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Autore: Angeline Farewell    17/05/2015    4 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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So che è passato tantissimo tempo dall'ultimo aggiornamento e mi scuso tantissimo, ma siamo finalmente arrivati alla fine. Non so quante persone abbiano effettivamente aspettato la conclusione di questa storia (non posso dar torto a chi è scappato XD), ma - nel caso - spero il risultato sia valsa l'attesa.^^'

 

 

 

Capitolo Quindici

 

Quando era bambino, intorno ai sette o otto anni, Tom si era perso.

Forse dire perso è un’esagerazione dato che era riuscito a tornare indietro da solo, ma per un bambino di quell’età, un boschetto di sempreverdi coperti dal silenzio della neve può diventare l’equivalente di una foresta stregata.

Erano in vacanza in Scozia come tutti gli inverni, e come tutti gli anni l’umore di Norman altalenava tra picchi di serena felicità e secche di insofferenza, perché amava le Highlands ma preferiva non ricordare la cittadina di pescatori e portuali dalla quale proveniva e che gli aveva regalato dita da manovale piuttosto che da scienziato.

Tom non aveva ancora otto anni ed aveva perso il berretto di lana mentre cercava di correre il più veloce possibile sulla neve spessa caduta la notte precedente, gli alberi erano enormi, i rami nodosi e contorti sembravano mani pronte a ghermirlo. Quando era riuscito a raggiungere nuovamente la sua famiglia aveva nascosto il viso nel cappotto di sua madre piangendo per quell’esplorazione andata malissimo. Doveva essere stato via non più di dieci o quindici minuti, ma, nel silenzio di quel boschetto che da lontano appariva così ameno e sicuro, quei pochi minuti si erano amplificati diventando ore di solitudine e paura. Una paura di cui non era riuscito a liberarsi presto, aveva continuato a piangere finchè sua madre non aveva deciso di porre termine alla passeggiata e far rientrare tutti nella baita che avevano affittato, per scaldarsi con una cioccolata calda.

“Perché diavolo continua a piagnucolare, non è successo niente.”

I suoi genitori chiacchieravano davanti ai fornelli mentre Sarah aspettava con lui sul divano la promessa cioccolata e i marshmallow, Emma non aveva ancora tre anni ed era troppo concentrata a masticare l’orecchio del suo peluche preferito per accorgersi del cambio di scenario. Parlavano a voce bassa, ma la stanza era troppo piccola perché ci fosse reale intimità.

“Norman, si era perso, è solo un bambino…”

“Tu lo vizi troppo, ecco perché continua a fare tante storie. Verrà su stupido.”

Norman.”

“E’ ridicolo, non ci eravamo nemmeno accorti fosse sparito.”

Quando sua madre era tornata da lui con due tazze di cioccolata, Tom aveva smesso di piangere e non si era più lamentato. Di nulla.

Erano passati più di vent’anni da quella vacanza ch’era stata solo il primo mattone nel muro che i suoi genitori avevano cominciato a costruire tra loro. O forse solo il primo di cui Tom si era accorto, ma per un figlio fa poca differenza, soprattutto se  il muro cresce con troppa discrezione perché si possa notare davvero qualcosa oltre una tensione strisciante nascosta da giornate troppo piene di impegni.

Tom era già stato innamorato.

Charlie l’aveva sempre preso un po’ in giro per quella sua bizzarra propensione al romanticismo, ma aggiungeva spesso sembrasse più innamorato dell’amore che delle sue fidanzate. E quando pensava all’amore pensava a Shakespeare, ma odiava Romeo and Juliet, era sempre stato più interessato alle sottotrame familiari e alla ricostruzione di un rinascimento immaginato piuttosto che alle vicende di due bambini che giocavano con l’ornitologia e le definizioni. L’amore di un giorno che amore poteva essere? Che senso poteva avere oltre quello di un Esempio scritto su una tomba? Era sicuro Romeo e Juliet non avrebbero superato la prova del tempo e della quotidianità. Come non l’avevano superata i suoi genitori.

Chris lo guardava dall’altra parte della stanza, illuminato dalla debole luce concessa dal cielo notturno  australe, e Tom riusciva solo a pensare che era stato scorretto a spogliarsi quando lui non era riuscito nemmeno ad allentarsi la cravatta.
Aveva provato ad impedirsi di andare – correre – da lui prima che spuntasse l’alba, prima che il conto alla rovescia per qualcosa che ancora non aveva il coraggio di chiamare noi giungesse per sempre al termine.

Non avrebbe voluto raggiungerlo, anche solo per ripicca per quella che aveva percepito un po’ come una coercizione, per una volta avrebbe voluto poter zittire la vocina nella sua testa che gli ricordava sempre di come fosse inopportuno sottrarsi, di come fosse maleducato negarsi, sbagliato rifiutare: dire sempre sì e accontentare tutti era stato per troppo tempo l’unico modo conoscesse per esistere agli occhi degli altri.

Chris era una delle pochissime persone l’avesse visto perdere il controllo. Perderlo davvero, senza l’ausilio dell’alcool, senza la scusa dello stress o del sesso, solo perché la vita a volte diventa troppo e bisogna prendersi una pausa da se stessi.
Tom ricordava alla perfezione ognuno dei tanti piccoli episodi in cui, senza volerlo, si era reso ridicolo di fronte a lui, li aveva rivissuti nella sua testa mille volte correggendo l’inadeguatezza per tornare all’immacolata perfezione della giusta reazione, o parola, o azione. Ma ricordava ancor più vivide le dita che distendevano la preoccupazione che gli increspava la fronte, le labbra che si posavano sulle sue palpebre costringendolo a regalarsi al buio e al sonno. Senza ulteriori pensieri.

A Chris non interessava la perfezione e non gliela chiedeva. Chris non gli aveva mai nemmeno chiesto di rispondere sempre sì, non aveva mai avuto bisogno di sentirlo condiscendente per volerlo, aveva spiato tutti i suoi lati peggiori e li aveva abbracciati comunque.

Tom aveva continuato a dirsi che non stavano insieme, che forse erano amici, forse colleghi che lavoravano particolarmente bene insieme. Anche quando si svegliavano abbracciati e nudi avvolti in lenzuola che avevano il serio bisogno di essere cambiate.

Cercava di non pensare a quei momenti quando si separavano, per concentrarsi sul lavoro, sulla sua vita e il suo futuro. Chris non usava più il singolare quando pensava al futuro, da molto tempo.

“Quando le cose cambiano possono anche andare per il peggio.”

Sapeva di aver detto la cosa sbagliata, ma era troppo stanco per riuscire a pensare lucidamente. La cravatta gli stringeva troppo, la giacca dello smoking sembrava una camicia di forza. Avrebbe dovuto cambiarsi, spogliarsi proprio come aveva fatto Chris, avrebbe dovuto dirigersi direttamente in quella stanza e farsi spogliare da lui.

Invece aveva accompagnato in camera suo padre, e le cose erano andate com’erano andate.

Non gli piaceva lo sguardo di Chris, non ricordava di averlo mai visto guardarlo in quel modo, ma la cosa peggiore era sapesse di meritarlo.

Stava per lasciarlo. Non stavano insieme ma lo avrebbe lasciato comunque, e Tom avrebbe voluto avere la forza di ridere per quella situazione assurda, per i suoi sentimenti assurdi.

Non voleva lo lasciasse, voleva essere abbracciato e non sapeva come chiederlo, non voleva essere lui per l’ennesima volta a scoprirsi vulnerabile, essere il primo a cedere e cercarlo, a correre da lui dopo un out out scorretto. Sacrosanto.

Quando le cose cambiano possono anche andare per il peggio.

Così gli aveva detto, ma non era sicuro di cosa intendesse davvero, Tom non era più sicuro di aver parlato con la sua voce.

“Quindi cosa, lasciamo le cose come stanno?”

Aveva quasi sussultato al suono della voce di Chris, il silenzio della stanza era stato talmente perfetto da farla sembrare vuota: fuori dalla finestra dell’albergo il mondo non si era ancora svegliato, il corridoio alle sue spalle era deserto, i loro respiri debolissimi.

“Ma come stanno le cose, Tom? A questo punto non lo so più. Lasciamo tutto com’era a Londra? Ad Albuquerque, a Rio? Come? Sono abbastanza stufo di correrti dietro.”

“Nessuno ti ha mai chiesto di farlo!”

Si era sorpreso per primo di quelle parole pronunciate in un sibilo quasi violento, non era quel che avrebbe voluto dire, ma non poteva più rimangiarsele. Non riusciva a vedere bene l’espressione di Chris e per la prima volta da che aveva varcato la porta della sua camera ne fu contento. Non gli piacque la risata incredula che aveva fatto eco alle sue parole.

“Sul serio? Nessuno mi ha mai– Sul serio? Tutto qui? Sei incredibile, stiamo davvero avendo questa discussione?”

“Sei tu che mi hai chiesto di venire.”

“Di certo non per farmi lasciare perché hai troppa paura di prendere una posizione!”

“Non è di questo che si tratta!”

“E allora di cosa, di tuo padre? Siamo davvero qui perché non vuoi parlarne alla tua famiglia? E non farlo, allora!”

Ed era stato il turno di Tom di ridere, lasciandolo spiazzato ed ancora più arrabbiato.

Quando le cose cambiano possono anche andare per il peggio.

Non erano parole sue, le aveva pronunciate Norman appena poche ore prima. Aveva riso per l’ironia della situazione che Chris non poteva cogliere, per se stesso che non si era mai sentito tanto ridicolo, nemmeno indossando un’armatura di plastica.

Aveva continuato a ridere per non piangere, perché le parole di suo padre continuavano a rimbombargli nelle orecchie come l’eco di una campana a morto.

Norman possedeva il dono particolare di farti sentire una nullità sempre, persino ad un passo da un laurea con lode, o alle soglie di un matrimonio desideratissimo.

Almeno rinunci a tutto per un buon partito, e Sarah aveva quasi annullato il fidanzamento per la vergogna di sembrare una mantenuta agli occhi di suo padre.

“Perché sei qui?”

Chris l’aveva riportato al presente e ad un precario equilibrio con una domanda scomoda e fin troppo ragionevole. E Tom non aveva molta voglia di rispondergli né di essere ragionevole, ma quali scelte aveva?

“E’ evidente che non stiamo andando da nessuna parte, ed è quasi l’alba. Avrei capito comunque.”

Tom aveva sospirato a fondo. Un sospiro pesante e bagnato. Non credeva sarebbe stato così difficile spiegarsi, non con Chris che aveva sempre saputo spogliarlo di tutte le sue maschere solo con lo sguardo. Il problema era non sapesse bene nemmeno lui cosa volesse davvero: mettere il punto, aprire una parentesi, mandare al diavolo la punteggiatura? Ma Chris si era stancato, ed aveva ragione. Non ne valeva la pena.

“Ero con mio padre.”

“…”

“A suo dire il mio tempismo riflette la mia incapacità di crescere. Di nuovo.”

Tom sorrideva ed aveva difficoltà a guardarlo in faccia, e questo, Chris lo sapeva, voleva dire non gli stesse dicendo tutto, perché Tom non era Loki e non era molto bravo a mentire, nemmeno per omissione.

Chris aveva la – debole – luce a favore, il cielo andava schiarendosi e rendeva più netti i contorni di Tom, ancora con le spalle alla porta come un animale in trappola. Cercò di mettere da parte la sua delusione e la sua rabbia per guardarlo con più attenzione, studiò la sua linea tesa, fossilizzata in un posa sconfitta. In quel momento gli sembrò infinitamente più giovane dei suoi quasi trent’anni, un bambino sperduto rimasto incastrato tra la Terra e l’Isola Che Non C’è. E Tom avrebbe detto la similitudine imprecisa, ma Chris aveva sempre preferito la zuccherosa nettezza del film Disney alle nebulose allegorie di Barrie, quindi non si faceva scrupolo a desiderare il Coccodrillo mangiasse Captain Hook, perché il Tempo, da solo, non aveva mai risolto nulla.

Aveva superato la distanza che li divideva con passi lenti e una tranquillità solo apparente. Sperò che la penombra coprisse il leggero tremore delle sue dita mentre si allungava per slacciargli il nodo della cravatta. Tom non aveva mosso un muscolo, l’aveva lasciato fare.

Chris si chiese cosa fare, cosa volesse fare Tom. Il sesso sarebbe stato un buon diversivo, una distrazione collaudata da fin troppi discorsi lasciati in sospeso e smarriti tra lenzuola umide e stropicciate, ma Chris non aveva più voglia di perdere il filo.

“Di cosa hai così tanta paura?”

Se non fossero stati tanto vicini, Chris avrebbe temuto non l’avesse sentito. A volte aveva paura del potere che Tom aveva su di lui, senza nemmeno saperlo: poteva farlo sentire in cima al mondo, ambito e importante; ma anche l’ultimo dei questuanti alla ricerca di un po’ di attenzione, debole e vulnerabile, perché non sapeva mai se gli occhi di Tom sarebbero stati il bacio o il sale sulla ferita.
E in quei momenti capiva bene Freddie e gli anni di dolorose speranze che aveva ostinatamente speso ad amarlo non corrisposto, capiva perché ancora un po’ lo odiasse, nonostante la vita che si era costruito sulle macerie di un cuore spezzato che Bran aveva gentilmente soffiato via, riportando alla luce terra fertile da coltivare.

Loro erano felici, Chris lo sapeva. Vivevano insieme con gran dispetto della famiglia di Bran, cavalcavano insieme le onde di qualunque mare decidessero di affrontare, Freddie aveva fatto del suo broker dal cuore di burro la musa della sua tesi e di una linea mare di un label underground, il suo primo lavoro da professionista. Erano due mondi opposti, due parallele destinate a non incontrarsi nemmeno all’infinito, eppure erano diventati un’addizione.

L’onda perfetta.

Ma lo siamo anche noi, siamo l’oceano e il vento che lo increspa, come può non funzionare? Siamo opposti e uguali.

“Non ti va di parlarne.” Un’affermazione più che una domanda, sapeva già la risposta, ma aveva paura di provare a prevederne le conseguenze.

Tom aveva scosso il capo, con lentezza. “Servirebbe?”

“Dipende da quel che vuoi. Che cosa vuoi?”

Tom aveva sospirato a fondo, ma si era staccato finalmente dalla porta, anche se solo per appoggiarsi contro di lui.

“Credevo di saperlo, davvero.”

E anche Chris aveva sospirato, non sapeva se rassegnato o sollevato, ma non era riuscito ad aggiungere nulla, l’aveva solo stretto più forte contro di sé e aveva preso a dirigersi lentamente verso il letto.

“Lo so che è quasi giorno, ma se ci stendiamo per qualche minuto non se ne accorgerà comunque nessuno.”

Ma Tom lo aveva fermato, si era un po’ allontanato da lui, senza però sciogliere l’abbraccio. Non lo guardava, fissava la finestra e le tende scostate, le ombre violacee che si allungavano sul pavimento.

“Non è ancora giorno, andiamo nel tuo appartamento. Ho bisogno di più di qualche minuto.”

Ed era stato proprio così, quei pochi minuti erano diventati ore.

Nessuno li avrebbe cercati, la scusa di un giro per la città, verso il mare, era stata sufficiente per placare curiosità e preoccupazioni, e l’appartamento di Chris era abbastanza fuorimano da lasciar loro una parvenza di anonimato ed intimità. Anche chi sapeva non aveva fatto commenti, ma si erano premurati entrambi di evitare di riceverli spegnando i cellulari. Non una mossa tremendamente sottile per evitare pettegolezzi, ma avevano preferito non pensarci.

Non avevano parlato, e Chris non sapeva se essere deluso o grato per quel probabile addio fatto solo di gesti: non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare il suono della voce di Tom, a quel punto. Avevano fatto l’amore con gli occhi aperti per la prima volta, per la prima volta non avevano smesso di guardarsi mentre si muovevano all’unisono e senza sforzo, quasi cercarsi con le mani non fosse più abbastanza.

Avevano lasciato il sole sorgesse e schiarisse il cielo australe, riempisse la loro piccola stanza di luce. Era giorno e solo loro potevano vedersi.

“Stiamo facendo pace o è un addio?”

Chris non era riuscito ad evitare di chiedere. Aveva ancora il viso affondato nei riccioli di Tom, tentava di riprendere fiato e di non badare al sudore che gli scivolava sulle palpebre. La risposta era stata una risata esausta soffocata dal cuscino.

“Hai davvero talento per le domande intempestive, te l’ha mai detto nessuno?”

Erano rimasti di nuovo in silenzio, ma non si erano mossi nonostante la posizione scomoda, cercavano di riprendere fiato e normalizzare il battito del cuore, riordinare le idee.

Chris non aveva voglia di muoversi, forse nemmeno di parlare. Ricordava bene a cosa Tom si riferisse, ricordava bene quella notte in un piccolo box doccia di Los Angeles, due amanti inesperti e attori con poche speranze. Sembrava essere passata una vita intera da quella notte in cui tutto avrebbe dovuto essere più complicato, ma sembrava incredibilmente più semplice.

“Le nostre carriere finirebbero giù per lo scarico se qualcuno ci vedesse così.”

“Lo so.”

Alla fine Tom lo aveva allontanato con un sospiro stanco, e si era girato sulla schiena per guardarlo di nuovo negli occhi: Chris sperava la sua espressione riflettesse la maschera di assoluta neutralità di quella di Tom. In quel momento, i suoi occhi, erano solo sale sulla ferita, e Chris non credeva di meritarlo. Era solo innamorato di lui, in fondo, e – ci credesse o meno quello stupidotto inglese – non era stato facile venirne a patti nemmeno per lui.

Tom aveva cominciato a tracciare i contorni del suo viso con le dita, un tocco leggero che non raccontava desiderio, solo mera curiosità. Non sono io quello che è cambiato di più, avrebbe voluto dirgli, ma quelle dita sulle labbra gli avevano rubato una volta di più tutte le parole.

“Farebbe differenza? Forse è entrambe le cose.”

Ed era stato Chris a non riuscire a trattenersi dal ridere, snervato.

“Sì, fa molta differenza, non fingere di non capirlo.”

Aveva fatto per alzarsi ed allontanarsi da Tom, ma aveva subito cambiato idea tornando ad imporsi: non voleva lasciargli spazio, non in quel momento, farlo avrebbe significato non riuscire più a guardare sotto la maschera, e con Tom il tempismo era tutto. Non poteva permettersi di ricevere risposte vaghe, non al punto in cui erano, pretendeva lo guardasse in faccia mentre gli diceva addio.

Aveva perso molto peso. Ken lo aveva costretto a limare il suo corpo come un pugnale per il film, e non era più riuscito a riprendere massa, dopo. Correre in giro per il mondo non aveva aiutato di certo. Chris si rendeva conto che il suo di calo di peso non riusciva comunque a bilanciare le cose, era ancora molto più imponente di Tom, che si era irrigidito sotto di lui, ma non intendeva comunque lasciargli il tempo di costruirsi una scusa.

“Ora che tuo padre ha pontificato, cos’altro c’è che non va?”

Stavano per litigare. Stavano per litigare davvero, non come in albergo, e sarebbe stato definitivo. Ma se dovevano lasciarsi che fosse definitivo davvero, Chris non voleva rimanere suo amico, non l’avrebbe sopportato. E al diavolo i prossimi film da girare insieme, erano attori, avrebbero finto anche di poter ancora andare d’accordo.

Tom si era irrigidito ulteriormente, aveva tentato di allontanarsi e Chris non glielo aveva permesso, ma non aveva detto nulla. Solo il ritmo irregolare del suo respiro denunciava il suo stato d’animo. Chris voleva prenderlo a schiaffi per quanto era ostinato, voleva rifare l’amore con gli occhi chiusi e smettere di aver paura di non ritrovarlo una volta riaperti. E voleva soprattutto capire perché la loro bussola avesse smesso di funzionare proprio quando credevano di essere così vicini alla meta.

“Perché non ti vado più bene?”

L’espressione di Tom era lentamente mutata in una maschera d’incredulità. L’aveva visto distogliere lo sguardo, di nuovo stanco, il suo corpo si era come sgonfiato sotto quello di Chris. Che si sentiva letteralmente sgretolare davanti a lui, pezzo dopo pezzo, fino all’osso. Era rotolato su un fianco lasciandolo libero di alzarsi, di andarsene se voleva, non sapeva più cosa fare, cosa dire per farsi ascoltare e per farlo parlare. Forse non ne valeva la pena?

“Come credi finirà? Riesci davvero a vedere un lieto fine?”

Tom aveva parlato dopo un silenzio tanto perfetto da sembrare un punto. Non si era mosso e non lo guardava, fissava il soffitto senza espressione e giocava con le dita.

“Credevo fossi tu l’ottimista dei due.”

“Forse è meglio essere realisti, ogni tanto.”

 Chris aveva dovuto mordersi la lingua per non mordere lui, invece, per non rovesciargli addosso parole che Tom avrebbe di sicuro scambiato per disprezzo senza riconoscere la supplica che avrebbero celato: cresci, piuttosto, cresci e createla da solo la realtà.
Aveva preso un respiro profondo e tentato la via della diplomazia sforzandosi di non pensare alla sua frustrazione e al ridicolo della situazione.

“Tuo padre non ha sempre ragione, glielo hai già dimostrato.”

O forse no. A Chris venne quasi da ridere, perché, anche se non si stavano più toccando né guardando, sapeva perfettamente che Tom si era irrigidito, che aveva stretto le labbra fin quasi a farle sparire, e lo sapeva perché – qualunque cosa preferisse pensare Tom – stavano insieme da quasi tre anni ed era stato importante. Era ancora importante.

“Non sai di cosa stai parlando.”

“Non pensava saresti riuscito ad entrare a Pembroke, non credeva nemmeno avresti mai avuto successo come attore, e guardati ora! Parli greco e Woody Allen ti ha scritturato senza nemmeno un provino.”

Tom si era messo a sedere di scatto, e Chris aveva quasi temuto di aver esagerato. Non avrebbe chiesto scusa comunque, ma non voleva andasse via. Invece si era solo seduto sul bordo del letto. Gli dava le spalle e Chris poteva seguire l’arco teso della sua spina dorsale unendo i punti sporgenti delle vertebre, cercando di non farsi distrarre dai segni che lui stesso aveva lasciato: denti, dita, bocca.

“E credi sia importante?”

Tom si era passato una mano tra i capelli ancora lunghi e troppo scuri, così diversi dai riccioli, piccoli e indomabili, che aveva il giorno in cui si erano conosciuti, che aveva sgranato tra le dita notte dopo notte prima che Tom fosse costretto a tingerli di nero e a lisciarli. Chris adorava quei riccioli, ma era una della tante cose che non gli aveva mai detto.

“Perché, non lo è?”

“Non lo so!”

Si era alzato di scatto, incurante di una nudità di cui non si era mai davvero preoccupato nemmeno quando non dividevano il letto. Percorreva i pochi metri della camera con falcate lunghe e nervose, girava in cerchio per non andare da nessuna parte. Proprio come le parole che non riusciva a pronunciare.

“Non lo so perché non è importante, ma perché dovrebbe esserlo! Perché dovrebbe durare, poi, che cos’ho da offrire io, che non abbia già dato qualcun altro? Insomma, guardami!”

“Ti sto guardando - ”

“Non sono questo granché. Non sono meglio di nessuno. Perché dovrebbe durare?”

E non era ben chiaro se si riferisse alla sua carriera, alla loro relazione o alla sua vita in generale. Non andava bene.

“Oh, insomma, ora piantala!”

“Cos-”

“Piantala di dire stronzate, di fare stronzate. Stiamo a girarci intorno da mesi e sono sfinito. Se non te ne fossi reso conto scopiamo da quasi tre anni, e non so come funziona dalle tue parti, ma dato che lo facciamo solo tra noi, dalle mie parti vuol dire che stiamo insieme. Da tre anni, va bene? Ho avuto poche storie durate così tanto.”

“Io non-”

“Fammi finire. Io non lo so che problema ha tuo padre, ma vivere secondo le sue aspettative non ti avrebbe portato da nessuna parte, di sicuro non ti avrebbe portato dove sei ora. E non dire che non sei arrivato da nessuna parte o ti mordo, e non come ho fatto fin’ora!”

“…”

“Io non lo so come andranno le cose, Tom. Ma non puoi saperlo nemmeno tu. Io voglio scoprirlo però. Quindi te lo chiedo di nuovo: tu cosa vuoi?”

“…”

“…”

“E se le cose non dovessero funzionare, cosa faremo?”

“Ne prenderemo atto. Lo sappiamo tutti e due cosa vogliamo, Tom, sappiamo tutti e due cosa possiamo o non possiamo fare. Non credere io non pensi alle conseguenze. Non credere io non abbia paura di affrontare mio padre, o i miei fratelli.”

“Lo so.”

Si erano di nuovo seduti vicini, sul bordo del letto, coscia contro coscia, spalla a spalla. La distanza era tornata quasi nulla, e Chris non vedeva l’ora di cancellarla del tutto.

Il respiro di Tom era tornato più regolare, la sua postura più tranquilla. Non sapeva quanto sarebbe durata la bonaccia, ma Chris era un surfista, conosceva le onde e i venti e, per quanto gli piacesse la tranquillità della baia, preferiva il mare in tempesta con le sue onde e i suoi mulinelli. Esattamente com’era Tom.

“Mi sento perso. So esattamente cosa fare e cosa voglio fare, ma mi sento perso.”

Aveva allacciato le dita a quelle di Chris e aveva stretto forte, e Chris non aveva potuto fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.

“Siamo in due. Magari insieme non sarà così male perdersi, non credi?”

Tom non aveva risposto, ma non ce n’era stato bisogno. L’aveva baciato, si erano di nuovo stesi, l’aveva abbracciato facendogli appoggiare la testa sul suo petto ancora troppo ossuto. Erano rimasti così fino a che la fame non aveva cominciato a mordere entrambi, fino a che i loro corpi non avevano preteso acqua e – soprattutto – il getto della doccia.

Quando erano usciti dall’appartamento, i loro corpi portavano ancora tutti i segni di quel che avevano fatto e di quel che erano insieme, ma nessuno avrebbe visto, nessuno avrebbe notato. Per tre anni erano stati visibili e nascosti dall’anonimato, avrebbero imparato ad essere invisibili con i flash puntati contro come canne di fucile. Insieme.

 

Fine.

 

Qui  e qui e qui, se v'interessa accompagnare la lettura con le immagini.^^

Grazie a chiunque abbia letto, in particolar modo a chi ha anche deciso di farmi avere la sua opinione, come ho già detto, spero la mia lentezza sia valsa comunque la pena.^^'

 

   
 
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