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Autore: sugarbear    26/05/2015    5 recensioni
Non c'è nessuno cui lasciare il piccolo Sam Vimes, quindi la scelta ricade sul suo padrino.
Vimes dovette così ritirarsi in buon ordine, e accettare il fatto che un geniale, spietato e crudele dittatore quasi-benevolo avrebbe contribuito alla crescita di suo figlio.
Oh santo cielo.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Il problema, con te, è che devi imparare ad ascoltare» - commentò Lord Vetinari, senza alzare lo sguardo dai fogli che stava esaminando. L’interpellato lo fissò con gli occhi grandi e sgranati.
«Voglio dire» proseguì il Patrizio «se tu facessi quello che ti si dice, sarebbe molto meglio, per te» sottolineò delicatamente le ultime due parole. Il suo tono avrebbe evocato a chiunque immagini di celle gelide da cui, anche se urli, nessuno ti può sentire.
Vetinari voltò l’ennesimo foglio. «Non sei d’accordo?» terminò con voce dolce. A quel punto qualsiasi interlocutore si sarebbe prostrato ai suoi piedi chiedendo perdono per la propria stessa esistenza, ma quello in particolare lo ignorò con invariata e suicida caparbietà, continuando imperterrito la sua scalata al mobiletto delle porcellane.
Vetinari alzò finalmente la testa e gli lanciò un’occhiata al vetriolo. «Quello che intendo dire, Sam Vimes, è che devi scendere immediatamente da lì. Ammetto che quel vasellame non sia al culmine dell’estetica, e nemmeno a metà strada, ma, purtroppo, è un regalo di mia zia.»
Il bimbo di un anno e mezzo fece delle bolle di saliva e gorgogliò allegramente, prima di afferrare con la manina il pomolo di un cassetto. Vetinari strinse le labbra. Non si ricordava nemmeno se era esistita una volta in cui qualcuno non aveva obbedito prontamente e con solerzia a un suo ordine, quindi quell’indisciplina lo stava indisponendo più di quanto lui stesso avesse previsto. Anche se il reo era un moccioso che portava ancora il pannolino, progenie del più grande testardo che lui avesse mai conosciuto.
Drumknott entrò in quel momento con un plico in mano, e per Vetinari bastò un’occhiata rivoltagli senza cambiare espressione perché deviasse leggermente dal suo percorso, andasse alla credenza e staccasse il bambino prendendoselo in braccio, ignorando i suoi gridolini di protesta.
Raggiunse la scrivania del Patrizio con i fogli sotto un braccio e il bimbo nell’altro, rabbrividendo leggermente sotto lo sguardo fisso di Vetinari. Era perfettamente consapevole di aver sfiorato la morte quel pomeriggio, quando si era presentato nel suo ufficio col bambino in braccio e l’aria di uno che vorrebbe disperatamente non essere lì.
Drumknott era bravissimo a scaricare i visitatori indesiderati, davvero. Era uno dei motivi per cui Vetinari lo teneva come segretario. Ma quando il comandante Vimes lo aveva assalito come un ariete da sfondamento, tendendogli minacciosamente il figlio e blaterando qualcosa sui doveri di un padrino, non era riuscito a reagire. Di solito la gente che chiedeva udienza era già intimorita dalla fama e dall’aura Vetinaresca che aleggiava fin dall’anticamera dell’ufficio. Erano tutti rispettosi e compìti e parlavano sottovoce come se si trovassero a un funerale, il proprio. Ma il comandante Vimes – col capitano Carota – era l’unico che facesse eccezione. Parlava a Vetinari a testa alta, contraddicendolo – sfidandolo, quasi - , e ciò lasciava Drumknott esterrefatto ogni volta, soprattutto perché usciva sempre dall’ufficio vivo e tutto intero.
Così si era ritrovato un bimbo sulla scrivania, la schiena del comandante Vimes che si allontanava e la terrificante prospettiva di dover comunicare al Patrizio che lo aspettava un pomeriggio di baby sitting.


Nonostante la nomina di “Padrino” potesse sembrare particolarmente azzeccata per un tipo come Lord Vetinari, lui non aveva voluto veramente ricoprire quella carica nei confronti del giovane Sammy Vimes. Ci si era più o meno trovato in mezzo.
Al battesimo, celebrato nella cappella dell’Università, erano presenti, oltre ai componenti della Guardia, i maghi (che sono come il prezzemolo: in mezzo sempre e comunque) e diversi alti personaggi che si dividevano tra i parenti della madre e gli amici impiccioni dei parenti. Il comandante Vimes era in piedi, con lady Sybil accanto che teneva in braccio il demon- il vivace bambino di un anno appena compiuto.
Il bimbo era particolarmente sovreccitato: giocava con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, compresi gli spilloni di sua madre e il draghetto da compagnia che lady Sybil portava sulla spalla. Non aveva avuto cuore a lasciarlo a casa, perché “si sarebbe sentito solo”.
Vimes si avvicinò alla consorte. «Avrei preferito qualcosa di più intimo» brontolò.
«Be’, caro, dopotutto si tratta del battesimo dell’ultimo erede dei Ramkin» replicò lady Sybil, pronunciando quella frase altezzosa come se fosse una cosa del tutto naturale. Era il motivo per cui a Vimes piaceva, nonostante la classe sociale: dava così per scontata la propria nobiltà che non lo faceva pesare per niente… Ma chissà come sarebbe cresciuto suo figlio. Ramkin o non Ramkin, decise, il bimbo sarebbe stato tirato su con gli stessi sani valori da onesto cittadino di Ankh-Morpork che gli aveva inculcato suo padre. Non sarebbe mai diventato uno di quei nobilotti spocchiosi che credevano di poter fare tutto ciò che volevano, o peggio, uno di quegli spietati aristocratici! Gli rivolse uno sguardo affettuoso che il figlio ricambiò da sotto la tenda formata dalla parrucca di sua madre. A quanto pareva, la piccola peste era riuscito a sfilare tutti gli spilloni, con cui ora stava punzecchiando il draghetto.
Il comandante Vimes sospirò e si fece avanti per districare il bambino dal groviglio di scaglie e capelli finti, ma un cambiamento d’atmosfera lo fece voltare verso la sala. Non ebbe neanche bisogno di chiedersi il motivo di quell’improvvisa assenza di rumore: solo una persona faceva quell’effetto anche ai maghi. A proposito di spietati aristocratici...Gocce di sudore freddo gli scesero lungo la schiena. Eppure Vimes, memore del giorno delle proprie nozze, era sicuro, era certo di aver cestinato l’invito rivolto a lui. L’aveva bruciato, disintegrato e, per sicurezza, aveva dato da mangiare i frammenti al drago. Rivolse un’occhiata accusatoria alla moglie, che ostentava un’aria un po’ troppo innocente sotto i resti rovinati della propria parrucca. «Che c’è?» sussurrò lei. «Sarebbe stato scortese non invitarlo!»
Nobili!
Lord Vetinari fece il suo ingresso, vestito con un abito a giacca e cravatta, tutto rigorosamente nero. Gli strepiti del bambino erano l’unico rumore che si sentiva. Il Patrizio avanzò tra due ali di folla ammutolita e si accomodò con grazia in prima fila; il precedente occupante era evaporato appena l’aveva visto avvicinarsi.
Il comandante Vimes si avvicinò di due rigidi passi e gli rivolse un impacciato «Grazie per essere venuto», cui il Patrizio rispose con un impercettibile cenno del capo.
Il Gran Sacerdote si avvicinò schiarendosi la gola, improvvisamente nervoso.
«Bene, ehm, se siamo pronti, possiamo iniziare» balbettò. Tossicchiò ed esaminò confuso la coppia con il battezzando.
«Ma dov’è il padrino?» chiese.
Vimes sbatté le palpebre, confuso, e lanciò una rapida occhiata alla propria sinistra. «È appena arrivato» replicò.
Il Gran Sacerdote scoppiò in un risolino acuto e nervoso, e si tappò la bocca con entrambe le mani. Vetinari sollevò un sopracciglio e incurvò di un millimetro l’angolo della bocca.
«Ah no, ehm, io non intendevo Sua Eccellenza» balbettò il sacerdote lanciando occhiate nervose alle sedie in prima fila «Ma il padrino, sa, quella figura tutoriale per il battezzando che all’occorrenza fa le veci del padre e contribuisce all’educazione del bimbo…»
«Ah» fece Vimes, con tutta la sicurezza che riuscì a simulare. «Quel padrino. Certo». Si guardò attorno in cerca di ispirazione e i suoi occhi si posarono sul sergente Fred Colon, seduto poco lontano.
«Fred» iniziò «Noi due siamo amici e colleghi da molto tempo…»
Il sergente Colon si alzò con aria commossa. «Comandante, io…»
Un acuto strillo infantile distrasse entrambi e indusse Vimes a girarsi di scatto. Il piccolo Sammy era riuscito, a forza di punzecchiature, a convincere il draghetto a portarlo a cavalluccio, e festeggiava l’evento con ululati di gioia, sommati a quelli dell’animale.
«Sammy!» esclamò Vimes con tono severo, e fece per afferrare il bambino, ma quello, con una padronanza invidiabile per un piccolo della sua età, fece scartare il draghetto di lato e si avventò dritto sul Gran Sacerdote, che si tuffò sotto l’altare con uno squittìo terrorizzato.
«Sammy» ringhiò Vimes. Il bambino scoppiò a ridere. «Da-da!» esclamò fiero, come a dire “Guarda papà! Visto che so fare?”. Poi prese velocità e il drago si tuffò sulle teste degli astanti, mandando fiammate nervose che incenerirono i cappelli e le acconciature di varie nobildonne. Molte strillarono.
«Però»commentò zia Elvira, spegnendo con calma le fiamme dalle decorazioni in piuma del suo copricapo, «È tutto sua madre».
Lady Sybil non aveva ancora detto niente, e contemplava orgogliosa il suo primogenito seminare fuoco e terrore sugli astanti. Si avvicinò al marito. «Guarda» disse compiaciuta «Non è nemmeno spaventato dalle fiamme . Diventerà un grande allevatore».
«Sulla sua futura occupazione potremo discutere in seguito» brontolò Vimes. «Sybil, fa’ qualcosa
Fred Colon, che alla prima gittata infuocata si era riparato dietro la panca, emerse con l’elmo da divisa di gala ammaccato e si avvicinò cautamente a Vimes.
«Ehm, comandante» borbottò «Quello che cercavo di dirvi poc’anzi è che… appunto siete il mio superiore, sarebbe un onore troppo grande per me avere vostro figlio come figlioccio… Avete bisogno di qualcuno di più nobile, capace, ehm… ignifugo…».
«Fred» iniziò Vimes, ma quello se l’era già filata. «Oh, diamine!» sbottò. «Fantastico! E adesso chi scegliamo come padrino?»
Tutti i presenti di sesso maschile assunsero un’aria molto noncurante e al tempo stesso terribilmente indaffarata.
«Oh, sarebbe un piacere, ma vede, l’attività…»
«Sono un mago…»
«L’Università…»
Il Bibliotecario, a quel punto, scosse la testa con aria di commiserazione e si fece avanti con un “Oook” che proclamava tutta la serietà delle sue intenzioni. Vimes guardò l’unico candidato e temette di dover seriamente fare i conti con la possibilità che il suo primogenito avesse un orango come padrino. Guardò verso sua moglie in cerca d’aiuto, ma lei, dopo le ustioni di secondo grado di comare Ermenegilda, si era rassegnata a porre fine alla prima esperienza di volo del suo figlioletto, che però non sembrava dello stesso parere. Dopo aver incendiato la tunica da cerimonia del Decano, il draghetto e il suo cavaliere puntarono verso il Patrizio. Brividi di terrore serpeggiarono tra la folla, i cui pensieri si divisero in “Oh mio Dio, non può veramente fare del male a un povero bimbo, o sì?” e “Vimes farà meglio a concepire un altro primogenito”.
Lord Vetinari, che fino ad allora si era limitato ad osservare la scena con un pizzico di divertimento, sollevò i gelidi occhi azzurri e li puntò in quelli scuri del bimbo, con un implicito «Io non lo farei, se fossi in te». La bestiola, che non era né suicida né stupida, fece una brusca frenata e rimase sospesa a mezz’aria. Vetinari e il bambino rimasero a fissarsi nel silenzio assoluto che era calato nella chiesa, poi Sammy, palesando le tendenze involontariamente autolesioniste dei bambini piccoli, di scatto si lasciò cadere dal dorso del drago.
Risuonò un urlo animale e Vimes si slanciò a salvare suo figlio, ma il Patrizio fu più rapido: scattò e afferrò il bimbo prima che toccasse terra, stringendoselo al petto. Vimes slittò sul pavimento e quasi finì gambe all’aria. Lord Vetinari teneva il piccolo in braccio guardandolo con un ‘espressione lievemente perplessa assolutamente inedita per lui, come se non sapesse bene che farci. Sammy ricambiò lo sguardo coi suoi grandi occhi castano scuro, poi scoppiò in una risatina allegra e salivosa e cercò di cingergli il collo con le braccia. Ora la chiesa era talmente silenziosa che se una formica fosse passata di lì, si sarebbe potuto capire se zoppicava o meno. Vimes si raddrizzò dalla posizione indecorosa con un colpo di tosse e avanzò verso Vetinari e suo figlio, affiancato dalla moglie.
«Patrizio, grazie…» iniziò, tendendo le mani per farsi consegnare il bambino.
«Per aver accettato di fare da padrino a Sam» concluse rapida Lady Sybil. I due uomini le rivolsero un’identica occhiata esterrefatta e orripilata insieme.
«Cosa?» fecero all’unisono. Vimes strinse a sé il figlio come una giovane madre davanti a un folletto maligno e dal nome impronunciabile.
Lady Sybil annuì solennemente. «Ma certo. Caro»disse, rivolgendosi al marito, «non vedi che è perfetto per tenere a bada questo birbantello?» I presenti sostituirono mentalmente la parola “birbantello” con “demonio”, e nel profondo non poterono che trovarsi d’accordo.
«Ma… veramente…» balbettò Vimes. Si sentiva come quella volta in cui si era ritrovato faccia a faccia con un drago gigantesco: in trappola. Rischiava con una frase di offendere in un colpo solo sia sua moglie che Lord Vetinari, e non sapeva dire quale delle due eventualità sarebbe stata più pericolosa.
«Lady Sybil» intervenne il Patrizio, con un’inappuntabile cortesia che a molti aveva fatto presagire cose non gradevoli «Sono lusingato dalla proposta, ma mi vedo costretto a…». Non seppe perché terminò la frase a quel modo, davvero. Forse perché aveva notato l’espressione speranzosa dell’orango che seguiva attentamente ogni parola della conversazione. Forse perché Samuel Vimes aveva l’aria di star pensando che il suddetto orango non fosse poi un’opzione così malvagia. Forse perché il bimbo tra le braccia di Vimes non aveva smesso di guardarlo, riuscendo a sorridere e a fare bolle di saliva contemporaneamente.
«…Accettare» finì, mascherando il suo stesso stupore con l’espressione di chi è consapevole di stare concedendo un grande onore.
Vimes trasecolò. «Cosa?» emise in un grido strozzato, stringendo istintivamente il figlio ancora più forte.
«Accetto» ripeté Vetinari, con una sfumatura minacciosa nella voce. Le persone lì vicino si allontanarono cautamente.
Vimes avvertì il gelo propagarsi nelle membra, ma proseguì, sprezzante del pericolo. «Sybil, io non posso accettare…» esclamò impetuosamente, ma venne tacitato da un’occhiataccia di entrambi. Dovette così ritirarsi in buon ordine, e accettare il fatto che un geniale, spietato e crudele dittatore quasi-benevolo avrebbe contribuito alla crescita di suo figlio.
Oh santo cielo.


Drumknott posò i documenti sulla scrivania del Patrizio e prese il piccolo Sammy con entrambe le mani. Il bambino rimase fermo per circa due secondi e trentaquattro decimi, poi iniziò a giocare ad Acchiappa la talpa col naso del segretario. L’impegno che ci metteva era encomiabile, molto vimesiano, considerò Vetinari, come pure il fastidio che procurava Tutto suo padre, davvero. Sammy si agitava come un indemoniato, lanciando gridolini festosi, e Drumknott sembrava seriamente in difficoltà. Il giovane schivò una manata che gli avrebbe portato via un occhio e riuscì ad appoggiare il bimbo sulla scrivania con un grosso sospiro. Vetinari alzò un sopracciglio, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Sammy iniziò a gattonare verso i fogli che stava esaminando. Vetinari li spostò dalla sua traiettoria e gli piantò addosso il suo sguardo di ghiaccio. «No» disse semplicemente. Il bimbo si fermò all’istante e ricambiò serenamente il suo sguardo. Aveva gli occhi grandi e scuri come quelli del comandante Vimes, e Vetinari provò una vaga ed inedita sensazione di… disagio? Non era abituato a qualcuno che sapesse reggere il suo sguardo così a lungo. Però non era infastidito. Con un sospiro tornò al suo lavoro.
«Drumknott».
«Signore?»
«Non mi sembrava di averti fatto intendere che la mia scrivania fosse una valida alternativa alla credenza».
Drumknott deglutì. «Mi dispiace, signore». Fece un passo avanti, ma il Patrizio lo bloccò.
«Tuttavia, ormai che è qui, puoi lasciarcelo».
«Va bene, signore».
«Ma la prossima volta vedi di non farti più fregare dal comandante Vimes».
A Drumknott corse un brivido lungo la schiena.
«Farò del mio meglio, signore. Solo che è difficile. Il comandante Vimes quando si mette in testa qualcosa è come…» il ragazzo esitò.
«Come un cinghiale in carica?» Vetinari voltò un foglio. «Non posso darti torto» borbottò. Senza alzare gli occhi allungò un braccio a bloccare Sammy che stava gattonando pericolosamente vicino al bordo della scrivania. Lo prese in braccio e se lo mise in grembo sotto lo sguardo stupefatto del segretario. Il bimbo rise e cercò di raggomitolarsi contro il suo petto, ma Vetinari lo trattenne con delicatezza, in modo da guardarlo dritto negli occhi.
«Ascolta bene, Sam Vimes junior. Tuo padre è un testone, ma forse con te si può raggiungere una qualche intesa…»


Quella stessa sera, casa Vimes-Ramkin. Ora di cena.
«Sammy, mangia la verdura!»
«No!»
«Sammy, guarda che mi sto arrabbiando…»
«No!»
«Maledizione, ragazzino, smettila di fare i capricci!»
«Caro! Non usare il turpiloquio col bambino!»
«Scusa, cara. Ma è una cosa impossibile! »
«Sammy, caro, perché non provi a mangiarne poca poca?»
«No!»
«Sammy! Ora basta! Non puoi dire sempre di no!»
Il bambino lo guardò inclinando appena la testina di lato, poi unì la punta delle dita in una posa orrendamente familiare e disse, un po’ stentatamente ma con chiarezza: «Forse potremmo addivenire a un accordo».
Vimes impietrì. Sarebbe stato meno orripilato se Sammy avesse detto che da grande voleva fare la ballerina. Si sentì quasi svenire. Da molto lontano gli parve di sentire la voce di sua moglie.
«Oh, caro! Hai sentito? La sua prima frase completa!»
Evidentemente, Lady Vimes non aveva recepito la gravità della situazione.
Sammy rise.


A qualche isolato di distanza, uno spietato, crudele e geniale dittatore quasi-benevolo (e padrino) si concesse un leggero piegamento di labbra, che poteva quasi essere scambiato per un sorriso.
  
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