Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |      
Autore: _Ery1999_    20/05/2015    1 recensioni
Più tardi, nell’oscurità più totale, Alice si svegliò, sudata e inquieta, senza sonno e senza speranza. Senza sapere cosa fare. Come avrebbe potuto programmare una cosa del genere? Come avrebbe potuto aspettarsi di rincontrare il proprio passato in un giorno qualunque, senza preavviso, senza sospetti?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Spesso ci si imbatte nel proprio destino sulla strada presa per evitarlo.

Oogway, dal film "Kung Fu Panda"



 

Faceva caldo. Molto caldo. Era l’Agosto più afoso degli ultimi quindici anni, l’aveva annunciato il Meteo quella stessa mattina. Rintocchi insistenti alla porta dell’appartamento sorpresero la donna che camminava avanti e indietro nell’atrio, mentre teneva il cellulare incollato all’orecchio destro. Non era sorpresa di quella visita ovviamente programmata, così com’era programmata la tazza di caffè alle 8.15, gli orari di lavoro della settimana, l’appuntamento dal parrucchiere del Giovedì. Se c’era qualcosa che Alice adorava fare, era programmarsi l’esistenza. Quando aprì la porta non fece neanche caso al suo ospite, si limitò a far entrare il suo caro e fidato collega con un cenno della mano, mentre la sua voce ordinava perentoria alla segreteria dall’altro capo del telefono di organizzarle gli impegni dei prossimi tre mesi. Una sottile ruga di disappunto le si creò in mezzo alle sopracciglia, poi la giovane impiegata si arrese al suo tono ostile, ed Alice poté finalmente riagganciare per dedicarsi al nuovo arrivato.
- Allora, Fra, come siamo messi con le nuove...? – quando si voltò, il cellulare le scivolò dalle dita e cadde inesorabilmente sul parquet lucido. Nonostante le fosse costato davvero troppo, non controllò neppure se si fosse danneggiato o se fosse ancora completamente integro. Trovò soltanto la forza di avanzare di un passo, trascinare una sedia facendola grattare sul pavimento, e lasciarvisi cadere con un tonfo sordo. Mentre i suoi occhi si infrangevano prepotentemente in quelli di Christian, il cellulare cominciò a vibrare contro il legno cerato: era Francesco che l’avvisava di un imprevisto improvviso, ma lei questo non lo seppe mai.
Il silenzio serpeggiò nell’appartamento ancora per altri lunghissimi, indefinibili istanti, poi una voce tremante frantumò ogni cosa, e il cuore di lei andò in pezzi.
- Ciao – quanto le era mancata la sua voce? Ma le era mancata davvero? O l’aveva semplicemente cancellata?
- Come sei arrivato qui? – non le era venuto niente di più intelligente da dire. C’erano così tante domande e altrettante risposte che le vorticavano nella testa, che non poteva far altro che ripescarle a caso dalla memoria, una ad una, senza alcuna logica o priorità. Era davvero troppo dopo dodici anni di assenza. Davvero troppo per lei.
- Ho preso il treno, e poi un taxi –
- Lo sai che non intendevo questo – la voce di Alice si trasformò in un ringhio e i suoi lineamenti divennero rabbiosi. Gli scherzi e l’ilarità appartenevano ad un altro universo e ad un altro tempo, molto lontani da lì. Christian abbassò gli occhi quasi per scusarsi, poi deglutì e le fece rimescolare il sangue col nero del suo sguardo.
- Ti ho trovata – non era importante capire come, quando e grazie a chi. Non ancora. Si guardarono, e tra di loro fluì ciò che era mancato in quegli anni dell’adolescenza e poi della giovinezza appena sbocciata. Delusione, rimpianto, nostalgia, dolcezza, amore. Amore. Un lampo di desiderio rimbalzò sulle loro iridi scure e lui, con un singolo, calcolato passo, raggiunse Alice, accasciata sullo schienale della sedia, le accarezzò una guancia, la pelle fremette, poi la baciò, tremando, assaporando la sua lingua e il suo profumo. Alice dimenticò ogni cosa e intrecciò le dita dietro al collo di lui, sentì sollevarsi e artigliò il suo bacino con le gambe.
Tra un sospiro e l’altro, lo condusse fino alla camera da letto, ampia, in penombra. Christian la distese come un petalo su un prato, le sfilò i vestiti, uno dopo l’altro, le sfiorò il cuore e gemette di piacere a quel contatto tanto disperatamente agognato. Tutto sembrava esageratamente rallentato e sinuoso, come se si trovassero sott’acqua, o forse era soltanto la loro immaginazione, l’ansia, il pensiero delle cose non dette e delle promesse infrante. La paura li sorprese solo quando furono nudi, avvinghiati, stesi uno sopra l’altro, ancora due corpi distinti. Una paura stupida e infantile, o forse smielata, romantica. Una paura che li colse nella loro prima volta insieme, dopo dodici anni in cui si erano separati ma mai traditi nel sentimento. Prima che fosse troppo tardi, Alice lo guardò con occhi tristi e desolati, occhi che non sarebbe stato giusto definire colpevoli.
- Christian, tra due settimane mi sposo – i sospiri tacquero, e parve tacere anche l’aria stessa, l’ossigeno, il Sole e il vento all’esterno. Perfino gli alberi, la Luna e le maree sembravano aver smesso di compiere i loro cicli. Tutto in una frase, tutto in un momento. Christian le rotolò a fianco, sfinito, amareggiato e distrutto. Il rimorso per essere arrivato tardi gli attanagliò il respiro e gli sembrò di morire, proprio lì, su quel letto non ancora sporco del loro amore. Rimasero entrambi a guardare il soffitto beige con occhi ciechi e stanchi. Poi lui si girò e lei gli fece da specchio. Non ci fu bisogno di chiedere, perché lei cominciasse a parlare; si svuotò degli ultimi dodici anni della sua vita, temendo che una volta finito si sarebbe sentita violata. Ad un tratto si ricordò che era lui quello che aveva davanti, fra le lenzuola, e tra una parola e l’altra, si rincuorò.


 


 

§


 


 

Aveva ventisei anni quando lo incontrò, ottavo ed ultimo anno alla facoltà di Ingegneria Informatica, specialistica in Sicurezza Aziendale e Privata. Dopo un ennesimo, sudato e non più abbastanza soddisfacente 30, Alice aveva indossato la sua tuta nera ed era rimasta per un’ora e mezza in palestra, a sudare altrettanto abbondantemente fra i suoi amati manubri e bilancieri. Verso sera aveva cambiato scarpe, indossato gli auricolari, e corso nell’enorme parco cittadino, con uno spicchio appena accennato di Luna che la guidava e i passanti che la scansavano. Era bella la sua vita. Bella, ricca e splendidamente vuota. A metà della sua canzone preferita, si era fermata ad una panchina illuminata dai lampioni per allacciarsi le stringhe sporche di fango, e una volta risollevato il busto, aveva trovato a pochi metri da sé un giovane un uomo che la guardava. Alto, pallido, affilato, con dita sottili le aveva porto un piccolo cenno di saluto e poi era scomparso nel buio. Alice lo aveva deliberatamente ignorato e aveva continuato a correre per un tempo che poi le era sembrato infinito.
Dopo qualche giorno lo aveva rivisto, di sabato, appena uscita dall’Università. Vestito impeccabilmente, le era venuto incontro e le aveva teso gentilmente la mano ossuta. “Piacere, Luca” erano state le prime parole che le rivolgeva: una formula di cortesia e il suo nome, e subito Alice si era fatta un’idea su molte cose, lo aveva classificato e smistato tra una determinata tipologia di persone in una determinata fetta della società, ma non era ancora certa, e gli aveva stretto decisa la mano. “Si parla molto di lei in giro, dicono che è la studentessa più brillante dei suoi corsi”. Senza troppi giri di parole, le aveva esplicitato il proprio interesse, l’aveva invitata fuori a pranzo e le aveva offerto l’opportunità di conoscerlo o di non vederlo mai più. Alice era rimasta a lungo a decifrare il suo viso spigoloso, i capelli spaventosamente chiari e gli occhi opachi, la pelle tanto sottile da sembrare trasparente, e la carnagione lattea, diafana. La voce di lui le aveva infuso una sicurezza incrollabile e la promessa di una vita grigia e suadente. Ed Alice, senza rimpianti, aveva accettato. Dopo un paio di mesi si era specializzata con lode e bacio Accademico e da lì in poi, la loro relazione era stata un crescendo di serate di gala, gioielli, regali, sfarzo e bon ton, risate a denti stretti e cincin tra bicchieri stracolmi di champagne. Non era stata una sorpresa per lei fare la conoscenza di una famiglia aristocratica e cinica, schifosamente ricca e di facciata.
Era bello, infinitamente bello, trascorrere le serate dai futuri suoceri discorrendo di economia e politica, moda e arredi. Era appagante ricevere migliaia di euro in gioielli ad ogni compleanno e festa e ricorrenza. Era soddisfacente sapere di poter programmare minuziosamente la propria vita, e impostarla secondo quei desideri e quelle aspettative che solo denaro, ambizione e intelligenza sono capaci di offrirti. A dir la verità, Alice non mancava di nessuno dei tre fattori, ma il contributo che Luca le offriva era ineccepibilmente superiore. Era una donna felice? Era una donna innamorata? Assolutamente no. Ma cosa importava quando il futuro le si apriva davanti come le acque attorno al bastone di Mosè?
Eppure, sarebbe stato menzognero negare i ripensamenti. Perché Alice pensava, a volte compiangeva la sua vita di prima, quella semplice, colma e pulsante di sangue e calore. Quando Luca, dopo un orgasmo soffocato, le rotolava accanto e si addormentava dopo un leggero bacio sulla fronte, lasciandola sola nel buio, la sua mente volava a quel ragazzo diciannovenne di tanti anni prima, ai baci che insisteva tanto per darle sul cuore, a quella verginità che ora non avrebbe più potuto donargli. Quando, scatola dopo scatola, trovava sempre un diamante abbagliante, ogni volta più grande e costoso del precedente, e quando ogni San Valentino era sempre più vuoto e finto, allora rimpiangeva la rosa bianca e arancione e rossa, legate dai nastrini cobalto, e i bigliettini e le poesie che il ragazzo dagli occhi enormi le dedicava. E in quelle notti di nostalgia, piangeva fino allo sfinimento, inzuppando il cuscino del suo dolore.
La proposta di matrimonio era arrivata come un fulmine in una giornata di Luglio. Era la Vigilia di Natale, ed entrambe le famiglie si erano riunite per cenare insieme, nella maestosa villa dei futuri suoceri, tra decine di portate e cuochi e camerieri che sgobbavano senza sosta nelle cucine fumose. Luca le si era inginocchiato di fronte, tenendole la mano fresca di manicure, stringendogliela senza emozione e senza paura negli occhi verdi, perché già sapeva che sarebbe stato un sì. E un sì era stato. Avevano festeggiato per tutta la notte fino alle quattro del mattino, e una volta a casa ad Alice era rimasto solo un vago senso di nausea alla bocca dello stomaco. La mattina seguente aveva vomitato per ore, e poco dopo, l’arrivo del ciclo le aveva dato un capro espiatorio su cui riversare quei sintomi. Il giorno stesso si era recata in chiesa con un enorme bouquet di gigli, ed aveva ringraziato il Signore di non essere incinta.


 


 


 

§


 


 


 

Dopo aver raccontato quest’ultimo, penoso aneddoto, Alice riprese fiato, asciugandosi il viso bagnato di lacrime, gemello a quello di Christian. La mano di lui si perse nei suoi ricci, indugiò sull’orecchio, sul collo, sulla clavicola, e infine si fermò sulla spalla nuda, caldissima. Il pollice cominciò a ruotare sulla pelle candida di lei, e a poco a poco la stretta si fece più salda, quasi dolorosa. L’aveva trovata e lei era sempre rimasta sua. Questo gli bastava. Le salì sopra con un movimento repentino, la baciò toccandola dappertutto, esplorò il suo corpo uguale e diverso da come l’aveva lasciato, si soffermò sui seni e il ventre, il viso e le mani. Poi la guardò intensamente e le chiese il permesso, anche se sapeva benissimo che quella non sarebbe stata la sua prima volta. Lei sorrise e una lacrima le attraversò il volto, lui la raccolse con le labbra ed Alice annuì mordendo l’incavo del suo collo. Christian la penetrò lentamente, in una sinfonia di gemiti e grida nuovi e mai provati. Il buio avvolse i loro corpi accaldati, unendo le due metà che a lungo ne erano rimaste prive, imperfette, incomplete. Alice si aggrappò alle spalle di lui, gli graffiò la schiena, indugiò sui glutei sodi e perfetti. Cambiarono posizione e a Christian parve di vedere un angelo quando lei gli salì sopra, a cavalcioni, cominciando a muovere sinuosamente il bacino, tra un sospiro e l'altro. Cercarono di rubarsi qualche bacio, invano, poiché il piacere era troppo e non concedeva spazio all'innocenza. Le mani di lei corsero al petto di lui, tastarono alla ricerca del cuore, tachicardico, e vi si fermarono, benché tremanti e vogliose di luoghi proibiti. Il mondo cadde quando i loro occhi si incontrarono, il ritmo della passione decelerò per lasciar posto al sentimento, abbastanza da permetter loro di guardarsi, di contemplarsi, di amarsi. Un ultimo grido di piacere congiunto sferzò la notte, e i due amanti caddero nel sonno, stretti, con i cuori che battevano l’uno nel petto dell’altra.
Più tardi, nell’oscurità più totale, Alice si svegliò, sudata e inquieta, senza sonno e senza speranza. Senza sapere cosa fare. Come avrebbe potuto programmare una cosa del genere? Come avrebbe potuto aspettarsi di rincontrare il proprio passato in un giorno qualunque, senza preavviso, senza sospetti? Era persa. Persa in quell’abbraccio d’amore in cui non era giusto restare. O forse sì? Non lo sapeva.
Sgusciò fuori dalle lenzuola pregne di sesso senza far rumore, come una stella che cade dal cielo. Si coprì con una vestaglia d’argento, d’un tratto vergognosa del proprio corpo nudo, e si diresse in cucina dove la finestra a vetrate fungeva da cornice al paesaggio. Il cielo d’ebano era spoglio degli astri e le nuvole si addensavano attorno alle montagne cupe. Solo in quel momento un pensiero la colpì: aveva tradito il suo futuro sposo. Sarebbe riuscita a conviverci? Certo che sì. Non aveva mai perso neppure un singolo battito per Luca e mai lo avrebbe fatto. Era e sarebbe stata una brava compagna, un’eccellente partner ed una piacevole nuora. Niente di più. A cosa sarebbe andata incontro se avesse disdetto le nozze così su due piedi? Luca gliel’avrebbe fatta pagare o se ne sarebbe fatto una ragione? Avrebbe scoperto di Christian? Gli avrebbe fatto del male? Le domande le vorticavano fra una tempia e l’altra, e per ogni risposta non data, una lacrima le rigò il viso e morì sul mento. Lo sconforto si impadronì di lei e finalmente, dopo anni passati a sentirsi un fantasma, pianse. E d’un tratto si sentì viva, pulsante.
L’alba accolse la sua tristezza con pochi raggi d’oro, il cielo si tinse di rosa e di azzurro e per qualche strano scherzo della mente, Alice pensò a dei figli, quei figli che Christian tanto desiderava e che lei gli avrebbe negato ad ogni costo. Luca era molto meno esigente, in qualsiasi ambito che riguardasse lo spettro emotivo. Bastava che lei gli portasse rispetto e stima, e per il resto era disposto ad accontentare ogni suo capriccio, a qualunque costo e prezzo. Ma il problema era che Alice di capricci non ne aveva, e più di una volta Luca ne era rimasto quasi deluso e rammaricato.
Il Sole continuava a sorgere, e il suo calore pareva asciugare il viso bagnato di lei. La malinconia lasciò il posto alla spossatezza, ed Alice si addormentò, china sul tavolino della cucina, con la mente ancora vuota di risposte e l’anima ancora priva di certezze. Christian la trovò poco dopo, con la guancia appoggiata al braccio e i capelli crespi che ricadevano a ciocche scomposte sulle palpebre chiuse. Restò a guardarla per un tempo infinito, naufragò nei ricordi e nei pensieri. Per un singolo, glorioso attimo, riconobbe la ragazzina quindicenne che aveva lasciato nel pieno dell’adolescenza, poi lei mugolò nel sonno, lui sorrise. E quel momento cessò.


 


 

§


 


 

L’organo liberò dal proprio ventre la marcia nuziale, colmando l’enorme chiesa di musica e aspettative. Alice avanzò nell’abito bianco che la fasciava da capo a piedi, dietro di lei le damigelle reggevano il velo chilometrico e alla sua destra suo padre tremava, emozionatissimo. Tra le mani, lei stringeva un bouquet candido di fiori che aveva scelto a caso, e gli occhi erano lontani, assenti. Non aveva nessuna emozione da far trasparire. Quando arrivò all’altare, Luca le rivolse uno sguardo bieco e lei rispose con una poco accentuata piega delle labbra. Avrebbe voluto sorridere ma non riuscì a fare di meglio. Il prete cominciò la sua omelia e i presenti iniziarono ad ammiccare e ad additarli come la coppia meglio assortita che avrebbe mai potuto convolare a nozze. Poi tacquero al momento delle promesse. Alice percepiva ogni cosa velocizzata, come un nastro in cui si preme il tasto FW. Tutto fluiva troppo rapidamente, e lei non riusciva ad infilare un pensiero in quella confusione. Improvvisamente, in un istante in cui qualcuno sembrava aver pigiato lo STOP, vide un’ombra longilinea appoggiata alla colonna della navata opposta, cupa e con le braccia incrociate, strette al petto. Scorse un ciuffo di capelli scuri e un solo occhio che la scrutava da lontano. L’aveva trovata, anche allora. Com’era possibile? Era stata chiara, fin troppo chiara, con Christian. Non poteva pretendere che abbandonasse la vita che aveva faticosamente ricostruito assieme ad un altro, dopo dodici anni della sua assenza, in nome di un sentimento antico e impolverato. Lui l’aveva scossa per le spalle e le aveva chiesto che cosa valesse la pena vivere in quella vita di merda che aveva. “Vita di merda”, aveva detto proprio così. Lei si era infuriata e gli aveva urlato dietro che non aveva alcun diritto di contestare le sue scelte e le sue priorità. Dopotutto, lei non era quella che era per merito suo. E adesso era troppo tardi. Non aveva mai creduto nell’amore e non vedeva perché cambiare opinione proprio allora, a ventinove anni e con un matrimonio alle porte. Christian pensava davvero che avrebbe capovolto i suoi piani, così, all’ultimo momento, senza qualcosa di concreto tra le mani? Se così era, si sbagliava di grosso. Lo aveva maledetto in tutte le maniere di cui era stata capace, e lui se n’era andato sbattendo dietro di sé la porta dell’appartamento. Rossa in viso e col respiro mozzato, Alice aveva riassaporato con piacere il ribollire della rabbia nelle vene, e alla fine anche quel sentore era scomparso, lasciando spazio al vuoto e al gelo nel suo cuore.
E adesso quell’ombra era tornata, per reclamare attenzione, per porgerle su un piatto d’argento la promessa di una vita materialmente povera e idealmente colorata.
- ...prendere come tuo legittimo sposo Luca De Angelis? – la cerimonia era già arrivata a quel punto? Quello in cui le veniva posta la domanda a cui non aveva ancora trovato risposta? Il pastore la guardò sorridente, tenendo la Sacra Bibbia aperta tra le mani, e dagli occhiali a mezzaluna Alice intravide una nota di impazienza e timore assieme. Il futuro sposo invece non la degnò neppure di un’occhiata di incoraggiamento. Lei si soffermò per un’ultima volta sulla sua figura alta, snella, sul suo volto marmoreo, sulla sua espressione disgustosamente sicura di sé. Come due anni prima, era sicuro che sarebbe stato un sì e neppure questa volta c’era motivo, per lui, di dubitarne. Infine, Alice si rese conto di non aver ancora accolto la domanda del prete e improvvisamente il suo mondo venne risucchiato dall’incertezza. Il silenzio piombò di botto nella cattedrale, tutti gli invitati parvero trattenere il respiro e l’aria era la sola a muoversi, trascinando sguardi invisibili che fluttuavano da lei a Christian nel vuoto più totale. Gli occhi di Luca saettarono verso i suoi, e per la prima, unica, impagabile volta, la giovane sposa vi lesse disappunto, e paura, viscerale e incontrollabile. Non paura di perdere lei in quanto unico amore della sua vita, no, certo che no, ma paura di mandare in pezzi quell’equilibrio di facciata che tutti si erano bevuti fin dal primo giorno di fidanzamento, paura di far crollare quel muro di finto affetto che erano così bravi ad emulare e a sfoggiare davanti agli altri e perfino davanti a se stessi. Ma soprattutto, paura di aver preso un abbaglio, di aver creduto davvero e intensamente che il cuore di lei avrebbe potuto essere addomesticato e corrotto da soldi e gioielli. Alice cercò con tutte le sue forze di far durare quegli istanti più a lungo possibile, godette del terrore impresso nelle iridi di lui, si beò della consapevolezza finalmente affermata che il suo amore non era in vendita e mai lo sarebbe stato. Poi però, si ritrovò nuovamente catapultata nel baratro del caos, nel tarlo della scelta imminente. Valutò i pro e i contro di un no e quelli di un sì, ma la mente non riusciva a calcolare niente di sbagliato nel suo matrimonio con Luca. Possedeva tutto ciò per cui molte donne avrebbero ucciso pur di avere. Eppure avrebbe voluto soltanto strapparsi l’abito di dosso e correre a più non posso lontano da quella chiesa, da quelle persone, da Christian, da Luca, da quella vita continuamente piena di aspettative. Stava per mettersi a gridare di rabbia quando il pastore la richiamò all’attenzione.
- Figliola, è mio compito riformulare la domanda – l’anziano prete sudava abbondantemente nel colletto stretto della talare e le parole sembravano incespicare una dopo l’altra – Vuoi tu, Alice Bianchi, prendere come tuo legittimo sposo Luca De Ang... -
- Sì – era stanca di tutta quella messa in scena. Voleva solo tornare a casa. Non ebbe il coraggio di guardare Christian, si limitò a seguire con l’udito i suoi passi che rimbombavano forte nella sua testa e che calpestavano il marmo verso il portone. Mentre Alice infilava la fede d’oro bianco all’anulare sinistro di suo marito, sentì quei passi fermarsi alla fine della navata e dovette combattere duramente per non voltarsi a guardare.
- Non ho mai smesso di amarti! – la voce possente di Christian aveva sovrastato ogni cosa, era scivolata sui muri, sulle panche, sulle persone. L’anello era rimasto a metà strada sulla falangetta del dito affusolato di Luca, e lei aveva finalmente infranto i propri occhi in quelli di Christian, fisicamente così lontano da lei e allo stesso tempo tremendamente vicino, quasi da poterlo baciare, quasi da poter percepire il suo dopobarba delicato. La gente si agitava sui banchi come pesci in una rete, e la finta staticità di Luca era carica di potenza muscolare. Un corpo a corpo sarebbe stato semplicemente ridicolo in quel luogo e in quella circostanza, eppure Alice non aspettava altro. Avrebbe sicuramente distolto l’attenzione da lei e l’avrebbe tolta d’impiccio da quel disastro, il cui esito poggiava esclusivamente sulle sue spalle.
- Neanch’io... – lo sussurrò come una preghiera, come un’implorazione, mentre tutti gli occhi si riversavano su di lei, accusatori, sgomenti.
- Neanch’io! – lo ripeté una seconda volta, gridando, col fuoco nelle iridi. Fronteggiò Luca e lui ebbe paura di quelle fiamme che le lambivano lo sguardo e sembravano diramarsi in tutto il suo corpo. Alice sfilò la fede e la lasciò cadere al suolo, in un tintinnio sommesso che le ricordava tanto quello di una catena spezzata. Si tolse con disperazione il velo dal capo e i guanti bianchi che le fasciavano gli avambracci. Rivolse un ultimo sguardo a Luca, uno sguardo di scuse e di rivalsa insieme, uno sguardo che riuscì a destabilizzarlo, a smuoverlo da quella perfezione fasulla. Poi si incamminò lentamente verso l’uscita, a testa alta e senza vergogna, con Christian che sembrava stesse scoppiando dall’euforia. Lei placò il suo entusiasmo con occhi di gelo, gli prese la mano e sparirono insieme nella luce abbagliante del mezzogiorno.
Una volta fuori, una folata di vento rimase imprigionata nei suoi capelli, ed Alice assaporò la libertà, per la prima vera volta.   





Angolo Autrice

Ehilà! Premetto dicendo (scrivendo :P) che eventuali riferimenti a cose, luoghi e persone sono puramente casuali e che tutte le situazioni e i personaggi sono di mia fantasia. Fatemi sapere se la shot vi è piaciuta o se l'avete trovata troppo melensa o simili; ovviamente anche le critiche sono ben accette ^-^ Un bacione a tutte,

_Ery1999_
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: _Ery1999_