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Autore: Hiroe    11/05/2015    0 recensioni
Siete mai entrati in un ospedale psichiatrico infantile?
Beh io si.
Avevo solo 16 anni e per scuola mi avevano mandato li. In verità ci sono voluta andare io. Volevo diventare una psichiatra infantile. Volevo aiutare ragazzi deviati. Fu li che incontrai l'uomo della mia vita.
Mi innamorai di un ragazzo deviato.
•tratto dalla storia•
Sentivo il dottore continuare a ripetere una frase confusa ma dal tono era sempre la stessa. Mi avviai alla porta, dopo aver preso la borsa, il dottore la ripeteva a voce più alta. Ancora più alta, ormai stavo passando il corridoio, sentivo la voce del dottore mischiata a quella del ragazzo. Quel ragazzo che faceva di tutto per tenermi sott'occhio ma che intanto mi ignorava, facendomi diventare pazza.
Quella volta sentì un "no" forte e chiaro, mi bloccai di colpo quando sentì la porta sbattere. Guardai il corridoio dietro di me, una figura stava correndo nella mia direzione. Si fermò a pochi centimetri da me.
- resta- disse prima di abbracciarmi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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-salve - dissi all'uomo dietro il vetro. alzò la sguardo su di me, era molto indaffarato e stressato, potevo intuirlo dai suoi movimenti e da come parlava al telefono. ero entrata riluttante dentro la villa in mezzo all'immenso parco. mi ero guardata attorno più e più volte, prendendo coraggio. Era una grande villa color panna, con tantissime finestre e un balcone proprio in bella vista, abbellito con rose di ogni colore. con una mano stringevo la tracolla dello zainetto e l'altra la tenevo appoggiato piccolo piazzale dove ci tenevano penne e fogli. 

-salve - mi rispose addolcendosi dopo essersi accorto della mia presenza. abbozzai un sorriso dolce sporgendomi verso di lui. 

-sono la studentessa che ha compilato il modulo per il volontariato, qualche mese fa - mi tirai sulle punte per vederlo meglio. 

- il nome, signorina? - si mise subito al computer però tenendo lo sguardo su di me.

- Matilde Giliberti - sentì delle urla e dei brontolii, mi irrigidì all'istante, stringendo le dita sul marmo. 
- non preoccuparti, è solo un paziente che fa così. Gli altri sono più o meno normali. Te ne accorgerai- mi sorrise infondendomi coraggio, il frastuono cessò così come la mia paura. - prego, seguimi- mi fece cenno con la mano, iniziò a camminare per il corridoio immacolato e bianco. Mi mettevano sempre a disagio gli ospedali ma questo mi teneva calma. Le mie vans non facevano alcuni rumore mentre camminavamo, così l'uomo di tanto in tanto si girava verso di me, per controllare che ci fossi. - comunque mi chiamo Marco- parlò di nuovo cogliendomi alla sprovvista. 
- piacere di conoscerla- la mia voce uscì come un sussurro quindi lui non sentì, ridissi la frase con voce più alta. Lui sorrise di nuovo, in mano faceva roteare le chiavi dei diversi studi, che ci passavano accanto. Di tanto in tanto mi giravo indietro vedendo la porta da cui ero entrata svanire, poco a poco. Strinsi lo zainetto in più forte possibile. 
- vedrai per primo il Dott. Grimoldi e poi lui ti mostrerà il resto - il nodo che avevo allo stomaco si stringeva sempre di più man mano che ci avvicinavamo. Salimmo alcune rampe di scale, l'odore nell'aria era di disinfettante e deodorante alla frutta, storsi il naso ero un odore così forte. - ti ci abituerai - parlò con lentezza Marco. Ci fermammo su un pianerottolo, lui avanzò a grandi passi invece io sempre a piccoli passi, volevo ritardare il più possibile l'incontro con lo psichiatra. Le mani iniziarono a sudare e dovetti asciugarle sui jeans. Lui continuò fino alla porta bianca con la maniglia nera in plastica. Mi fece cenno di entrare, rivolgendomi un sorriso di incoraggiamento. Sospirai e afferrai la maniglia con la mano che tremava, la abbassai chiudendo gli occhi. Quando li riaprì mi trovai un uomo davanti, sui cinquanta, capelli scuri e degli occhiali firmati Ray-ban. Alzò gli occhi verso di me, posando la penna con cui stava scrivendo su dei fogli. 
- buongiorno - dissi sorridendo timida. 
- buongiorno, signorina - si tolse gli occhiali appoggiandolo affianco alla penna. - lei deve essere Matilde - si alzò venendo a stringermi la mano. 
- si, signore - la strinsi con fermezza sorridendo. 
- parliamo un po', si sieda pure - mi indicò una sedia, mi sedetti lentamente mentre mi guardavo le scarpe. - mi dica un po' di lei - prese un foglio azionando la penna. Sapevo già la storia ero già stata da uno psicologo, sapevo cosa doveva fare con quel maledetto foglio. 
- ho sedici anni, frequento la prima ragioneria. Amo leggere e scrivere - iniziai in po' titubante - non sono molto popolare ma ho degli amici, pochi ma buoni - lui nel mentre annuiva - ho un fratello maggiore, di nome Davide. - deglutii a fatica parlando dei miei fratelli, di mio fratello - non sono bravissima a scuola ma me la destreggio, in modo sufficiente - alzai le spalle guardandomi un po' intorno. - pratico l'equitazione e suono il pianoforte - non sapevo cosa dire, quindi iniziai a guardarmi intorno.
- la sua materia preferita? - mi chiese d'un tratto.
- italiano - risposi secca allungandomi per guardare cosa stesse scrivendo. 
- strano molto rispondono o matematica o arte o altre materie, tranne italiano - sorrise divertito. 
- eh lo so, non sono come gli altri - 
- e le da fastidio non essere come gli altri?- cosa credeva di fare? Non stavamo ad una seduta, non intendevo dire nulla su di me oltre a quello.
- no, mi piace essere diversa.- annuì fissandolo.
- okay, va bene dovrebbe bastare così. Allora io mi chiamo dottor Andrea Grimoldi, ho cinquantasei anni e sono sposato. Dirigo questo reparto di psichiatria infantile, insomma mi prendo cura dei miei piccoli pazienti. Le età variano dai tredici ai diciotto anni. Abbiamo disturbi alimentari, psicologici e comportamentali insieme. Non devi spaventarti, sono ragazzi come te più o meno. - si alzò aprendo la porta. - vieni te li presento, come posso chiamarti?- mi alzai seguendolo, avevo molto soprannomi ma scelsi uno dei più classici.
- mati, andrà benissimo - sorrisi.
- ottimo, ah ti avverto la più piccola, Emily, è un po' inquietante avvolte. Ma ti ci abituerai - era divertente dopo tutto, non come gli altri. 
- posso chiederle una cosa?- osai mettendomi opposta a lui. 
- certo - stava cercando una chiave nel mazzo, che teneva attaccato ai pantaloni. 
- ma di chi era l'urlo che ho sentito prima?- lo guardai, era troppo calmo per i miei gusti, continuava a cercare le chiavi mentre aspettavo una risposta.
- di uno dei pazienti, il più grande, Samuele - la trovò e aprì la porta davanti a noi, mi chiesi perchè la tenesse chiusa. Sbucammo dopo un po' in una enorme sala. C'erano delle sedie messe in cerchio, dove erano seduti otto ragazzi e ragazze. Precisamente, quattro femmine e quattro maschi. Il più grosso aveva i capelli biondi, ricurvo su se stesso, teneva una felpa che lo faceva sembrare ancora più grosso. Alla sua destra sostava un ragazzino più piccolo di me, dagli occhi tristi e persi nel vuoto, capelli neri corti. Una ragazza magrissima e dai capelli biondi cenere e occhi grigi " anoressica" pensai tra me e me. Il mio sguardo catturò un ragazzo, dai capelli scuri e occhi verdi, se ne stava sdraiato sulla sedia con le braccia incrociate. Nessuno si accorse di noi in quei pochi secondi. "Non aver paura, per la mor di Dio. Stai calma " respiravo piano il dottore si schiarì la voce attirando la loro attenzione. La bionda alzò lo sguardo sorridendo, era così magra che riconoscevo le ossa del viso. Mi faceva sentire male. Mi stampai un sorriso in faccia cercando di nascondere il nervosismo. 
- ragazzi, lei è Matilde Giliberti la ragazza di cui vi avevo parlato - la sua voce si diffuse nella stanza, il ragazzo dagli occhi marroni appena sentì il mio nome alzò gli occhi verso di me. Io sapevo chi era. Stava seduto nella mia corriera ogni mattina, solo che aveva il cappuccio in testa. Di tanto in tanto mi sedevo di fianco a lui, era come sentirsi protetti, una sensazione strana. Quando si scendeva spariva in un attimo, come se non sopportasse la presenza delle persone. Adesso ne comprendevo il motivo. 
- loro sono: Alex - il ragazzone mi salutò sorridendomi - Elisa - la ragazza bionda - Alessandro e Mattia - i due ragazzini piccoli. - poi c'è Eleonora - una ragazza dai capelli rossi che anche lei sorrideva, apparentemente normale. - Beatrice - stava verso la finestra, era più grande di me, portava i capelli colorati e mi guardava con aria truce. "Già mi odia?" C'era l'amore a prima vista, ci poteva essere anche l'odio a prima vista. - non dimentichiamoci Samuele..- quando disse il nome, mi venne in mente quel l'urlo, volevo tirarmi indietro e lui questo sentimento lo catturò in pieno, si irrigidì pronto a scattare. Mi sentì tirare la felpa, Abbassai lo sguardo, per poco non mi misi ad urlare come una cretina. Una ragazzina sui quattordici anni, due occhioni marroni enormi mi fissava senza battere ciglio, era lei quella inquietante. 
- ciao, Emily - disse il dottore.
- buongiorno - non distoglieva quello sguardo, mi faceva accapponare la pelle. 
- vatti a sedere con gli altri, anche tu Beatrice - la ragazza sbuffò e si andò sedere, affianco a Emily. 
- credo di non piacerli molto- sussurrai al dottore.
- a loro non piace mai nessuno, all'inizio - mi diede una gomitata amichevole. Si incamminò al centro del cerchio io rimasi in un angolo osservandolo. Si girò verso di me fece sono gesto di seguirlo. Appoggiai lo zaino per terra e facendo un gran respiro, lo raggiunsi al centro. - lei starà con noi, per i prossimi sei mesi. Fino alla fine della scuola. Giusto?- mi guardò. 
- giusto - esordì piano annuendo.
- ora, presentatevi come si deve - mi lasciò in mezzo al cerchio, misi le mani nelle tasche nascondendo il fatto che stavo tremando. 
- comincio io - disse Elisa sporgendosi verso di me- mi chiamo Elisa, ho sedici anni, sto qui da più di due mesi. Sono anoressica e bulimica - esordì fissandomi negli occhi ma non battei ciglio. - vado al liceo artistico vicino al centro - sorrisi guardandola e ne rimase stupita. - piacere di conoscerti - parlai. 
- piacere di conoscerti - sorrise di ricambio. 
- io sono Alex, ho diciassette anni e soffro di depressione da almeno due anni. Frequento il liceo scientifico - mi girai verso di lui e sorrisi. 
- mi chiamo Emily - quando sentì la vocina feci un passo indietro guardandola- ho tredici anni e sento le voci nelle testa, non vado a scuola - alzò le spalle tenendo spalancati quei suoi occhi inquietanti. 
- come mai? - 
- una volta mi hanno detto di ficcare una matita nella mano di un mio compagno, e io lo fatto - piegò la testa di lato. " psicopatica " esordì la mia mente. 
- Emily - la ammonì Samuele affianco a lei. 
- e tu invece - feci un cenno con la testa, lui si piegò in avanti alzando un sopracciglio.
- mi chiamo Samuele, detto Sam, ho diciotto anni e soffro di problemi comportamentali è autolesionismo. Non vado a scuola da un po' ma ho un lavoro in una libreria - strabuzzai gli occhi, non lo avrei mai immaginato. 
- chi l'avrebbe detto - parlò Beatrice attirando la mia attenzione - una ragazza normale qui. Che strano - alzò le spalle ridacchiando. 
- bea, zitta - sibilò tra i denti elisa. 
- ma guardatela, ci considera dei mostri! Lei ha paura di noi!- iniziò ad alzare la voce.
- io non vi considero dei mostri..perché dovrei?- chiesi avvicinandomi a lei, si alzò di scatto facendo cadere la sedia. 
- abbiamo malattie mentali! Secondo te cosa siamo!- sbraitò.
- malati - dissi con calma trattenendo il respiro. 
- forse, Bea, è il momento di tornare nella tua stanza se non sai comportarti- Alessandro parlò dietro di me, la sua voce era da bambino ma molto seria e sicura. 
- oh stai zitto tu - lo guardò malissimo, fulminandolo. 
- ha ragione - disse Il dottore posando una mano sulla spalla di lei. 
- non mi tocchi - la sua voce prese una nota di panico. - che nessuno mi tocchi - alzò le mani al cielo guardandosi attorno. 
- Beatrice nessuno ti sta toccando, stai tranquilla - mi sentì prendere per un braccio, mi girai Elisa mi stava sorridendo. 
- è meglio che ti allontani - la seguì fino alla porta, poi ci girammo verso la scena. Beatrice continuava ad urlare da un momento all'altro. - non ti preoccupare è solo in quel periodo del mese. Beatrice è bipolare, lo scorso mese se ne stava sempre nella sua stanza, senza dire nulla e senza mangiare, solo una settimana fa ha messo il naso fuori. Era contenta - continuavo a guardare la scena tenendomi vicino alla porta. Un'altra figura si era messa affianco a me, Alex teneva le braccia conserte mentre guardava la scena. 
- passerà mai? - chiese a Elisa.
- certo che passerà, come tutto il resto - continuava a fissare davanti a se.
- avanti, vai in camera tua o in giardino,non puoi stare qui! - esordì il dottore.
- e va bene!- si avvicinò pericolosamente a me e alla porta, mi scostai da lì e lei la oltrepassò scendendo le scale. Mi sentì in colpa, abbassai il capo concentrandomi sulle scarpe.
- è peggio di me - disse Samuele.
- Sam nessuno è peggio di te - ribadì Emily, facendo ridere tutti. La giornata trascorse velocemente, ridevo con Elisa e parlavo con Alex e Alessandro. Ale aveva cercato di suicidarsi tante volte senza mai riuscirci, mi dispiace per lui ma potevo capirlo. Mollare tutto per smettere di stare male, quella stanchezza del mondo che ti accompagna sempre, la voglia solo di stare bene. Sam parlava con Emily, era molto protettivo nei suoi confronti, una cosa apparentemente carina. 
- hai fratelli o sorelle?- Elisa si stava osservando le dita troppo magre.
- due fratelli maggiori - sussurrai debolmente. Tutti si girarono verso di me, anche il dottore che mi studiò.
- avevi detto di averne solo uno - aveva un tono preoccupato. 
-l'altro è...beh non c'è più, quindi ne ho solo uno, qualche volta mi sbaglio nel dirlo - li osservai, avevano quella malinconia negli occhi che odiavo. 
- un giorno c'è ne parlerai. - annuì senza neanche pensarci, non sarebbe successo mai oppure no? 
**************************
Stavo nella mia camera, sdraiata sulla schiena mentre osservavo il soffitto bianco. Avevo finito di leggere e non avevo cogli di fare i compiti. Mia madre era a lavorare come mio padre, invece il mio dolce fratellino se ne stava in quella camera perennemente chiusa. A volte mi veniva la voglia di toglierla e nascondergliela quella dannata porta. Sbuffai prendendomi tra le mani un ciuffo di capelli. Erano corti e scuri fino alle spalle, mi erano sempre piaciuto i capelli, il telefono vibrò facendomi alzare dalla mia comoda posizione, era la mia migliore amica, Mary Jane. Anche se non si chiama così ma ormai ero abituata a lei e alla sua adorabile stranezza. Lo sbloccai aspettando di leggere il messaggio. 
< hola Matilda Battona > non chiedetemi il perché di quel nomignolo perchè non ho mai capito il perchè. 
< hola strunz > risposi velocemente. 
< com'è andata oggi? > si ricordava sempre i miei impegni meglio di me, era la mia anima gemella praticamente. 
< una di loro ha dato di matto, non immagini che delirio > digitai per poi chiederlo. Non feci in tempo a sdraiarmi che vibrò di nuovo. 
< e te pareva! Lo sai che sono così, anche io sarei così se non conoscessi che persona speciale sei > era solita a farmi complimenti che io odiavo. 
< mh > chiusi tutto mettendomi sul computer. Passati dieci minuti, vibrò di nuovo.
- che cazzo vuole! - sbuffai sbloccando, guardai il display: Samuele : ti sei spaventata oggi? 
Sbloccai mettendo il codice. 
< non mi sono spaventata. > scrissi velocemente < e come hai avuto il mio numero? > ero indispettita. 
< ho i miei informatori 😏> quando vidi la faccina mi irritai ancora di più.
< che vuoi? > scrisse freddamente. 
< stai calma, volevo sapere se ti eri spaventata o no, Emily voleva saperlo > 
< dille che sto bene e basta, buona notte > chiusi tutto molto velocemente, concentrandomi sul mio computer. 
Erano ormai le 20:00 mio fratello stava ancora dentro la sua stanza, uscì dalla mia, avviandomi verso la sua stanza. Bussai più e più volte, finchè la voce di mio fratello mi intimò ad entrare, abbassai la maniglia. 
- che fai? - chiesi dolcemente.
- affari miei - aveva solo vent'anni, i capelli castani e gli occhi azzurri come mio padre. Dopo quello che successe a mio fratello si richiuse a mo' di riccio, lasciando tutti fuori, anche me. Se ne stava di spalle fermo sui suoi compiti e sul computer. 
- hai voglia di mangiare, mamma non è ancora tornata - aprì un po' di più la porta. 
- sparisci - si voltò fulminandomi con lo sguardo. 
- Dave..-si alzò di scatto iniziando a spingermi fuori dalla stanza. 
- ti ho detto di sparire, sgorbio - mi diede una spianta che finì per terra, non alzai lo sguardo mi limitai ad alzarmi, mentre ancora mi fissava. 
- puoi chiudere chi vuoi fuori dal tuo mondo, volevo solo essere carina con te. Cosa credi! Che solo lui potesse capirti! Beh, bene! Perchè anche per me, lui era l'unico che poteva capirmi! - inizia ad urlare. - smettila di fare lo stronzo! Non è colpa mia! - strinsi i pugni, la colpa era sua,lo sapevamo tutti. Mio padre non riusciva più a guardarlo. La mamma ci mise dei mesi per tornare a guardarlo e ad abbracciarlo, invece io fui l'unica a stare dalla sua parte. I suoi occhi divennero malinconici e velati da lacrime. 
- Tilly..- solo lui mi chiamava così.
- Dave, lo so che fa male..lo so..posso capirti. Devi solo lasciarmi entrare come facevi con lui. E se vorrai potrai entrare nel mio di mondo. - mi portai le mani al petto - ma questo argomento l'abbiamo affrontato mille volte, tu non mi farai mai entrare. Fa nulla. - alzai le spalle sconsolatamente. - che vuoi da mangiare? - 
- nulla..- chiuse la porta, mi sentì un vuoto dentro. Andai in cucina, preparai una pasto pre cotto, poi mi misi sul divano a guardare un film. Mi addormentai dopo poco, non mi interessava neppure. Mi sentì sollevare dal divano, mio fratello era abbastanza forte, tenevo la testa sul suo petto. Respiravo il profumo che usava, quello che gli avevo regalato. Mi accoccolai a lui, lo sentì soffocare una risata. Poteva fare il duro quando voleva, in fondo mi adorava lo sapevo benissimo. Mi mise sotto le coperte dandomi un bacio sulla fronte poi sprofondai nel mio mondo dei sogni. 
RUN! BOY RUN! 
Iniziò la canzone del mio risveglio, aprì gli occhi guardando l'orologio. 6:15. Era il costo di vivere lontano dalla città. Scostai la coperta e scivolai fuori dal letto. Spensi la canzone che continuava ad andare. Entrai nel mio bagno disordinato, feci pipì e poi mi andai a vestire. Solo un maglione largo e jeans strappati, con le solite vans nere. Mi truccai, con eye-liner e del mascara, mettevano in risalto i miei occhi color verdaccio.
- amore! Scendi! - gridò mia madre, feci come disse. Scesi le scale che portavano alla cucina e la vidi in tenta a preparare la colazione, cosa che non sapeva fare. 
- mamma! Stai bruciando tutto!- con quella scenata avevamo svegliato come minimo tutto il quartiere. 
- non è vero! - protestò. Invece aveva bruciato tutto. Presi il latte e due ciotole, se non ci fossi stata io in quella cosa non si avrebbe mai mangiato. Presi i cereali a ne versai un po' nelle due tazze, aggiungendo il latte. Mangiammo in silenzio. Guardai l'orologio 6:58, corsi a prendere lo zaino. Dopo aver controllato di avere la tessera, uscì fiondandomi a prendere la corriera. La mia amica Melissa venne con me, parlammo per tutti il tragitto del più e del meno. Quando scesi la salutai unendomi alla mia migliore amica. 
- Ehi - dissi facendole prendere un colpo. 
- hola! - mi salutò abbracciandomi. Era molto più alta di me, con i capelli colorati di rosso in modo strano e gli occhi castani scuri, era di giù, precisamente Puglia. 
- andiamo? - chiesi tenendomi lo zaino, con lo sguardo vidi Sam poco distante da noi, ci stava osservando. Gli sorrisi alzando una mano per salutarlo ma lui se ne andò, il più velocemente possibile. 
- che fai?- chiese Mary. 
- nulla..- ci avviammo insieme verso quella prigione chiamata scuola. Passò in fretta e mi ritrovai davanti alla casa per ragazzi. Entrai con un sorriso stampato in faccia. 
- Ehi mati! Ti vedo bene! - mi salutò Marco da dietro il vetro. 
- si sto bene, e lei come sta? - ero cordiale certe volte. 
- dammi pure del tu. Sto molto bene grazie, ti stanno aspettando di sopra. Lasciami pure lo zaino - tolsi il telefono e glielo porsi ringraziandolo - ma che hai dentro! Mattoni? - ridemmo tutte e due, risposi con un forse e mi avviai verso la stanza del giorno prima. Ero intenta a rispondere ad un messaggio di Mary quando apparve un altro avviso, Riccardo. Lui era una ragazzo che mi piace tempo prima ma che mi aveva rifiutata ad una festa, dopo averlo baciato, che errore era stato. Non ci ero rimasta tanto male ma comunque mi feriva il fatto che ci avesse provato con altre ragazze davanti a me. 
< Ehi, maty come stai?> stupido idiota, pensai leggendo il messaggio. Non risposi e tornai nella chat con la mia migliore amica. Un trillo mi fece notare la notifica:< queste maledette spunte blu, ti fanno sapere quando le persone ti ignorano, che scocciatura > aveva scritto quel ragazzo. 
< eh lo so, rovinano sempre tutto > scrissi e misi via il telefono. Ormai ero arrivata alla porta, era aperta e sentivo dei rumori assordanti, senza pensarci aprì la porta. Sam stava urlando parole incomprensibili, era tutto rosso e rovesciava delle sedie. 
- calmati, Sam. Sta calmo - diceva il dottore senza avvicinarsi troppo. Solo Beatrice si accorse di me, mi guardò per pochi secondi e poi tornò alla scena di prima. Ero pietrificata e terrorizzata, deglutii a fatica mentre il telefono emise un trillo. Si voltarono verso di me, allagarono gli occhi quando videro che ero spaventata, Sam si calmò un poco sedendosi atterra. Respirava velocemente e teneva la testa tra le gambe. - buongiorno - il dottore mise una sua mano sulla mia spalla dopo avermi raggiunto. Mi scrollò piano riportandomi alla realtà, feci un passo lontano da quella mano che cercava di infondermi sicurezza ma che mi dava solo fastidio. 
- buongiorno - esordì sforzandomi di tenere una voce salda, Sam mi osservava, di sottecchi ma mi osservava. Distolsi lo sguardo da lui, impedendomi di non considerarlo più per le prossime ore. Avanzai verso Elisa che se ne stava in un angolo, in silenzio, le gambe strette al petto e la testa in mezzo ad esse. La toccai leggermente e lei ebbe un sussulto. - Hei, Eli..- alzò di scatto la testa buttandosi tra le mie braccia, la accolsi in tempo cadendo per terra per la troppo spinta che aveva dato.
- sei spaventata? - mi chiese tenendo la testa nell'incavo del mio collo. 
- non sono spaventata -
   
 
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