Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: MadHatter96    16/05/2015    2 recensioni
Le domande sono un'esigenza umana, sono inevitabili, come è inevitabile respirare.
C'è chi crede che tutto abbia una logica, altri invece negano completamente l'esistenza di qualcosa di simile.
Ma per qualcuno che pur avendo perso ogni cosa, è riuscito a rinascere grazie ad un aiuto che può sembrare quasi divino, tutti i dubbi passano in secondo piano.
Non importa se dovrà rompere gli schemi e le convenzioni poste dalla gente, a lei basta vivere. Non una vita di sopravvivenza, ma di speranza. La forza di qualcuno che mette a rischio ogni cosa, pur di non perderla.
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Judal, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Hell and Heaven

 
L’alba dorata era limpida all’orizzonte, mentre il cielo notturno si preparava ad essere spazzato via.
Judar se ne stava in piedi accanto alla principessa, così piccola rispetto a lui, mentre gli occhi violetti di lei guardavano velati le macerie candide che si estendevano davanti a loro.
“Perché siamo qui?” Chiese rotta la voce femminile, mentre l’altro si guardava attorno con disinvoltura.
“Volevo mostrarti a cosa sei sopravvissuta.” Rispose tranquillamente.
“Bene…ho visto…possiamo andarcene.”
Il Magi lo vedeva, Rayenne stava lottando con tutte le sue forze per non piangere, e dentro di lui apprezzò il fatto che ci stesse riuscendo, anche se, era sicuro non sarebbe durato a lungo.
“No, c’è un’altra cosa che vorrei che tu vedessi, o rivedessi.”
Sentì la ragazza deglutire, ma la ignorò brutalmente, non c’era tempo per lasciarla protestare.
Non c’era tempo per provare pietà, lui non poteva provare pietà.
Le punte dei cocci gli pizzicavano i piedi nudi mentre un forte alito di vento gli scompigliò i capelli, facendo volare la sua treccia color carbone.
La sentiva camminare esitante dietro di lui, forse soltanto per non essere lasciata sola in quella che era la tomba della sua infanzia.
Le mura del palazzo svettavano ancora sul luogo desolato, e la ragazza per un secondo fermò il passo.
Quando il Magi si voltò era pallida, più di quanto non lo era già di suo, e tremava come una foglia mossa dal vento.
Gli occhi rispecchiavano il terrore della sua anima mentre delle perle di freddo sudore scivolavano lievi lungo il suo collo.
Judar la prese per mano. Si disse che quello era l’unico modo per farla continuare, si disse che nonostante la sua stupida obbedienza da cagnolino, il timore di lui non sarebbe bastato a farle muovere dei passi.
Le fragili dita di lei vibrarono di tensione, e per un attimo tentarono di scivolare via, ma poi si arresero all’unica via di fuga che aveva in quel momento.
Perché, nonostante la costante paura che rappresentava per lei  quel Magi Nero, in quel momento sembrava essere l’unica certezza che la teneva al sicuro da un baratro di disperazione. Era come se lui, lì davanti a lei, fosse la barriera che la teneva ancora lontana dal suo passato, seppur motivi inspiegabili.
Dal canto suo l’oracolo sentì tremare qualcosa all’interno del suo corpo. Qualcosa di fisico, e freddo, ma lo ignorò, procedendo su quei pilastri distrutti.
La polvere bianca che aleggiava nel palazzo si depositava sulle loro pelli, mentre il ragazzo ripercorreva la via che a mente riconosceva.
Non era sicuro delle reazioni che avrebbe potuto avere lei, e non sapeva nemmeno di preciso cosa avrebbe potuto ottenere, ma tentare non costava nulla.
Sentì i battiti cardiaci della giovane aumentare quando con il dorso della mano le sfiorò il polso, e ne dedusse che fosse causa dell’ angoscia ormai incondizionata.
Quando giunsero a destinazione lui la lasciò lì, nel corridoio semidistrutto, subito davanti a quella stanza.
Non aveva intenzione di vederla avere un’altra crisi di nervi come alla vista di quella lira che aveva raccolto lui da quel luogo, perciò entrò da solo, in attesa che fosse lei a prendere l’iniziativa.
Muovendo qualche passo all’interno si accorse che tutto era rimasto come l’ultima volta; i giochi d’avorio sparpagliati sul pavimento, e le due statuine che aveva calciato lì a pochi passi dai suoi piedi, una senza la coda.
Guardando la stanza e i materiali con i quali erano costruiti i raffinati diletti, ora che era molto più informato rispetto alla prima volta che aveva messo piede in quel luogo, non gli sembrò poi così strano che, in quella sala tutto sommato ben mantenuta, quel giorno ci fosse stata proprio Rayenne.
Il sole che pian piano si alzava nel cielo illuminava la polvere deposta sugli oggetti, conferendone a ciascuno un’aura dorata.
Judar immaginò lei, piccola e paffutella, mentre spostava gli animaletti giocattolo imitandone i versi e di tanto in tanto canticchiando una melodia che proveniva dalla lira.
Al suo fianco, un ragazzo dagli occhi verdi e i capelli dello stesso colore di lei, raccolti in una sottile coda adagiata sulla spalla sinistra, la osservava giocare con un dolce sorriso, mentre le dita pizzicavano le corde dello strumento musicale.
Poi immaginò quel pavimento, un tempo lucido, cosparso da sangue scuro che si dilagava inzuppando le vesti pregiate della principessina, e gli occhi cuccioli terrorizzati sul volto color marmo.
Judar sbatté gli occhi, eliminando quella visione.
Ne aveva viste così tante di cose simili che anche l’immaginazione gli mostrava le cose troppo nel dettaglio.
E poi lui non aveva la più pallida idea di come fosse stato il principe di quel regno, se non da brevi e confusi accenni da parte della sorella di lui.
Si voltò a guardarla, ancora lì, immobile come una statua, con gli occhi che imploravano pietà.
“Avanti.” Le ordinò freddo il mago, e lei, debole davanti a lui, mosse un passo, che la fece accedere a quel che lei sapeva essere stata la sua sala dei giochi.
Ancora prima di entrare lo sapeva.
Ricordava i suoi animaletti selvatici bianchi come latte sistemati sulle mensole con rigore, mentre nella scatoletta sullo scaffale a destra vi erano tutte le statuette d’ambra.
Ricordava gli arazzi di porpora appesi alle pareti, e ricordava il soffice e caldo tappeto che la accoglieva nei suoi divertimenti.
Ricordava le braccia tenere di sua madre, quando entrava con quello sguardo giovane e pieno d’ amore e la prendeva in braccio trascinandola in storie meravigliose e inesplorate. E lei sentiva il suo profumo rassicurante, e vi ci si aggrappava accoccolandosi sotto il suo collo.
E poi c’era anche suo fratello, Jasem, che si sedeva accanto a lei e suonava quella canzone che a lei piaceva tanto, mentre lei si proponeva in danze infantili e buffe.
E poi la sera correva a sedersi sulle ginocchia del padre, ad accettare le carezze quotidiane, quando durante il giorno doveva invece mantenere un formale distacco.
Senza che lei se ne accorse la mano scivolò su una di quelle statuine, rappresentate un cervo, e senza che lei comandasse nulla la sua mente prense a ricordare tutto ciò che quella piccola opera aveva vissuto…fino a quel giorno.
Improvvisamente, come per uno strano incantesimo, nella sua testa riapparirono come in un flash tutte le immagini tremende di quella giornata che era iniziata così normalmente.
Ricordava il suo gioco, e Jasem che le sorrideva tranquillo. Ricordava che ad un certo punto si erano stupiti del rumore chiassoso che si era propagato nel palazzo, ma avevano continuato a divertirsi senza darci peso.
Poi, all’improvviso tutto tremò, qualcosa prese fuoco, lei si guardò attorno spaventata e il principe balzò in piedi.
“Rayenne!” L’aveva chiamata cercando di prenderla in braccio, ma prima che potesse farlo cadde lì, davanti ai suoi occhi di bambina, sporco di quel liquido rosso tanto terribile.
Lo chiamò, ma lui rimase lì, immobile.
Chiamò sua madre, suo padre, il consigliere, chiamò chiunque ci fosse nel palazzo, ma nessuno le rispose. Gli unici rumori che udiva erano le grida provenienti dall’esterno. E si trovò sola, da un momento all’altro, piccola e indifesa, davanti a quel fuoco che divampava e a quelle pareti che crollavano.
C’era qualcuno, davanti a lei. Ma chi? Non riusciva a vederlo. Eppure era lì, ad un passo. Era una figura piccola, eppure terribile allo stesso tempo. Ma chi era?  Non riusciva a vedergli il viso…eppure i suoi occhi lo guardavano…e ora…
Un grido squarciò il silenzio che era piombato nella struttura. Un grido tanto forte e straziato che anche Judar sussultò. Ma quando era pronto ad assistere ad una pazzia, vide soltanto Rayenne rannicchiarsi su sé stessa, coprendosi il capo con le mani, per protezione, mentre piangeva in silenzio, tremando come un agnellino.
Continuava a tremare piangendo di terrore, mentre implorava un qualche spirito di donarle pietà.
Era così piccola e impotente, come lo era sempre stata.
Non perse il senno, semplicemente ricordò un dolore troppo grande perché potesse essere dilungato nel tempo.
Ma ora lo aveva recuperato, e avrebbe potuto rievocarlo quando ella avrebbe voluto. Era questo che Judar voleva. Ma ora, persino lui capiva che non era il caso di indagare, sarebbe stato improduttivo.
E capiva che lei da lì non si sarebbe mossa, il dolore la stava già sfinendo, ancor prima che fosse compiuto.
Così, senza dir nulla, si chinò su di lei, e con più delicatezza che poteva la prese in braccio, desiderando di tornare a casa il prima possibile.
Perché lì, in quel luogo, anche lui non si sentiva affatto bene. La polvere fina gli infastidiva le narici e gli occhi, e il suo corpo sembrava ribellarsi, mentre il punto cruciale nel suo addome gli bruciava incandescente all’aria fresca della mattina.
Si alzò in volo ed uscì.
Sentì la ragazza stringersi a lui, ancora tutta tremante, e lui la tenne ancora più contro di sé, senza un motivo preciso.
Non che provasse pena o cose simili, solo che quei singhiozzi rompevano il suo equilibrio.
Si lasciò accarezzare dal vento, mentre saliva di quota, provando sempre più sollievo ad ogni metro di cielo. Ormai la luce riscaldava tutto il panorama, e Al ‘ayn era diventato un punto distante e ormai invisibile.
I raggi solari si stendevano sulla sua pelle nuda, regalandole una patina luminosa.
Ormai, la cerchia di chi poteva aver attaccato quel popolo si stava restringendo, e Judar era più che convinto che dietro a chiunque fosse stato Al Thamen si ergeva forte e dominante.
Ma Sindria? Cosa aveva ottenuto Sindria da tutta quella storia? Perché, ne era certo, Sinbad non si era mosso solo per pietà. E anche Rayenne lo sapeva.
Quando riatterrò, alle porte del palazzo, non si aspettò di trovare la principessa Kougyoku proprio lì, davanti All’ingresso.
Cosa stesse facendo lì non riuscì a dedurlo, ma un brivido nascosto gli percorse la spina dorsale quando vide i begli occhioni rosa sgranarsi alla vista della principessa di Sindria, inerme tra le sue braccia.
Le ci volle solo un secondo.
“Cosa le hai fatto Judar-chan?!” La vocina acuta fece voltare tutti i servitori lì attorno, intenti nei loro lavori quotidiani.
“Sta’ zitta Vecchia! Non sono stato io!” Le urlò contro con tutto il fiato che aveva in gola, facendole fare un passo indietro.
“A-allora chi…”
Prima che la ragazza potesse finire la frase il Magi l’aveva già superata, dirigendosi verso le proprie stanze.
Non lasciò Rayenne abbandonata al suo angolo, ma le concesse di giacere sul proprio letto profumato. Dopotutto, i cani quando fanno i bravi vanno premiati.
E per lo stesso motivo si stese lì accanto a lei, adagiato su in fianco, ad osservarla.
Provò una certa soddisfazione quando lei sembrò volersi avvicinare a lui, tra le lacrime silenziose e la stanchezza.
Chiuse gli occhi, e cercò di cancellare la voce di Kouen che parlava mentre osservava con sguardo attento lo scettro spezzato, che ora giaceva sopra il mobile poco distante.
Cercò anche di segregare come una fantasia il suo passato che ultimamente gli stava ricorrendo sempre più nei pensieri, fino a sognarlo la notte.
Era sempre quello il sogno: lui, avvolto nelle morbide vesti di seta che stava lì, in piedi, davanti al dolce sorriso di Gyokuen Ren, che in quel momento sembrava così grande rispetto a lui.
Ella aveva teso le braccia verso di lui, come faceva spesso con suo figlio Hakuryuu, e lui, per qualche ragione aveva voluto salirle in braccio.
L’aveva tenuto sulle ginocchia accarezzandogli delicatamente la testa, mentre gli occhioni rossi di lui la guardavano: “Sei stato bravissimo, Judar.” Gli aveva detto “Sei stato davvero bravo.”
Ma proprio in quel momento il sorriso della donna cambiò, e un dolore lancinante al ventre lo fece gridare.
Principessa!
Judar spalancò gli occhi illuminati dal rancore. Si era lasciato di nuovo dominare dai suoi sentimenti.
Strinse i denti facendoli stridere tra di loro, e d’impeto lanciò uno dei suoi soffici cuscini contro la parete dinanzi a lui, cercando di eliminare almeno parte della rabbia che gli stava crescendo nel petto.
“Sei arrabbiato…Judar-sama?” La voce flebile di Rayenne raggiunse debole l’orecchio del mago, che si voltò nuovamente a guardarla.
“Sta’ zitta.” Le ordinò con sguardo autoritario “Dovresti almeno riposarti, sei inutile se non riesci neanche a reggerti sulle tue gambe.” La provocò con una smorfia di disgusto.
Ci fu un attimo di silenzio dove tutto il mondo sembrò fermarsi, in una tagliente tranquillità.
Poi si spezzò.
“Hakuryuu… mi ha detto che tu odi le persone deboli…”
Dagli occhi violacei scorrevano ancora scie amare che inumidivano le guance candide.
“Ha ragione.”
“Quindi mi odi?”
“Sì.”
Di nuovo il silenzio calò pesante e duro nella stanza.
Il viso della principessa si nascose tra i tessuti, attutendo i singhiozzi già lievi.
Judar se ne sarebbe andato volentieri senza parlare, ma rimase lì, forse nella speranza che già ora lei gli desse qualche informazione utile.
Solo per ottenere ciò che voglio. Solo per dare ad Hakuryuu un potere in più degli altri. Solo per farlo diventare re.”
Questo era ciò che la sua mente ripeteva costantemente, ogni volta che si sforzava di non agire d’istinto.
“Non ricordo…” Di nuovo la ragazza parlò sconsolata, voltandosi a pancia in su “Non mi ricordo chi è stato…non ce la faccio… non riesco a darti quello che vuoi…”
“Non ti ho detto di stare zitta?” Le rispose lui. Kouen avrebbe sicuramente detto che era troppo presto, e per quanto a lui sembrasse assurdo cercò di seguire quel ragionamento senza perdere le speranze.
“Io lo so perché sono qui… l’ho capito.”
“Non è difficile capirlo.” La fulminò lui. Se davvero quell’oggetto era tanto ambito, ora come ora Rayenne poteva benissimo arrivarci al motivo della sua costrizione lì.
“Non ci riesco…”
“Taci! Fa silenzio una volta per tutte! Riposati, sta sera c’è quella dannata festa della Vecchia, e tu stai già crollando! Ed è appena sorto il sole! Vedi di rimetterti o quella inizierà a starnazzare come un’oca!” la rimproverò lui, ricordando il visino sconvolto della principessina rosa.
Sospirò nel vedere le iridi viola osservarlo ancora, affrante.
“Dormi.” Le ordinò freddo, e senza calcolare troppo il gesto si chinò su di lei, posando la sua bocca malvagia sulle labbra tremanti di lei.
Non per un gesto di amore, né di affetto. Semplicemente perché lo infastidiva il nome di Sinbad in quella gola, lo infastidivano quelle pupille che si posavano troppo spesso su Kouen, lo infastidiva il sorriso per Hakuryuu, la risata per Kouha o persino il timore per Koumei.
Perché doveva mostrare interesse per tutti gli uomini presenti in quel palazzo tranne che per lui?
Lui si era preso cura di lei, era a lui che doveva essere devota, lui la stava aiutando.
Nemmeno il re di Sindria doveva avere più diritto di lui su di lei.
Quel corpo e quell’anima dovevano essere suoi, di sua totale ubbidienza . Doveva essere un animale devoto, privo di ogni altro pensiero.
E Rayenne dal canto suo percepì quel bacio come un morso di serpente, velenoso e crudele.
Invece dell’affetto che di natura esso doveva rappresentare, lo sentiva trasmettere tutto l’odio e la rabbia verso l’intero mondo.
Eppure, a differenza di quanto anche lei si aspettava, si sentì mancare il respiro, e una strana sensazione le prese lo stomaco e la gola.
Sentiva il cuore nel petto batterle a mille, e le guance riscaldarsi tutt’un tratto.
Nonostante il dolore che tutto quello le stava provocando, la trovò incomprensibilmente una bellissima sensazione. Sentiva il suo caldo respiro riempirle la gola e anche quell’atto di puro egoismo materiale la affascinò a morte.
Non parlò quando lui si allontanò da lei, regalandole solo un ultimo sguardo prima di uscire.
Stette lì, con la mente solo immersa nel rosso più vivo del fuoco che si era appena acceso nel petto, inerme davanti a quella che sembrava una magnifica rovina.
La sua testa ormai era andata oltre il limite, e così si resettò per non esplodere, portandola in uno stato quasi di incoscienza, fino a farla scivolare in un sonno profondo e insperato.
Judar, intanto, si diresse verso il luogo in cui Hakuryuu era solito allenarsi.
Non diede peso a ciò che aveva fatto, non ne aveva motivo, aveva tutti i diritti su di lei, quindi era inutile continuare a pensarci sopra.
Si sentì comunque più leggero, però, quando vide il più giovane dei principi impegnarsi con la sua arma. In quel momento lo avrebbe paragonato ad un cucciolo. Era ancora debole, in confronto ai suoi fratelli.
Ma ciò non cambiava. Quel cucciolo era un cucciolo di tigre, e sarebbe cresciuto, diventando il re che il Magi desiderava.
Era comunque bello, pensò, mentre si destreggiava nello spazio, nobile e regale come un sovrano doveva essere, alla luce dei raggi mattutini. Aveva davvero tutte le caratteristiche, tutte le doti, solo ancora in potenza.
Ecco, il suo unico obbiettivo.
L’oracolo sorrise soddisfatto, mentre la sua giornata era appena iniziata.
 


Salve!
Ecco qui il nuovo capitolo! Ho cercato di non metterci troppo tempo ma sono ancora nei casini, mi dispiace.
Devo dire che sono un pochino (un pochino tanto) terrorizzata nel pubblicarlo perchè...ehm...ecco...sì, avete capito no? D'altro canto scene simili dovevo metterle, un po' la storia le premetteva a prescindere no? Ma...ecco...spero non risulti troppo troppo strano questo capitolo.
Spero lo gradiate comunque, a presto

MadHatter
  
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