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Autore: whitemushroom    23/05/2015    4 recensioni
Un interludio è qualcosa che si trova nel mezzo. Qualcosa di indefinito, specie quando di un'opera si ricordano solo l'inizio e la fine. Ma in questo spazio bianco, avvolto nella nebbia, si muovono i mille tasselli di una storia che cerca solo di portare avanti il mosaico finale. Hilda si trova nel proprio interludio, rapita da un mago che non riesce a comprendere ma che sembra avere per lei molti più progetti per il futuro di quanti la granduchessa ne abbia ella stessa. I sentimenti che prova verso suo marito oscillano, ma forse saranno proprio quelli a tenderle la mano e trarla in salvo quando l'intermezzo rischia di trasformarsi in una tragedia ...
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hildagarde Fabool / Lady Hilda, Kuja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Capitolo II - Di come la felicità possa avere varie interpretazioni

“Perdonatemi, ma mi sento in dovere di dire che se l’è andata a cercare!”
Tanto sapevo che Herbst e Gress la pensavano esattamente come me. Gress sputò per terra confermando il tutto.
La vecchia villa dei Moonrise ispirava timore anche di giorno, con le terrazze distrutte a metà come se una bestia feroce le avesse colpite in un attacco d’ira. Figuriamoci al crepuscolo.
Il cancello era stato forzato almeno cinque anni fa, durante un’incursione di qualche balordo, e cigolava in modo sinistro spinto dalla brezza del mare. La ruggine aveva divorato una decina di sbarre, una persona abbastanza sottile sarebbe riuscita anche a passare attraverso; ma tutti istintivamente allontanavano lo sguardo da quel punto, dove una statua consumata dal tempo sembrava in attesa di abbandonare la forma di pietra per divorare gli intrusi. Il leone rampante era avvolto in sottili tralci d’edera e la sua corona era stata per metà portata via dalla salsedine, ma le macchie scure sui suoi artigli erano visibili sin da fuori il cancello. La madre di Gress aveva detto che una volta aveva sentito un ruggito provenire dalla villa, poi delle urla, e che il giorno dopo si scoprì che Florence, la figlia del sarto, era sparita nel nulla.
Le ultime luci del giorno chiamarono i pipistrelli: arrivarono dai pini che si affacciavano sulla spiaggia, uno alla volta. Presero a volteggiare intorno alla statua e sui resti di una fontana, alcuni volavano così bassi che mossero l’erba alta con più forza del vento. Ne vidi un paio entrare oltre i vetri infranti e consumati di una finestra al piano terra, altri ancora venire verso di noi per poi unirsi agli altri. Il mare mandò un rumore sordo.
L’anziana Cheryl raccontava che la villa andò distrutta oltre trecento anni fa, quando il suo bisnonno era ancora un bambino e suo padre era partito per la guerra contro Burmesia. I Moonrise veneravano Leviatano, e ad ogni luna piena mandavano i loro sicari avvolti in mantelli rossi per rapire le bambine del villaggio e sacrificarle sugli scogli. Lo facevano per scongiurare la sua ira, così almeno sosteneva la vecchia. Ma un giorno gli abitanti decisero di opporsi, e prima che la luna mostrasse tutta la sua luce argentata nascosero le bambine e tutte le donne di Müttenborg chi nelle cantine, chi nel mulino, chi le mandò in visita da lontani parenti. I servi dei Moonrise cercarono invano le vittime, e tornarono alla villa a mani vuote. Lord Vincent Moonrise si accorse solo in quel momento che l’unica bambina rimasta nel paese era sua figlia Helena ma si rifiutò di portarla sulla spiaggia, cacciò via i servitori, li rimandò nelle strade di Müttenborg ancora e ancora, finché i primi raggi del sole non schiarirono la luna e la costrinsero a chinare la testa al nuovo giorno. La vecchia Cheryl chiudeva sempre gli occhi a quel punto del racconto, dicendo che la più grande fortuna della loro famiglia era stata che quel giorno il suo bisnonno non si fosse trovato vicino alla costa. Le onde si erano fatte alte, più alte di qualunque albero, e mentre lui e sua madre fuggivano insieme a tutta la gente si era voltato, ed in quell’istante la sagoma di Leviatano era apparsa tra i flutti, diretta contro la villa.
Avrei sempre voluto saperne di più su questo mostro. Che ne so, come fosse fatto, quanto fosse grande, se avesse delle zampe o qualcosa di simile. Ma l’anziana Cheryl ha sempre detto che certe cose non vanno raccontate e che una ragazza bene educata non ci dovrebbe nemmeno pensare, quindi non ho mai saputo la parte più interessante del racconto. Sta di fatto che Leviatano scatenò la sua furia sui Moonrise, e per dieci giorni la gente vide le acque del mare macchiarsi di scarlatto mentre le vesti dei nobili e dei loro servi lentamente si inabissavano e sparivano.
Poi c’era la versione del drago: tutte le grandi leggende hanno un drago sputafuoco. Era la versione preferita di Herbst, che aveva piuttosto paura della vecchia Cheryl e dei suoi denti tutti verdi.
Da quello che dicevano anche i libri delle antiche fiabe Leviatano aveva tanti poteri, ma non certo quello di appiccare il fuoco.
Il lato est della villa non si vedeva bene dal cancello, ma un paio di volte ci eravamo arrampicati sugli ulivi del signor Mirt per spiare oltre il muro diroccato che proteggeva l’abitazione, e nemmeno i resti di punte aguzze piantate sopra i mattoni grigi riusciva a nascondere il nero che macchiava l’ala orientale, dove probabilmente un tempo doveva trovarsi una veranda. La macchia dell’incendio si estendeva in quel punto e forse anche più dietro, ma l’erba era cresciuta lo stesso e l’edera si era comunque spinta su quelle pareti dove senza dubbio del fuoco si era scagliato con notevole violenza. Persino i vetri riflettevano la luce in modo diverso.
Di certo poteva sembrare l’opera di un drago, ma all’epoca avevo soltanto sedici anni e credevo ingenuamente che i draghi non esistessero. In realtà nemmeno Gress o Herbst vi credevano più di tanto, ma l’espressione cupa dipinta sulle loro facce in quel momento, agli ultimi istanti del sole, mi faceva sospettare che un po’ di sana superstizione fosse affiorata nel loro cuore.
Infine ovviamente c’era la versione più famosa, quella che non poteva mancare mai e poi mai nei racconti di paura intorno al fuoco. “Voi ci credete sul serio … insomma, la maledizione della Strega e tutto il resto …”
Non avevo mai sopportato molto Lily quando metteva su quella voce piagnucolosa che la rendeva ancora più infantile della sua sorellina, ma sospirai e mandai giù la saliva. Ero lì per lei, in fondo: lamentosa o meno era la cosa più simile ad un’amica che potessi trovare a Müttenborg. Forse perché era troppo ingenua da non chiedersi cosa facessi con tutte le erbe ed i minerali che vedeva nella mia camera, ma avevo sempre pensato che ogni tanto l’ignoranza fosse una benedizione. Chi si fa troppe domande spesso trova anche delle risposte. Nella maggior parte dei casi, risposte poco piacevoli.
“Le Streghe non esistono, Lily. O, se esistessero …” risposi, cercando di non far trapelare il tremito che sicuramente mi era sfuggito. “Avrebbero cose più intelligenti da fare che maledire un vecchio rudere”.
“Oh, sì, sarebbero troppo intente a creare pozioni per far cadere tutti i denti alla signora Huss!”
“Herbst, sei un idiota!”
Certo, non potevo sperare che Herbst e Gress fossero sciocchi come Lily; mi limitavo ogni tanto a pregare che le loro lingue lunghe non andassero in giro a raccontare troppo nei dettagli ciò che facevo nella mia cantina, soprattutto quando nel loro corpo scorreva più birra che sangue. Semplicemente chiudevano un occhio e ogni tanto preparavo loro qualche bevanda che migliorasse le prestazioni dei loro organi riproduttivi; a dire la verità Herbst li chiudeva tutti e due e testavamo insieme gli effetti della pozione quando non eravamo troppo impegnati con altri ragazzi e ragazze. Semplicemente ogni tanto avrei gradito un po’ più di riservatezza. “Quando è entrato, Lily?”
“Ieri … ieri mattina, subito dopo che siamo usciti dalla tua bottega. Voleva dimostrarmi che non c’era niente da temere dalla vecchia villa, e io …”
“L’ennesimo maschio idiota che pensa di fare colpo su una ragazza con la prima bravata che gli passa per la testa” mi voltai verso Gress, che mi restituì un gestaccio. “Non sarebbe né il primo né l’ultimo!”
“Sì, ma il signorino viene dalla capitale, non sa che tutti quelli che sono entrati in questa villa non ne sono mai usciti!”
Non avrei usato il termine “signorino” per quel grandissimo idiota. Per prima cosa aveva almeno dieci anni più di noi, o se erano di meno se li portava davvero male. Per seconda cosa nessun “signorino” di buona famiglia, con tutti quei bei vestiti usciti senza dubbio dalla più costosa sartoria di Lindblum, si sarebbe comportato come un ladruncolo idiota. Avevo preferito non scendere in questo dettaglio con la mia amica per non rovinarle l’idillica idea del ricco innamorato della capitale che avrebbe potuto regalarle una vita da principessa, ma la verità è che in quel momento volevo ritrovare quel grandissimo imbecille più per riavere ciò che mi aveva trafugato dalla bottega che non per restituire a Lily un povero cretino che senza dubbio non aveva alcun interesse a prolungare la loro relazione per più di tre giorni, il tempo di ripartire dalla visita a Müttenborg e tornare in città. Me ne ero accorta benissimo che mi stava osservando il sedere da oltre il bancone. Non che la cosa mi dispiacesse troppo –avevo davvero un bel sedere- ma il fatto che si fosse presentato come la fiamma della mia migliore amica mi aveva dato alquanto fastidio e forse gli avevo servito l’infuso a base di miele e glen con più insofferenza del necessario. Ovviamente prima di rendermi conto, solo dopo che quei due erano usciti tubando come uccellini, che il pezzo di scarletite che tenevo sempre sul bancone era sparito. Mi sono sempre considerata brava a fare due più due.
E se quel grandissimo pezzo d’idiota di città avesse lasciato troppo a lungo la scarletite in un posto umido –come senza dubbio era l’interno della magione- non sarebbe stato … come dire … semplice da spiegare agli altri l’origine degli effetti collaterali. I minerali sono sensibili all’ambiente, e la scarletite più di molti altri. Il fatto che possa stabilizzare la polvere di ferro e magnesio non implica che non abbia altri … usi. “Ma se aspettassimo domani? Magari adesso potremmo radunare qualcun altro e cercare aiuto!”
“Non parlare al plurale, Gress!” rispose Herbst, pungente come se un insetto gli avesse ronzato nelle orecchie. “Io lì dentro non ci vado, scordatelo!”
“Beh, nemmeno io, se è per questo. Ma intendevo dire che dobbiamo pur chiamare aiuto”.
“Sì, e così non verrà nessuno”.
Il mio commento doveva rimanere silenzioso, eppure mi uscì dalle labbra e gli altri si voltarono nella mia direzione. “Devo prepararvi un filtro per il coraggio?”
Gress, nonostante la pelle scura per i pomeriggi passati a gettare le reti in mare, diventò più bianco del mio vestito e fece un passo indietro regalando il secondo sputo della giornata all’erbaccia davanti all’edificio. Della luce del sole era rimasto soltanto il riflesso su un vetro rotto, e Lily accese una candela mentre si copriva con il mantello … per quanto non ero certa che lo facesse per il freddo. Avevo imparato ad ascoltare la magia, a sentirla nella mia pelle, a lasciarla correre dentro di me quando qualche rudimentale incantesimo veniva liberato: ma non c’erano incantesimi in quel posto, né sortilegi così potenti da nascondersi. Forse l’unica vera magia era la paura che i miei compagni stavano sprigionando, reso ancora più sinistro dagli occhi di un gufo che svolazzò sul cancello fino a posarsi lì, fissandoci senza alcun verso. Ma gli altri non avrebbero capito. Non avevano parlato di me con le autorità perché le mie pozioni erano utili, certo, e perché non avevo mai dato loro motivo di preoccuparsi. Eppure ogni tanto quel muro silenzioso di diffidenza tornava, e potevo sentirlo crescere proprio davanti a me, quasi a separarmi.
Credevo di essermici abituata, ma non era così.
Non era mai così, ed è sempre stato difficile fingere di non vederlo.
Il gufo spalancò gli occhi gialli e mandò un verso, ricordandomi ancora una volta dei motivi per cui ero lì. Uno dei quali era acciuffare quel ladruncolo di città, dargli una lezione con i fiocchi e riprendermi la scarletite. Esattamente in quest’ordine.
“Tranquilla, Lily. Vado io”.
“Ma Hilda …” per quanto la sua voce fosse piagnucolosa mi faceva piacere sapere che, nonostante tutto, la mia amica fosse davvero preoccupata per me. “… è troppo pericoloso, per favore! Andiamo a cercare qualcuno che …”
“Ci tieni a questo Cid sì o no? Io intanto entro, tu prendi quei due cuor di leone e prova a chiamare gente. Ma ho come il sospetto che lo tirerò fuori io molto prima di quanto tu riesca a trovare qualcuno con abbastanza fegato da entrare qui dentro!”
“E la maledizione della Strega? Non hai paura?”
Appoggiai le dita lungo il cancello, ed il rapace che mi stava osservando si sollevò pigramente per poggiarsi su chissà quale tetto. Il vecchio ferro battuto, reso caldo dal sale e dal mare, cigolò alla mia spinta e si aprì quanto bastava per farmi passare. Sotto le scarpe sentii la pietra dura, indice che vi era stato un vialetto che conduceva all’ingresso, ormai sommerso dall’erba. In alcuni punti era stata calpestata, ma di lato i fili verdi e gialli superavano di un palmo l’altezza del mio ginocchio. La statua del leone sembrava quasi più grande con il calare del buio, ma la macchia scura sulla sua zampa adesso si confondeva con le altre ombre, lasciandomi nel metto molta più intraprendenza di quanto credessi di avere. Se davvero quel Cid era lì da oltre un giorno o era un grandissimo idiota, o gli era davvero successo qualcosa, oppure aveva più coraggio di quanto mostrassero i suoi bei vestiti ricamati ed il fazzoletto di seta. Il guardiano di marmo della villa rimase immobile al mio passaggio, e per un istante avvicinai la mano alla zampa sinistra, quella più alta che sembrava in procinto di portarmi via la testa. Ma oltre l’edera ed il muschio non c’era nulla di minaccioso. Ad ogni passo mi sembrava che l’unica cosa in grado di uccidere, lì dentro, fosse la mole di stupidaggini e superstizioni che Gress, Herbst e Lily si portavano sulle spalle: li avrebbe schiacciati, e lei non era sicura di poter fare qualcosa per tutto ciò. “La maledizione della Strega … figuriamoci …”


“I will sing for crescent moon
dancing with the castanets
as the end will come so soon
in the land of twilight”


Kuja è sottile come una lastra di ghiaccio. Questo l’ho capito.
Ti permette di camminare su di lui, a patto che tu non faccia alcun rumore. Puoi specchiartici, se lo desideri, ma avvicinare troppo il viso a quella superficie vuol dire accettare una risposta gelida ed implacabile. Da quando sono qui ho sempre evitato questo lago ghiacciato, limitandomi a passeggiare lungo le sue rive ed a prendere quello che poteva darmi perché anche guardare indietro era faticoso. Ma adesso devo passarvi attraverso.
Ho bisogno di una risposta e ne ho bisogno subito, non posso fare il giro. Mi sono posta tantissime domande da quando sono qui, ma quelle più importanti non sono mai uscite dalla mia bocca. Osservo la distesa davanti a me, cercando un punto dove poter poggiare i piedi senza sprofondare.
Kuja sta cantando, in piedi al centro della biblioteca; le sue note in questa lingua che non conosco sono arrivate fino alla mia stanza attraversando le ampie volte di queste scale, riempiendo l’aria dal laboratorio alle scale.
La biblioteca è stata il primo posto che ho visitato quando mi sono ritrovata qui. E’ alta, maestosa, una stanza intorno al quale tutto il palazzo si articola e si snoda, le scale sostano a metà e poi riprendono il loro viaggio. Da terra non si riesce a scorgere il soffitto: solo salendo le scale che conducono al secondo livello è possibile osservare le tinte scure di questa volta mozzafiato trapuntata di stelle, l’intero cielo perfettamente incastonato e le costellazioni illuminate dalle oltre cinquanta candele che dormono sui lampadari. Chi si occupi di accenderle e spegnerle … è un mistero che non ho fretta di spiegare. Quando scendo le scale, la mano sinistra rigida sul corrimano, vedo le stelle della Vergine illuminarsi d’azzurro per un istante.
Non sono convinta che sia un segno positivo.
Niente affatto.
Prendere di petto Kuja e ricavarne qualcosa di utile è un’impresa con scarse possibilità di successo.
Le stesse possibilità scivolano nel reame dell’impossibilità quando mi accorgo che non è solo.
La bestia è sdraiata sul pavimento: non dorme, i suoi occhi neri sono spalancati e fissano il loro padrone seguendone anche il passo più impercettibile. Al terzo gradino si deve essere accorta della mia presenza perché solleva la testa e la gira nella mia direzione. Mi arresto immediatamente.
La prima ed unica volta che avevo poggiato gli occhi su un drago era stata la notte della mia fuga da Toleno, quando Kuja mi aveva “gentilmente” prelevata a bordo dell’Hilda Garde I e mi aveva condotto fin qui; lui si era lasciato cadere nel cielo, e quelle creature avevano sfiorato il fianco dell’aereonave prima di sparire. Ma questa è la prima volta che ne vedo uno da così vicino.
Potrei sempre rimandare la conversazione a …
“Oh, mia graditissima collaboratrice! Scendi pure, ho una bellissima notizia per te!”
Dannazione …
Avrei dovuto prendere lezione da Cid e dalla sua innata dote di sgattaiolare.
Kuja sorride dal centro della stanza. Riesco a vedere anche da quassù il trucco pesante che porta sulle palpebre, di un argento che ricorda le squame del drago. Sembra davvero felice, esattamente l’opposto di come l’ho lasciato ieri sera, ma ho imparato che il suo umore varia con la velocità di una mano di Tetramaster. Deve essersi accorto del motivo della mia diffidenza, perché i suoi occhi passano da me alla creatura accovacciata. “Non temere, puoi scendere. Ha già mangiato!”
Si gira verso la bestia senza smettere di sorridere. “Tu hai mangiato, vero?”
Per tutta risposta quella si alza sulle quattro zampe, alzandosi finché la sommità della testa non raggiungere il pianerottolo che conduce alle scale del primo piano e scivola intorno a lui: non è enorme, a malapena raggiungerebbe la metà dell’Hilda Garde I, ma è più che sufficiente per inchiodare le mie scarpe al tappeto rosso della scala. Le ali sono piegate contro il corpo, ma anche se le spiegasse la biblioteca potrebbe contenere tutta la sua figura. Si avvicina alla base delle scale quasi ad invitarmi a scendere, e non sfiora il tavolo di cristallo al centro né una sola zampa crea una piega sul tappeto. Il brontolio che ne segue potrebbe anche essere il frutto della mia immaginazione, ma sono più che convinta che venga dal ventre del drago. Kuja ha un’espressione ancora più divertita. “Mi correggo, non ha mangiato. Ma stai tranquilla, con tutti i vestiti che porti addosso troverebbe davvero seccante scartarti dalla testa ai piedi. Puoi scendere!”
Col cavolo!
“Non vorrei disturbare oltre il tuo meraviglioso canto. Sono certa che ne possiamo riparlare a cena!”
“A cena potrei non rispondere alla tua domanda, sai?”
“Come sai che …?”
“Ti si legge in faccia! Saresti un’attrice pessima, sul serio!”
Se dovessi descrivere la personalità di questo mago canterino mi sentirei di dire che ci sono dei momenti in cui è davvero intelligente, quasi perfido e viscido … e momenti in cui la sua ingenuità è assolutamente disarmante. Detesto trovarmi nella prima situazione. Forse il drago non è il predatore peggiore qui dentro.
“Posso discuterne ad una sana distanza di sicurezza?”
Aggiungo, sperando che il buonumore gli duri abbastanza da concedermi una posizione vicina all’unica via di fuga, ovvero il pianerottolo da cui sono scesa. Qualunque cosa lui possa chiamare “buona notizia”, rifletto tra me, avrà lo spessore intellettuale di un romanzetto d’amore o sarà qualche appunto sulla nuova moda femminile di Alexandria. L’importante è fingermi entusiasta di ogni cosa esca dalla sua bocca, così potrà rispondermi con calma alla questione sui maghi neri. Troppi particolari non tornano nel mio lavoro e nel Progetto Walzer. Alla mia richiesta fa un’espressione rilassata e si volta verso la sua bestia –come se potesse parlare, poi …
Con un cenno della testa mi dice di rimanere dove sono ed è lui ad avvicinarsi alla rampa di scale dopo aver appoggiato un testo sugli scaffali. Adesso devo solo sperare di ottenere maggiori risultati possibili da questa piccola “vittoria”. “Puoi iniziare tu, Kuja, se desideri. Adoro ricevere buone notizie”.
Prima le “signore” …
“Lindblum è stata distrutta!”
No.
Mi auguro di non aver sentito bene.
Non posso aver sentito bene.
Semplicemente non posso. Lindblum è …
“La regina Brahne ha fatto le cose in grande. Beh, come non potrebbe, dato il suo peso?”
Non è un sorriso. Quello non può essere un sorriso. “Ha persino utilizzato un eidolon, da non crederci. E la cosa fantastica è che ha impiegato oltre tre unità di maghi neri, quindi dobbiamo riprendere la produzione abbastanza in fretta. Walzer I sarà fondamentale!”
Non … non sono parole. Mi chiedo anche come io riesca a capire cosa sta dicendo mentre il cuore ha preso a battere e gridare dentro di me come se volesse scappare, obbligandomi a sentire la sua furia anche dentro le orecchie. Rimbombano, rimbombano e basta. Il viso di Cid emerge davanti a me insieme a quello di Janine, di Olivet, degli ingegneri e persino di qualche amante di mio marito. Iniziano a girare fino a sovrapporsi agli occhi di colui che mi ha appena dato la notizia. Ha salito le scale e si trova a soli tre gradini sotto di me e … “Qualcosa non va? Non sei contenta?”
Come … come fa a … è folle, come può anche solo pensare che …
La morsa che ho sentito in fondo alla gola si allenta e nemmeno io so da dove esce il fiato che mi riempie i polmoni. “Tu hai … hai distrutto la mia … TU HAI DISTRUTTO LA MIA CITTA!”
“Se proprio vogliamo essere pignoli è stata la regina Brahne a fare tutto il lavoro, io mi sono solo limitato a fornirle i mezzi per quanto … sì, in parte si può dire che sia opera mia! Non una delle mie migliori, lo ammetto, tutta quella confusione, tutto quel caos …”
Come può parlare in questo modo?
“… e poi, mia cara, mi duole ricordare che non è più la tua città, visto che hai deciso di andartene, trasformare il granduca in uno scaraburi, sottrarre illegalmente la punta di diamante della sua flotta e collaborare attivamente al potenziamento dei maghi neri. Quindi vedi …” sorride. E la cosa più orribile è che non è un sorriso falso. “… è tutto risolto! Puoi essere felice, quell’infedele di tuo marito ha probabilmente avuto la lezione che si meritava e quel luogo orribile che ha causato la tua infelicità adesso è un cumulo di macerie. Per carità, Brahne ha lasciato qualche sopravvissuto, ma suppongo che Lindblum dovrà essere d’ora in avanti molto ridimensionata sulle cartine geografiche. Perché questa faccia?”
Lo so che mio marito meritava una lezione. Lo so che quel palazzo era una tana di ipocriti, lo so cosa pensava la gente di me. Ma la faccia di Cid adesso la vedo ovunque, dal lampadario, alle costellazioni, alla libreria fino al muso del drago. La vedo e si sovrappone a tutto quello che ho pensato di lui, che penso di lui e che forse penserò una volta uscita di qui, perché ho bisogno della mia sfera di cristallo e di sapere dove si trova, come si trova, qualunque, qualunque piccola informazione … Ho bisogno di uscire subito da qui e allontanarmi da quel … mostro.
Non riesco a credere di non essermi mai accorta di cosa ci fosse sotto quel viso truccato e quella lingua sciolta. “Come puoi anche solo pensare una cosa simile?”
“Pardon?”
Soffoco l’istinto di prendere quel sorrisetto e sbatterlo contro il mancorrente di marmo. Si romperebbe prima la scala. Ma sento il disgusto superare abbondantemente la paura di qualunque sua reazione. “Il fatto che non mi piacesse quel posto non vuol dire che lo volessi vedere distrutto. C’erano migliaia di persone, nessuno mi aveva fatto nulla ed anche se lo avessero fatto non vuol dire che …”
“Quello che dici non ha senso”.
Mi interrompe prima ancora che possa tentare di spiegare. Ma in effetti credo che quel mostro davanti a me non possa capire niente. Forse il drago sarebbe più comprensivo. L’unica cosa positiva è che adesso ha levato il sorriso, ed anche se mi osserva come se fossi una bambina capricciosa è sempre preferibile al sapere che la distruzione di una città possa avergli causato piacere. O peggio, pretendere che possa aver portato piacere a me. “Ci sono le cose che ci piacciono e quelle che non ci piacciono. Anche quelle che ci sono indifferenti, ma di quelle mi annoio anche solo a parlarne. Come fai ad essere triste se una cosa che non ti piace non c’è più? Spiegami, la cosa mi incuriosisce”.
“Sai che uso ne faccio della tua curiosità?”
Senza nemmeno pensare alla probabile palla di fuoco che sta per partire dalle sue dita mi volto e salgo le scale. L’idea di stare con quel pazzo anche un secondo di più mi serra lo stomaco e il panorama di Lindblum sfreccia sotto i miei occhi troppo velocemente fino a cancellare i quadri e le pareti. Ho bisogno di vedere quel cielo azzurro e di vederlo adesso. E, per quanto uno scaraburi non sia la cosa più divertente che abbia mai visto in vita mia, il pensiero che mi martella le tempie è sapere di Cid. Al diavolo tutto il resto. “Hilda?”
Apro la porta che conduce al livello superiore senza nemmeno voltarmi. Anche se il tono di voce è stranamente gentile e non sembra quello di un mago in procinto di scagliare il suo più potente incantesimo contro la persona che lo ha appena elegantemente mandato a quel paese.
“Sai perché Gaya ha due lune?”
Sbatto la porta con tutta l’intenzione di far sentire il rumore fino ad Alexandria e corro verso la mia stanza.
Grandissimo figlio puttana.
La sfera è esattamente dove l’ho lasciata. Non ho aperto la borsetta sin dal giorno che Kuja mi ha portata in questo posto. Mi sono sforzata fino all’ultimo di non guardare indietro o farmi impietosire, ma le cose sono cambiate. L’oggetto magico risponde al mio comando prima ancora che la appoggi su un tavolino: quattro zampette nere emergono dalla nebbia che si propaga attraverso la sfera, poi due baffi bianchi. L’immagine dello scaraburi che cammina su un pavimento annerito dal fumo richiama per un istante tutti i miei pensieri.
Cid è vivo.
Ed è odioso ammettere che, nonostante tutto quello che è successo, il mio primo pensiero è andato a lui. Lindblum, i civili e tutto il resto sono venuti molto dopo.
Credo sia inutile chiedermi il perché, ma per quanto sia frustrante non riesce a rendere amara la sensazione di sollievo che ne è seguita. Cerco immagini della mia città, ma quando la risposta è il fumo che si alza dal palazzo granducale e dei maghi neri che camminano per le strade ed il molo non sono più convinta di nulla, a parte di una cosa.
Qualcuno bussa alla porta, ma il rumore sordo della paglia contro il legno annuncia l’ingresso di n. 16 e do il mio assenso senza nemmeno voltarmi, ascoltando l’immancabile tonfo del cappello contro lo stipite mentre i miei occhi rimangono incollati sulla sfera. Altri esseri come lui, altri volti neri dagli occhi luminosi si susseguono, e dalle loro mani nascono incantesimi per allontanare quelle poche persone che tentano una resistenza in una città di cui ormai ben poco è rimasto. Posso capire la paura che incutono queste bambole senza nome. Ma quando mi volto verso il mio assistente improvvisato capisco che non hanno alcuna colpa. Non volendo, Kuja ha risposto alla mia domanda. So a cosa ho lavorato, ma guardando il corpo grande e rattoppato davanti a me non riesco a sentirmi in colpa come forse dovrei. Al momento l’unica cosa chiara davanti a me è che ci sono due persone troppo pericolose su Gaya. Una è una cicciona di oltre cento chili distante miglia e miglia da qualunque mio incantesimo.
Un’altra invece è incredibilmente a portata di mano. È un mostro pazzo e spaventoso che potrebbe ridurre tutto questo posto in briciole, ma la voglia di vedere la sua elegantissima e nobilissima faccia esplodere contro una parete inizia a pizzicare quel po’ di cattiveria che solo una Strega piuttosto indispettita può ospitare.
“Mia signora, ho fatto portare nel laboratorio tutti i diamanti. Il padrone ha fatto sapere che Walzer I deve essere ultimato per la sua partenza”.
E, a pensarci bene, è un mostro abbastanza idiota da avermi fornito senza accorgersene tutto quello che mi serve per dargli una bella lezione. Non so quanto funzionerà, ma sono disposta a tentare.




Il Brano cantato da Kuja è tratto dalla canzone "In the Land of Twilight, under the moon", composta da Yuki Kajiura. Non chiedetemi perché, ma ho sempre immaginato Kuja cantarla ogni tanto.



N.d.W: si ringraziano tutti quelli che hanno avuto il coraggio di leggere questa storia sapendo in anticipo con quale velocità di crociera riesco ad aggiornare. Posso chiedere un favore ai sopravvissuti? Potreste dare il vostro voto al nome di Hilda nella sezione "Aggiungi personaggi?" .... Considerato che è e sarà una delle voci narranti di questa serie mi piacerebbe non dover più inserire il termine "Altro Personaggio" quando posto le storie. Grazie mille a tutti e buon proseguimento!
  
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