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Autore: Javaadda    14/05/2015    0 recensioni
"E’ che lo sento indistintamente presente in ogni mio gesto, come se fosse la ragione di ogni sorriso, lacrima, e gioia, come se l’avessi odiato a tal punto da amarlo. Ma non lo amavo nel modo giusto. Lo volevo possedere come fosse un pezzo da vetrina, il pezzo che ero riuscita ad aggiustare. Ed ero ossessionata da quell'idea. Ma l'ho volontariamente allontanato da me. E potrei perfino continuare a scrivere di noi sui muri, sui libri, in ogni pagina, frase o parola ma non ci siamo più, e non ho forze per inventarci di nuovo."
|Loe|
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad un tratto, mi ritrovai ad osservarlo come fosse un corpo capace di contenere una via d'uscita, uno sbocco, un'opzione alla mia prigionia.

Mi trovai ad assorbire ogni fluido buono della sua materia, e a vederlo sotto la luce della sua vita, prima di ogni scelta sbagliata.

Mi ammutolii per qualche istante, e mi alzai da terra.
< Perché gli altri hanno timore di parlarti? > chiesi, controllando la mia voce.
< La questione è: perché te non lo hai? > rispose con fare rude, sovrastandomi.

Appoggiai la mano sul suo petto per impedire il contatto con il suo corpo, e la sua forza mi impaurì tanto da socchiudere gli occhi.

< Non dovevo. > affermò indietreggiando.
< Scusarsi, è troppo complicato per te? > ruggii.
Mi guardò come fossi sciocca solo a porre una domanda del genere, e rise.

Un risata da paura.

< Sono le persone a scusarsi con me l'attimo prima che prema il grilletto. Non ti sembrano scuse finte quelle? Non mi hanno fatto niente di male, e si scusano lo stesso. Quindi finché non avrò una pistola puntata in fronte, non credere possa ammettere di essere realmente dispiaciuto per qualcosa. > Mantenni la distanza dalla sua figura, quelle parole avevano permesso alla paura di insinuarsi nei miei movimenti.

La mia ombra tremò distrattamente, oppure fu il mio cuore a vibrare.

Si sistemò nuovamente a terra, aveva la testa bassa sul telefono, quando un sorriso incoerente si stampò sul suo volto.

Un sorriso che fa chiedere, perchè ti manifesti sotto questa forma?

Involontariamente mi avvicinai per scorgere lo schermo, era curiosa di sapere il motivo di cotanta felicità.
Stava guardando le foto di una ragazza, ma non riuscii a scorgerne il volto.
< Scegli le tue prossime vittime? > chiesi disgustata.
< Sei preoccupata di non essere nella lista? > mi schernì.
< No, sono preoccupata di esserci. > Mi sporsi per togliergli di mano il cellulare, ma era più veloce di me.

Calcolava ogni mio spostamento.

< Fammi vedere. > urlai.
< Tieni. > disse con noncuranza, adagiando il cellulare tra le mie mani.

Lo afferrai osservando la sua reazione, ma quando riconobbi le mia figura stampata su quello schermo, fu lui ad osservare la mia.

< Stai guardando delle mie foto. > affermai attonita, scorrendo le immagini dalla sua galleria.
< Non vantartene troppo. > ridacchiò tra se e se.
< Come sei simpatico. > sputai.
< So di essere bello. > mi guardò con un sorriso compiaciuto, sviando discorso.

Ma non lo era, ed avrei voluto urlarglielo, perchè mi faceva schifo.

Era un disgusto dal sapore agrodolce, che si irradiava tra le labbra, e più stanziava al loro interno, più il sapore di buono aumentava.

Credeva di conoscere ogni cosa, ed io credevo di conoscere lui.
Ma non ci eravamo calcolati, e questo avrebbe potuto cambiare ogni piano.

< C'è di meglio.> affermai.
< Mi fai piangere così. > finse di asciugarsi una lacrima, per poi scoppiare in una risata fragorosa.

In quell'attimo mi accorsi che neanche se aveva il viso coperto dalle mani, e attraverso quei minuscoli spiragli si intravedevano solamente piccole parti di occhi, labbra, mascella.

Neanche mentre rideva in quel modo, con gli occhi leggermente strizzati all'ingiù che diventavano come delle fessure da cui pareva colare l'azzurro del mare, con quelle labbra che si stagliavo su quella pelle bianca procurandole delle leggere pieghe ai lati della bocca, con le guancia rosacee e con quella risata che trapassava i timpani.

Neanche sotto quel cielo che di stelle ne aveva tante, neanche così tanta immensità sarebbe riuscita a sminuirlo.

E non so come riuscii a trattenermi, perché avrei voluto baciarlo.

< Devi smetterla di giocare con le persone, con me. > dissi, annullando l'allegria.
< Sei acida, Noemi. > puntò i suoi occhi nei miei.

Racchiudevano gli uragani degli anni della mia vita.

< Non lo sono! Ma devi capire che non esisti solo te in questo mondo e non tutte cascano ai tuoi piedi. > dissi cercando di mantenere la calma.
< Non voglio che tu caschi ai miei piedi, ce ne sono già troppe. > guardò altrove.
< Allora ricordati di me quando avrai tra le mani una tipa pronta ad aprirti le gambe alla prima parola. Che piacere trovi in una così? > ringhiai.

Le mie mani presero a formicolare, e le mie esili dita si serrarono in un pugno.

< Magari le urla che mi rivolgi, le riserva per il letto. > spiegò, gesticolando disordinatamente con le braccia in aria.
< Va a 'fanculo. > urlai, e gli diedi le spalle infuriata.

Ci siamo scoperti uno strato alla volta come fossimo reperti fragilissimi. 
Fino ad aver paura dell'altro.

< Già a letto? > chiese beffeggiando.
< Lasciami stare. > risposi stizzita.

Mi prese per un braccio e mi fece girare, posizionandosi leggermente alle mie spalle.

< Non mi piacciono quelle tipe, non danno soddisfazione. > disse indicando un gruppo di ragazze disposte di fronte a noi.
< Non mi interessa chi ti piace o cosa te ne fai della tua vita, dovresti solo accettare opinioni diverse dalle tue. > dissi d'un tratto, e il suo sguardo divenne istantaneamente duro.
< Sto accettando le tue opinioni Noemi, anche se vorrei soffocarle. >

< Allora fallo, non ascoltarle, lasciami andare. Perché continui a stare con me? > chiesi, realmente incuriosita dalla risposta, che offuscava la mia mente dal primo istante.
< Siamo amici. > soffiò impercettibilmente, e potei udire il suono lieve delle sue labbra schiudersi in quelle poche parole.
< E questo quando l'hai deciso? > lo osservai.
< Quando ci siamo conosciuti e mi hai stretto la mano, la tua pelle era gelida. > affermò, come impotente davanti ad una situazione di tale calibro.

< Ho costantemente le mani fredde, Lorenzo. > spiegai.
Il mio calore ti completa. >

Il suo sguardo parve perfino innocuo sotto quelle luce offuscate, sembrava un mare dall'acqua limpida ora che la luce ci si risplendeva sopra.

< Riesci anche ad elaborare pensieri profondi, mi stupisci. > scoppiai a ridere.

Osservò l'imperfetto modo in cui la mio bocca produsse una stridula risata, e l'ineleganza con la quale le mie mani si affrettarono a coprire il mio sorriso.

< Se do noia, me ne vado. > fece per alzarsi.
< Ma non nasconderti. > affermò, sciogliendo la presa delle mie dita sul mio volto, sorridendo beffardo.
< Non dai noia. > mi affrettai a dire, azzerando il mio sorriso.

Afferrai la manica della sua giacca e lo avvicinai a me, rudemente.
< Ma abbandona quel comportamento da egoista presuntuoso, puoi essere meglio di così. > chiarii.
< E' bello vedere la convinzione nel tuo sguardo, un giorno svanirà. > sogghignò.
< Sei così convinto di conoscermi. > sbuffai.
< E te così cocciuta da tentare di cambiarmi. >

Era un pezzo rotto, uno scarto, gli mancava qualcosa, tipo me. Ci mancavamo a vicenda, avremmo potuto aggiustarci noi due.

< Non permetterei a nessuno di cambiare per me. > esordii.
< E te cambieresti per qualcuno? > chiese, opprimendomi con il peso del suo respiro.
< Potrei annientare ogni aspetto che regola la mia instabile vita, ma non mi vedo dalla parte del cattivo. >
< Troveresti un retrogusto di freschezza nell'aria che inspira dall'altra parte. > Mi parve quasi di avvertire il freddo nelle ossa, a quelle parole.
< La tua parte? > chiesi, allibita.
< Si, la mia. >
< Stai marchiando il territorio, per caso? > domandai sogghignando.

Un leggero click, scattò nella sua mente.

Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì fino a mostrare ogni vena superflua. Potei nettamente distinguere i capillari all'interno delle sue pupille, da quanto il suo viso si avvicinò al mio.

< Ti spingerò a credere che questa via è migliore, che le strade sono più corte e non ci sono incroci da superare. Ti spingerò a credere che non correrai rischi e che il sangue non significherà dolore. Ti spingerò ad annullare ogni emozione, a vivere di terrore fino a renderlo orgoglio. Ti spingerò a nutrirti della paura, e tu crederai che tutto questo sia giusto. Diventerai tale e quale a me, ti sentirai sola ed inutile, quindi vattene. > Il suo respiro era affannato, ma tentava di inspirare lentamente.

A me la voce invece, mi si smorzò in gola, come incatenata da un turbinio di parole senza collocazione.

Era strano, lunatico e bipolare, era già identico a me. Era la pozione imperfetta di caratteri differenti, era un esperimento riuscito male, ed io ne ero la copia spiccicata. Lui era il nero, ed io il bianco, ma quando eravamo assieme, il tutto si fondeva.

< Non posso andarmene. > dissi debolmente.
< Cosa ti incatena qua? Il paese è uno schifo, e le persone, cazzo guarda me, sono perfino peggio. > disse, quasi rimproverando se stesso.
< Non puoi pretendere di conoscere ogni risposta. > Mi trattenni dal controbattere, perché lui non era fondamentalmente uno schifo.
< E tu non puoi pretendere che dia peso ad ogni tua parola. > soggiunse, serio.

< Invece si, lo pretendo. Perché io la sento dentro la tua voce che mi dice che sto sbagliando, che questa parte del buono non mi s'addice affatto. > urlai.
< Ti s'addice, invece. >

Mi disturbava la calma che traspariva dalla sua voce, perché gli urlavo contro e ciò non lo smuoveva affatto, mentre i suoi sussurri, oh, loro si che mi smontavano ogni schema.

< A te no, perché usi questa maschera? > assottigliai il tono.
< Non è una finzione. > ringhiò.
< So cosa significa nascondersi, e tu lo stai facendo. > puntualizzai.
< Il cattivo ragazzo che c'è in me, mi piace. > ammiccò un sorriso.
< A me non piace, invece. > risposi annientando la sua felicità.

Lorenzo non aveva nessuna paura perché non aveva niente da perdere, fino ad allora. Non sentiva la mancanza di un qualcosa perché si era negato la sofferenza, si era giurato di essere felice e forte, come invece non era.

Era la mia copia sputata.

< Vuoi venire con me? > chiese, dondolando freneticamente i piedi sul legno laterale della rampa.
< No che non voglio. > affermai, premendo con forza il palmo della mano sul mio ginocchio scavato.
< Ti mostro che tutta questa non è una finzione, che ci sono cose più grandi in ballo. > Afferrò il mio polso senza attendere risposta, e mi trascinò con foga verso l'uscita.

I presenti neanche ci fecero caso al modo scrupoloso di trascinarmi, evitando di imprimere eccessiva forza sulla mia pelle.

Mi fece accomodare sulla sella della sua moto, la quale vernice nera brillava sotto la luce dei fari delle automobili.
Mi porse il suo casco, e accese il motore.

Non ebbi neanche il tempo di elaborare le strade, che approdammo in un luogo a me sconosciuto.

Tutt'attorno a noi si estendevano dei condomini abbandonati, il grigio era il colore predominante. La luce era soffusa, riuscivo a malapena a focalizzare lo sconosciuto oceano che racchiudevano i suoi occhi. Prese la mia mano, ma la sfilai dalla sua presa e seguii il suo passo veloce. Avvertii il piccolo movimento corporeo con il quale afferrò un oggetto dall'interno dei suoi pantaloni.

Sentii un divampo di calore espandersi nel petto.

< Cosa hai intensione di fare? > chiesi con voce tremante.
< Nasconditi là dietro. > rispose, indicando un grande contatore elettrico.
< No, Lorenzo. Non voglio farlo, e non devi farlo. > blaterai, in preda al panico.
< Non mi permetterei mai di procurarti danno. > disse avvicinandosi a me.

Prese la mia mano, che lentamente dondolava inerme nel vuoto, e mi condusse dietro il possente contatore.

Puntò i suoi occhi sulle nostre mani unite, che si incastonarono come ad essersi richieste a lungo, e sciolsi così imbarazzata quella presa.

< Quando tornerò a prenderti non avrai neanche il coraggio di guardarmi in faccia, ma promettimi che tornerai via con me, dopo sarai libera di andartene. > La sua voce era rotta, come se quelle parole gli pesassero.

Annuii, ed osservai la sua figura muoversi ad agio con un'arma di quel tipo in mano.

Attraversò una porta, che prima di allora non avevo notato avesse una piccola insegna alla sua sinistra.

"Benji's Supermarket"

Sulle mura laterali scorsi una finestra dalla quale potei intravedere il volto mascherato di Lorenzo, la pistola rivestita di una colore nero metallico incastrata tra le sue mani, che soli pochi minuti prima avevano sfiorato le mie.

Il suo corpo sembrava rilassato come fossero movimenti ormai immagazzinati da tempo, abitudinari. Le sue gambe si muovevano frenetiche, e le sue labbra intonavano parole che non riuscivo ad udire.

Puntò la pistola alla testa del cassiere, e notai la bocca di quest'ultimo pronunciare una scusa sussurrata. Le labbra di Lorenzo si incurvarono in un lieve sorriso, prima di premere il grilletto.

Dei piccoli rigoli di sangue imperlarono il volto dell'uomo, ma questo non gli impedì di indossare un sottile guanto di pelle nera e recuperare il denaro dalla cassa. Per quanto tutto ciò mi incutesse paura, il mio corpo bramava un'adrenalina mai avuta al suo interno prima di allora.

Mi incamminai verso l'entrata, ma quella porta sembrava farsi piccola tra le possenti strutture che gli si estendevano attorno. Mi bloccai a metà strada, e la finestra non distava che pochi metri da me.

Contai i passi, fino a toccare il vetro di quest'ultima. Osservai l'interno di quel negozio.

Le pareti erano di un giallo aspro limone, e quasi credetti di avvertire quel sapore tra le labbra. Gli scaffali erano rivestiti da strati di polvere, e sul balcone di mogano bianco, una cornice conteneva una foto sulla quale preferii non focalizzarmi.

E poi c'era un uomo, dietro di esso. Un uomo che ha cessato i battiti, che ha finito il respiro, che ha vissuto i suoi ultimi istanti dietro quel balcone. Ed il giallo brillante alle sue spalle, rifletteva il sangue, anch'esso a suo spregio lucente, che sgorgava colmo di una vitalità che a quel corpo era stata sottratta.

Sentivo i pesanti passi di Lorenzo, avvertivo i brividi che il suo calore procurava al mio corpo, e le sue urla che mi trapassavano gli orecchi, graffiandomi i timpani, ma non riuscivo a muovermi.

< Coooorrri, Noemi. > urlava.

Avrei voluto farlo, precipitarmi sulla moto spenta che non attendeva che noi e i nostri sguardi ardenti, ma non controllavo i miei movimenti.

Mi afferrò per la vita, e con una forza che non gli avrei attribuito, mi condusse fino alla strada sterrata.
Mi adagiò sulla comoda poltrona di pelle, e mi porse il sacco colmo di denaro tra le mani.

Il vento acquisiva mano a mano potenza, i miei capelli sferzavano l'aria, mi ferivano la pelle lasciando sottili tagli su di essa. E così, senza neanche capacitarmene, tentando di acquisire il comando dei miei gesti, tornammo al luna park.

Scese dalla moto, e prese ad osservarmi. Ad osservare una me inerme che aveva degli scopi e delle convinzioni concrete prima di allora, che aveva un'insegnamento alle spalle che avrebbe dovuto preparare a situazioni di tale calibro, che non avrebbe dovuto avere paura, ma che invece era terrorizzata, completamente paralizzata davanti ad un assassino.

< Perché non sei ancora scappata? > chiese.
< Non ho paura di te. E' il tuo modo di essere in conflitto con tutti i miei ideali, a spaventarmi. > sussurrai con voce pacata.

I suoi occhi brillarono nella penombra di quel cielo illuminato, e le stelle ci si rifletterono sopra come fossero specchi. Specchi che in quell'attimo riflettevano la mia immagine in armonia con la sua concezione di lotta quotidiana, che era nettamente differente dalla mia.

< Te sei strana, ma mi piace questa cosa. > ammise.

Non eravamo materiali che potevano essere fusi assieme, eravamo scarti di un qualcosa che lottava contro l'altro.

< Non sei abituato a conoscere ragazze strane? > chiesi.
< Il mondo è bello perché è vario. > rispose solamente.

Eppure stretti dalla lieve brezza della sera, capii che i suoi occhi nascondevano un mondo capace di contenerci.

Capii che dietro quello sguardo c'era una strada che ci permetteva di incrociarci, e che nonostante i tortuosi dossi che la vita ci aveva e ci avrebbe continuato a costruire avanti, noi eravamo uguali.

Due vie da lettere differenti, ma con lo stesso tono vocalico.

< Dovresti avere paura di me, comunque. > ammise.
< Perché dovrei? > chiesi.
< Sarò io a cambiarti. > Mi irrigidii lievemente, ed una leggera scarica di vento mi pervase il corpo.
< Dovrei odiarti, te lo meriteresti. > dissi, mentre ripercorsi mentalmente ogni aspetto che avrei dovuto odiare di lui, convincendomene.

È vero è complicato odiarlo,
nessuno al mondo può negarlo.
Tantomeno quell'oggi io.

< Invece mi parlerai di te. > sussurrò, accovacciandosi di fronte a me. 
< Che ti piace fare? > chiese. 
< Scrivere. > risposi, evitando il suo sguardo gelido.
Scriverai di noi? >

Mi aspettai quasi di avvertire la sua risata, che allora neanche avrei riconosciuto, ma invece il suo sguardo si mantenne serio, e fiero come al suo solito.

Pareva niente e nessuno potesse scalfirlo.

Non esiste un "noi". > puntualizzai.

I suoi occhi si socchiusero leggermente fino a ridurre l'azzurro ad un sottile spiraglio, e si sistemò davanti alla mia figura.

< Ma scriverò di te e di me. > chiarii, e le sue spalle si rilassarono.

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