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Autore: lovingbooks    24/05/2015    1 recensioni
{possibili spoiler 2x16}
Bellamy aveva deciso di rinunciare alla sua felicità, pensando di non meritarsela, ma forse il destino aveva altri piani.
"Eppure eccolo lì, in silenzio, a guardarla, a osservare ogni piccolo particolare del suo viso, a guardare quei suoi occhi meravigliosi."
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nel momento esatto in cui lei gli voltò le spalle, lui si sentì solo.
Il pensiero di lasciare andare l’unica donna che aveva amato lo devastava.
Ma poteva davvero abbandonare Octavia? Certo, era cresciuta. Era diventata una guerriera, durante la sua assenza. E poi lei aveva Lincoln.
Una piccola fitta di gelosia lo colpì.
Tutti avevano qualcuno.
Raven aveva Wick.
Persino Abby aveva Kane.
Tranne Jasper…Oh, Jasper. Lui aveva perso tutto, a causa sua. Bellamy aveva ucciso l’amore della sua vita.
Si meritava davvero di essere felice, dopo tutto ciò che aveva fatto?
No, gli sussurrava la sua mente. No, gli diceva la sua coscienza. No, affermò la sua ragione.
Una parte di lui, però, gli urlava di sì. La parte più importante di lui, il suo cuore, voleva che fosse felice.
Bellamy aveva sempre seguito la logica, aveva fatto tutto secondo la ragione e usando il cervello.
Così, per una volta nella sua vita, decise di seguire i suoi sentimenti, anche se intricati e complessi, di seguire il suo cuore, che batteva ogni volta che stava vicino alla ragazza che amava.
Si girò. Stava per rincorrere Clarke, quando sentì una voce dietro di sé.
“Perché glielo hai permesso, Bellamy?” gli chiese Jasper, con il tono di uno che stava per scoppiare a piangere.
Le sue spalle s’irrigidirono, ma si voltò comunque.
Quando vide la faccia dell’amico, Bellamy diventò un pezzo di ghiaccio. Jasper aveva il volto provato, gli occhi gonfi e rossi, segno che aveva pianto quasi tutte le sue lacrime. Quasi, perché una lacrima silenziosa gli stava attraversando la guancia. Lui, però, non la spostò. E il moro decise di far finta di niente.
“Non l’ha fatto solo lei, Jasper” disse “Abbiamo abbassato quella leva insieme. Porto questo peso addosso anch’io. Dovevo salvare Octavia, altrimenti l’avrebbero uccisa. Non potevo lasciare che accadesse, lei è mia sorella, una mia responsabilità”.
“Una tua responsabilità?” urlò Jasper, prima di lasciarsi sfuggire una risata amara dalla bocca. “Per salvare la vita di una persona, ne hai uccise centinaia?” gli chiese, con tono aspro.
Una vena iniziò a pulsare sul collo di Bellamy, che chiuse gli occhi prima di rispondere.
“Sì” ammise alla fine.
“Dovevate solo avere fiducia in me! Avrei ucciso Cage e Maya sarebbe ancora viva!” questa volta, fu un urlo disperato. Bellamy voleva rispondergli, ma fu interrotto, perché Jasper non aveva ancora finito. “Ma, d’altronde, chi si fida di Jasper? È solo un ragazzino, che non sa cos’è la guerra, giusto? Ecco la novità: ne so più di tutti voi. In questa guerra, ho perso la ragazza che amavo. Ho perso il mio migliore amico, che è diventato qualcosa che non riconosco più. Ho perso la fiducia nei miei amici, capendo che loro non ne hanno mai avuta. E tu, Bellamy? Che cosa hai perso?”.
Che cosa aveva perso, Bellamy?
Ha quasi perso la sua vita, dentro quella montagna.
Ha perso un pezzo di sé, uccidendo quelle persone.
Ha perso Clarke, che non voleva fargli portare quel peso da solo.
Alzò gli occhi verso Jasper, che ormai aveva ripreso a piangere silenziosamente. Bellamy decise di rimanere in silenzio, perché l’amico aveva ragione: lui aveva perso molto di più.
In quel momento, prese una decisione.
Bellamy non avrebbe seguito Clarke. Decise di rinunciare alla sua felicità, perché, dopotutto, non se la meritava.
Entrò nel campo Jaha senza dire un’altra parola, voltando definitivamente le spalle a tutto ciò che poteva desiderare.
 
I primi giorni furono i più difficili. Il peso di ciò che aveva fatto, la mancanza dell’unica persona che poteva aiutarlo, lo distruggevano. La sua sorellina, però, non lasciò perdere. Gli stette accanto, lo aiutò a superare ciò che aveva fatto, gli ricordava costantemente che non era solo.
Il tempo passò velocemente, Bellamy sopprimeva la sua sofferenza con lavori manuali, dando una mano agli altri, stando accanto ad Abby, che gli ricordava Clarke.
Il giorno riusciva a sorridere.
La notte era solo nella sua tenda e non faceva altro che piangere, sentendo il vuoto accanto a sé. Quando, finalmente, si addormentava, aveva incubi su incubi e così si risvegliava.
Ormai andava avanti in questo modo da molto tempo, e non smetteva mai di pensare a tutto quello che era successo –la strage degli uomini della montagna, la perdita di Clarke. Come poteva?
 
Un giorno una delle vedette urlò: “Nemico in vista!”.
Bellamy prese la prima arma che si trovò tra le mani –una pistola– e corse al cancello.
Ciò che vide, però, non poteva essere considerato un nemico.
A qualche centinaio di metri dal campo, c’era una piccola figura bionda, che camminava verso l’entrata, instabile. Il moro s’irrigidì, ma non esitò a correrle incontro, urlando a tutti di non sparare, perché lei non era un nemico.
Le corse incontro nell’esatto modo in cui, tanto tempo fa, lei corse da lui.
Quando finalmente le fu di fronte, le gettò le braccia al collo. Lei si sorprese e ricambiò subito l’abbraccio, ma si lasciò sfuggire un basso lamento.
Bellamy era leggermente confuso e non voleva smettere di stringerla, ma, non appena sentì un liquido bagnargli la maglietta, decise di allontanarsi, piuttosto sicuro che non fossero le sue lacrime.
Quando vide la ferita di Clarke, strabuzzò gli occhi.
Non ebbe il coraggio di guardarla in volto. Tuttavia, non perse un minuto in più e la prese tra le proprie braccia, correndo verso il campo e chiamando Abby, chiedendole aiuto.
Subito la madre di Clarke accorse e, quando vide la figlia, si allarmò e la fece trasportare il più velocemente possibile in infermeria.
 
Al ragazzo non era permesso entrare nella stanza, così rimase fuori per quelle che sembrarono essere ore interminabili. Si rifiutò di muoversi, qualsiasi cosa gli dicessero.
Quando Abby uscì, lui si alzò immediatamente e le andò incontro.
“Come sta?” le chiese.
“Bene, ma ha perso molto sangue. Adesso sta dormendo e avrà bisogno di molto riposo” fece una piccola pausa e il moro si preoccupò. Poi, in modo materno e con un piccolo sorriso sulle labbra, aggiunse: “Ma si sveglierà”.
Bellamy annuì, e, mentre si girava, la donna gli urlò: “Se vuoi, puoi andare da lei”.
Lui la ringraziò, poi corse nella stanza e la vide.
Aveva gli occhi chiusi e un’espressione regale in volto. Sembrava la bella addormentata. Sorrise tra sé, pensando che, dopotutto, lei era ancora la sua principessa. Si sedette accanto a lei e le strinse la mano.
Senza che se ne accorgesse, delle lacrime si fecero strada per le sue guance, ma lui non fece nulla per fermarle. Guardando Clarke, sentì sulle spalle il peso del mondo. Era come se quella giornata fosse il massimo che poteva sopportare. Certo, sapeva che c’erano alte probabilità che lei potesse morire, là fuori. Eppure, vederla così lo aveva distrutto più di ogni altra cosa, perché sapeva anche che era forte, e che avrebbe lottato per la sua vita.
Decise che non l’avrebbe più lasciata, che le sarebbe stato accanto fino a quando non si sarebbe ripresa. Così, tenendole stretta la mano, si addormentò, poggiando la testa sul suo letto. E, per la prima volta dopo tanto tempo, ebbe un sonno privo di sogni.
 
La mattina si svegliò con una mano che gli accarezzava i capelli, e con un’altra che stringeva forte la sua. C’era una piacevole sensazione di pace intorno a lui.
Quando aprì gli occhi, Clarke lo stava fissando con un sorriso stampato in volto. Lui non poté far altro che ricambiare il suo sorriso. E stettero così, a sorridersi l’un l’altro, per un po’, fino a quando Bellamy si ricordò gli avvenimenti del giorno prima e la sua espressione mutò da felice a preoccupata. “Principessa, mi spieghi che cosa è successo?” le disse, tenendole stretta la mano e intrecciando le loro dita. Clarke s’incupì, ma non ritirò la sua mano. Non rispose subito, ma lui l’aspettò, le diede il suo tempo.
“Emerson mi ha pugnalata. Mi sono vista morire, Bellamy. Continuavo a ripetermi che me lo meritavo, che era questo il mio destino, ma l’unica cosa che desideravo, prima di morire, era rivedere te, gli altri…tutti voi. Così mi sono diretta qui, chiamami pure egoista, se vuoi” disse lei, alla fine. Bellamy si sorprese. Voleva vedere lui, e una qualche speranza si accese, ma cercò di reprimerla subito. Non c’era spazio per la speranza in quel mondo. Prese entrambe le mani della ragazza e le strinse con forza, scuotendo la testa. “No, Clarke. Non sei affatto egoista. Ho desiderato vederti per tutto questo tempo, solo che non sapevo dove trovarti” ammise lui, guardandola dritto negli occhi. Marrone nel blu e viceversa. Gli occhi chiari di lei divennero lucidi e si sporse verso di lui per abbracciarlo. Lui non esitò a stringerla a sé, con la massima cura, cercando di non farle del male. Le baciò i capelli e le sussurrò all’orecchio quanto le era mancata. Nessuno dei due aveva il coraggio di sciogliere l’abbraccio, o il desiderio di farlo. Purtroppo, però, furono interrotti da alcuni medici, che mandarono via Bellamy, nonostante le sue numerose proteste, e visitarono Clarke.
 
Il moro era visibilmente più felice, quel giorno. E Octavia l’aveva notato subito, così lo riempì di domande sulla motivazione e lui, semplicemente, continuava a sorridere. Parlò solo dopo svariati minuti. Non disse molto, una manciata di parole: “La principessa è qui, O. È qui per me”. E poi lasciò la sua sorellina con un’espressione sconvolta, dirigendosi verso la mensa, dove avrebbe iniziato il suo turno di lavoro –uno tra i tanti.
 
Ogni sera Bellamy andava a visitare Clarke: era diventata una tradizione. E insieme parlavano delle cose che erano successe al campo o si raccontavano vecchi aneddoti. Lui non le domandò mai cosa le era accaduto nelle settimane passate lontano e lei non aveva mai accennato a nulla. Lui voleva aspettare che fosse pronta e lei gliene era grata. La bionda era piuttosto triste, perché solo Bellamy veniva a trovarla. Certo, veniva anche sua madre, ma la maggior parte delle volte lo faceva per poterla rimproverare. Clarke non biasimava i suoi compagni, ai loro occhi lei era scappata. Tuttavia, non poteva fare a meno di sentirsi sola, rinchiusa nella stessa stanza tutti i giorni, costretta a letto.
 
Bellamy sapeva che Clarke sentiva la mancanza dei suoi compagni e faceva di tutto per tirarla su di morale. Solo che non era mai abbastanza. Così, quando una sera Monty venne da lui e gli chiese se poteva andare a visitare la ragazza, lui non indugiò un momento di più e lo accompagnò da lei. Non appena la bionda vide il viso così famigliare del ragazzo, le spuntò un sorriso luminoso in volto. Vedendola così felice, il cuore di Bellamy perse un battito, ma non era quello il momento. Non la lasciò nemmeno per un minuto. Forse avrebbe dovuto, dopotutto non era il suo posto, quello. In più si fidava ciecamente di Monty. Solo che non voleva perdere nemmeno un minuto con la sua principessa. Così li fissò, mentre parlavano del più e del meno e si lasciò sfuggire un sorriso.
 
Dopo quella sera, sempre più gente voleva vederla. Monty doveva averla difesa, oppure mancava a tutti. Persino Jasper andò da lei. In quel tempo era cambiato: aveva lasciato andare Maya e, pian piano, aveva iniziato a perdonarli. Sapeva che non avevano fatto la cosa giusta, però sapeva anche che tenere il broncio a Bellamy, Clarke e Monty non avrebbe portato indietro l’amore della sua vita. E sapeva anche che lei avrebbe voluto che li perdonasse. In più, gli mancava il suo migliore amico. Certo, doveva avere tempo, ma aveva iniziato passo dopo passo. Salutava Bellamy e gli parlava, non si faceva ancora toccare, ma il moro lo capiva. Quando Clarke vide Jasper fu sorpresa, ma poi un’espressione triste ricomparve sul suo volto: non era pietà, ma consapevolezza, empatia. Iniziarono a parlare e lo fecero per tutta la sera, con Monty che stette con loro. Quando se ne andarono, Bellamy si sedette sulla sedia accanto al letto della bionda e la guardò con un sorriso sghembo in volto. “Che c’è?” gli domandò lei. Lui scosse la testa, senza mai togliersi il sorriso dalle labbra: “Sembra che tu sia davvero molto popolare. Sarai così impegnata che non avrai più tempo per me”. Lei gli tirò un pugno leggero sulla spalla e alzò gli occhi al cielo: “Avrò sempre tempo per te, Bellamy”. E poi il sorriso del moro divenne più grande e la prese per mano. Lui sapeva che tra pochi giorni lei avrebbe potuto rimettersi in piedi e tornare a camminare. Per questo aveva paura che scappasse da lui, dal campo, da tutti. Aveva bisogno di dirle tutto ciò che provava per lei e così provò a radunare il coraggio. “Clarke, io…” iniziò, per poi notare che lei si era addormentata, con la mano stretta nella sua. Forse non era il momento giusto. Dopotutto, certe cose potevano aspettare.
 
Una settimana dopo quel giorno, Bellamy non aveva ancora detto nulla a Clarke, nonostante fosse da lei ogni sera. La mattina in cui a Clarke era permesso tornare a camminare, lui era andato da lei per portarla a fare un giro per il Campo, per farle vedere come erano cambiate le cose. Poi, prima del tramonto, l’avrebbe portata nella foresta, in un posto che conosceva solo lui, e le avrebbe detto cosa provava. E poi l’avrebbe baciata, sperando che lei ricambiasse. Solo che, appena aperta la porta, non trovò nessuno: il letto era fatto e vuoto. Si preoccupò all’istante e chiese alla prima persona che vide dove fosse andata, la risposta che ricevette fu un semplice “È uscita”. E allora sapeva che lei era andata via di nuovo, sapeva che lo aveva lasciato, sapeva che era troppo tardi per confessarle i suoi sentimenti. Così uscì dall’infermeria e tirò un calcio alla prima cosa che gli capitò sotto mano –che, per la cronaca, era un duro pezzo di metallo che gli distrusse il piede. Aveva chiesto il giorno libero per tutti i lavori che doveva fare, così andò nella foresta, nel suo “posto segreto”, per poter urlare e prendere a pugni qualcosa. Non poteva credere che lei lo avesse fatto davvero, voleva cercare una ragione, un motivo. Purtroppo non lo trovava. Quando arrivò lì, aveva già iniziato ad urlare e a tirare i bastoni contro i tronchi degli alberi. Tuttavia si fermò di getto non appena vide una chioma bionda. Era davvero lei? Guardò la curva delle sue spalle, il modo in cui guardava in alto e sentì dentro di sé che era lei. E poi, quante altre ragazze bionde girano per la foresta con i vestiti degli Sky People? Così le si sedette accanto e alzò lo sguardo verso il cielo. “Pensavo te ne fossi andata” le disse, per rompere il silenzio. “Non voglio andarmene, non di nuovo, non adesso” rispose. E poi Bellamy si girò a guardarla: aveva un viso tranquillo e i suoi occhi erano meravigliati, mentre osservava il cielo. Era bellissima. La foresta era silenziosa e lo sapeva, sapeva che era il momento migliore per dirle tutto. Allora raccolse tutto il coraggio di cui aveva bisogno e parlò. “Clarke…” iniziò “È da molto che ci penso. Da quando mi hai mandato nel Mount Weather, per essere precisi. Volevo dirtelo prima che te ne andassi, ma non ho fatto in tempo, non ho potuto. Poi sei tornata e ho cercato di reprimerlo, però continuava a tornare a galla. E il coraggio che mettevo insieme non era mai abbastanza. Ora però sembra il momento giusto. O almeno credo”. La bionda gli stava sorridendo e lo guardava con un’espressione confusa, che lo fece arrossire. Il grande Bellamy Blake era arrossito. Nessuno dei due poteva crederci. “Su, Bellamy, continua” gli disse. “Ecco…io…io penso di provare qualcosa per te” disse, balbettando. L’espressione di Clarke era quasi sorpresa e allora lui decise di continuare: “Qualcosa di molto grande. In realtà, credo proprio di amarti. E forse sono un pazzo, forse non dovevo dirtelo, però non potevo più tenermelo dentro”. E poi si guardarono. Lui si perse negli occhi azzurro mare di lei, così chiari e limpidi. Lei si perse nei suoi occhi scuri, così dolci e spaventosi. Bellamy pensava che, se lei non avesse risposto nulla, sarebbe rimasto in imbarazzo. Eppure eccolo lì, in silenzio, a guardarla, a osservare ogni piccolo particolare del suo viso, a guardare quei suoi occhi meravigliosi. Fu Clarke a riportarlo alla realtà, quando posò le mani sulle sue guance, che erano calde e soffici. Lui rimase sorpreso, ma non ebbe il tempo di dire nulla, perché lei annullò la distanza tra di loro con un bacio. Il loro primo bacio: un bacio che sapeva di attesa e di fiducia, un bacio che sapeva di casa e di speranza. Si baciarono per molto tempo, fino a quando la bionda non decise di staccarsi e gli sorrise, guardandolo negli occhi. “Sai, ho aspettato davvero tanto tempo che tu me lo dicessi. Bellamy Blake, sei davvero molto lento” gli disse. E poi si alzarono e tornarono al campo. Non si tenevano per mano, perché non sarebbe stato da loro, ma, anche se camminavano distanti, erano molto più vicini di chiunque altro. E, anche se nei giorni seguenti litigarono per delle sciocchezze e si urlavano di odiarsi, non era mai vero, perché entrambi sapevano che si amavano più di ogni altra cosa al mondo, perché entrambi sapevano di appartenere l’uno all’altra.
 

ANGOLO AUTRICE.
 
Okay, non so esattamente cosa sia. So solo che avevo bisogno di scrivere una Bellarke. So anche che il finale di stagione sembra essere stato un millennio fa, ma, dico davvero, è ancora duro da mandare giù. Così ho scritto questa OS, che mi ha tolto un peso, diciamo. E spero vivamente di averlo tolto anche a voi! Così come spero di non essere andata troppo OOC.
Inoltre, mi auguro che vi piaccia, perché ci ho messo un po’ a scriverla.
Detto questo, grazie se siete arrivati sino a qui, vi darei un premio, ma…ho finito sia gli Oscar che i Nobel e si rifiutano di mandarmeli altri, mannaggia!
 
Tanti grossi abbracci,
lovingbooks.
  
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