Grazie di cuore a Witchligh per la bellissima copertina!
1- L'INIZIO DOPO LA FINE
"Io
vado".
Mi infilai velocemente le scarpe, sistemandomi poi la
tracolla sulla spalla. Non feci un tempo a fare un passo verso la
porta che mia madre comparve dalla cucina.
"Mi raccomando",
disse sorridendo emozionata.
Alzai gli occhi al cielo. "Mamma,
non vado in guerra", risposi scherzando.
"Lo so,
però...".
"Va tutto bene, mamma. È solo il primo
giorno di scuola".
"Lo so", ripeté mentre il
labbro inferiore le tremava e gli occhi le si inumidivano. "Era
da tanto che non ti vedevo così bella".
Il sorriso mi morì
sulle labbra, capendo all'istante cosa volesse dire. "Sono come
sempre", ribattei.
Lei prese un respiro profondo, cercando
di trattenere le lacrime. "Lo dai un abbraccio alla tua mamma
prima di andare?".
Non potei fare a meno di sorridere e
annuire, avvicinandomi e lasciandomi stringere dalle sue braccia
calde e profumate. Solo lì mi sentivo a casa e al sicuro,
coccolata
da quell'aroma che mi aveva accompagnata per tutta la vita e che mi
tranquillizzava ogni volta. Mia madre era un po' svampita,
decisamente emotiva e a volte rompiscatole, ma sapeva meglio di me
quando avevo bisogno di uno dei suoi abbracci, così come
quel
giorno.
Potevo capirla, in fondo. Era dalle medie che non avevo
un vero e proprio "primo giorno di scuola". Negli ultimi
anni avevo sempre studiato da privatista e tornare in mezzo agli
altri ragazzi, frequentare le lezioni, studiare, fare i compiti era
qualcosa che, forse, scoinvolgeva più lei che me stessa. Io,
in
fondo, me ne ero fatta una ragione, ma sapevo che mia madre stava
ancora soffrendo per quello che era successo la primavera prima e
faceva sempre fatica ad accettare novità così
grosse.
Ma, in
fondo, era per quello che le volevo così bene.
Mi staccai
dall'abbraccio, dandole un bacio sulla guancia. "Ci vediamo
pomeriggio", le dissi con un sorriso.
Lei annuì,
accarezzandomi i capelli. "Fai a vedere a tutti quanto vali,
Chiara".
"Come sempre", affermai sicura, uscendo
poi di casa dopo averla salutata con un gesto.
Fuori dalla porta
mi fermai un attimo per prendere un grosso respiro.
Alzai gli
occhi verso il cielo di inizio settembre, leggermente illuminato dal
primo sole che stava sorgendo.
In quel momento iniziava una nuova
parte della mia vita e dovevo farmene una ragione. Sarebbe stato
difficile, avrei sofferto, ma non avrei mollato. E se un giorno
avessi perso la speranza, mi sarei ricordata di mia madre, quella
donna stupenda che aveva sempre assecondato ogni mia passione e che
mi aveva supportato fino alla fine, forse anche oltre.
Sorrisi di
nuovo e uscii dal vialetto di casa, chiudendomi il cancelletto alle
spalle. Mi incamminai verso la fermata dell'autobus che distava meno
di cinque minuti di cammino.
Cercai di non fare vagare i pensieri
e mi concentrai su quello che mi trovavo davanti. Nonostante abitassi
in un piccolo paesino e nonostante fossero appena le sette del
mattino, le strade erano più trafficate di quanto mi
aspettassi e,
lungo la via, incontrai anche altri ragazzi che conoscevo solo di
vista. In fondo, non avevo mai interagito molto con loro, non tanto
perché fossi timida, ma perché negli ultimi
cinque anni avevo
passato praticamente tutta la mia vita in palestra.
Passai di
fianco al parchetto dove andavo sempre da bambina e, d'istinto,
lanciai un'occhiata al grosso albero sul quale avevo imparato a fare
le capovolte. Avevo tanti ricordi legati a quel posto e troppi,
purtroppo, erano qualcosa che ormai non possedevo più.
Scossi la
testa per scacciare quei pensieri. Non potevo farmi contagiare dalla
tristezza di prima mattina, soprattutto in una giornata così
speciale.
In pochi minuti arrivai alla fermata e, preso il
biglietto dal portafoglio, mi guardai intorno, incontrando lo sguardo
curioso di alcune ragazze. Abbozzai un sorriso di saluto nella loro
direzione, ma non dissi nulla. Sapevo benissimo cosa stavano pensando
e, dopotutto, quello era il brutto di abitare in un piccolo paese.
Tutti sapevano del mio incidente e, soprattutto, tutti sapevano della
mia passione. Non me ne ero mai curata molto, ma sentire gli sguardi
della gente addosso era davvero fastidioso. L'ultima cosa che volevo
era essere compatita ed era esattamente ciò che quelle due
ragazze
stavano facendo.
"Ehi Chiara!". Mi voltai di scatto e
sorrisi.
Greta era l'unica ragazza del mio paese con la quale
avevo mantenuto un buon rapporto. L'avevo conosciuta in prima media
e, nonostante l'anno dopo avessi lasciato la scuola, avevamo
continuato a tenerci in contatto e potevo benissimo considerarla la
mia migliore amica.
"Ciao", la salutai.
"Come
va? Sei nervosa? Immagino di sì, in fondo non conosci
nessuno a
parte me".
Trattenni a stento una risata di fronte alla sua
solita parlantina. Quello era un tratto caratteristico di Greta e
adoravo la sua schiettezza, anche se a volte rasentava addirittura la
maleducazione. Ma lei era fatta così: sincera fino al
midollo,
sempre, ed era l'unica che mi diceva le cose in faccia senza paura di
offendermi. Quell'estate era stata proprio la sua presenza che mi
aveva aiutata a risollevarmi e per quello le ero estremamente grata.
"Sono un po' nervosa, ma se non mi abbandoni andrà tutto
bene".
"Tranquilla", disse lei facendomi
l'occhiolino. "Ti starò attaccata come una sanguisuga".
Risi, mentre vedevo il pulman girare la curva e avvicinarsi a
noi. Salimmo e seguii Greta verso il fondo. Si sedette accanto a due
ragazzi, nei posti a quattro, e mi fece segno di imitarla.
"Ragazzi,
lei è Chiara. Chiara, loro sono Filippo ed Elisa. Sono in
classe con
noi".
Li salutai con un sorriso, appoggiandomi la tracolla
sulle gambe. Il pullman era piuttosto affollato e c'erano parecchie
persone in piedi, quindi ringraziai mentalmente gli amici di Greta
per aver lasciato liberi quei due posti.
"Hai sentito
Lorenzo quest'estate?", chiese Elisa a Greta mentre il mezzo
ripartiva. Lorenzo era il ragazzo di Greta, quello con cui faceva
tira e molla da più di due anni e che io non avevo mai
incontrato.
La mia amica annuì. "Sì, ma diciamo che avevo
di meglio da fare", rispose, lanciandomi un'occhiata complice e
un mezzo sorriso. Mi sentii un po' in colpa per quelle parole: Greta
aveva passato l'estate con me e aveva trascurato il suo ragazzo per
non farmi sentire sola.
"Tornerete di nuovo insieme?".
Greta fece spallucce. "Probabilmente", disse solo.
"Ma
ti piace?", le chiesi io d'impulso. Nonostante la sua
parlantina, Greta era molto riservata quando si trattava della sua
vita privata e non mi aveva mi parlato molto della sua relazione con
Lorenzo e quindi sapevo poco, sicuramente di meno di Elisa, che mi
guardò sorpresa.
"Se le piace?" esclamò. "Dio, è
completamente cotta".
Ridacchiai, mentre Greta arrossiva.
"Non sono cotta di nessuno, io".
"Certo, certo",
la zittì l'amica. "Però ogni volta che lo vedi
gli fai gli
occhi dolci come un pesce lesso".
"Non è vero",
ribatté. "Chiara non crederle. Io non sono un pesce lesso".
"Oh, invece sì", continuò Elisa, facendomi
l'occhiolino. "Lo vedrai tu stessa quando lo conoscerai".
Greta borbottò qualcosa, imbarazzata, mentre io ed Elisa
ridevamo delle sue espressioni.
La mezz'ora di viaggio passò in
fretta e, quando scesi dal pullman che si era fermato davanti al
piazzale della scuola, mi trovai a pensare che non era stato per
niente difficile fare amicizia e sperai che fosse così anche
per il
resto della classe.
Filippo ci salutò con uno sbadiglio e si
incamminò a passo dondolante verso l'istituto; Greta ed
Elisa,
invece, si fermarono poco davanti il cancello e si accesero una
sigaretta. Come ogni volta, lanciai un'occhiataccia alla mia amica,
che si limitò ad abbozzare un sorriso. Certo, quella era una
scelta
sua e io forse ero troppo fissata su quelle cose, ma non mi piaceva
proprio vederla fumare.
In ogni caso non dissi nulla, limitandomi
a seguire il discorso delle due su qualche professore che non
vedevano l'ora di incontrare. Ironicamente, presumevo.
Appena
entrammo nell'istituto mi fermai davanti all'ingresso, sorpresa. La
quantità di persone che vagavano nei corridoi era immensa,
chi con
aria assonnata e un caffé in mano, chi già pieno
di energie, ma
tutti sembravano piuttosto contenti di trovarsi lì, se non
tanto per
la scuola in se, proprio per le persone che avevano incontrato di
nuovo dopo tre mesi.
Elisa e Greta andarono a controllare il
numero della classe per quell'anno e, tornate da me, mi fecero fare
l'intero giro della scuola prima di raggiungerla. Ovviamente ci avrei
messo un po' ad ambientarmi, ma almeno avevo scoperto dov'erano i
bagni, la segreteria e altri posti essenziali.
Quando arrivammo
alla classe successe l'inevitabile: tutti si voltarono a guardarmi,
sorpresi, e arrossii. "Ciao", mormorai, stringendo le dita
attorno alla spallina della tracolla.
"Ragazzi, lei è
Chiara, la mia migliore amica". Mi sorrise rassicurante.
"Chiara, loro sono Alice, Claudia, Caterina, Filippo che hai
già
conosciuto, Luca, un'altra Chiara...".
Dopo i primi nomi mi
ero già persa e li avevo scordati subito tutti. Avevo
davvero una
pessima memoria e sapevo già che avrei impiegato parecchie
settimane
a ricordarmeli tutti.
"Ehi, aspetta!", mi richiamò una
ragazza.
Mi voltai verso quella voce e mi immobilizzai sul posto.
Conoscevo quello sguardo e quel tono e, forse, sarebbe stato peggio
di quanto mi ero mai immaginata.
"Ti riconosco, tu sei
Chiara Fumagalli, quella in Nazionale Italiana di ginnastica
artistica".
Strinsi le labbra, percependo addosso gli occhi
di tutti. Sì, era decisamente peggio del previsto.
Greta mi si
avvicinò, dispiaciuta e mi abbracciò mentre io
rimanevo lì,
immobile, incapace di agire. Cosa avrei dovuto rispondere?
Sì, sono
io?
No, io non ero più in Nazionale. Quindi no, io non ero
"Chiara Fumagalli, quella in Nazionale Italiana", io ero
semplicemente Chiara e avrei dovuto imparare ad accettarlo.
Però...
però in fondo Chiara era anche la "Chiara Fumagalli, quella
in
Nazionale Italiana" o, almeno, lo ero stata e non c'era alcun
bisogno di nasconderlo.
Per questo sciolsi l'abbraccio e annuii.
"Sì, sono io".
Era l'inizio di una nuova vita e non mi
sarei fatta sconfiggere di nuovo.