Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    28/05/2015    3 recensioni
Clarice, detta Clara o Claretta, è una ragazza di vent'anni quando sembra riuscire a coronare il suo sogno: conoscere l'uomo di cui si è perdutamente innamorata, ovvero l'uomo più potente del suo tempo, Benito Mussolini.
Una donna diventata famosa come l'amante del Duce e un amore che ha sfidato la storia e la crudezza di una guerra, iniziato in un giorno di aprile e tragicamente finito in un altro giorno d'aprile di molti anni dopo.
((Questa storia è basata su fatti storici, benché in parte io abbia dovuto romanzarla, per renderla più leggibile ed accattivante. Non ha scopi apologetici o di condanna, si tratta solo del racconto di una storia d'amore.))
Genere: Drammatico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 “Non dico che sia sbagliato, dico solo che...” prese a dire Riccardo, con la sua solita insofferenza, mentre imboccavano la via del Mare.

“Appunto, non c'è nulla di sbagliato se mia sorella scrive al Duce!” lo zittì Myriam, accarezzando protettiva il braccio della sorella.

Clarice, detta in famiglia Clara o Claretta, ringraziò mutamente la sorella con uno sguardo. Anche se Myriam aveva appena nove anni, a volte aveva la stessa irruenza di una donna matura.

Nemmeno Clarice, che di anni ne aveva già venti, sarebbe riuscita a far tacere Riccardo così in fretta.

“Suvvia ragazze!” le richiamò la madre, più per riguardo all'autista che non perchè fosse davvero contraria alle loro rimostranze verso il suo futuro genero.

Riccardo Federici, promesso sposo di Clarice, incrociò le braccia, conscio che non avrebbe mai vinto contro quel gineceo e si mise a guardare fuori dal finestrino.

Stavano andando al Lido di Ostia, approfittando della bella gionata. Era solo il 24 prile eppure c'era già un sapore estivo nell'aria. Malgrado il libeccio, che soffiava continuamente e il sole, che si vedeva solo a sprazzi, il profumo era proprio quello delle giornate di luglio.

Clarice e Myriam avevano insistito tanto, finchè avevano convinto la madre e anche Riccardo ad andare con loro. Una volta là si sarebbero divisi, la bambina sarebbe rimasta con la madre e i due futuri sposi avrebbero potuto starsene un poco tranquilli in riva al mare.

Così erano saliti tutti a bordo della Lancia Astura vaticana e avevano chiesto all'autista di portarli il prima possibile al lido.

Eppure la mente di Clarice era completamente immersa in pensieri diversi dal mare o dal fidanzato. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era quell'uomo straordinario che andava sotto il nome di Benito Mussolini, ma che tutti chiamavano Duce.

Ogni volta che lo vedeva, ogni volta che sentiva la sua voce, era come se qualcosa dentro di lei le dicesse chiaramente che erano destinati a passare insieme il resto della loro vita.

Da un lato sapeva che era una cosa impossibile, ma dall'altro, la sua convinzione era tale, che non riusciva a smettere di immaginarsi la sua vita accanto a quell'uomo.

Quando provava a fare un confronto, anche vago, con il suo fidanzato, le pareva di essere in carcere. Riccardo Federici era un buon partito, era gentile, quando voleva era simpatico, più vecchio di lei, sì, e pure soldato, ma in confronto a Mussolini, era solo un ragazzino. E Clarice voleva un uomo.

Aveva perso il conto di quante lettere aveva spedito al Duce, eppure continuava a scriverne e spedirne. Gli chiedeva di potersi incontrare, altre volte lo lodava e basta per questa o quella cosa, ma sempre gli ribadiva la sua ammirazione più profonda, nella speranza di smuoverlo, prima o poi, a fare un passo verso di lei.

Sull'automobile c'era un silenzio tombale, rotto solo dal rombo del motore, spinto quasi al massimo dal diligente autista.

Clarice si guardava le mani, continuando ad arrovellarsi sulla sua situazione di innamorata infelice, Riccardo si ostinava a osservare il panorama che conosceva a memoria, Myriam sbuffava ogni tre secondi, contrariata dal rimprovero della madre, madre che guardava placidamente l'orizzonte, persa in chissà quali ricordi.

Improvvisamente un rombo ben più potente e arrogante di quello della loro Lancia Astura arrivò loro alle spalle.

Clarice guardò subito in direzione del rumore assordante e vide distintamente l'Alfa Gran Turismo Zagato rossa che li stava sorpassando.

Il suo cuore perse un colpo dall'eccitazione. Quella fiamma di motore e velocità era guidata da un uomo il quale profilo Clarice conosceva fin troppo bene. Sì, ci aveva perso le notti a immaginarselo, quel profilo.

“Inseguite quell'automobile!” esclamò subito Clarice, scuotendo la spalla dell'autista. Questi si voltò un momento a chiedere il consendo anche della signora Petacci, che, non capendo bene quel che stava accadendo, ma fidandosi come sempre della figlia, gli fece segno di eseguire l'ordine.

Così la Lancia Astura si buttò all'inseguimento dell'Alfa, correndo sotto il cielo a chiazze, sfidando il vento in velocità, mentre il cuore di Clarice sembrava volerle esplodere nel petto.

La giovane era talmente protesa che riuscì a vedere Mussolini nel momento in cui si rendeva conto di essere seguito. Era certa che un uomo come lui avrebbe voluto sapere il motivo di un simile gesto da parte di un veicolo vaticano.

Infatti, dopo qualche metro, l'uomo sterzò e frenò. Così fece anche l'autista delle Petacci, mentre Riccardo si massaggiava la fronte, un po' contrariato, chiedendosi cosa mai stesse accadendo.

Mussolini scese dall'automobile con un movimento fluido e repentino. Nella Lancia nessuno sapeva cosa fare, tranne Clarice, che lasciò subito il suo posto in macchina, per andare incontro all'uomo che tanto aveva voluto conoscere di persona.

Mentre si avvicinava a quell'uomo che aveva in sé tutta la minaccia e la tentazione di una grande passione, il vento si alzò con tutta la sua forza.

I capelli di Clarice sembravano danzare come fiammelle, così come il suo vestito. Mussolini, invece, stava statuario di fronte a lei, con un'espressione dura e inquisitoria, che la mise, inizialmente in forte soggezione.

Era molto più giovane di lui, si sentiva quasi una bambina al confronto, eppure una sorta di forza silenziosa e invisibile la portò a farsi più vicina, sempre più vicina, fino ad assere a portata d'orecchio.

“Dovete scusarci...” disse, indicando la Lancia vaticana: “Vi avevamo scambiato per qualcun altro.”

Mussolini non parlò subito. Studiò ancora per qualche secondo il volto della ragazza e poi chiese: “E quelli che stanno con voi non scendono?” chiese, brusco.

Claretta sorrise: “Loro...” si sentiva tremare, eppure non aveva freddo, anzi: “Ecco, ho preferito scendere io, perchè volevo parlarvi da sola.”

Mussolini strinse gli occhi: “Chi siete?”

“Mi chiamo Claretta, sono la figlia del dottor Peta---” Mussolini agitò una mano, per farla stare zitta.

Clarice si zittì, temendo di aver sbagliato qualcosa, ma quasi si sciolse, quando lui disse: “Claretta mi basta.”

“Vi ho scritto molte lettere.” riprese lei, vittima di un impulso irresistibile a cogliere l'attimo: “Non mi avete mai risposto, ma immagino che siate sempre molto impegnato.”

Mussolini sporse un po' in fuori il mento, poi annuì: “Di fatti è così. Gli affari di stato mi impediscono di onorare come vorrei la corrispondenza.”

“Mi piacerebbe potervi parlare, noi due da soli.” si lasciò sfuggire Clarice, quasi pentendosene subito.

“Mi pare che lo stiamo già facendo.” ribattè Mussolini, un po' irrigidito, mentre i suoi occhi continuavano a correre alla Lancia Astura e ai suoi occupanti: “Però vedo che vi stanno attendendo. Potremmo vederci in un luogo e in un momento più tranquillo.”

Clarice non voleva credere alle sue orecchie. Annuì con forza e sussurrò: “Sarebbe un onore immenso”

Mussolini si lasciò scappare un fugace sorriso, proprio mentre su di loro si apriva un'occhiata di sole: “Spero non solo un onore, ma anche un piacere...” disse e per un momento a Clarice parve imbarazzato, anche se di certo non poteva essere altro che una sua impressione.

Quello che le disse dopo le si scolpì nella mente. Erano una data, un orario e un luogo. Tutto quello che serviva per accordarsi su un incontro.

Si salutarono come si doveva fare tra fascisti e poi Mussolini tornò alla sua Alfa, mandandole un ultimo saluto più casalingo, a mano aperta.

Clarice tornò alla Lancia, fece segno all'autista di ripartire e non riuscì più a dire nulla, malgrado le insistenti domande della sorellina Myriam, fino a quando non arrivarono alla spiaggia del Lido di Ostia.

 

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas