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Autore: LadySissi    25/05/2015    0 recensioni
"Una ragazza dai lunghi capelli biondi e ricci con un libro sottobraccio fissava assorta un ragazzo seduto sotto un albero, davanti a scuola. Il tempo di un battito di ciglia e la scuola era diventata un meraviglioso castello circondato da campi, la ragazza portava un elaborato chignon ed indossava un vestito color crema da principessa, ed il ragazzo, vestito da principe ottocentesco, la attendeva sorridente sotto il balcone del castello. Non potei fare a meno di pensare che Love story, la nuova canzone di Taylor Swift, fosse un vero spettacolo, in ogni senso." La storia di Taylor Swift raccontata attraverso gli occhi di un amico e collega.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Taylor Swift
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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12 Settembre 2008

 

“Va bene, allora ci vediamo stasera!” dissi al mio amico Frank dall'altra parte della via. Mi levai lo zaino dalle spalle, estrassi una lattina di Coca-cola e, sedutomi su una panchina poco distante, iniziai a berla. La scuola era ricominciata da poco e a Breaux Bridge i pomeriggi erano ancora caldi e pigri, come se l'estate si stesse rifiutando di terminare. In cielo non c'era nemmeno una nuvola ed avrei fatto di tutto pur di non tornare a casa. Purtroppo, però, i miei amici erano impegnati, e non li avrei rivisti prima di quella sera.

Avevo 17 anni e quell'anno mi sarebbero toccati il diploma e la conclusione delle scuole superiori. Avrei dovuto essere felice, ma provavo soltanto un pazzesco senso di smarrimento, perché tutti i miei amici stavano già facendo richiesta per qualche college prestigioso, mentre io avevo ben altri piani. Certo, la Ivy League sarebbe potuta essere un'esperienza straordinaria, e, con i miei voti, avrei potuto fare almeno un tentativo. Forse non sarei riuscito a superare la selezione per i college più richiesti; forse mi sarei accontentato di un'università di medio livello, dove mi sarei divertito in dormitorio con gli amici, avrei partecipato ad attività di gruppo ed organizzato le mie giornate come meglio credevo. Peccato che al centro dei miei sogni quotidiani non ci fosse un'aula universitaria, ma un palcoscenico.

Il mio sogno era sempre stata la musica. Fin da quando ero piccolissimo, i miei genitori avevano sempre assecondato questa mia passione: avevo partecipato a programmi musicali, pubblicità e spettacoli a partire dalla tenera età di quattro anni. Ormai, però, ero quasi maggiorenne e non volevo andare avanti con questo tipo di esibizioni. Non volevo semplicemente essere un interprete, uno showman, un personaggio famoso: quello che desideravo più di ogni altra cosa era diventare un cantautore country.

Mi sarebbe piaciuto prendere la chitarra, sedermi davanti ad un pubblico – non mi sarebbe importato il numero, avrei solo voluto farmi ascoltare – e raccontare in musica che cosa avevo detto ad una ragazza per dichiararmi, oppure i motivi per cui la mia ultima storia era finita male. Pochi generi come il country lasciavano la libertà di trasformare i testi delle canzoni in vere e proprie storie, e, per me, questo continuava ad essere uno degli aspetti migliori del fare musica.

Finita la lattina di Coca-cola, decisi che non era proprio il caso di passare tutto il pomeriggio a bighellonare. Così mi incamminai lungo il vialetto ed arrivai a casa.

Mentre mi preparavo una merenda, accesi la tv. Fu allora che vidi e sentii qualcosa che non avrei mai più potuto dimenticare.

 

Una ragazza dai lunghi capelli biondi e ricci con un libro sottobraccio fissava assorta un ragazzo seduto sotto un albero, davanti a scuola. Il tempo di un battito di ciglia e la scuola era diventata un meraviglioso castello circondato da campi, la ragazza portava un elaborato chignon ed indossava un vestito color crema da principessa, ed il ragazzo, vestito da principe ottocentesco, la attendeva sorridente sotto il balcone del castello.

Non potei fare a meno di pensare che Love story, la nuova canzone di Taylor Swift, fosse un vero spettacolo, in ogni senso. Taylor aveva già pubblicato un album country di debutto due anni prima, che qui da me, in Louisiana, aveva registrato moltissime vendite. Lei faceva musica esattamente come avrei voluto farla io: con il cuore e con tanta semplicità, inventando le melodie solo con una chitarra e scrivendo i testi sulla base di esperienze reali.

Quella canzone però era diversa. Il motivetto non era più solo country, ma aveva un sound appetibile per tutti; il testo si rifaceva alla storia di Romeo e Giulietta, un mito universale; i costumi e le scenografie del video erano pensate per avere un grande impatto sul pubblico. Pensai che per Taylor sarebbe arrivato un riconoscimento mondiale; compresi che si stava preparando ad un tour mondiale, e che esso sarebbe stato di enorme successo.

Provai una fitta di invidia. La ammiravo e la consideravo un'artista di talento, ma una parte di me avrebbe disperatamente voluto essere al suo posto.

Che speranze avrei avuto contro di lei? Non avrei potuto aspirare nemmeno ad un decimo del suo successo. Tutto quello che facevo era trovarmi dopo la scuola nello scantinato del mio amico Frank a suonare la chitarra ed a sognare un contratto per un album.

Quando, due anni dopo, firmai con la Atlantic Records, mi sentii felice e realizzato. Non avrei mai potuto immaginare, però, che proprio a me, Hunter Hayes, sarebbe stato chiesto di aprire in America lo Speak Now World Tour di Taylor Swift.

 

9 febbraio 2011

 

Lo Speak Now Tour sarebbe stato considerato, giustamente, uno dei live più emozionanti di quell'anno, non soltanto per quel che riguardava la musica country. Più che di un concerto, si trattava di un'esperienza trascinante, che coinvolgeva tutti i sensi. Ogni canzone era pensata come una storia, con una differente scenografia. Taylor non si risparmiava, era un'artista completa in grado di intrattenere il pubblico, suonare, cantare, raccontare storie. Un minuto prima cantava Dear John, una delle sue ballate più intime, seduta su una sedia con un vestitino lilla ed una chitarra acustica, ed un minuto dopo stava intonando Haunted con un lungo abito bordeaux, mentre, levatasi la chitarra, correva per il palcoscenico percuotendo con un bastone un'enorme campana. Quando il concerto terminava e Taylor, dopo l'ennesimo cambio d'abito, annunciava Long live, un toccante brano dedicato alla sua band, aveva negli occhi tutta la stanchezza e la soddisfazione di ogni singola serata.

Quanto a me, avevo imparato a conoscerla. Per quanto avessi lavorato sodo al mio album di debutto e lo ritenessi valido, mi sentivo in trepidazione all'idea di sottoporre le mie canzoni ad un mostro sacro del country pop come lei. Tuttavia, Taylor si mostrò una persona gentile, disponibile, dolce.

Era molto più estroversa di quanto si potesse pensare in un primo momento: aveva un buon gruppo di amiche con le quali organizzava tranquille serate a base di film o cibo cinese; era in contatto con molte celebrità, insieme alle quali passava ore al telefono; con la sua band e le persone della casa discografica si comportava come una naturale leader, dicendo ogni volta con chiarezza che cosa desiderava per ogni esibizione e come l'avrebbe realizzato. Imparai molto nell'osservarla e nel parlare con lei: capii che, se avessi voluto avere successo, non avrei dovuto diventare un burattino, ma sarei dovuto diventare il manager di me stesso.

Per quanto professionalmente fosse impeccabile, mi stupii nel constatare quanto, nella sua vita privata, Taylor fosse fragile.

La sua emotività era profonda, quasi estrema: mentre io e lei aspettavamo dietro le quinte l'inizio dello show, le capitava ancora di commuoversi, di guardare la platea al buio e di voltarsi verso di me con gli occhi lucidi, dicendo: “Non posso credere che tutti stiano cantando con questa passione le storie che ho vissuto e che ho raccontato io.”

Una volta mi narrò di come era nato uno dei suoi singoli più famosi, Back to December, e ad un certo punto si interruppe, abbassando la testa e prendendosela tra le mani. Aggiunse a bassa voce: “Se solo non mi fossi comportata così… ma è troppo tardi, ed è solo colpa mia!” Fu quella la sera in cui mi resi conto che lei non avrebbe mai potuto dire qualcosa di negativo su di me o sulla mia musica, perché lei era la prima e più severa giudice di se stessa.

Aveva appena affrontato la rottura con Jake Gyllenhaal; aveva vissuto la sua relazione con lui come il grande amore della sua vita, e sembrava restia anche solo a lasciare andare i ricordi. Era sorprendente la sua forza d'animo e la sua energia nel portare avanti il tour, dal momento che, a quanto mi avevano raccontato dei suoi amici, aveva passato intere settimane sconvolta e senza toccare cibo.

Da quando venni a sapere delle sue sofferenze, presi l'abitudine di guardare con maggiore attenzione quella che era la mia performance preferita del tour, Enchanted. Il testo della canzone raccontava in modo molto poetico il classico colpo di fulmine, e la versione live non era da meno. Si trattava di un vero e proprio sogno ad occhi aperti, con una scenografia che rappresentava un bosco incantato, dei violinisti, molti ballerini classici e Taylor che scendeva da una scala in un vestito luccicante. Iniziai a pensare che, con quell'esibizione, ella volesse mandare un messaggio preciso: questo è il momento magico, per questo vale la pena di innamorarsi. Era come se Taylor stesse mettendo in guardia tutti i fan: l'innamoramento è magico, ma vivere un amore ed una relazione può essere ben diverso, e nessuno l'aveva capito meglio di lei.

 

19 settembre 2013

 

Il periodo tra il 2011 ed il 2013 fu qualcosa di prezioso per me. Aprire lo Speak Now tour aveva dato la giusta spinta alla mia carriera; avevo temuto che i fan di Taylor mi avrebbero tirato uova e pomodori marci, ma essi mi avevano accolto più che bene ed avevano iniziato ad ascoltare le mie canzoni. Il mio primo album era stato un successo negli Stati Uniti, ed avevo persino partecipato agli ACM Awards.

In questo lungo periodo, Taylor non si era mai dimenticata di me. Mi telefonava regolarmente, come la più brava delle sorelle maggiori, per sapere come stavo gestendo la fama e per suggerirmi idee sul secondo album, a cui avevo appena iniziato a lavorare.

Il suo quarto album Red era in piena ascesa da quasi un anno, aveva battuto ogni record di vendita e le aveva permesso di intraprendere un altro tour mondiale. Molte delle canzoni in esso contenute non erano più prettamente country, perché Taylor stessa mi aveva confidato di volersi sperimentare in altri generi, e questo l'aveva aiutata ad avere un pubblico, se possibile, ancora più ampio. Red era perfino candidato al titolo di “Album dell'anno” ai Grammy.

Nonostante per la sua carriera fosse un periodo meraviglioso, qualche volta Taylor mi aveva dato l'impressione di essere, se possibile, ancora più sconfortata di quanto l'avevo conosciuta.

Avevo seguito dai giornali la vicenda della sua breve relazione con Harry Styles degli One Direction, ma non avevo avuto il coraggio di chiederle nulla per telefono, dal momento che parlavamo quasi solo di lavoro e mi sarebbe parso scortese. Tuttavia, una volta Taylor mi aveva confidato, attraverso l'apparecchio, la sua frustrazione di quel periodo. Si era limitata a dire: “I primi tempi del successo, come quelli che stai vivendo tu, forse sono i migliori. A volte io ho l'impressione di vivere braccata, come se qualcuno avesse una gabbia in cui mettermi.” Non avevo potuto dirle altro, se non che la capivo. Dopo la storia con Harry, i paparazzi le giravano intorno come avvoltoi, senza parlare delle numerose minacce che aveva ricevuto dalle fan di lui, ed io potevo a stento immaginare quale peso potesse avere tutto questo per una persona profondamente sensibile come lei.

Quel giorno di Settembre, però, dopo mesi di conversazione telefonica, finalmente ci incontrammo di nuovo, a Nashville. A sorpresa, infatti, Taylor mi aveva invitato alla sua tappa del Red Tour, ed io avevo accettato.

Non appena aprii la porta del suo camerino, mi trovai stretto nel suo abbraccio. “Mi sei mancato!” mi disse, staccandosi da me. Il mio cuore mancò un battito e non riuscii a dire niente di meglio se non una risposta banale su quanto anche lei fosse mancata a me.

Parlammo a lungo prima di andare in scena. Taylor mi raccontò del tour e di come l'aveva organizzato, e mi sorpresi, per l'ennesima volta, della sua bravura e del suo talento.

Il Red Tour era diverso da come me l'aspettavo. Non c'erano più elementi fiabeschi e look country, ed il momento migliore dell'esibizione era quello acustico, nel corso del quale Taylor riproponeva vecchi successi, uniti a nuove canzoni. Un paio di pantaloncini rossi ed una maglietta a righe avevano preso il posto degli abiti lunghi fino ai piedi, e non c'erano più foreste incantate in sottofondo, ma solo un palcoscenico incredibilmente rosso, come la passione che l'aveva sempre contraddistinta. Il messaggio che Taylor voleva dare stavolta era: sono qui, non sono una principessa, sono una ragazza, e sto ripartendo da capo.

Quella sera, guardandola esibirsi, ripensai molto a quello che Taylor mi aveva detto riguardo all'amore ed al sentirsi in gabbia, e capii che, anche se in tono minore, anche se con mille difficoltà, aveva iniziato a ribellarsi. Le persone l'avevano calpestata e si erano fatte beffe di lei, ma lei stava prendendo in mano i cocci della vecchia se stessa e stava costruendo qualcosa di nuovo, seguendo soltanto le sue regole.

 

Febbraio 2014

 

Quell'inverno mi trovavo a New York per degli incontri di lavoro. Il mio secondo disco era quasi ultimato, e ne ero piuttosto orgoglioso. Un solo pensiero non mi lasciava mai in pace: non ero convinto di quale canzone avrei presentato come singolo promozionale in giugno. Di tutti i brani che avevo scritto, non sapevo davvero quale avrei potuto scegliere.

Un pomeriggio, il produttore che avrei dovuto incontrare rimandò il nostro appuntamento al giorno successivo. Quando ricevetti la sua telefonata, ero già uscito e mi trovavo a metà strada. Pensai di trascorrere un pomeriggio girovagando per New York, ma all'improvviso ricordai che da non molto Taylor si era trasferita lì e mi aveva comunicato l'indirizzo. Erano mesi che non la sentivo. Il lavoro mi aveva completamente assorbito e quell'inverno avevo davvero trascurato gli amici. Non ero sicuro che sarebbe stata in casa, ma era il caso di fare un tentativo.

Presi la metro ed arrivai al Village. Salii le scale appoggiandomi al corrimano in ferro battuto e, dopo aver suonato il campanello, rimasi in attesa di fronte al grande portone in legno rossastro.

Non appena quest'ultimo si aprì, pensai di avere le allucinazioni. Già, perché l'affascinante donna che mi aveva aperto non poteva in alcun modo essere Taylor.

Aveva tagliato i capelli. Ricordo bene che, una sera, durante lo Speak Now Tour, mentre litigava scherzosamente con il suo parrucchiere, che aveva minacciato di tagliarle i capelli nel sonno, si era ritratta orripilata, dicendo: “I miei capelli avranno sempre questa lunghezza!” D'altra parte, però, quando l'avevo conosciuta, era assolutamente spaventata da New York, e diceva che non avrebbe mai potuto vivere lì.

Dunque... che cosa faceva nel bel mezzo del Village, in un lussuoso appartamento di proprietà, con un taglio sbarazzino sopra le spalle?

“Hunter! Hai intenzione di entrare?” La sua voce mi riscosse, e mi resi conto che la stavo fissando. Le sorrisi e la seguii attraverso le numerose stanze del suo appartamento. Il luogo era esattamente come me l'ero immaginato: in salotto c'erano acquerelli dipinti da lei, la cucina traboccava di stampi ed accessori per fare dolci, l'arredamento era vintage e le sue gatte dormivano placidamente nelle loro cucce. Sembrava sempre la solita Taylor, ma non ero sicuro che lo fosse.

“Ti va un té?” mi chiese. “Certo”, risposi, accettando con un sorriso.

Pochi minuti dopo, seduti al tavolo della sua cucina, ci ritrovammo ad affrontare l'ultimo argomento di cui avrei mai voluto parlare: la sua sconfitta ai Grammy. Contrariamente alle speranze di molti, Red non aveva vinto il premio come album dell'anno. L'avevo trovata un'ingiustizia colossale ed io stesso ci ero rimasto male, perciò non avrei mai tirato fuori quell'argomento con Taylor. Tuttavia, non fu necessario, perché fu lei stessa a parlarmene.

“Non nutrivo grandi speranze di vincere, all'inizio” esordì scuotendo la testa “ma, più il tempo passava, più mi convincevo che avrei potuto farcela. Avete visto tutti la mia delusione in diretta” aggiunse ridendo “ma, Hunter, mi credi se ti dico che, dopotutto, non si è trattato di una sconfitta? Quella notte non sono riuscita a dormire, perché continuavo a ripensare alla serata, e, all'improvviso, mi sono resa conto che io avevo già vinto. La mia vera vittoria non sarebbe stata un ottavo Grammy. La mia vittoria è stata salire su quel palco e cantare All too well, la mia canzone più intima, quella di cui ero così gelosa, perché temevo che sarebbe stata giudicata male. È stata poter far vedere al mondo, finalmente, che questa sono io, e non provo vergogna. Ed è questo che voglio fare, d'ora in poi. Quella notte ho deciso che il mio quinto album si chiamerà 1989, come il mio anno di nascita. È ormai da tanto tempo che cerco di rimettere al centro me stessa.

“Un nuovo album?” le risposi meravigliato. “E quando?”

“Prestissimo! Il primo singolo uscirà quest'estate! Sarà qualcosa di completamente diverso dal mio solito, ma sono cambiate così tante cose nella mia vita che era inevitabile!”

Non potevo certo darle torto. Avevo salutato una ragazza ligia al dovere, insicura, con il cuore spezzato, e mi trovavo davanti una giovane donna che aveva imparato a divertirsi, a svoltare, a cambiare idea, ad essere più sicura e femminile e, cosa più importante, a non far entrare nella sua vita tutto ciò che avrebbe potuto influenzarla negativamente.

Quel pomeriggio io e Taylor ci salutammo molto tardi, dopo una lunga chiacchierata, promettendo di risentirci presto.

Mentre aspettavo il convoglio della metropolitana, tuttavia, sentii che i miei occhi diventavano lucidi. Arrivato alla porta del mio hotel, stavo ormai piangendo. Proprio in quel momento mi resi conto di aver sempre sottovalutato i miei sentimenti per lei: l'avevo amata fin dall'inizio ed avevo mascherato questo mio sentimento dietro al nostro rapporto di amicizia. Lo stavo capendo solo in quel momento, perché le mie non erano lacrime di tristezza, ma di sollievo. Finalmente Taylor stava imparando a percorrere la sua strada senza paure e senza sensi di colpa, e, indipendentemente da quello che sarebbe stato il nostro futuro, avrebbe potuto scrivere da sola la sua storia, così come avrei fatto io.

E fu mentre formulavo quel pensiero che decisi che cosa avrei dovuto cantare a giugno come singolo promozionale.

 

Tutti pensano di conoscerci, pensano di averci capito,

sprecano le loro parole solo provando a dirci

quanto è tipico e prevedibile il giovane amore […]

questo foglio bianco di carta ha aspettato per sempre,

quindi, tesoro, dimmi solo da dove vuoi iniziare […]

creiamo la storia delle nostre vite, qualunque cosa vogliamo fare,

se ci sono regole su come questo funzioni,

penso che sia il momento che le infrangiamo […]

perché io e te possiamo innamorarci quanto vogliamo,

creare una storia per conto nostro e sbaragliare la mente di Shakespeare,

è nostra da scrivere, è il nostro amore e la nostra vita,

e, giusto o sbagliato, scriveremo la nostra trama.

(Storyline, Hunter Hayes)

 

Quando misi via carta, penna e chitarra, era quasi l'alba. Una pallida luce rischiarava i grattacieli di New York. Mi avvicinai alla finestra, scostai le tende e sorrisi nell'osservare il risveglio della metropoli. Sembrava un promettente nuovo inizio.

Per me e per la straordinaria donna che sarebbe sempre stata la mia musa ispiratrice.

NOTA AUTORE: grazie a quanti hanno letto la storia. Taylor è la mia cantante preferita e questa fan-fiction mi sta molto a cuore. Ovviamente aspetto i vostri pareri. Spero che la storia vi sia piaciuta. A presto :-)

  
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