piedi.
Raggiunse una fontana e a denti stretti ci gettò sotto la testa. L’acqua gelida gli pervase il capo scivolando lungo il retro delle orecchie e il collo facendolo rabbrividire. Strinse i denti e la sua rabbia aumentava.
Maledetto, pensò, che tu sia maledetto ovunque tu vada.
Riaprì gli occhi nella pozza della fontana e nell’acqua chiara e limpida vide dietro di sé il riflesso duro e metallico di Rochefort.
Si alzò e si girò di scatto verso il consigliere del re aggrottando la fronte.
“Chi siete?” domandò confuso.
Rochefort lo squadrò attentamente da capo a piedi, riunì le mani incrociandole al basso ventre davanti a sé. La massiccia mascella si mosse al ritmo della sua deglutizione. Vic rimase soggiogato dai suoi occhi plumbei e vuoti e da quell’espressione silenziosa, più velenosa del frastuono.
“Un amico”, ribattè languido Rochefort. Vic scosse la testa bagnata:
“Non ho amici così ben vestiti.”
Rochefort fece un mezzo sorriso e avanzò verso di lui. In lontananza si udì il garzone del panettiere gridare.
“Eppure la tua amica moschettiere ha begli abiti, non trovi?”
Vic spalancò gli occhi.
“Chi siete? Che volete da lei?”
Il consigliere scosse lentamente la testa e schioccò la lingua sul palato. Si avvicinò con la bocca all’orecchio del ragazzo e la sensazione di paura del giovane aumentò vorticosamente.
“Sono il consigliere del Re e al consigliere del Re non si rifiutano favori”, sussurrò serpentino, “ho bisogno del tuo aiuto.”
Vic aggrottò la fronte.
“Che volete da me?”
“Tu la ami.”
Vic sussultò e strinse le labbra riprovando ancora il bruciore di odio per Athos.
“Oh, sì che la ami.”
“Io..”
“Hai un modo soltanto per riaverla, e tu lo sai.”
Vic battè più volte le palpebre.
“Non..non credo di capire.”
Rochefort sibilò più forte al suo orecchio.
“Fra te e lei c’è un unico ostacolo da eliminare. E io so che tu vuoi eliminarlo.”
Vic capì e deglutì a fatica. Un lungo fascio di brividi gli coprì le braccia e in quel momento desiderò di essere lontano.
“Ti fa male, non è vero?” domandò Rochefort, “vederla tra le braccia di un altro. Saperla con lui. Sapere che non tornerà più indietro.”
Vic e Rochefort avvertirono la stessa fitta di odio al centro del petto. Athos fu il fulcro dei pensieri di rancore di entrambi.
“S-sì”, balbettò il ragazzo.
Rochefort sorrise.
Uccidilo, Vic”, ringhiò, “uccidi Athos, ed Elly tornerà da te.”
Nella mente del ragazzo quelle parole risuonarono lente, opache e lontane. Sentì la gola secca e gli occhi gli si gonfiarono di lacrime. Rochefort lo afferrò saldamente per la casacca e gli ruggì nell’orecchio.
“Vendicati! Sei cresciuto in orfanotrofio, un figlio di nessuno, famiglia di nessuno. Lei era la sola cosa che avessi. Uccidilo, Vic. Uccidilo.”
Qualcosa si mosse torbidamente nella testa di Vic. Strinse gli occhi e quando li riaprì gli fu tutto più chiaro. Si portò una mano sul fianco sinistro dove teneva la spada. Ne accarezzò l’elsa e guardò dritto negli occhi gelidi di Rochefort.
I due si fissarono a lungo come due gatti litigiosi. Qualche istante più tardi, Rochefort lo superò e sparì tra la folla.
Dietro l’angolo oltre la fontana, Milady De Winter respirava a fatica, lo stretto corsetto verde si sollevava sul petto compresso. Si morse il labbro inferiore e con un piglio deciso si diresse alla guarnigione.
 
 
 
 
 
 
 
“D’accordo, va bene, può andare! Michel, Henri e Aurélien, mi siete piaciuti. Cercate di migliorare con l’impugnatura, è importante. Se la spada vi scappa di mano, nessuno vi darà il tempo di recuperarla da terra. A meno che i vostri avversari non ridano a crepapelle della vostra inettitudine.”
I tre aspiranti si guardarono umiliati tra loro.
Battuti da una donna, pensò risentito Michel mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
“In quel caso”, proseguì Elly con un sorriso che fece arrossire Henri, “cercate di cogliere l’attimo. Sapete come si dice, da qualche parte? “Sarà una risata che vi seppellirà”! Spero sia tutto chiaro.”
I tre ragazzini annuirono in sincrono e le voltarono le spalle con decisione. Elly sciolse la treccia e la ricompose rapidamente raggiungendo Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan al tavolo ai piedi della scalinata.
“Se non altro, cominciano a tenere un certo portamento”, osservò Athos guardandoli con gli occhi socchiusi. Elly alzò le spalle e gli diede un bacio sulla guancia:
“Con un po’ di impegno si impara tutto.”
Si tolse i guanti e la pesante giacca di pelle. Raggomitolò su per il braccio le maniche della camicia nera e sospirò.
“Credo che andrò in panetteria, i cadetti mi mettono fame”, annunciò andando verso l’uscita della guarnigione. Porthos ridacchiò e scosse la testa, sedendosi al tavolo insieme ai compagni. Elly camminò a volto basso stringendo i guanti in una mano: aveva imparato a non guardare la gente mentre camminava, temeva di scoprire le loro storie da qualche piccolo tratto. E aveva deciso che, dopo il suo, non avrebbe voluto più sentir parlare di passati troppo lontani di pochi minuti trascorsi. Alzò gli occhi al cielo e seguì il profumo della panetteria, quando una potente stretta l’afferrò per un braccio facendola sussultare. Il cuore le saltò nel petto e le pupille si espansero sull’iride azzurro quando venne tirata in un vicolo buio e cieco che anche in pieno giorno le sembrò notturno. Quando vide chi l’aveva trascinata a sé, un turbinìo di sensazioni l’avvolsero tutte insieme. Spalancò la bocca e quello che ne uscì fu stridulo.
“Milady De Winter!” gridò nervosa scuotendosi dalla presa della donna. Lei la squadrò con attenzione con i grandi occhi verdi e non fece una piega.
Elly respirò affannosamente e tirò fuori la spada dal fodero facendola sibilare. Fece sfiorare la lama al collo della donna e il sole si riflettè sul ferro lucente.
“Abbiamo un conto in sospeso, io e voi”, ringhiò il moschettiere in faccia alla donna. Milady non cedette ed Elly si sentì sfidata.
“Metti giù la spada, dolcezza” le intimò Milady, “i saluti troppo partecipi mi imbarazzano.”
“Strano che invece vi imbarazzi così poco il vostro lurido trascorso. Facciamo un ripassino?”
“Fortunatamente mi conosco abbastanza bene da poterne fare a meno.”
“Il fatto che siate ancora a Parigi e respiriate regolarmente sottraendo aria a chi ne avrebbe più merito potrebbe essere la causa per la quale questa lama vi affonderebbe con piacere nel collo, Milady.”
“E di tutto quello che hai impiegato tu per dire tutto questo, cosa diciamo?”
“Per lo meno io non respiro da parassita.”
“Quanti complimenti, mia cara. A cosa devo l’onore?”
“Al veleno rognoso con cui mi avete intossicata, chérie. Quello che non mi uccide mi fortifica. E ho pensato che forse, il fiato sprecato per insultarvi sia comunque meglio impiegato del vostro per sopravvivere.”
Milady fece una smorfia e spostò di lato la spada. Elly la fissò truce senza riporre l’arma.
“Abbiamo cose più urgenti di cui parlare”, l’ammonì Milady.
“Io non parlo con gli assassini.”
“Non si tratta di me, né di voi.”
Elly roteò gli occhi.
“Perché dovrei credere anche solo a una parola di quello che esce da quella bocca bugiarda e infima?”
Milady si fermò e il suo viso divenne serio.
“Perché si tratta di Athos.”
Elly ammutolì e distese i lineamenti. La fronte tornò liscia e levigata e le labbra si schiusero in un moto di terrore.
“Lasciatelo in pace”, sibilò tremante, “lasciatelo o vi ucciderò senza nessuna pietà.”
Milady afferrò la camicia della ragazza per il bavero e le puntò gli occhi nei suoi.
“Rochefort vuole farlo uccidere” soffiò la donna con voce bassa e suadente, “allontanatelo da voi, prima che sia troppo tardi.”
Le parole di Milady piovvero su Elly come una cascata di pietre e mattoni. Rimase immobile e la spada le scivolò dalla presa cadendo a terra sulla pietra con un pesante clangore. Deglutì a fatica e si accorse di avere la schiena sudata.
“Co..cosa..?”
“Vuole farlo uccidere” ripetè Milady scandendo, “siete l’unica che possa proteggerlo.”
Elly scosse la testa.
“Non vi credo. È..è tutto un vostro piano per..per..”
“Chiudete la bocca e ascoltatemi. Athos è in grave pericolo, Rochefort lo vuole morto perché ha scoperto la vostra relazione.”
Trattenne il fiato per un attimo: le appariva così strano parlare di Athos in quei toni, rivolgersi alla donna a cui ora apparteneva suo marito. Elly se ne accorse, ma una strana rimanenza di alleanza femminile la travolse e lasciò correre. Milady gliene fu grata e, senza saperlo, le due donne si erano scambiate un favore.
“Se vi vedrà ancora vicini, lo ucciderà”, ribadì la donna, “se davvero tenete a lui, fate il suo bene. Nient’altro di importante.”
La fissò di nuovo intrappolandola nei grandi occhi smeraldini, poi si calò il cappuccio della mantella sulla testa e uscì con decisione dal piccolo vicolo.
Elly rimase come congelata nel vicolo umido e ombroso senza osare ripensare a quanto aveva sentito dal Milady. Si guardò intorno spaurita, come se quella in cui si trovava non fosse la sua città o un luogo che conoscesse.  
Vuole ucciderlo. Vuole ucciderlo.
Di colpo tutto le divenne ostile e gli sguardi della gente che prima erano gentili e cordiali, ora erano soltanto occhiate di pericolo e mistero. Sentì il cuore accelerarle e gli occhi le pizzicarono del sale delle lacrime quando pensò immediatamente ad Athos. Chiunque lì intorno avrebbe potuto essere Rochefort. Chiunque avrebbe potuto ucciderlo, fargli del male. A causa sua, per un motivo che Rochefort aveva stabilito e di cui lei non sapeva nulla.
Non aveva mai provato una sensazione tanto vicina alla cecità. L’impotenza le fece correre lunghi brividi su per la schiena e si portò una mano alla bocca trattenendo a stento le lacrime. Chiuse gli occhi e si trascinò di nuovo alla guarnigione strisciando con la schiena contro il muro.
Destinata a perdere tutti.
Dove sono i miei fratelli?
Li riconoscerei fra mille, ne sono sicura. Se soltanto riuscissi a capire dove sono. Chi sono. Se sono sotto il mio stesso cielo.

Perderò anche Athos. Perderò l’equilibrio, di nuovo, per sempre.
Quando arrivò alla guarnigione trascinò i piedi per terra sollevando dietro di sé una grossa nube di polvere. Deglutì  inumidendosi le labbra secche con la lingua e il contatto con la saliva le fece avvertire una sensazione di nausea. Raggiunse il tavolo e si calcò il cappello sulla fronte senza guardare i compagni. Sentì la mano di Aramis batterle sulla spalla che in quel momento era troppo debole per reggere la pacca. Elly sussultò e si voltò di scatto. Aramis aggrottò le sopracciglia.
“Ehi”, sussurrò, “qualcosa non va?”
Porthos e Athos si voltarono rapidamente verso di lei. Athos avvertì una profonda fitta al petto: Elly era pallida come un cencio e sembrava sul punto di vomitare.
Si chinò su di lei e le sollevò il mento. La ragazza esalò immergendosi nel malinconico blu degli occhi dell’uomo che amava.
“Elly, tutto bene?” le chiese scrutandola. Elly chiuse gli occhi e scosse la testa di lato liberandosi dalla presa di Athos. Si rialzò di scatto e si allontanò dal tavolo. D’Artagnan si scambiò un’occhiata con Porthos e raggiunse la ragazza tirandola a sé per una spalla.
“Se c’è qualche problema devi dircelo, Elly”, l’ammonì il giovane. Le puntò i grandi occhi castani addosso ma lei non reagì. Porthos la osservò preoccupato e si stupì: sembrava completamente fuori di sé.
“Stai male?” le chiese Athos poggiandole il dorso della mano sulla fronte.
“Lasciami in pace”, ribattè in un soffio la ragazza scansandogli la mano. Athos aggrottò la fronte e indietreggiò.
“Che ti prende?”
“Niente, voglio..voglio che mi lasci in pace.”
Athos si scambiò un’occhiata con gli altri e un lampo di rabbia balenò nei suoi occhi.
“Chi hai incontrato?” domandò.
Elly strinse le labbra e fece per voltargli le spalle, ma lui l’afferrò saldamente e la girò ancora verso di lui, a un soffio dalle sue labbra.
“Voglio sapere cos’è successo e chi hai visto fuori dalla caserma”, scandì furioso. Un flusso bollente cominciò a muoverglisi nelle viscere e i tre compagni dietro di lui rimasero immobili e silenziosi, sospesi in mezzo a troppe possibilità.
“Vattene, Athos.”
Ti prego lascia che ti dimostri che ti amo, pensò con dolore la ragazza, non m’importa se mi odierai.
“Non costringermi ad urlare.”
“Athos..”
“Non..costringermi..ad urlare.”
Elly gli puntò gli occhi addosso e si sforzò di tenerli più aperti possibile. Più credibili possibile.
“Ho incontrato Vic”, disse d’un fiato, “torno da lui. Lasciami perdere.”
Seguì il silenzio.
Athos rimase come pietrificato. Digrignò i denti dietro la guancia e trattenne un impeto caldo di lacrime che gli affiorava alle ciglia, il cuore gli perse qualche battito nel corpo.
“Non ci crederò mai.”
“Non costringermi a dimostrartelo.”
“Non puoi.”
“Posso.”
“No, non puoi.”
“Va’ via, Athos.”
“No.”
“Noi non..non ci siamo promessi niente, moschettiere. Non ci siamo annodati in nessun vincolo. Io sono mia e tu sei tuo.”
Aramis fece un passo in avanti col cuore che batteva all’impazzata, ma Porthos lo afferrò per un braccio fermandolo. D’Artagnan battè le palpebre più volte e schiuse le labbra muovendole lentamente.
Athos trattenne il fiato ed Elly insieme a lui. Tutto quello che passava tra loro due erano i riflessi color mare dei loro occhi. Uno dentro l’altra come il mare e il cielo, senza parlare, come tante altre volte era successo.
“Dimmi che non è vero”, mormorò Athos, “dimmi che non è vero e dimenticherò tutto.”
Elly alzò lo sguardo al cielo e ricacciò indietro una lacrima ardente.
“E’ vero.”
Ti amo, Athos.
Athos la scosse per le spalle.
“Devi guardarmi negli occhi!” urlò. Uno stormo di uccelli volò via stridendo spaventato dalle grida del moschettiere. Elly riuscì a intravedere le note di disperazione nella sua voce sfumata dal pianto e dalla rabbia e si chiese se non fosse troppo tardi per tornare indietro, dirgli tutto, mettersi in salvo insieme a lui. Si chiese se ne stesse valendo la pena e se sarebbe mai servito davvero a qualcosa strapparsi il cuore dal petto di nuovo, lanciarlo contro un muro e lasciarlo per terra a sanguinare fino all’ultima goccia.
Mantenne il viso di marmo e si costrinse a farlo.
Ti amo, Athos.
“E’ vero”, scandì senza smettere di guardarlo negli occhi. Athos abbandonò le mani lungo le sue braccia e lasciò lentamente la presa. Elly considerò la sfida vinta. L’ennesima sfida tra due persone che non erano mai riuscite a prevalersi davvero.
Il moschettiere indietreggiò senza smettere di guardarla. Sentiva le gambe deboli e proseguì all’indietro per fissare nella mente ogni dettaglio del volto di Elly. Lei resse il suo sguardo, ancora un’altra sfida. Il moschettiere le voltò le spalle e se ne andò.
Elly sentì lo stesso dolore che ricordava il giorno in cui le dissero di Heléne. Ritrovata a marcire nel letto di un fiume, come fosse stata una persona qualunque. Un’ombra qualunque. Ma lei non era un’ombra qualunque. Era tutto ciò che le era rimasto prima di assaggiare l’amaro della solitudine, il veleno di troppe mandorle mandate giù tutte insieme. Lo stesso dolore che aveva avvertito il giorno in cui sorella Renée le aveva raccontato la verità. Credeva di esserci abituata, ormai. Non lo era affatto.
Ti amo, Athos. Credimi. Mi crederai.
Porthos e D’Artagnan raggiunsero Athos più in fretta che poterono ed Elly abbassò lo sguardò. I due moschettieri si fermarono a guardarla negli occhi e lei fu al sicuro: non aveva più bisogno di mentire. Lasciò che gli occhi le si gonfiassero di lacrime e ne liberò qualcuna giù per la guancia gelida. Porthos e D’Artagnan si scambiarono un’occhiata. Il guascone lestrinse una spalla e annuì, Porthos le asciugò via una lacrima dal viso. Elly fu felice di non aver dovuto parlare, spiegare. Fu felice che le lacrime fossero state utili, una volta tanto. Porthos e D’Artagnan avevano capito, e tanto era sufficiente. Li sentì sparire correndo dietro di lei e chinò il capo quando Aramis si avvicinò a lei. Elly chiuse gli occhi e il moschettiere la strinse a sé. Elly inspirò a fondo l’odore di cuoio della giacca e dello spallaccio del compagno e strinse forte la sua giacca dietro la sua schiena singhiozzando silenziosamente.
Aramis chiuse gli occhi e li riaprì dopo una manciata di secondi. Afferrò il giovane moschettiere per le spalle e la guardò negli occhi.
“Qualunque cosa sia successa, l’affronteremo insieme”, le sussurrò. Lei scosse la testa energicamente.
“No. Non stavolta.”
Aramis puntò lo sguardo davanti a sé.
“Lo sai, non fai più paura quando stai così.”
“Forse a te. Io mi faccio più paura di prima.”
Aramis sbuffò ironico.
“Non più di quanta ne farebbe un bambino come il Delfino.”
Elly percepì una sfumatura che s’immaginò coi toni del rosa quando il moschettiere pronunciò quell’ultima parola. Sollevò il viso e guardò oltre il portico.
“E’ tuo, non è vero?”
Aramis trasalì e si voltò di scatto verso di lei socchiudendo gli occhi. Il suo cuore accelerò.
“Cosa?”
La ragazza lo guardò con gli occhi arrossati dal pianto, montati su un viso di marmo che ostentava fermezza.
“Il Delfino. È tuo, vero?”
Il compagno la squadrò dalla testa ai piedi, strinse le labbra e chinò il capo. Elly intravide un piccolo cenno di assenso il quel gesto e annuì debolmente a sua volta, tacendo insieme ad Aramis.
Nel silenzio i due udirono un miagolìo riecheggiare sotto il portico. Un grosso gatto dalle mille striature e il muso giallo e nero li scrutava guardingo e sull’attenti. Fiutò l’aria, poi voltò le spalle e scappò nella direzione opposta.
“Sei sempre stata libera e sfuggente, come i gatti”, le disse Aramis senza guardarla. Elly si asciugò gli occhi con il dorso della mano e si fece del male chiedendosi dove potesse essere Athos in quel momento. Lontano da lei, che si sentiva già in pericolo senza di lui.
“Quando sentono la morte sopraggiungere, i gatti si allontanano da casa”, rispose a fior di labbra, “sono impreparati e spaesati. Non sanno morire. Pensano di essere semplicemente stanchi.”
Si prese il labbro inferiore in quello superiore e si avvicinò ad Aramis sentendo freddo, nonostante il sole.
“Preferiscono morire da soli. Lontani da chi potrebbe soffrirne più di loro.”
 






Rieccoci qua!
Perdonate l'assenza, amatissimi: l'università mi toglie troppo del tempo che vorrei impiegare in questa storia che ormai volge quasi al termine. Mi siete mancati tantissimo e nel frattempo siete anche aumentati! Non finirò mai di ringraziarvi.
Spero di garantirvi una puntualità maggiore, specie per questi ultimi capitoli che ci rimangono da trascorrere insieme :) Vi amo sempre con tutto il cuore! Grazie come sempre!
Vostra
InsurgentMusketeer.
   
 
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