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Autore: zappolo70    23/05/2015    12 recensioni
ATTENZIONE: storia già pubblicata fino al capitolo VII ora completata (12 capitoli). Si avvisa che TUTTI i capitoli sono stati rimaneggiati e sono stati aggiunti riferimenti temporali per aiutare a seguire più agevolmente il dispiegarsi della storia.
La storia propone un what if inusuale e grande come una casa. Una rilettura personale della storia di Oscar e Andrè che mantiene grossomodo l’ossatura della storia e l’evoluzione temporale, anche se non fedelmente per esigenze narrative, stravolgendone però l’interpretazione alla luce di un presupposto nuovo.
Buona lettura a chi vorrà cimentarsi.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: I personaggi di Lady Oscar non mi appartengono e sono proprietà esclusiva di Ryoko Ikeda.

III – 8 Aprile 1775

«Oscar, fa un caldo insopportabile, se proprio vuoi che ci alleniamo con la spada, prima io andrei a rinfrescarmi un po’ al fiume. Tu vieni?

Distesa sullo spiazzo erboso nella frescura dell’ombra pomeridiana proiettata da un imponente salice, i gomiti puntati a terra a mantenersi appena sollevata, i piedi scalzi e i pantaloni arrotolati fino al ginocchio, gli rivolge uno sguardo di finto disappunto.

«Se proprio devi … vedi di non metterci tutto il pomeriggio, o dovrò concludere che temi il confronto!»

Lui, in piedi davanti a lei, le braccia conserte, si esibisce nella migliore espressione offesa che gli riesca.

«Oscar, abbiamo appena finito di mangiare, mi pare più che normale, soprattutto con questo caldo opprimente, che uno si senta appesantito e un duello alla spada non sia in cima alla lista dei desideri, non ti pare?»

Gli fa eco la risata divertita di lei.

«Appesantito? Mi pare un eufemismo. Diciamo pure che con quello che hai ingollato si sarebbe potuto sfamare un intero reggimento!»

«Non mi risulta che godere di ottimo appetito sia diventato un delitto. Di contro qualcuno - non io, ben inteso - troverebbe piuttosto disdicevole una donna che lasciasse scoperte le gambe nude fino al ginocchio in presenza di un uomo!»

La guarda serio lui, poi fa scivolare lo sguardo verso il basso e volutamente indugia sulle lunghe gambe snelle, quasi ad accarezzarle. Infine risale al viso per godersi la reazione imbarazzata di lei, che le colora le guance in un modo che trova irresistibile e le fa sgranare appena gli occhi in un moto di stupore.

Pago dell’efficacia della sua vendetta, si gira incamminandosi verso il fiume e ormai al riparo dalla sua vista, non riesce a trattenere un sorriso sornione.

Appare disorientata Oscar, ancora sorpresa dalla sua stessa reazione, così poco da lei, così femminile quando ha percepito lo sguardo intento di lui su di sé. Le è capitato spesso ultimamente che la vicinanza del suo amico di sempre provocasse in lei emozioni sconosciute quanto inequivocabili. Si è anche ritrovata spesso a guardarlo non vista, a studiarne le fattezze, a trovarlo decisamente bello, a chiedersi che effetto farebbe la consistenza dei suoi muscoli al tatto. Come adesso. Adesso che lo osserva a una ventina di passi da lei, di spalle, l’acqua a lambirgli le cosce fasciate nel calzoni, e lui chino a tuffare appena la testa per poi rialzarla di scatto, disegnando nell’aria un arco quasi perfetto di gocce sospese. Le ciocche bagnate e lisce, aiutate dalle mani di lui a scompigliarle vigorosamente per privarle dell’eccesso di acqua, tornano a formare riccioli scomposti.

Da quella distanza non può vederlo, ma immagina l’acqua residua che si raccoglie sull’estremità delle ciocche formando gocce che si gonfiano e si appesantiscono con estenuante lentezza fino a quando, non potendosi più opporre al richiamo della gravità, finiscono per cadere ricongiungendosi in rigagnoli che corrono sulla schiena nuda. Pensa che in quel momento desidererebbe poterne seguire il percorso sinuoso con un dito, osservarle mentre acquistano velocità nella loro inesorabile discesa verso il basso, fino a scomparire, assorbite dalla stoffa del bordo dei calzoni, linea di demarcazione oltre la quale non possono spingersi, dove lei invece involontariamente si avventura, ritrovandosi a disegnare nella mente la simmetria delle natiche e la muscolatura armoniosa delle gambe.

Quando lui si gira per riguadagnare la riva e recuperare la camicia che ondeggia dalla fronda bassa di un albero lì vicino, lei distoglie lo sguardo repentinamente, troppo in verità, tanto da farle temere che lui l’abbia colta sul fatto. Il solo pensiero le provoca istantaneo fastidio, nonché imbarazzo.

Per la durata dei pochi passi che ancora li separano, lei cerca di nascondere dietro a un’espressione neutra e noncurante tutti i pensieri indicibili che ha avuto su di lui fino a poco prima.

Ma lui ha fatto in tempo a intercettarlo il suo sguardo, appena prima che deviasse altrove, e ora si sta chiedendo da quanto tempo lei lo stesse osservando e se le fosse piaciuto farlo. Gongola nell'eventualità. Si dirige a passi decisi verso di lei senza però dare l'idea di affrettarsi, vuole vedere se sul suo viso ci siano i segni di emozioni che ultimamente intuisce, senza darle il tempo di cancellarle. E’ da un po’ che va avanti questo gioco al gatto e al topo, fatto di sguardi rubati pensando che l’altro non se ne accorga e di contatti casuali, che di casuale hanno poco, almeno per quanto lo riguarda.

Le si para davanti fingendo indifferenza, non gli sfugge che lei elude il contatto visivo, poi si accorge che in realtà il suo sguardo è fisso sulla sua camicia che ha indossato sul corpo ancora umido aderendo all'ampio torace senza lasciare molto all'immaginazione.

«C'è qualcosa che non va nella mia camicia forse ?».

Un modo come un altro per farle intendere che ha capito dove fosse rivolta la sua attenzione. Le gote di lei s'infiammano e lui se ne compiace.

«E' bagnata fradicia. Hai forse fatto il bagno vestito?».

«Mi sono solo dato una rinfrescata. I vestiti umidi addosso mi daranno sollievo per un po', almeno il tempo sufficiente a batterti spero!».

Lei si alza con un movimento agile e fluido e recupera le spade di entrambi appoggiate al tronco del salice poco dietro, gli rende la sua e si mettono finalmente in posizione.

«Allora cominciamo. In guardia!».

«Come vuoi tu! Comunque, se davvero avessi voluto farmi un bagno non avrei potuto evitare di farlo vestito, non trovi? L'alternativa sarebbe stata denudarmi davan...».

Lo zittisce con un primo fendente che lui intercetta appena in tempo e capisce che lei è piccata e farà sul serio. Lo vuole punire per la sua impertinenza, gli toccherà impegnarsi. E la raduna si riempie e risuona dello sferragliare delle spade che si oppongono, dello stridere del ferro contro ferro nei respingimenti, delle grida liberatorie con cui ciascuno accompagna i colpi portati all'avversario. Nella dinamica del duello si allontanano e si avvicinano come in una sorta di strana danza che ha un che di sensuale nei corpi che si sfiorano, nei respiri che accelerano e si mischiano. Agilità ed eleganza contro forza e potenza. Lui è chiaramente in svantaggio e tenta il tutto per tutto con una serie di affondi veloci che la costringono ad indietreggiare. Lei mantiene comunque un buon controllo, poi è un attimo e perde contatto col terreno. Il piede d'appoggio è finito in un avvallamento più profondo che la fa sbilanciare all'indietro, è un lampo capire che la caduta è inevitabile. Molla la presa sull'arma per avere le mani libere e cercare di attutire l'impatto, incredula guarda il suo avversario, l'angolo della bocca piegato all'insù nell'accenno di un sorriso irriverente di chi ha capito di aver ormai guadagnato la vittoria. Allora cambia idea e protende le braccia in avanti, fino a raggiungere un appiglio, un lembo della camicia di lui che tira a sé con tutta la sua forza destabilizzandolo e costringendolo a seguirla nella rovinosa discesa al suolo. Per non dargliela vinta. Lui sgrana gli occhi per la sorpresa di una mossa che non si aspettava per poi chiuderli forte in attesa dell'impatto, avendo cura all'ultimo momento di portare il braccio dietro la testa di lei nel riflesso incondizionato, quasi ancestrale, di proteggerla.

«Oscar, stai bene? Sei ferita?».

Glielo ha chiesto tenendo gli occhi ancora chiusi, ma l'assenza di una risposta che non arriva lo costringe ad aprirli. Trova quelli di lei che lo guardano con un'intensità che non le aveva mai visto prima. La chiama di nuovo, piano, e le rifà la stessa domanda, quasi sottovoce. Non vede sangue né ferite, ma vuole sentirselo dire da lei.

Lei che continua a guardarlo senza rispondere. E lui che sente crescere la paura e che adesso la implora.

«Dio Oscar, ti prego, dimmi che va tutto bene».

E lei finalmente glielo dice. A modo suo. Accostando le labbra alle sue, in un bacio appena sfiorato. Lui rimane immobile, incredulo. E lei lo fa di nuovo, e ancora, e ancora. Finché lui non ha più dubbi sul desiderio che le legge negli occhi, e allora è lui a catturare le sue labbra in un contatto più profondo, ad inviarla a offrirgli il sapore della sua bocca. E lei lo segue e lo assaggia allo stesso modo. Finché il respiro accelera e la passione li rende consapevoli della vicinanza del corpo dell'altro, del petto di lui appoggiato al suo, della virilità di lui che le preme contro. Ed è ancora lei, senza mai abbandonare le sue labbra, ad afferrare la camicia di lui all'altezza della vita e a strattonarla per liberarla dai calzoni e lasciar scorrere le mani al di sotto, risalendo la schiena lentamente, a palmi aperti, ascoltando il tremito dei muscoli e la pelle bollente e i suoi sospiri di piacere che le danno un senso di potenza mai provato prima.

«Oscar, io ti voglio. Ti voglio adesso».

Il suono della voce resa roca dal desiderio, il verde dei suoi occhi divenuto cupo come le onde del mare in tempesta, sarebbe così facile lasciarsi travolgere e portare via. Invece all'improvviso le mani di lei premono sul suo petto a spingerlo via, gli occhi a implorarlo di fermarsi. Lui per tutta risposta le ruba un ultimo interminabile bacio, pregno di tutta la passione che non si è mai potuto permettere di mostrarle, prima di arrendersi a un messaggio di rifiuto inequivocabile.

Si solleva lentamente dal suo corpo, quasi a voler ritardare il momento del distacco e aspetta che lei si ricomponga prima di tornare a guardarla con occhi feriti che parlano di un dolore più grande di quanto si può dire, presagendo l'amara conclusione di una caduta che non ha lasciato segni sulla pelle ma che ha inciso ferite profonde in ciascuno di loro, impossibili da rimarginare.

«Tutto questo non è mai successo. E non succederà mai più».

Lo sguardo che accompagna le parole è altrettanto eloquente, poi si gira incamminandosi verso Caesar, monta in sella e parte al galoppo senza aspettarlo.

  
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