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Autore: Mary P_Stark    10/05/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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Note: Mi scuso con tutti/e per il ritardo nel postare questo capitolo, ma il modem aveva deciso di abbandonarmi, così ho dovuto attendere il sostituto.
Ora tornerò a postare con regolarità a fine settimana, perciò, buona lettura.






X. Approaching.
 
 
 
 
 
«Stiamo facendo di tutto per trovare la falla nel sistema, Nickolas-san, posso giurartelo su quanto ho di più caro...» mormorò affranto Noboru, passandosi una mano tra i capelli brizzolati. «... e, nel frattempo, speriamo che ritrovino alla svelta Cameron-chan. Non posso neppure immaginare quanto tu sia preoccupato.»

«Sono sicuro che riuscirete a capire cos'è successo» riuscì a dire Nick, lo sguardo puntato oltre la figura tridimensionale di Tashida.

I suoi occhi erano solo per il figlio, che stava ascoltando silenzioso la video telefonata, gli occhi oceanici colmi di un odio che mai, in quegli anni, gli aveva visto scorrere dentro.

Ma di che stupirsi? L'amato fratello era rimasto invischiato in un gioco più grande di loro, e ora la sua salvezza era nelle mani di pochi ragazzi.

Non certo in quelle della polizia, collusa con i Tashida o con chissà chi altro.

«Immagino che anche Hannah-san e Domenic-chan siano in ansia. Rassicurali. Stiamo facendo tutto il possibile per trovare il bandolo della matassa.»

«Lo farò. Grazie, Noboru-san» mormorò Nickolas, quasi fracassandosi i denti per la tensione nervosa.

Ancora un po', e lo avrebbe ingiuriato a male parole.

Come poteva guardarlo con occhi così affranti, dopo quello che aveva fatto?!

La video telefonata si chiuse e Nick, imprecando vistosamente, si passò una mano tra i capelli ed esclamò, rivolto al figlio: «Sei assolutamente sicuro di quello che mi hai detto?»

Domenic annuì, torvo in viso non meno di Hannah, in piedi accanto a lui.

Beau e Rena, seduti sul divano, fissarono vicendevolmente i tre amici e quest'ultima, lapidaria, ringhiò: «Ha avuto una faccia tosta senza limiti, quell'uomo.»

«Oh, in realtà gli spiace davvero» replicò sprezzante Domenic, ghignando gelido. «Ci tiene sul serio a Cam, in un certo qual modo. Il vero mandante è Nobu. Di questo, sono assolutamente certo.»

«Ma non puoi fornire le prove...» sospirò Nickolas, abbattuto.

«Il problema di questi programmi ombra è che possono essere letti sul PC di origine – dopo averli scovati, ovviamente – ma, se si prova a scaricarli, vengono automaticamente criptati. Ho inserito un programma di decrittazione, e sta lavorando al massimo delle sue potenzialità, ma ci vorrà tempo.»

Il tono di Domenic fu funereo.

Hannah gli batté una mano sulla spalla, consolatoria, e lui le sorrise un poco. Il sorriso, comunque, non raggiunse mai gli occhi.

«E intanto Cam è chissà dove, e la sua unica difesa è Yuki.»

Dom annuì, sperando ardentemente che a nessuno dei due succedesse nulla. Non lo avrebbe mai sopportato.

«Bryce li troverà e li condurrà alla base americana di Zama, a Tokyo. I piani, per lo meno, sono questi» mormorò il giovane, lanciando un'occhiata a uno degli agenti CIA presenti in casa.

Sapeva di non poter essere più specifico, ma almeno quello poteva dirlo.

Meno persone avessero saputo cosa c'era realmente in ballo, meglio sarebbe stato per tutti.

Bastava anche un minimo accenno alla persona sbagliata, e sarebbe successo un dramma.

L'agente CIA, tastatosi un istante il lobo dell'orecchio, dove portava un auricolare quasi invisibile, annuì e disse: «Tyler vuole un aggiornamento della situazione, e la registrazione della chiamata.»

Domenic non riuscì a trattenere l'irritazione e, dopo aver lanciato un'occhiata al soffitto, esasperato, raggiunse il video telefono, armeggiò al suo interno per un attimo e sbottò: «Dovrebbe chiedere il pre-pensionamento, ecco cosa! Non può aspettare che sia io a chiamarlo? Non ho mai mancato di farlo!»

L'agente si limitò a guardarlo senza espressione e ripeté: «Aggiornamento e registrazione, Domenic.»

«Mi sembra di essere tornato al training camp» brontolò il giovane, afferrando la scheda di memoria del telefono, quasi desideroso di romperla. «Mi tratta come se fossi un bamboccio.»

«E' preoccupato che tu perda di vista la missione, visto che è implicato tuo fratello» replicò l'agente, atono. «Non si può certo dire che voi cervelloni abbiate il nostro stesso addestramento, per simili occasioni.»

Domenic non gli diede il tempo di dire altro.

Fu da lui in un breve battito di ciglio e, prima ancora che Beau o Nickolas potessero fermarlo, scaricò un destro all'agente, che venne colpito in pieno volto.

Subito, altri due agenti in nero comparvero nella stanza, afferrandolo per le braccia e, mentre gli animi si scaldavano, il più anziano dei due esclamò: «Diamoci tutti una maledetta calmata, va bene?!»

L'agente colpito ringhiò un insulto, trattenendosi a stento dal rispondere al colpo e Domenic, fissandolo con occhi lividi, sibilò contro di lui, pronto a colpire di nuovo.

«Maledizione, ragazzo, stai buono! Non ho intenzione di tramortirti proprio davanti ai tuoi genitori!» sbottò l'agente anziano.

Hannah fece per replicare alla minaccia, già pronta a difendere il figlio, mentre Nick e Beau aggrottarono parimenti la fronte.

Rena, invece, si alzò lesta dal divano per afferrare il marito alla vita, preferendo evitare guai. Sapeva quanto potesse diventare attaccabrighe, se l'occasione lo richiedeva.

Il terzo agente, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, dichiarò calmo: «Rogers, esci di qui immediatamente. E vedi di iscriverti al prossimo corso per deficienti matricolati in attesa di ravvedimento.»

L'agente colpito borbottò un altro insulto ma annuì, uscendo a grandi passi dalla stanza.

Subito, gli altri due lasciarono andare Domenic che, rimessosi diritto con gesti nervosi, fissò malamente coloro i quali gli avevano impedito di completare la sua opera.

«Cristo, Dom, e dire che dovresti conoscere Rogers! Quante volte avete cooperato? Quattro? Cinque? Lo sai che non ha filtri tra cervello e bocca!» lo redarguì bonariamente il più giovane tra gli agenti, dandogli un colpetto alla spalla.

Domenic non poté trattenere un sorrisino, ma non si scusò per il pugno all'agente. «Lo meritava tutto, quel pugno. E' da quando ha messo piede in casa, che fa lo stronzo. E non può permettersi di trattarmi come un lattante. L’ho tirato fuori io, da Mogadiscio, se non lo ricorda» ringhiò Dom, facendo rabbrividire l’agente per quell’accenno a una missione segreta e, di certo, non ufficiale.

«Lo sostituirò con Perkins. Andate d'accordo, no? Non voglio un altro occhio nero in giro» gli propose allora l'agente.

Dom osservò l'agente anziano, ghignante, e annuì. Di lui, si era sempre fidato.

«Gran destro, ragazzo, ma non pensare di fare fesso anche me a quel modo. Io sono un tantino più scaltro di così» gli confidò Perkins, intrecciando le braccia nerborute sul petto.

«Non mi permetterei mai, credimi.»

«Bene. E ora, per favore, chiama quello scocciatore di Tyler, prima che gli venga un infarto. Non oso pensare a che supervisore potrebbero appiopparti, se quello ci lascia le penne per un attacco di nervosismo all'ennesima potenza.»

Con una pacca sulla spalla e un 'vai', l'agente – che Dom chiamò Edwards – lo osservò allontanarsi a grandi passi.

Quando, però, volse lo sguardo verso i presenti, tornò serio e disse: «Scusate l'incidente. Rogers non metterà più piede in casa. Purtroppo, l'Agenzia offre questo, al momento.»

Ma a Hannah non interessava affatto questo. Le interessava ben altro.

Rivolgendosi all'agente Edwards, gli domandò: «Con 'lavoro', che intendeva, prima?»

L'uomo le sorrise bonario e si limitò a dire: «Si scordi i film di spionaggio, Mrs Van Berger. Suo figlio è il classico topo da laboratorio e, solo occasionalmente, esce per vere escursioni in loco.»

«E quando esce, è scortato?» sbottò la donna, non vedendoci chiaro.

Grattandosi una guancia, l'agente sbuffò contrariato, ma parlò.

«Senta, parte di quello che fa suo figlio è protetto da segreto d’ufficio, quindi non le posso dire nulla. Sappia soltanto che le sue capacità ci servono per sventare potenziali minacce alla Nazione e che, grazie a lui, un bel po' di giovani con lo stesso genio hanno evitato la galera. Le può bastare?»

«Per niente. Specialmente se tizi come quel... quel Rogers sono deputati alla sua sicurezza» brontolò Hannah, facendo sorridere i due agenti.

«Rogers è un'ottima spalla, e sa … beh, insomma, sa fare bene il suo lavoro. Solo, è meglio se non apre bocca.»

«Ho notato» sibilò la donna, con sguardo adamantino.

Perkins allora ridacchiò e, omaggiando la donna di un sorriso sincero, chiosò: «Ora so da chi, Dom, ha preso il caratterino. Ha un bravo figliolo, Mrs Van Berger, e ha aiutato il suo Paese e l'Agenzia in mille modi diversi. Personalmente, mi spiace che siate finiti invischiati in questo problema, ma nessuno vi porgerà ufficialmente delle scuse. Non funziona così, purtroppo.»

«Mi basta che mio figlio torni a casa. Delle scuse non me ne faccio nulla.»

Ciò detto, abbandonò a sua volta la stanza, e Rena le corse dietro per essere certa che stesse bene.

§§§

Ringraziando i Santi in Paradiso, il Niņo, la Niņa, la Corrente del Golfo, il Vulcano Kilauea e tutto quello che gli venne in mente, Bryce osservò il cielo schiarirsi con un grande sorriso.

Phie non fu esattamente dello stesso avviso.

La temperatura sarebbe crollata, visto che era mezzanotte passata, e la neve sulla strada sarebbe diventata ancor più pericolosa.

Ma non potevano fermarsi, non ora che era possibile seguire il segnale del localizzatore di Yuki.

A quanto pareva, non si erano più spostati da Miyazawa, e la ragazza sperò non significasse qualcosa di brutto.

Non avrebbe accettato di non aver fatto abbastanza per Cameron.

«Phie...»

«Dimmi, Bryce.»

«Non sappiamo esattamente cosa troveremo, una volta giunti a Miyazawa, perciò vorrei che rimanessi in auto e lasciassi che, prima di tutto, controllassi io il perimetro.»

Il tono dell'amico non era il solito. Non era il classico Bryce Kendall, tutto sorrisi e battute di spirito.

Ora era l'investigatore Kendall, serio e diligente. E maledettamente rigido nei suoi propositi.

Non avrebbe accettato un no, come risposta, Phie lo capì non appena lanciò un'occhiata nella sua direzione.

«Cosa vuoi che faccia, esattamente?» riuscì a dire, pur sentendosi male all'idea di non partecipare direttamente all'azione. Non era una bambina, accidenti!

«Mi muoverò per primo, controllando ciò che ci circonda e, solo se necessario, ti chiamerò. Non muoverti per nessun motivo, se non ti chiamo. Ci siamo capiti?»

«Sai cosa mi stai chiedendo, vero?» mormorò Phie, la voce roca e dolente.

Lui accennò un sorriso, ma scosse il capo. «Non mentirò, Phie. Non lo so davvero. E' evidente che ami Cam, al punto da rischiare la tua vita per lui. Ed è bellissimo, ma no, non so cosa vuol dire.»

«Sei qui. E' la stessa cosa.»

«Cam è mio amico. Ma non ho nessuna intenzione di baciarlo, quando lo troveremo» ridacchiò Bryce.

Phie gli fu grata. Era evidente quanto l'amico cercasse di alleggerire la tensione di quel momento, visto soprattutto quanto le stava chiedendo di non fare.

«Farò quello che mi dici. Promesso. Mi muoverò solo se mi chiamerai. O se passerà troppo tempo dalla tua entrata in scena, va bene?»

«Mezz'ora. Se non senti nulla dopo trenta minuti, vieni pure a cercarmi.»

Armeggiò col cellulare di Phie e, dopo averlo risistemato in bell'ordine, aggiunse: «Seguimi con il GPS integrato. Ora il segnale è attivo.»

«Va bene» assentì la ragazza, tornando a guardare la strada e il navigatore satellitare. Miyazawa era a due ore da lì.

Sperò solo che non fosse troppo tardi.

§§§

Gli abiti asciutti e caldi diedero un po' di respiro ai due giovani che, sdraiati accanto alla caldaia e coperti dai ruvidi panni, stavano tentando di assopirsi.

La mezzanotte doveva essere passata da tempo e, all'esterno, si intravedeva la luce della luna, segno che la nevicata era terminata.

«Dormi?»

«No. Proprio non riesco» brontolò Yuki, voltandosi per poter guardare Cam in viso.

Appariva stanco e smunto come, con tutta probabilità, doveva apparire lei.

Sembrava essere passata un'eternità da quel volo sopra Tokyo quando, in realtà, erano passati solo due giorni.

Quello, era il loro terzo giorno di fuga, a voler essere precisi.

Non aveva idea di quello che stava succedendo all'esterno della loro personale bolla, né se li stavano cercando. Se i rinforzi erano vicini o lontani.

O se, semplicemente, non esistevano rinforzi.

«Pensi a Dom?»

«Come?» esalò Yuki, chiedendosi il perché di quella domanda.

Cam sorrise a mezzo.

«Mi hai parlato del tuo localizzatore, e di come questo permetterà a Domenic di capire dove sei. Pensi che abbia già capito che sei con me?»

«Ho sempre ammirato le sue capacità deduttive, perciò sì. Spero proprio che abbia capito, sennò non avremo molte possibilità di scamparla.»

«Perché ti sei lanciata in mio soccorso, allora? Se non eri sicura del risultato, intendo.»

«Non potevo, in tutta onestà, lasciare che ti uccidessero. Sei mio amico, Cameron-kun. Inoltre, ciò che si proponevano di fare Nobu-chan e mio padre, mi ha così sconvolta che dovevo agire in qualche modo. Forse, avrei dovuto semplicemente affidarmi al mio supervisore, ma ho preferito agire di testa mia.»

«Hai parlato altre volte di questo supervisore. Ma cosa fa, in realtà?»

«E' come un baby-sitter armato e incazzato» sorrise Yuki, facendo ridacchiare il giovane. «Io, Dom e gli altri componenti di questa squadra di informatici borderline, siamo tutti civili che collaborano con la CIA. Non siamo veri agenti, perciò abbiamo bisogno dei supervisori, che fanno da trait d'union con i grandi capi, per intenderci. Non ci permetterebbero mai di parlare direttamente con le alte sfere.»

«E mio fratello è invischiato in tutto questo. Dio!» esalò il giovane, ridendo sommessamente. «Il pacato, pacifico Dom, un mezzo agente della CIA.»

«Usa solo i suoi doni per qualcosa di più grande. In teoria, qualcosa di utile e buono.»

«E tu? Tu, perché hai accettato di essere reclutata? Solo per evitare la galera?»

Lei scosse il capo, limitandosi a dire: «No. Anch'io voglio fare qualcosa di utile e buono.»

Cam le carezzò il viso e, nel deporle un bacio sulla fronte, mormorò: «Con me, lo hai fatto.»

Yuki fece per rispondere, ma un cigolio poco distante la azzittì, facendola irrigidire al pari di Cam, che non mosse un solo muscolo in risposta.

Si udirono dei passi ovattati, forse di scarpe con la suola in gomma e la giovane, sollevandosi con un movimento fluido e silenzioso, afferrò il suo zaino e ne estrasse alcune armi.

Consegnò a Cam diversi kunai e un nunchaku; sperò ardentemente di non commettere un errore, ma confidò nell’abilità dell’amico e nella sua agilità.

Per sé, tenne le sue faretre di spiedi in acciaio, che legò alle cosce, e le sue inseparabili sai, le corte sciabole giapponesi da combattimento, che infilò negli stivali.

Lesta, posizionò sui polsi piccoli foderi in pelle, contenenti corti pugnali neri e opachi.

Annuendo all'amico, mosse agilmente le mani per indicargli il posizionamento sul campo di battaglia e Cam, seguendo attentamente i suoi gesti, assentì ogni volta.

Quella non era una gara in un palazzetto dello sport, non c'erano di mezzo trofei o medaglie.

Dalla loro bravura, sarebbe seguita la loro sopravvivenza o meno, e questo terrorizzò il giovane per un istante.

Era stato altre volte in pericolo, ma solo in virtù di sue scelte, di sue prese di posizione.

Si era sempre lanciato in imprese spericolate, giù da monti impervi come nelle immensità dell'oceano più profondo, e sempre per dar voce al suo spirito d'avventura.

Spesso e volentieri, Phie si era unita a lui in quelle avventure spericolate.

Altre volte, specialmente per mare, era stato Domenic ad accompagnarlo e, ogni volta, avevano goduto sia delle giornate fortunate, come di quelle meno brillanti.

Ma tutto, o quasi, era sempre stato valutato e vagliato fino all'ultimo punto.

Lì, non avrebbe avuto alcuna voce in capitolo. Lì, sarebbe stato il comprimario in un dramma non scritto da lui.

Ma non si sarebbe dato per vinto.

§§§

Era stato quasi per gioco, che Bryce aveva cominciato a seguire i corsi di krav maga.

Quella sintetica disciplina marziale ideata dagli israeliani, gli era parsa la soluzione ideale alle sue necessità.

Investigare, era innanzitutto scandagliare la rete alla ricerca di informazioni, ma non di rado capitava ancora di dover uscire per i cari, vecchi appostamenti.

E difendersi dai malintenzionati, era divenuto sempre più pressante.

Se era vero che la malavita e i furti erano calati drasticamente, nel centro delle città, nei sobborghi, e dove il Viewscan non era attivo, le cose cambiavano molto.

Lasciare in giro bossoli di pistole regolarmente denunciate, o qualsiasi altro genere di arma rintracciabile, non sarebbe stata una gran pubblicità, per lui.

Soprattutto, in virtù del suo duplice ruolo. Mettere in mezzo l’agenzia della madre, sarebbe stato un errore, specialmente quando non era fuori per conto della sua adorabile mammina.

No, meglio la difesa a mani nude. Rapida, precisa e senza firma.

Fu perciò facile prendere di sorpresa l'autista dell'auto scura che, in appostamento, attendeva sul fianco della scuola dove si trovava il segnale di Yuki.

Le fotografie di Cameron e della ragazza, poste sul cruscotto - oltre ad armi pronte sul sedile posteriore dell'auto - gli diedero una serie di conferme sufficienti per agire.

E non farsi prendere da inutili scrupoli di coscienza. Tizi di una simile risma, non ne avevano.

Un colpo ben assestato sulla carotide, un veloce movimento di mani e, dopo avergli tappato naso e bocca, bastò premere abbastanza a lungo per provocare lo svenimento.

In silenzio, lo accompagnò a terra e, dopo essersi guardato intorno, si avventurò cauto nel cortile del complesso scolastico, seguendo i passi evidenti sulla neve smossa.

Per questo, non aveva voluto che Phie scendesse dall'auto.

Preferiva risparmiarle la visione di un vero scontro corpo a corpo che, sicuramente, di lì a poco avrebbe sperimentato lui in prima persona.

Nello spostarsi furtivo alle spalle di quella che gli sembrò essere la palestra, udì alcune voci sussurrate e lì si fermò.

Lesto, si accucciò nei pressi di un piccolo magazzino attrezzi, e ascoltò.

Erano giapponesi e parlavano con tono concitato, irritato, come se trovarsi lì non gli piacesse affatto, ma non avessero altra scelta.

Bryce ne ascoltò i suoni, intercettandone la posizione all'interno dello stabile.

Dopo essersi sincerato che non vi fosse nessuno nelle vicinanze, risalì le scale di sicurezza all'esterno, stando ben attento a non fare rumore.

Il metallo freddo faceva un baccano dell'inferno, se non si faceva attenzione.

Giunto al secondo piano, sbirciò all'interno e contò non meno di dieci persone, tutte armate di pistola.

Uno in particolare spiccò sugli altri, grazie alla sua chioma bionda, e Bryce si chiese chi fosse.

La sua stazza era imponente, e superava di tutta una testa gli altri uomini. Era chiaramente un occidentale, non giapponese come gli altri uomini presenti.

Forse, un diretto sottoposto di Tashida.

«Da quello, meglio stare alla larga. Con quelle mani, potrebbe ridurmi in poltiglia» mormorò tra sé Bryce, proseguendo nella risalita verso il tetto.

Da lì, sarebbe entrato attraverso uno dei lucernari, e avrebbe proseguito camminando sui tralicci del soffitto.

Sperando che a nessuno venisse in mente di accendere le luci della palestra.

§§§

Yuki si accigliò, quando percepì i rumori attutiti di alcune persone.

Accucciandosi dietro una delle gradinate in cemento, si affacciò quel tanto che bastò per controllare il centro della palestra.

Lì, diversi uomini in abiti scuri si stavano muovendo guardinghi sulla superficie in linoleum sotto i loro piedi.

Come gli abitanti del villaggio le avevano riportato, Nobu aveva messo in pista niente meno che Byron.

E questo non era mai un bene, specialmente per lei.

Cam, al suo fianco, aggrottò la fronte e le sussurrò all'orecchio: «Non è la guardia del corpo di Nobu-san

«Tra le altre cose. E' anche un ex soldato delle squadre speciali inglesi... e l'amante di mio fratello. Almeno, stando a quello che mi ha detto mia cognata. Mi chiedo perché sia qui. Di solito, non lascia mai il suo fianco.»

Cameron la fissò vagamente stralunato ma Yuki scrollò le spalle, preferendo non dare ulteriori spiegazioni.

Né sul perché fosse sicura che Byron e Nobu avessero una relazione, confermata dalla moglie di quest’ultimo, né su altre cose.

Se si fossero dilungati a parlare, avrebbero potuto essere scoperti.

Indicandogli un punto dietro cui nascondersi, per meglio accerchiare i loro inseguitori, Yuki gli sussurrò un paio di parole, e Cam annuì.

Non c'era bisogno che gli spiegasse molto.

Cameron era bravo nell'autodifesa e, anche se quello non era un semplice combattimento sportivo, sapeva che avrebbe avuto il sangue freddo sufficiente per non commettere idiozie.

O almeno, così sperava.

Detestava pensare di poter commettere un errore di valutazione, e lei si era sempre fidata di Cameron e della sua capacità di gestire le situazioni.

Negli anni, erano diventati amici fidati e sinceri e, pur se molto distanti fisicamente, si erano sempre tenuti in contatto in ogni modo possibile.

Alcune volte, avevano anche partecipato insieme ad avventure entusiasmanti sulle più alte vette mondiali.

All'epoca,  Domenic si era già trovato coinvolto con la CIA e lei, più di una volta, si era chiesta come mai non li avesse mai seguiti nelle loro imprese.

Ora sapeva, e non solo approvava, ma era fiera di lavorare al suo fianco.

Non si sarebbe mai perdonata se, per un suo errore, Cameron fosse rimasto ferito.

Perché questo avrebbe voluto dire ferire anche Domenic.



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