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Autore: Percicoshipper3547    16/05/2015    2 recensioni
Hiccup /Horrendous/ Haddock, fin dalla tenera età di otto anni, ha provato forti sentimenti per il figlio della sua vicina di casa, Jack Frost. Ciò che li ha uniti era stata un'inquietante scoperta al Jefferson Park, un quartiere di Orlando, mentre facevano la loro passeggiata quotidiana. Però, con il passare degli anni, i due ragazzi si allontanano fino ad essere solo e comunemente "conoscenti". Ma, la sua vita viene scombussolata finché proprio lo stesso Jack Frost non gli propone di passare una notte di divertimento e vendetta con lui -verso coloro che lo hanno "tradito"- e dalla sua fuga misteriosa il giorno dopo. Hiccup, quindi, si ritroverà insieme ai suoi amici Eugene, Merida e Rapunzel alla ricerca della città di carta dove Jack si nasconde. Deve trovarlo, prima che i suoi fili si spezzano prima del dovuto.
[ Ispirata al libro "Città Di Carta" di John Green || Non Copyright || Hijack's story ]
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
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[ Allora. Parto con il fatto che questa storia -vi ripeto- non è a Copyright, se non per la trama e le vicende che si raccontano nel libro. Cambierò un bel po' di cose, così da non dar fastidio a nessuno, e aggiungerò vari paragrafi che non sono scritti in Città di carta.
Ciò che scriverò forse sarà spoiler per qualcuno, ma in ogni caso. . .
ENJOY IT. 
 
Un besos, PercicoShipper3547.
P.s: Spero vi piaccia. Accetto critiche e suggerimenti per continuare a scrivere questa storia, e scrivetemi in chat se vi da fastidio. Ovviamente i "crediti" vanno a John Green, per la cronaca. Non esiterò a eliminarla. ]
 
 
Prologo
Un'inquietante scoperta.

 

 

Dei miracoli capitano sempre a tutti, o almeno, io la penso così. Cioè, non mi capiterà mai di essere folgorato dal dio Thor, o maledetto dal dio Loki – sì, insomma, amo la mitologia nordica ma dettagli – oppure. . . tutte le cose peggiori e inimmaginabili che potrebbero colpirmi. Non avrò mai un tumore all’orecchio, o morirò per depressione. Se mettiamo tutti questi “miracoli”, alla fine me ne capiterà sempre una. Come dico sempre: poco ma sicuro. Non sposerò mai Kate, la ragazza del principe William, o mai cavalcherò un drago enorme. Che assurdità, vero?

Un miracolo che mi è capitato: era quello di avere come vicino di casa Jack Frost, e penso ancora che sia la cosa più bella del mondo.

 

Il nostro quartiere è Jefferson Park. Prima era una base marina, ma, poiché non serviva più a nulla, era diventato per i cittadini di Orlando un quartiere. Quando iniziarono a costruire un bel paio di villette, i miei genitori e la madre di Jack Frost –suo padre era morto dopo esser andato in guerra con i Marines – diventarono vicini. A quei tempi io e Jack avevamo rispettivamente  due anni. Due bambini combina guai.

  Prima di essere una base marina, questo quartiere fu chiamato “Jefferson Park” perché apparteneva ad un certo Dr. Jefferson Jefferson. “Che fantasia avevano i suoi genitori”, penso sempre sarcasticamente quando sento il suo nome. Certo, mi chiamo Hiccup Horrendous Haddock – il nome più stupido mai sentito –, però il suo nome era davvero strano.

ESEMPIO: Nel bel mezzo di una lite, se Jefferson fosse scappato via da casa e dai genitori, come lo avrebbero chiamato questi ultimi? Per nome o cognome?

Lo so. E’ un pensiero inutile, ma era impossibile non immaginare una situazione del genere. Una curiosità su Jefferson: non era davvero un dottore, ma bensì un venditore di succhi di frutta. Quando raggiunse davvero il suo “massimo splendore”, aggiunse il Dr davanti al suo nome. Punto.

 

Quando avevo l’età di otto anni –io ripetevo “otto anni e mezzo”, per farmi vedere più grande ma mi sono reso conto pochi mesi più tardi che mi metteva in ridicolo, anziché il contrario– i miei genitori e la madre di Jack erano ormai in simpatia. Insomma, ci si scambiavano sorrisi, sguardi e favori, ma nulla di più.  Ogni /santissima/ volta che dovevo incontrare Jack, perdevo un battito senza accorgemene. In assoluto, penso fosse stato scolpito in un’altra vita dallo stesso Michelangelo. La misteriosità e la bellezza –due qualità le quali lo rispecchiavano perfettamente– in persona che camminava fra la gente da far invidia alla stessa dea Afrodite, appartenente alla mitologia greca. Sì, sono un fottuto secchione. L’ho detto. Lo pensano tutti coloro che mi conoscono che sono un grande nerd amante della mitologia, qualunque essa sia. Le mie preferite sono ovviamente quella greca e nordica, anche se hanno tantissime differenze tra esse, non mi importa. Tornando a Jack, quell’ennesima volta che l’ho incontrato era stupendo, nonostante avesse solo nove anni.  Era una solare giornata di metà marzo, lì dove l’inverno e la primavera si incontrano causando un bel po’ di tempeste. Come non detto, quel giorno di Marzo io e Jack Frost eravamo andati di nuovo al parco Jefferson in bicicletta, cosa normalissima che faceva parte della /nostra/ routine quotidiana. Conoscevo così bene quel parco che avevo una precisissima mappa nella mia testa di quell’area pubblica. Sapevo ogni angolo del parco a memoria. Non c’era niente di strano; era tutto stranamente normale quel giorno che mi spaventai. Solo io. Jack era così. . . calmo.

 « . . . Hic » mormorò soltanto il bambino.

Cosa c’era di strano, se intorno a noi era tutto come era sempre stato? Quercia robusta davanti a noi? Sì. Eccola lì. Il campo da gioco? Sì, era ancora là. Jack aveva notato una tizia morta, ecco la stranezza che spezzava la normalità di cui eravamo tanto abituati entrambi. Era morta. Una pozza di sangue si era creata a causa del liquido rossastro che le colava dall’angolo della bocca, quest’ultima era spalancata orribilmente, la quale mi fece rabbrividire sedutastante. Jack era fermo.

 « E’ morta » aggiunse quest’ultimo,  fissandola attentamente da capo a piede, cercando di riconoscerla dai lineamenti del viso. Avevamo soltanto otto - nove anni, ma di gente ne avevamo conosciuta che facevano parte di quel quartiere. L’avevo capito fin da subito che quella donna, di cui non sapevamo ancora nulla, se n’era andata via. La cosa che fece salire il mio nervosismo in quell’istante era il fatto che Jack si era fatto ancora più avanti a lei. Quella scoperta si stava rivelando talmente inquietante che da un momento all’altro a) pensai che mi avrebbe aggredito con una moto sega  e b) se non mi avesse ucciso in quel momento, per farlo mi avrebbe raggiunto fino a casa mia, nel bel mezzo della notte. Avevo –e ho– una fervida immaginazione.

 « Hic! Ha ancora gli occhi aperti. »

Se non lo avessi fermato, di sicuro l’avrebbe toccata. Fortunatamente, dissi poco dopo:  «  Jack. . . andiamo a casa. »

 «  Ma. . . i morti non hanno gli occhi chiusi? »

 « J–Jack, torniamo a casa. » Mugugnai, torturandomi le dita, prima di supplicarlo. « Per favore »

Ma Jack Frost aveva altro a cui pensare, sembrava così interessato a lei. Come poteva una donna morta  attrarre Jack Frost, mentre io vivo e vegeto non lo attraevo affatto? Sì. Era un tipo strano, ma ci convivevo fin dall’età di due anni quindi era positivo, non era cambiato ulteriormente con il tempo.

 «  Su Hic! Non ti sei chiesto nemmeno cosa le è successo? Chissà, magari si è drogata. Tu che ne pensi? » mi chiese grattandosi il mento, come se ci stesse pensando su. « E se era depressa?! »

Sbuffai scocciato dalle sue continue domande, così sbottai immediatamente un:  « JACK. Andiamocene! »

Dopo un po’ annuì a quel mio ‘ordine’, ma io ero già corso verso la mia bicicletta. Saltai su e cominciai a pedalare verso casa mia dietro di lui, con il vento che mi arruffava i capelli castano–ramato e le lacrime che mi bagnavano a poco a poco il viso, rigandolo e rendendolo lucido. Jack mi avrebbe preso in giro per qualche mese, se mi avesse visto in quello stato. Non volevo farmi vedere, volevo andare a casa mia, appisolarmi sotto alle lenzuola e dimenticare quella brutta e spaventosa esperienza. Sapevo che mi aveva sconvolto per il resto della mia /apparentemente noiosa/ esistenza. I miei genitori – che della vita ne hanno capito  fin troppo – chiamarono il 911, io nel frattempo feci solo qualche oretta di sonno in camera mia. Ero così fortunato ad averli come mamma e papà, ti facevano sentire così al sicuro anche solo con un abbraccio. Ma. . . per l’amor di ODINO! Io AVEVO trovato una tizia morta. Io e Jack avevamo trovato una tizia morta. Mi aveva spaventato. Sapevo che non l’avrei più dimenticata.
 



Cosa c’era di più inquietante di quella “scoperta”, secondo voi? Per me è l’essere fissato da un certo Jack Frost alle nove di sera, i suoi occhi puntati su di me.  Ogni volta che li vedevo, avevo sempre lo stomaco che brontolava. Per la fame o quel bene immenso  – chiamato amore – che provavo per lui, non lo so. Era lo stesso: avevo sempre una gran fame.

Mi ero appena fatto una doccia, e quando mi coricai nel letto solo allora notai il bambino di nove anni che osservava ogni mio movimento attentamente. Era pur sempre così. . . bello. Sì, nutrivo troppi sentimenti per lui che se lo avessero scoperto i miei, non saprei se avrebbero reagito bene (per essermi sfogato) o male (per aver pensato che loro mi avrebbero discriminato o una cosa del genere). Ma quello non era il caso di pensare a come dire la mia cotta per il figlio della vicina di casa. Così, sull’attenti, Jack sembrava essere davvero un prossimo poliziotto per Orlando. Se lo fosse diventato, scommettevo che sarebbe stato il migliore, invece di certi stronzi che mangiano ciambelle da mattina a sera stando seduti davanti alla scrivania, come se ciò li rendesse fighi. Jack era sempre stato serio fin da bambino, e questo che lo rendeva perfetto ai miei occhi. Notai un piccolo fascio di luce che proveniva dalla luna, la quale illuminava il suo volto roseo. Era bellissimo. A ogni modo, mi avvicinai subito alla finestra per guardarlo meglio. Feci per aprirla, e poggiai le braccia sul davanzale, notando la poca distanza che separava i nostri volti, ma lui non ci fece nemmeno caso che mi passò i suoi appunti e cominciò a raccontare a vanvera ciò che aveva scoperto quello stesso giorno. Non accennai nemmeno un movimento, ero abbastanza interessato e odiava essere interrotto.

 « Allora. . . Hic, ho fatto una piccola indagine. » disse, spostandosi una ciocca scura dietro l’orecchio sinistro.  « La signora Feldman, quella del tribunale, ha detto che quella donna si chiamava Jennifer Stone. Viveva in Jefferson Road. Era bellissima, divorziata, aveva un figlio maggiore, che adesso non vive qui ma è insieme alla sua ragazza a North Carolina. Me lo ha raccontato tutto un carabiniere che era insieme a dei suoi colleghi proprio davanti al palazzo di Jennifer, ma niente di più. Così, intelligentemente, sono andato dal suo vicino David Spiegelman, che mi ha rivelato la morte della ragazza. Proprio lui aveva sentito lo sparo di un’arma da fuoco vicino al Jefferson Park. Sicuramente si era sparata con qualche calibro e un–numero–che–non–so, e forse era a qualche metro dal corpo della donna. Si era sparata per depressione, poiché il marito se ne era andato, così come il figlio, lontano da lei. Era pazza. »

Pensai infine che Jack era molto informato, aveva spiegato tutto con una tale calma che sembrava una storiella imparata a memoria. Ma non era un romanzo horror o qualcosa di simile, solo una semplice e pura realtà. Io lo ascoltavo fissando gli appunti e notando che tutto ciò che aveva  da dire non l’aveva ancora detto. Ci mancava altro.

 « Sì, lo so che la gente non si suicida per una cosa del genere, infatti l’ho chiesto a David ma ha subito liquidato il discorso mandandomi a casa » sbuffò, roteando gli occhi.

 A quel punto mi lasciai scappare una piccola risatina, porgendogli nuovamente il blocchetto di appunti che prese con un po’ di prepotenza. Forse nervoso dalla mia risata, ma non ci diedi tanto peso.

 « Jack, sei così convinto di–– »

 «  Forse ho un’idea sul perché si fosse suicidata per una tale sciocchezza » mi bloccò subito, come al solito. Sospirai e mi ammutolii, dandogli libertà di continuare. 
«  Tutti i fili dentro di lei. . . si sono rotti. »

Fili? Rotti? Che cosa significava? Era così misterioso che una volta di queste lo avrei preso a pugni, se non avesse smesso. Strinsi i pugni, non sapendo come rispondere a quella semplice e strana affermazione, ma ciò che fu la mia distrazione totale erano i suoi occhi castani che scrutavano i miei, verde foresta. Poi si allontanò dal mio viso, chiudendo la finestra velocemente, senza far rumore per non farlo sentire ai miei. Ci fissammo a lungo, così tanto che per me sembrò non finire mai. Ricordai che fui io a tornarmene a letto, e lo stesso fece lui. Mi pentì a lungo per aver rinunciato a guardarlo per un’intera eternità, ma dovevo tornare a letto o la mattina dopo non mi sarei svegliato abbastanza presto per prepararmi e andare a scuola in orario.

Jack amava così tanto i misteri che era diventato uno di loro, improvvisamente. Un mistero troppo grande anche per me.

 
   
 
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