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Autore: Dandelion And Burdock    24/05/2015    3 recensioni
Nata quasi per caso, è forse la prima storia che scrivo su qualcun altro che contiene qualcosa di veramente mio.
"-Credo nella vita, questo ti basta?
-Potrebbe. E dopo la vita?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Mi venne voglia, ad un certo punto, di imporgli quell'interrogativo che da tempo mi tormentava; glielo gettai addosso con studiata noncuranza, velata di interesse poco ben nascosto.
-In che cosa credi, tu?
Per un attimo abbandonò la sua costruita sicurezza e si permise poco cautamente di guardarmi stralunato.
-Cosa?!
-In che cosa credi, Alex? Da quando ti conosco non ti ho mai visto avvicinarti ad una chiesa, e non hai mai nominato alcun tipo di religione. Nemmeno Scientology, toh. E non hai nemmeno affermato, mai, di essere ateo o agnostico. Te lo ripeto: in che cosa credi?
Ritorna frettolosamente alla sua maschera di pacatezza modellata, soppesando le parole e gongolando dentro a tutta quella attenzione per i dettagli che mai avevo fatto segno di mostrare nei suoi confronti.
-Non ho mai riflettuto su questi particolari, Kat; i miei genitori mi hanno battezzato anglicano, fine della storia. Credo in me stesso, credo nella musica, forse credo anche che in alcuni casi la vanità e l'egocentrismo siano giustificabili.
Solleva l'angolo della bocca in un sorriso sornione, e trova la mia risposta in un sopracciglio alzato.
-Tu non sei vanitoso, tu sculetti e indossi certe schifezze che nemmeno Kate Moss si potrebbe permettere. Come quei mocassini, ad esempio.
Distende le gambe sul tavolino posto di fronte a lui, ridendo sommessamente.
-Credo nella vita, Kat. Questo ti basta?
-Potrebbe. E dopo la vita?
Sbuffa.
-Non lo so, mi hai preso forse per un oracolo?
-Magari, o magari no.
Sto testando la sua malleabilità, fingendo di giocare con il suo ego e il suo essere poco incline a questo tipo di discorsi, così disarmanti e dolorosamente diretti; gli da fastidio mettersi a nudo, sempre, anche con me, anche dopo così tanto tempo.
-Io non so se esista Dio, ma so che non abbiamo nessun tipo di aiuto o protezione e che al mondo ce la dobbiamo cavare da soli, mi sbaglio?
Lo fisso pensierosa per un po', il mento appoggiato sulle nocche, tamburellando con le dita sulla mia gamba, velata dai collant scuri.
-Concordo- mi limito ad asserire.
Ride.
-Questi momenti di filosofia non sono ben accetti, e lo sai; le mie congetture sono cose private.
-Infatti i tuoi testi sono completamente asettici e commerciali.
-Forse ti confondi, honey; quello che scrive canzoni dall'alta portata letteraria è Casablancas, non io.
-Wearing a jacket made of meat?- cito sorridendo.
-Beh, di certo anticipare Lady Gaga in quel modo non è del tutto trascurabile.
Ridiamo insieme, ora.
Forse per questa volta l'ho strapazzato abbastanza; seguo il suo esempio e allungo le gambe davanti a me, appoggiando i piedi accanto ai suoi stando attenta a non colpire le tazze di caffé ormai vuote e il posacenere che straborda.
La mia tazza, poggiata sopra un foglio scarabocchiato, ha lasciato un segno circolare di liquido colato, che arriccia il foglio nell'angolo in alto a destra, e le parole vengono sommerse dal calore scuro del caffè. Non ricordo nemmeno cos'abbiamo scritto, in quella notte imprecisa di note trascurate e parole smontate irrispettosamente.
-Che ore sono?- chiede.
-Non credo tu lo voglia sapere- rispondo guardando lo schermo del telefono.
21 chiamate perse.
-Matt mi ha telefonato 17 volte.
-Ignoralo.
Spengo il telefono e lo appoggio sul bracciolo del divano di duro cuoio marrone, grattato e rovinato, dove siamo seduti.
Fuori dalla finestra, il buio avvolge un solitario lampione, mentre fiocchi di neve lenti scivolano fluttuando verso terra, illuminati dalla luce della lampadina che getta un alone giallastro di chiarore pallido e malato sull'asfalto; la stufa è spenta, io e Alex siamo avvolti nei nostri fidati maglioni e in una coperta.
Le luci nella saletta di registrazione oltre il vetro sono spente, solo due lampadine che penzolano dal soffitto illuminano lo spazio angusto dove il nostro cervello ci ha costretto a rimanere anche stanotte; ore ed ore di discorsi che non filano, frasi non complete e mezze idee abbandonate su fogli che coprono quasi totalmente il pavimento e le superfici orizzontali della stanza, per arrivare a chiederci in cosa crediamo. In che cosa credo, io?
Credo nella mia indipendenza, nella mia forza, in me stessa insomma.
Anche Alex crede in se stesso, ma per motivi diversi, perlomeno è così che mi pare di cogliere.
Credo nei sogni, che sono un'arma di distruzione di massa ma anche il motore dell'esistenza, magari non di tutti ma senza dubbio della mia.
Credo in ciò per cui lotto, anche se a volte non ho idea di cosa sia. O chi sia.
"I believe in what I fight for,
I believe in what my heart is asking,
And I believe in what I lost,
Because it teachs me that I should resist harder"
'Potrebbe funzionare', penso.
Recupero una penna ed esplicito sulla carta, dopo l'ennesima notte insonne, la prima idea veramente sensata che partorisco ormai da mesi.
Forse le domande scomode a volte aiutano.
Mi alzo di scatto e imbraccio la chitarra, tentando invano una trentina di accordi malfunzionanti. Alex mi guarda assorto, cercando di capire cosa mi abbia fulminato in quel modo, tanto ad arrivare, alle due del mattino, a riscoprire in me tutta quella energia. Vuole venirci a capo da solo; si ostina a non guardare il foglio stropicciato su cui ho appena scritto, attentamente lasciato al suo fianco dove poco prima sedevo io.
Solo dopo un po' trovo l'armonia giusta, così provo e riprovo finchè la prima nuova strofa prende forma.
La canto ripetutamente, sposando respiri e muovendo le mani sulle corde, guardando Alex dritto negli occhi; mi piace quando ci guardiamo così, potrei passare il resto della vita con lo sguardo incatenato al suo.
                   
Ci ho sbattuto la testa contro per minuti interi, su quella strofa, senza cavarci fuori alcunchè di davvero sensato.
E in quegli infiniti minuti,  Alex è rimasto seduto a guardarmi assorto, senza parlare, mentre mi incaponivo su una melodia inesistente, cercando inutilmente di far uscire dai miei pensieri scalpitanti ed illogici qualcosa che potesse assomigliare ad un pezzo nuovo. Senza riuscirci.
Si alza improvvisamente e mi toglie la chitarra dalle mani, poggiandola con un gesto delicato su una sedia vuota, poi butta nel posacenere la sigaretta che si era acceso e si dirige verso il giradischi tenendomi la mano. Riconosco la copertina del disco, e un sorriso si allarga sul mio viso stanco ancor prima che la puntina si appoggi sul vinile; quando la melodia prorompe, Alex si volta di nuovo verso di me e avvicina il suo corpo forte e snello al mio con un gesto fluido. Poggia le mani appena sopra i miei fianchi, mentre le mie si sollevano automaticamente fino ad aderire alle sue scapole, e le nostre fronti si sfiorano.
Tiene lo sguardo basso, e ballando mi porta di nuovo al centro della stanzetta; muovendoci pestiamo fogli strappati e scarabocchiati, rovesciamo una bottiglia di birra finita a metà, ma non importa, ci sarà tempo per pulire e ciò che davvero è importante, ora, è goderci questi attimi inusuali e bellissimi.
C'è una sorta di pacifica passione che ci avvolge, come in una bolla, una passione nascosta e silenziosa che non domanda attenzioni; mentre i nostri corpi si stringono l'uno all'altro, mentre i nostri sguardi dolcemente si evitano, mentre le nostre mani cercano delicatamente i segreti e le risposte di quelle notti insonni passate a farci del male con le parole, words as weapons, incaponendoci su questioni più grandi di noi e melodie che non filano.
Le uniche canzoni che funzionano, da giorni ormai, sono quelle già scritte che ascoltiamo a ripetizione cercando qualche buona idea che puntualmente non si fa trovare; forse non è il momento giusto per cominciare un nuovo disco e ne io ne lui vogliamo ammetterlo, ma adesso, in questo istante, mi viene da pensare che forse i momenti giusti sono relativi.
Forse una canzone filabile non ci uscirà, ma per ora è uscito un ballo improvvisato che mi fa amare le notti insonni come non facevo da tempo, e chi può mai dire che non tornerà utile?
La canzone finisce troppo presto, ma nemmeno lui vuole lasciarmi andare, così riposiziona la puntina sul disco; quando il brano termina per una seconda volta, semplicemente si siede sul divano e mi spinge silenziosamente a fare lo stesso, stringendomi a sé mentre il disco va avanti, brano dopo brano.
Quando il quarantacinque giri si blocca, non si alza per cambiare lato, così in silenzio rimaniamo fermi sul divano, abbracciati nel chiarore giallastro delle lampadine.
Caffè, alcool, nicotina, ormai è chiaro che non basta una stretta calda per farci cadere addormentati, ma per un bel po' di tempo l'unica cosa che testimonia che siamo vivi e ben svegli sono i nostri respiri sincronizzati; non voglio nemmeno pensare a quando dovrò spezzare questo momento, così mi limito a non farlo e a stare ferma, sperando che lui voglia lo stesso.
Ha il mento poggiato sul mio capo, così mi accorgo del suo sbadiglio nascosto a fatica; si sforza tanto di fare il duro, ma anche lui è un essere umano, ha bisogno del sonno quanto me.
Beh, forse io un po' di meno.
Mi alzo a malincuore.
-Andiamo, Alex, devi dormire.
Mugugna.
-Torna qui.
-No. Sono cinque notti che non chiudi occhio ostinandoti sul fatto che "ti senti ispirato", e intanto sono quasi le quattro, un'altra volta, e ancora la tua ispirazione non ha portato a nulla. Hai bisogno di riposare, Alex.
Si alza di malavoglia, lamentandosi sul fatto che gli sembra di stare con sua madre, e dopo aver spento le luci e chiuso la porta a chiave lo seguo sulle scale, verso le stanze.
Mi piace casa sua, mi ricorda un po' il mio appartamento di Sheffield dove passavamo i pomeriggi e un po' la casa dove fin da ragazzina sognavo di vivere.
La mia porta é di fronte alla sua, così mi volto dandogli le spalle per abbassare la maniglia; in quel decimo di secondo lui mi stringe forte all'altezza della vita, poi mi posa un bacio quasi impercettibile tra il collo e la spalla, un lembo di pelle chiara lasciato scoperto dalla maglia, scivolata scompostamente un paio di centimetri più in giù, e si volta in fretta chiudendosi la porta alle spalle prima che io possa dire qualsiasi cosa.
"Alle quattro del mattino siamo tutti strani" penso mentre entro in camera.
Mi spoglio in fretta, indosso una t-shirt slavata dei Pink Floyd e mi sciacquo la faccia con l'acqua calda prima di infilarmi sotto le coperte, rabbrividendo per il freddo.
Tutto giace nel silenzio notturno: la casa, addormentata nell'aspetto e ben desta in chi la abita, e il paesaggio fuori, con la vista familiare delle colline sheffieldiane coperte da un manto candido che comprime i rumori e li trasforma in sussurri dormienti come solo la neve sa fare; sotto la luce di un lampione, un gatto randagio cerca riparo dai gelidi fiocchi sotto un arbusto ormai quasi privo di foglie.
La calma silente che tanto mi piace osservare dura poco: dalla stanza di Alex, divisa dalla mia solo dai muri e un metro di corridoio, vengono i rumori familiari di chi non riuscendo a dormire cerca di ingannare il tempo.
Mi alzo in punta di piedi e, una volta in corridoio, indugio davanti alla sua porta; dovrebbe dormire, sono stata io stessa a imporglielo non più di un quarto d'ora fa.
"Non sei sua madre" mi dico.
Spingo la maniglia ed entro in fretta.
-Speravo saresti venuta- sussurra mentre mi infilo sotto il suo piumone, stringendomi al suo fianco.
-Mancava solo che mi mandassi un invito, Turner; quale malato di mente si mette a strimpellare la chitarra alle quattro del mattino senza secondi fini?
Sorrido, e mentre lui fa lo stesso avvicina la bocca alla mia, facendo appena in tempo a sfiorarla per poi ritrarsi di colpo.
Questo suo movimento scattante mi spaventa.
-Va tutto bene? Se vuoi me ne vado...
Mi guarda stralunato per un'attimo, scuote la testa con vigore, poi prende dal comodino accanto a lui un taccuino e una matita e scarabocchia in fretta una frase.
Mi sporgo oltre la sua spalla nuda per leggere: "Kissing ghosts to fall asleep".
-Mi piace- sussurro vicino al suo orecchio.
-Ora aspettiamo che arrivi anche il resto, mh?- fa lui mentre torna a sdraiarsi al mio fianco. Allunga la mano verso il mio viso accarezzandomi all'altezza dello zigomo, e improvvisamente mi salta in mente il ricordo di una sera, tempo fa, prima di una festa; mi guardavo allo specchio a parete che avevo a casa, sistemando il vestito, mentre lui leggeva dal mio quaderno, seduto sul letto, e mi ero ritrovata a lamentarmi dei miei zigomi, dicendo che sporgevano troppo e che mi facevano sembrare più vecchia.
Credevo non ci avesse fatto caso, allora, e invece, sorprendendomi, aveva prontamente risposto, senza staccare gli occhi dalle pagine.
"A me piacciono."
Dal riflesso dello specchio gli avevo rivolto una linguaccia, che però non aveva notato.
"Si, insomma, sono belli" aveva detto.
"Tu sei bella" aveva poi aggiunto in un sussurro.
Lo guardo in silenzio, guardo il suo petto nudo alzarsi ed abbassarsi con un ritmo calmo e regolare, guardo le sue mani forti che disegnano dei cerchi delicati sulla mia pelle, lo guardo e non posso fare a meno di pensare che non potrei mai amare una persona come amo lui. Gli voglio bene come pochi al mondo, forse come a nessun'altro.
Quando chiude gli occhi, mi allungo e gli lascio un bacio delicato sulle labbra, convinta che dorma, e invece ancora una volta mi sorprende, con un sorriso che scaccia il buio.
Ridacchio silenziosamente mentre la sua mano stringe la mia.
-Sembriamo dei bambini- dico.
Non apre gli occhi, ma la sua mano si sposta sulla mia vita avvicinandomi a se.
Mi bacia sopra la clavicola.
-Forse dovremmo cominciare a fare sul serio.
Fa pressione sulla mia schiena fino a raggiungere quell'aderenza dei corpi tanto agognata, poi mi scosta i capelli dal viso.                        
I nostri nasi si sfiorano.
Si volta per guardare il soffitto ed io seguo il suo movimento sdraiandomi sopra di lui, con le mani adagiate sopra il suo sterno ed il mento appoggiato sulle nocche.
-Cosa intendi di preciso con "fare sul serio"?
Mi guarda malizioso con le labbra sottili sollevate agli angoli in un sorriso vagamente serpentesco.
-Non so, tu che dici?
-Il matrimonio mi sembra un po' affrettato.
Ride sommessamente, soffocando poi quella sua melodica risata roca nell'incavo tra la mia clavicola e la spalla. Mi posa un bacio delicato sulla pelle, facendomi rabbrividire, poi un'altro e un'altro ancora, risalendo lentamente la curva sinuosa del mio collo, fino a raggiungere la bocca. Ne sfiora l'angolo, ma ancora si trattiene dal baciarla, per rispetto ma più per gioco.
-Anche questo- sussurra -ti sembra troppo affrettato?
Ridacchio, poi mi scaglio con impeto sulle sue labbra pallide, che con piacevole sorpresa si aprono senza esitazione.                                         
Mentre lo bacio, mormoro un "no" strozzato di risposta, senza fiato ma senza la minima propensione a staccarmi da lui.
"Potessi anche morire soffocata" penso con tono di sfida rivolta a quell'ipotetico Dio, che probabilmente sta guardando, e allo stesso tempo a nessuno in particolare.
"Morirei felice".
Le sue mani sono strette attorno alla mia vita con fare dolcemente rabbioso, ma non sembrano volersi muovere, segno che ha capito e mi ha capita.
Siamo Alex e Kat, non un film porno, e per la prima volta sento che possiamo sentire il nostro amore ed amarci davvero senza doverci per forza togliere i vestiti.         
È un sollievo, in un certo senso; ero stanca di finire per ritrovarmi sotto le sue coperte con il cuore freddo ogni volta che andavo a trovarlo, o che lui veniva a trovarmi, oppure che ci trovavamo.
Zittisco i miei pensieri e mi concentro sulle nostre bocche ancora incollate, sulle mie braccia strette attorno alle sue spalle, all'abbraccio caldo di cui siamo artefici, trovando risposta a tutti i dubbi e alle domande nell'incastro perfetto dei nostri corpi, silenzioso ed involontario testimone di qualcosa che sta cambiando.
Dopo un po' le sue labbra prendono dolcemente congedo dalle mie, così che entrambi possiamo finalmente inalare un profondo respiro. Tiene gli occhi chiusi e poggia la testa sul cuscino, mentre io rotolo sul fianco e torno a sdraiarmi accanto a lui, poi accarezzo delicata i suoi capelli          compiacendomi del fatto che da quando siamo qui ha rinunciato a fissarli con il gel e semplicemente li lascia liberi di cadere scompostamente sulla sua fronte, coprendogli di tanto in tanto gli occhi, in tutta la loro morbidezza sottile.
Lo vedo sorridere nel buio quando la mia mano trova la sua e la stringe con dolcezza; ricambia quel gesto, poi si tira su ed appoggia la schiena alla testata del letto, invitandomi a stringermi di nuovo a lui. Poggio la testa sul suo petto, che si alza e si abbassa ritmicamente, sopra il suo cuore, che sento distintamente battere sotto il costato spigoloso e la pelle sottile, quasi nivea contro il buio  vellutato che ci avvolge.
-Non voglio nessun'altra- sussurra tra i miei capelli.
-Nemmeno Arielle?
-Nemmeno Arielle.
È strano che lo dica, contando il fatto che appena dieci giorni fa aveva salito rabbiosamente le millemila rampe di scale del palazzo dove vivo per buttarsi sul divano a mangiare pizza con me mentre si lamentava dell'allora appena avvenuta rottura.
Mi piace pensare che bastano dieci giorni, per cambiare una vita, e magari anche dieci minuti.
Disegno invisibili scarabocchi sul suo petto con le dita, mentre lui ridacchia; ha sempre sofferto quel tipo di contatto leggero più del solletico.-
Credevo la amassi- mormoro dopo un po'.
-Giá, lo credevo anche io.
-Vuoi dormire?
-Solo se tu rimani con me. Non credo che ci riuscirei, altrimenti.
Mi accarezza i capelli.
-Anche perchè- aggiunge poi con tono scherzoso -se ci sei tu sto molto più al caldo.
-Lo credo bene, visto come dormi!- esclamo lanciando una fulminea ma eloquente occhiata ai suoi boxer scuri.
Ride sommessamente, poi mi fa sdraiare e si stende di nuovo alla mia sinistra.                                    
Abbiamo sempre dormito schiena contro schiena, così dopo un "buonanotte" sussurrato a fior di labbra ed un ultimo bacio ci voltiamo entrambi. Il silenzio e il distacco involontario che si crea, comunque, non durano molto.
-Al, non riesco ad addormentarmi.
-Ah, a chi lo dici- risponde con un sospiro voltandosi di nuovo verso di me.
-Allora, che si fa?
Mi coglie alla sprovvista; cosa si potrá mai fare, d'inverno, alle cinque del mattino?
Lo guardo stranita.
-Hai voglia di un thè?
Annuisco con un movimento del capo, poi lo seguo alla volta della cucina attraverso il lungo corridoio chiaro che collega le stanze da letto al soggiorno; mentre passiamo davanti alle finestre alte e strette che danno sulla strada non posso fare a meno di notare che la nevicata leggera di poco fa si è trasformata in una vera e propria tormenta, con larghi fiocchi che vorticano fitti nell'aria.
Raggiungiamo in fretta la cucina, e i miei piedi nudi perdono il contatto familiare del pavimento tiepido di parquet color miele per trovare il freddo marmo bianco che pavimenta la cucina moderna di Alex.
Al centro della stanza si trova un'isola di acciaio inossidabile che funge da tavolo e piano di lavoro, circondata da alti sgabelli bianchi; dietro a questa si trova il ripiano che ospita il lavabo ed i fornelli, sovrastato da armadietti con apertura a pressione e dal tubo della cappa, anch'esso in acciaio. Nell'angolo di destra, un frigorifero con la bandiera della Gran Bretagna.
Estrae una teiera dal cassettone sotto al fornello, poi mette l'acqua a scaldare sul fuoco e si volta a guardarmi, appoggiandosi al ripiano; mi avvicino e mi siedo sul bancone di fronte a lui.
-Dovremmo telefonare a Miles- dico.
-Giá, forse. Ci penseremo domani mattina.
-È giá domani mattina, Al.
Risate.
-Hai ragione. Allora ci penseremo oggi mattina. Si può dire oggi mattina?
-Non credo proprio.
Si siede accanto a me con un finto sospiro di delusione.
L'unico suono che rompe il silenzio è il ticchettare ritmico dell'orologio da parete, appeso sopra il forno.
-Odio quell'orologio- dice.
-Tu odi tutti gli orologi, Al.
-Esatto. Dovrebbero dichiararli illegali. abolirli, bruciarli tutti.
-Come i fusi ne "La Bella Addormentata"?
-Esatto, proprio così.
Ridiamo ancora, rompendo il silenzio e sovrastando l'assordante ticchettio dell'orologio.
Mi guarda per un paio di secondi, poi mi bacia d'impeto, prendendomi il viso tra le mani e accarezzandomi le guance con gli occhi chiusi, come fa sempre. Gli stringo le braccia intorno al collo mentre rispondo a quel bacio inaspettato che però non dura molto; veniamo interrotti poco dopo dalla teiera, che fischia fastidiosamente.
Si alza a malincuore, stampandomi un ultimo bacio sulle labbra dischiuse, poi spegne il fuoco e recupera due tazze dall'armadietto sopra la sua testa insieme alla scatola del thè.
Me la porge con un cenno del capo; "scegli tu" sussurra.
Gli porgo una bustina.
-Come sei banale, piccola- esclama sbuffando mentre intinge il filtro nell'acqua.
-That's my bad habit- rispondo divertita mentre penso alla mia abitudine quasi rituale, il thè nero.
-Senza zucchero, vero?- chiede mentre versa l'infuso nelle tazze.
-Come sempre.
-Aspetta, come mi hai chiamato?- dico mentre mi porge la tazza.
-Mh, piccola.
Guardo pensierosa il fumo caldo che si solleva dalla superficie scura dell'acqua.
-Che c'è?
-No, niente. Mi piace.
Bevo un sorso del mio thè, e quando lui fa lo stesso lo vedo contorcersi comicamente in una smorfia di disgusto.
Rido.
-Bleah!- esclama -ma come fai a berlo? È orribile!
-Guarda che lo zucchero puoi mettercelo- rispondo tra le risa.
Si affretta a versare nella tazza due enormi cucchiai di dolcificante, poi beve un'altro sorso.
-Molto meglio- afferma.      
-Breana direbbe che stai D.T.R.- dico mimando delle virgolette con le dita.
-Sarebbe molto da lei. Secondo te lo sto facendo?
-Non so. Che tipo di relazione dovremmo definire? Io sto bene così.
-Mh, anche io.
Mi posa un bacio fulmineo sulle labbra, poi si ritrae assaporando l'amaro del thè che vi è rimasto sopra.
Rido di gusto ancora una volta mentre scuote la testa schifato, poi torno a sorseggiare dalla tazza, osservando il muro davanti a me con sguardo assente.
-Credi che Matt sia arrabbiato?-dico dopo un po'.
-Oh, no, assolutamente. Credo sia FURIOSO.
-Probabile, contando il fatto che una settimana fa eri a Londra e in meno di due giorni sei scomparso senza avvisare.
-Te lo immagini?- dice ridendo -Stará in sala prove con Nick e Jamie a lamentarsi con quella vocetta stridula. "Si crede talmente figo, con quel ciuffo impiastricciato, e crede di poter fare quel cazzo che vuole senza dire niente a nessuno! E poi dopodomani c'è la cerimonia dei BRIT e non sappiamo nemmeno se...
Si blocca di colpo, poi mi guarda.
-Cazzo, Kat- sussurra- c'è la cerimonia dei BRIT, dopodomani.
-Credo che sia domani, Al.
Si alza in fretta e poggia con impeto la tazza nel lavabo, facendo rovesciare il thè che era rimasto all'interno.
-Dobbiamo tornare a Londra, subito- esclama.
-Certo, Alex, ma non puoi guidare in questo stato. Dormiamo almeno un paio d'ore, e poi partiamo; ci vogliono quattro ore, non è poi cosí grave se partiamo piú tardi.
Annuisce con vigore, poi mi prende la mano e mi guida di corsa in camera da letto.
-Niente distrazioni- dice stampandomi un bacio frettoloso, poi si infila sotto le coperte.
-Dormiamo solo un po', e poi andiamo.
Imposta la sveglia sul telefono, poggia la testa sul cuscino e chiude gli occhi.
-Buonanotte- dice.
Guardo l'orologio digitale che lampeggia sul comodino accanto a me: le 5 e 42.
-Buongiorno- rispondo con un sussurro quasi impercettibile. Poi chiudo gli occhi anche io, e il sonno finalmente si impossessa di me.

Sembra che abbia chiuso gli occhi da appena un paio di secondi quando una canzone che conosco fin troppo bene mi fa svegliare di soprassalto, martellandomi insistentemente nelle orecchie ad un volume assurdamente alto.
-Alex Turner, sei un idiota testa di cazzo!- urlo a pochi centimetri dai suoi padiglioni auricolari.
-Come ti salta in mente di mettere i Sex Pistols come sveglia?- aggiungo, con un tono appena un po' piú basso quando anche lui si mette a sedere, stropicciandosi gli occhi.
-A te piacciono, i Sex Pistols.
-Non alle 8 del mattino!
Ghigna beato, lo stronzo.
Sollevo l'angolo della bocca in un sorrisetto velenoso, poi agguanto fulmineamente il cuscino e glielo scaglio con impeto dritto in faccia, sfoggiando la mia migliore espressione da vendetta.
Rido io, adesso.
Risponde con un'altro colpo, che però schivo prontamente lasciando che il cuscino cada sul pavimento oltre al letto.
Sbuffa, deluso, poi si passa le mani sul viso e fa scorrere le dita tra i capelli, scompigliati dal sonno.
-Forza, dobbiamo andare.
Si dirige verso l'armadio, dal quale estrae un paio di jeans chiari e una camicia a quadrettini bianchi e blu, che indossa velocemente, poi si infila nel bagno adiacente chiudendosi la porta alle spalle.
Crollo all'indietro, sul materasso.
Dopo pochi secondi sento la porta dove è appena entrato scattare, e percepisco i suoi passi silenziosamente felini sul pavimento di legno.
-Ho dimenticato una cosa- sussurra.
Si allunga sul letto, facendo aderire il suo petto al mio, e mi bacia delicatamente, quasi timidamente.
-Buongiorno- sussurra, poi in un batter d'occhio scompare di nuovo in bagno.
"E io che credevo di essermi sognata tutto" penso tra me e me, poi mi alzo e vado in camera mia.
Agguanto dall'armadio un paio di pantaloni a righe verticali bianchi e neri e la mia fidata camicia di raso nero, poi mi infilo un maglione bianco e gli anfibi color carbone, quelli vecchi come Mick Jagger che Alex mi regalò prima di partire verso l'ignoto, che allora era Londra. Sono ancora sorprendentemente in buono stato, devo dire, pur avendoci camminato in ogni posto immaginabile (steppe himalayane comprese).
Infilo disordinatamente i miei vestiti nella borsa di cuoio da viaggio, insieme alle scarpe da ginnastica e ad alcuni libri che non ho avuto il coraggio di lasciare a casa, tra cui figurano una copia di "Human Punk" e una di "Morte Malinconica Del Bambino Ostrica" di Tim Burton.
È un po' infantile, come libro, ma è sempre stato uno dei miei preferiti e funziona ancora come magico passatempo quando non riesco a prendere sonno, il che capita abbastanza spesso.
Nello zaino prendono posto il portatile, le miriadi di quaderni e quadernini che mi sono portata dietro non sapendo scegliere, insieme alle relative penne e matite, e il mio raccoglitore di testi e spartiti, che ho da quando avevo 8 anni e non ho intenzione di cambiare: portafogli, telefono e occhiali da sole finiscono nella borsa.
Mollo tutto in mezzo al corridoio, poi mi affaccio nella stanza di Alex; anche lui sta ultimando la preparazione delle valigie.
La cosa sconvolgente è che lui ci metta piú di me.
-Vado giú a sistemare lo studio. Le chitarre le porto direttamente in auto?
-Sarebbe meglio, grazie.
Frugo nella borsa, poi lancio ad Alex un cioccolatino al caffè, che agguanta con prontezza di riflessi e ingoia in pochi secondi, ringraziandomi con lo sguardo e con un silenzioso cenno del capo.
-Pronto per tornare alla realtá?- chiedo con un sorriso.
-Non proprio.

Chiudiamo casa in fretta dopo aver strappato a Penny la promessa di passare a dare una sistemata e ci mettiamo in macchina; imbocchiamo l'autostrada poco prima delle nove. Nevica molto fitto, la visibilitá è ridotta, cosí non ci è permesso andare troppo veloce, e dopo un'ora di viaggio ci troviamo incanalati in una coda di auto che sembra non avere fine.
Alex sbuffa esasperato.
-Sono un idiota, Matt ha ragione.
-Da un lato si, da un altro per niente. Arielle ti ha spezzato il cuore, la stampa ti faceva un sacco di pressioni, il fatto che tu volessi staccare è comprensibile. Non avvisare è stata una mossa un po' azzardata, ma molto d'effetto; possiamo sempre telefonare ora, comunque.
Estraggo il telefono dalla borsa e compongo il numero di Nick, che sará di sicuro piú comprensivo ma, cosa ancora piú importante, giá sveglio; la pigrizia di Matt è alquanto rinomata.
Risponde al terzo squillo.
-Kat, finalmente! Vi davamo per morti, cazzo.
-Siamo vivi e vegeti, e in perfetta salute, anche se un po' stanchi.
-Siete? Alex è lí?
-Accanto a me, stiamo tornando a Londra. In realtá ora siamo bloccati in colonna, ma saremo da voi entro oggi pomeriggio, sicuro. Il tuo uomo stamattina alle 5 si è ricordato dei BRIT ed è stato assalito dai sensi di colpa.
-Per fortuna! Matt era incazzato a morte, credeva che Al ci avrebbe bidonato in diretta. L'avete avvisato?
-No, ho chiamato te per primo per capire quante possibilitá c'erano di sorbirci una paternale da Helders.
-Direi che le probabilitá sono buone, ma lo sai bene che è talmente innamorato di te che sbollirá in due secondi. Le ramanzine ve le fa piú che altro per prendervi per il culo, ormai mi sembra abbastanza appurato.
-Decisamente. Com'è la situazione meteo, invece? Qui nevica di brutto da ieri notte, e non credo che smetterá tanto presto.
-Piove, tanto per cambiare.
Sbuffo.
-Benissimo, direi. Salutami Kelly, okay? Ti chiamo quando arriviamo.
-Okay! Saluta Alex.
-Senz'altro.
Ripongo il cellulare nella borsa e allungo le gambe sul pianale.
-Ti saluta Nick- dico.
-mh-hm.
-Alex, non c'è nulla di cui preoccuparsi. Ci parlo io con Matt, okay? Gli dico che è stata una mia idea, il che è vero.
-No, non è per quello...
-E allora per cosa?
-Non ho un discorso.
-Un che?
-Un discorso. Per stasera...
Mi sbatto una mano sulla fronte.
-Che ci vuole? Lo scriviamo adesso, un discorso- dico sorridendo, poi faccio un cenno verso le macchine ferme davanti a noi.
-Tanto di tempo ne abbiamo.
Mi allungo e prendo dal sedile posteriose il mio zaino, poi mi lascio di nuovo cadere accanto ad Alex e estraggo un taccuino rosso con la chiusura a calamita dalla tasca piú grande, insieme a gomma e matita.
-Non capisco perchè vuoi scriverlo, comunque- dico scherzosamente cercando una pagina vuota -visto che        vinceranno anche questa volta i One Direction.  
Mi fa una linguaccia, alla quale rispondo con una smorfia, poi abbassa il freno a mano e l'auto avanza di un paio di metri slittando quasi impercettibilmente sull'asfalto bagnato, seguendo il flusso delle auto in coda che avanzano lentamente.
-Qualche idea?
-No, per niente- risponde sbuffando.
Accende la radio, e dalle casse irrompe nell'abitacolo "No. 1 Party Anthem", trasmessa dalla BBC.
Allunga la mano per cambiare frequenza.
-Non ci provare, questa canzone è una perla dell'album- dico con tono canzonatorio muovendomi a ritmo, poi mi metto a cantare, in barba alle sue proteste divertite.
-Ma come cantavi? Sembra che mentre registravi Matt ti si stesse strusciando addosso con addosso una tutina di neoprene nera.
Ride immaginando una scena simile, poi rinuncia a zittirmi e canta con me, enfatizzando ogni parola e muovendo il bacino a tempo.
Quando la canzone finisce e lo speaker ne annuncia il titolo, Alex abbassa il volume e si volta verso di me con lo sguardo assente perso oltre la mia spalla, fuori dal finestrino, nella neve fitta che copre il paesaggio.
-Ti è venuta un'idea?- chiedo.
-Potrebbe. Mi presti quel quaderno? Solo un secondo.
-Certo- esclamo, poi gli allungo taccuino e matita.
Si piega leggermente in avanti usando il volante come superficie di appoggio, prende un respiro profondo e si mette a scrivere velocemente, fermandosi solo saltuariamente per riordinare i pensieri o condurre l'auto un paio di metri avanti.
Solleva lo sguardo dopo circa dieci minuti e tira un profondo respiro, mentre alla radio trasmettono un pezzo di non so quale inascoltabile artista emergente.
-Quelli della BBC sono insopportabili- dice inserendo nel lettore un disco di cui non riesco a vedere la copertina.
-Dimmi che ne pensi- aggiunge poi, lanciandomi sulle gambe il quadernetto proprio mentre parte "Memories" di Leonard Cohen.
Lo fisso sorpresa per un secondo, con la bocca semi-aperta.
-Questo è il cd che ti ho fatto quando siete partiti!- esclamo.
Annuisce sorridendo.
-Pensavo l'avessi perso, Al, davvero. Me ne ero pure scordata!
-Mi sottovaluti, donna. Come se non mi conoscessi!
Sorrido mentre nel petto mi dilaga una felicitá profonda.
-È una delle cose a cui tengo di piú- sussurra poi, piano, tanto che faccio fatica a sentirlo.
Mi allungo e gli poso un bacio delicato sulla guancia, poi mi metto a leggere mentre lui canticchia.
-Allora, come ti sembra?- chiede titubante quando alzo gli occhi dal foglio.
-Fa un po' Gandhi con le labbrone e i capelli di Mick Jagger.
Ride.
-Mi piace. Forse è un po' pretenzioso, ma è molto d'effetto. Ti si addice.
Annuisce soddisfatto, poi suona il clacson all'idiota davanti a noi che sta cercando di spostarsi nella corsia di destra da quella di sorpasso, bloccando ulteriormente il traffico.
Nel frattempo, Cohen ha lasciato il posto a Bowie, con la sua "Wild Is The Wind" che si addice perfettamente al clima di oggi, caratterizzato da suggestivi mulinelli di fiocchi candidi che turbinano incessantemente nell'aria fredda.
-Comunque devi ammetterlo- dico mentre passiamo il casello, levandoci finalmente dalla coda -i miei gusti musicali sono tre volte migliori dei tuoi.
Mi fa la linguaccia.
-Che canzoni avevo messo?
Mi passa l'involucro di plastica dove avevo infilato il disco: dentro c'è un foglietto stropicciato dove avevo scarabocchiato in tutta fretta le tracce.
"Machu Picchu, The Strokes
Come On Eileen, Dexy's Midnight Runners
Life is A Gas, The Ramones
Smells Like Teen Spirit, Nirvana
Don'T Stop Me Now, Queen
Telegraph Road, Dire Straits
Learning To Fly, Pink Floyd
Wish You Were Here, Pink Floyd"
Sorrido tra me e me, pensando a ciò che quelle canzoni hanno significato e ancora significano per me, per lui, per noi.
-Non te le meriti, tutte queste perle- dico scherzosamente.
Si volta verso di me, avvicinando il viso al mio, fino a che le nostre bocche quasi si sfiorano.
-Forse non le meritavo nemmeno allora.
E il secondo immediatamente successivo, mentre le ultime note di chitarra di Casablancas and company lasciano il posto ad un'allegra e fin troppo sentita melodia di violini, le nostre labbra collidono, le galassie esplodono, e ricordo che quando gli avevo messo quel disco in mano avevo le lacrime agli occhi e un sorriso stampato in volto.

Rallenta, scalando la marcia, mentre abbandoniamo il provinciale di periferia per inserirci cautamente nel traffico londinese del tardo pomeriggio.
È solo ora che, perdendomi con lo sguardo nelle gocce di pioggia che scivolano sul vetro distorcendo le luci delle auto e dei palazzi, mi accorgo di un dettaglio di ieri notte, delicato e fragile, come un candido bucaneve invernale.
-Alex.
-Si?
-Ieri notte...o meglio, stamattina- sorrido -hai scritto una frase sul taccuino.
-"Kissing ghosts to fall asleep"?     
-Giá.
-Che c'è?
-Perchè sono un fantasma, Alex?
-Io...tu non...
-Dio, non cominciare cazzo. Ti conosco meglio di Miles, non puoi nemmeno pensare di provare a mentirmi. Soprattutto quando parliamo di un testo, soprattutto quando quel testo è tuo.
Sbuffa quasi impercettibilmente come per riconoscere che ho ragione.
-Non lo so il perchè.
-Stai ancora cercando di mentirmi. Non sei capace, rinunciaci.
Sbatte i palmi delle mani sul volante, facendo suonare involontariamente il clackson.
-Perchè tu sei un fantasma, cazzo, okay? Tu sei diventata l'ologramma di te stessa, l'unica cosa che riesco a vedere, in te, adesso, è un fottuto riflesso di ciò che eravamo e dei miei errori. Tu sei la prova vivente di tutto ciò che ho fatto di sbagliato nella vita, sei lí eternamente a ricordarmi che non è tutto rose e fiori, nemmeno per me che ho tutto ciò che potrei volere. Sei un bellissimo riflesso, splendente, felice, accondiscendente, e non posso meritarmi il tuo perdono, anche se mi ostino a crederlo.
Mi lascia spiazzata per alcuni secondi.
-Sentimi bene, Alex Turner- esclamo piccata -io non perdono la gente perchè voglio fare una buona azione. Io non ti ho perdonato perchè volevo farti un favore. Non sono quel tipo di persona, okay? E tu lo sai bene.
Annuisce, piú che altro per farmi piacere.
-Non è cambiato nulla, comunque- dice.
Evita il mio sguardo, tenendo gli occhi fissi sulla strada davanti a se.
-Il problema, razza di testa di cazzo, sei tu. Ti sei trasformato in una rockstar sputasuccessi che indossa ciò che la folla vuole vedergli addosso e si comporta come piace al pubblico. E hai finito, nel tuo egocentrismo, per lasciarti alle spalle tutti, me compresa. Guardati allo specchio e chiediti perchè hai buttato le t-shirt e bruciato le bozze delle tue prime canzoni. Chieditelo davvero, questa volta.
Ferma l'auto al semaforo e si volta a guardarmi.
-Io l'ho fatto per...
-...proteggerti dal resto del mondo, si, esatto. Anche io sono il resto del mondo, vero, Alex? Anche Matt, Jamie, Nick? Forse solo i tuoi genitori possiedono un pezzo autentico di te, me lo auguro. Non se lo meritano, questo. Certo che non noti ciò che fai, Alex; tu sei abituato a potertelo permettere. Ma io non ho questa tua fortuna, dovresti rendertene conto. Io sono una persona normalissima, Alex, e ti sto parlando di cosa vedo, di cosa vedono tutti coloro che ti conoscono.
Apre la bocca per rispondere a tono; lo interrompo prima che possa dire qualsiasi cosa.
-Guardami in faccia, Alex- dico -ti sembro una che ha un futuro?
Agguanto la mia borsa, faccio scattare la maniglia e prima che lui possa fermarmi sono fuori, nel freddo londinese di Febbraio, con la pioggia fredda che mi inzuppa i vestiti e penetra fino alle ossa.
Mi sbatto la porta alle spalle.



 

Notes: non ha inizio nè fine, non ha un senso, è soltanto l'ennesimo delirio delle tre del mattino di un sacco di tempo fa, forse Gennaio. Niente pretesti nè pretese.
Non fate domande.

   
 
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