Padre.
Questa parola che pesava forte e grave sul suo capo rendendolo
dolorante e
stanco delle troppe riflessioni. La mente esageratamente sovraccarica
da tutte
le ansie che questa consapevolezza gli scavava in corpo facendolo
rabbrividire.
Inutile dire, pensare, riflettere su cosa fare, su come andare, su come
affrontare questa situazione o acuta riflessione. Dolorosamente
violente come
schiaffi sul suo viso ricadevano i ricordi di quelle frasi, di quelle
parole
che gli laceravano il cuore. Pesanti macigni scagliati con forza sul
suo corpo
scosso e percosso da un titano che prende uno strano nome: Paura.
Si
sente cedere, cadere, svenire in un baratro senza fine. Lui la ama,
questo è
vero, lui vorrebbe donarla al mondo intero e allo stesso tempo tenerla
solo per
il suo piacere personale, solo per potersi beare di lei in ogni
momento. Ma un
problema nasce in lei, con lei…dentro di lei: un bambino il
frutto di una notte
di vero amore. Passionale e fugace amore. Intenso e unico come loro che
uniti,
allacciati l’uno all’altra si trasmettevano quelle
emozioni uniche e
indimenticabili che li avvolgevano, coinvolgevano.
Tanti
pensieri nascono dalla sua mente, contorta e spaventata, confusa e
terrorizzata. La fuga da un destino avverso, troppo infame e crudele
per lui,
che così giovane avrebbe potuto regalare molto al suo amore,
molto a chi lo
attorniava.
Invece
per uno sbagliato caso, per uno sciocco e stupido errore i sogni di una
vita
vanno frantumandosi come un coccio di vetro che cade al suolo. Le
scaglie si
conficcano nella mente, nel cuore, nel corpo e anche nei pensieri. Come
spine,
reiette e infette modellano una mente troppo spaventata appresa da una
notizia
errata.
Eppure
a questo immane terrore un pensiero si contrappone: vedersi in un
futuro
vicino, tra le braccia un piccolo bambino. Apre gli occhi e vi si
specchia come
nell’acqua se stesso dolce e morbido sogno che avvolge il
cuore e purtroppo
sbaraglia la logica.
Illuminato,
irradiato da un simile futuro i suoi pensieri vanno sbrancandosi
lentamente, la
matassa si scioglie, il groviglio si annulla e la mente si svuota.
Marchiata a
fuoco sulle pareti della logica l’immagine di quel piccolo
bimbo dalle
sembianze non definite ma al tempo stesso concrete. Lo può
vedere, lo può
toccare, lo può volere…e lo vuole.
Ma
questo bambino nascerebbe con la consapevolezza di essere un incidente,
uno
sbaglio, una creatura che gli ha stroncato i sogni, gli ha distrutto la
speranza costruita in anni e anni di gesta e mitiche imprese.
Così come
richiamati al rapporto i pensieri infetti dalle scaglie di quei sogni
infranti
la matassa si riavvolge e si fa più pesante, più
cruda, più coinvolgente, più
dolorosa. L’idea di quel bambino dagli occhi
d’acqua si sgretola nella mente
del giovane che sente la voglia di tacere, di smetterla di pensare.
La
sua figura flebile trema accomodata sulla poltrona della camera da
letto. Le
mani immerse nei capelli biondi cenere stringono convulsamente i fili
d’orati,
l’espressione del viso angelico stretta in una morsa di
dolore misto
confusione. Gli occhi chiusi serrati per evitare di vedere con i suoi
occhi la
realtà che poco distante giace sdraiata sul letto vicina a
lui, le labbra
serrate con i denti che si intravedono e tanta è la forza
con cui sono stretti
che l’attrito potrebbe corroderli, le rughe giovanili di un
viso teso e
martoriato di un corpo confuso e tormentato.
Spalanca
gli occhi all’improvviso vitrei e folli come i pensieri del
giovane. C’è un
modo per smettere di pensare, un modo per far tacere i mille pensieri
infetti o
meno che gli sconvolgono con crudeltà la memoria. La follia
del gesto che vuole
compiere trapela dal suo sguardo afflitto e addolorato. Non
può fuggire perché
non vivrebbe lontano da lei, ma non vuole pensare l’acuto
dolore di quei
pensieri gli fa bruciare il cuore e esplodere la mente.
Così
avanza meccanico e folle verso l’angolo della casa che
può rivelargli ciò che
cerca, ciò che brama come la pace assoluta, il vuoto della
mente e il silenzio
del suo cuore. Il corpo protesta non lo vuole assecondare e
così un ginocchio
cede e si trova al suolo. Freddo e gelido pavimento che lo rianima di
innato e
spietato ardore. Si rialza arranca verso il cassetto e la sua mano
meccanica,
tesa come una corda di violino raccoglie quella lama di metallo che con
un sol
gesto può far tacere il suo dolore, la sua confusione la sua
immensa
disperazione.
Lo
fissa e nel riflesso vede nascere il suo viso. Non si riconosce
più nemmeno lui
stesso: lo sguardo folle, gli occhi azzurri che lanciano scariche
elettriche
tanta è la fatica di tenere quel coltello tra le mani, le
labbra tese contrite
in un arcano e sadico sorriso speranzoso, bramoso di pace. La mente
confusa
anela del dolore e la mano si muove meccanica a puntarsi da solo. Il
gesto
sembra stupido e banale, basta una flessione del polso per poter
raggiungere la
pace che vuole, che desidera… ma allora cosa lo spinge a
fermarsi, cosa lo
blocca?
Fissa
ancora se stesso meno visibile dalla lama ma non per questo poco
importante, si
guarda un’ultima volta e l’impulso parte dalla sua
logica inumana spingendo la
mano ad avvicinarsi a lui ma fino a quel momento ha patito nel silenzio
irrompe
facendo vibrare l’aria un richiamo lontano, una voce flebile
e insana dal piano
superiore.
Il
suo nome, una voce l’ha chiamato. Si blocca, la mano lascia
il coltello che
cade a terra con un tonfo e un rumore metallico che prosegue finche
l’oggetto
che pulsava tra le sue mani non giace inerme al suolo. Gli occhi
annebbiati,
appannati da tanta follia si svuotano e il biondo si trova a fissare la
sua
mano alzata, puntata verso se stessa vuota.
Rimane
immobile incapace di riconnettere la cervello il gesto che la sua
innata
disperazione gli stava dettando di compiere. Svuotato da tutte le
energie
impegnate nel combattimento interiore cade al suolo stremato come se
avesse
combattuto mille battaglie. Al suo fianco il pulsante coltello che lo
agita e
lo scuote alla sua sola vista.
Un
attimo e il richiamo si fa più forte seguito dai passi lenti
e strascinati di
un corpo affaticato che scende le stesse scale che poco prima lui ha
percorso
senza nemmeno rendersene conto, troppo accecato dall’idea e
dal bisogno di
morte.
-Troy…?-
La
voce dolce, impastata dal sonno irrompe nella cucina e sulla soglia
della
stanza compare la figura della ragazza che controlla il suo cuore. Come
la
burattinaia con il suo burattino controlla le sue emozioni, le sue
sensazioni.
I capelli mori ricadono con dei boccoli stanchi attorno ad un viso
giovanile
torturato dalle ansie che poco prima affliggevano il cuore del ragazzo.
Il
volto rigato da lacrime ora asciutte e l’ansia trapela da
quello che potrebbe
essere scambiato sonno. Lo guarda incerta, indecisa, stranita e
confusa. Non
capisce perché il ragazzo della sua vita si trova a terra in
ginocchio con uno
sguardo perso, spaventato vuoto e al suo fianco un coltello dalla lama
affilata
giace vicino alle sue mani.
Ma
non passa molto che la mente elabora mille perché e la testa
esplode addolorata
ad un pensiero sconvolgente. La reazione muta dalla mente passando
trasmessa al
corpo.
Gli
occhi si sgranano terrorizzati e fulminei, le labbra si spalancano
senza che vi
esca suono mute strozzate le corde vocali non riescono a liberarsi
dalla presa
terrorizzata e gelida del rischio di perdita, le sopracciglia si
inarcano agli
estremi di un viso che placa la sua espressione assonnata con una
sconvolta e
spaventata. Non parla no, rimane immobile fissa con il cuore che non
trova più
la forza di battere. Finche spinta dall’amore, dalla
disperazione si getta in
avanti scagliandosi contro il corpo del giovane. Gli cinge il collo e
affonda
il viso nella sua spalla scoppia a piangere liberando l’acqua
che Troy aveva
visto negli occhi di suo figlio e lo stringe con
ossessività. Appurata la sua
presenza, la sua vita, si separa un po’ sempre piangendo e lo
guarda, gli sfiora
le mani, percorre il corpo in cerca di prove di quella folle pazzia, di
quel
malato pensiero ma non trova nulla se non due occhi turchesi spaventati
quanto
i suoi. Appurata la salvezza di ciò che più ama
inizia a tempestarlo di pugni a
scagliare contro il suo petto un dolore fisico che non può
minimamente
riportare il dolore della paura che lei a provato, perché
vorrebbe che provasse
un minimo della paura che lei stessa anela in corpo. Ma piange, piange
perché
l’acqua che le cade dagli occhi è lo specchio di
quello che c’è in lei,
confusione, rabbia, furia, avversione, tristezza, paura,
terrore…amore.
Troy
la blocca afferrandole i polsi e perdendosi nei suoi occhi scuri, da
cerbiatta.
La
fissa e il suo dolore si unisce a quello di lei, le sue ansie diventano
quelle
di lei, la sua insicurezza peggiora con quella di lei, la sua
confusione viene
oppressa dalla rabbia di un pensiero e quasi gesto così
sciocco e avventato. Ma
nel mezzo di quella confusione di sentimenti e sensazioni la mente di
Troy
realizza una cosa. Quando sente il cuore farsi più leggero e
la mente
sbrancarsi comprende che se le cose devono essere affrontate, vanno
affrontante
insieme e mai tale consapevolezza lo investe con la stessa forza con
cui lo
travolge in quel momento. La stringe a se e Gabriella addolorata e
rincuorata
che si sia bloccato annega il suo viso nel suo petto, martoriato dai
suoi
deboli pugni e vi si sfoga contenta che il suo pensiero abbia invaso la
mente
di colui senza il quale non può vivere.
Fine