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Autore: diamantrouge    22/05/2015    2 recensioni
[Kirei/Rin?]
"A pensarci, sono un’accoppiata strana, loro due; un assassino, e la conseguenza delle sue azioni."
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Una cosa che Kirei adora visceralmente sono i giorni uggiosi, quelli col cielo che minaccia pioggia tutto il tempo senza mai veramente scaricarsi – oggi è uno di quei giorni.
Le facce dei parenti di Rin sono fastidiosamente contratte in finte espressioni di cordoglio ancora una volta, e ancora una volta sta celebrando le esequie di un membro della sua famiglia; si chiede divertito se spetterà a lui l’onore di seppellire anche la giovane erede, e la sua mente vaga immediatamente verso uno scenario che ha già sognato più volte. Uccidere la ragazza sarebbe un gioco da ragazzi, neanche a dirlo, una lieve pressione di mani come le sue spezzerebbe il suo collo bianco e sottile in un secondo – ma, per quanto allettante sia l’immagine dei suoi occhi spalancati, attoniti e privi di vita, sa bene che se lo facesse si sentirebbe ancora più svuotato. La tragicità di quella fanciulla è la sua fonte primaria di sostentamento, adesso.
Anche mentre gli addetti calano la bara di Aoi Tohsaka in una fossa accanto al marito, non può fare a meno di sorridere tra sé e sé, guardando di sottecchi Rin – ed è sempre uno spettacolo meraviglioso. Se ne sta in piedi vicino al cancello del cimitero, cercando di star dritta con la schiena, espressione neutra di circostanza, si è scordata pure come si fa a fingere di provare una qualsivoglia emozione che non sia il disgusto o la noia, davanti agli altri. Stringe mani, accetta passivamente pacche affettuose e parole vuote da persone che non conosce – persone che non colgono la direzione dei suoi sguardi. Rin Tohsaka non guarda da nessuna parte, o guarda un punto che nessun altro riesce a vedere. Kirei è forse l’unico che vede quanto si stia deteriorando giorno dopo giorno; è l’unico che vede quanto poco mangi, specie se il cibo va condiviso con lui, è l’unico che la vede con la schiena ricurva fino a sera tarda tra gemme e pergamene, è l’unico che la vede girare la chiave della stanza per non essere spiata.
Rin ha sedici anni fuori, e più di cento dentro. E vede più lontano di chiunque altro – forse sospetta persino che lui sia  il diretto responsabile della completa rovina di un nucleo familiare apparentemente perfetto.
Un tuono in lontananza lo distrae per un momento, giusto il tempo necessario a che Rin scompaia dalla sua visuale. Ma Kirei sa perfettamente dove cercarla.È ad attenderla esattamente dov’era quasi dieci anni prima, col suo vestito migliore, quello nero che lui stesso aveva scelto per lei, e nessuna voglia di indossarlo. Per quanto bello, per lei sembra quasi essere un cilicio o un corsetto, doloroso e soffocante, e forse questo la rende persino più bella.
Rin era la perfetta commistione dei migliori geni dei Tohsaka. In quel momento, in particolare, gli ricorda Aoi ai tempi gloriosi, solenne e composta, con un dolore indescrivibile da portare come un giogo, sul punto di crollare ma mai abbastanza debole da lasciar intravedere anche solo un misero spiraglio del suo tormento. Che lo facesse presto o tardi, Kirei sa che gli spetta la miglior visuale.
«Rin», la chiama, avvicinandosi quasi con reverenza, come fosse una sonnambula che temesse di svegliare bruscamente.
Lei non risponde. Sospira con quella sua aria scocciata tipicamente adolescente – è lì che torna ad avere sedici anni – e gli volta le spalle. Kirei a sua volta risponde con un sospiro, e si avvicina abbastanza da accoglierla sotto il grande ombrello nero.
A pensarci, sono un’accoppiata strana, loro due; un assassino, e la conseguenza delle sue azioni. Se solo sapesse non goderne, sa bene che dovrebbe sentirsi in colpa. Ma forse, come sospetta, il fatto di averla cresciuta come se fosse figlia sua è il suo modo di espiare – o forse, ancora, è pura sindrome di Pigmalione, quell’idea malsana di modellare il gioiello grezzo di nome Rin senza però violentarne la natura. È quella natura, d’altronde, a renderla ciò che è.
«Non dici niente?», domanda lei stizzita, senza neppure degnarlo di uno sguardo.
«Che dovrei dire?», risponde
«Che ti dispiace. O almeno fingere che ti dispiaccia almeno un po’», aggiunge, bofonchiando un ‘falso prete’ tra i denti sperando che lui non senta. Tutti e due sanno che lui sente, ma a lei piace fingere di poterlo insultare alle spalle – è un po’ come un canovaccio scenico che ripetono da anni.
«Sapevi che presto o tardi sarebbe accaduto, Rin. Ma forse è stato meglio così, ha smesso di soffrire»
«Meglio così?», a quelle parole la sua voce s’incrina un poco.
Rin lo guarda, e Kirei trova nei suoi occhi lucidi la delizia che cercava da tempo.
Quel che accade dopo, è come se accadesse in una sua dimensione, fuori dal tempo. Rin digrigna i denti come una tigre e gli si scaglia contro non con rabbia, con disperazione. Fermare le sue nocche prima che gli raggiungano il petto o la faccia non è nulla, proprio perché l’ha addestrata ne conosce la potenza effettiva – e in quel momento Rin non sta usando potenza fisica. Rin spinge il pugno contro il suo palmo, e con l’altro cerca di colpirlo. Kirei le afferra il polso con facilità, una presa salda abbastanza da renderla innocua, ma non da farle male.
La pioggia bagna entrambi, ma nemmeno quella riesce a nascondere il fatto che sta piangendo di nuovo davanti a lui, nello stesso luogo dove aveva pianto dieci anni prima, quando le aveva consegnato il pugnale. In quello stesso luogo, Rin aveva stretto tra le mani la prova tangibile che lui era marcio fino al midollo.
«Dovevi morire tu!», ringhia lei, lottando perché la sua voce non suoni rotta dal pianto – fallendo miseramente. Non dovrebbe neppure osare immaginarlo, ma Kirei la trova attraente quando piange, come trovò attraente sua madre in punto di morte
Non credeva che si sarebbe lasciata andare così, di nuovo, in un’occasione identica a quella di tanti anni prima; è una sorpresa inaspettata che Kirei accoglie con gioia.
Le mani che stringe non sono le mani dell’erede dei Tohsaka – quelle sono adatte solo a trattare di gemme e artefatti magici – ma quelle di Rin, l’adolescente allo sbando che ha perso definitivamente entrambi i genitori ed è costretta a dipendere da un uomo che odia e di cui sospetta. Non sono mani esperte nella lotta, sono mani tremanti che vogliono soltanto dirigere il dolore su qualcosa di concreto. Rin non è una Tohsaka, in quel momento – la Rin Tohsaka di adesso non piange mai, nemmeno per la morte della madre.
Rin ha di nuovo sei anni ed è sola.
Kirei non potrebbe chiedere altro.
Con delicatezza, tira Rin verso sé e la stringe in silenzio, carezzandole i capelli. Pur tremando e battendogli ripetutamente i pugni sul petto, cercando in maniera esitante di divincolarsi, come se si sentisse obbligata a opporre resistenza pur non volendolo davvero, Rin non si allontana.
«Dovevi morire tu», sussurra, poco convinta, tra i singhiozzi, le dita piegate quasi a volerlo graffiare.
Pian piano, il movimento delle sue braccia perde d’intensità. I pugni sul petto del prete diventano tentativi, pallide ombre della veemenza che ci aveva messo prima, finché non cessano del tutto e, vinta, si lascia consolare dall’ultima persona che avrebbe voluto accanto. Le lacrime continuano a scendere lentamente e non c’è pioggia che possa nasconderle. Pioggia e lacrime bagnano la stoffa della giacca di Kirei, ma non gli importa.
«Lo so», risponde infine «Lo so»

  
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