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Autore: Mikirise    30/05/2015    4 recensioni
L'ordine dovrebbe essere OTTO, otto, otto, cinque, tre, quattro, due, sei, uno, sette, otto, otto, Calypso, Calypso.
E avrebbe potuto anche dire solo Calypso, tutto si sarebbe sintetizzato così.
Ma se Leo aveva avuto bisogno di fare tutti quei giri di pensieri per capirlo, allora li devi fare anche tu.
{Storia partecipante al Star Contest di katniss_jackson indetto sul forum di EFP}
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nick su EFP: M I K I

Nick sul forum: MichiGR

Titolo: L'ordine -che non dovrebbe essere quello della pizza

Fandom: Percy Jackson, Eroi dell'Olimpo

Citazione scelta: "I miei pensieri sono come stelle che non riesco a far convergere in costellazioni" cit.8

Rating: Verdissimo. Più verde di così si muore.

Avvertimenti: What If? Viaggi mentali senza senso, un Leo che guarda Grey's Anatomy, una Calypso shipper e Missing Moment

Coppia: Het {Caleo}

Nda: Nope. Niente, non mi viene in mente niente. A parte, forse, il fatto che ho abusato del discorso indiretto libero. E quindi, niente. Attenta(?) Non so esattamente perché questa volta Leo mi sia uscito così. Dev'essere perché, per la prima volta, mi sono decisa a entrare nei meandri della perversa mente Valdez.

I LOVE YOU LEO!

E vengono citati molto spesso libri e serie tv e film, così, quasi a caso. Quindi, ci si munisca di Colpa delle Stelle, Star Trek, Doctor Who, Grey's Anatomy, Supernatural e tanta pazienza, perché all'inizio nemmeno Leo riesce a stare dietro i suoi pensieri, spero riesca a farlo tu.
 
Se vuoi divertirti a seguire l'ordine di Leo, puoi farlo, chi dice di no? Solo, beh, non si devono leggere tre o quattro volte l'otto. La cosa migliore sarebbe leggere l'otto per ultimo, anche se per Leo è il passato, il presente e il futuro… 
 
Io avviso: l'inizio, senza fine, è un'aggrovigliato di stelle senza senso :)


Betareading: Nope




















 

L'ordine -che non dovrebbe essere quello della pizza





No, va bene. Ci riprova e magari questa volta va meglio.







Uno.

L'idea non è poi così stupida. Cioè è stupida ma è solo una battuta, quindi va bene.

Leo gira e gira la manovella attaccata alla macchinetta per fare i gelati e indica Jason.

Insomma. “Insomma sei il fratello scomparso di Hazel Grace.”

Il biondo alza gli occhi al cielo e tanti saluti. “Stavamo parlando della tua nuova macchina per fabbricare più velocemente le frecce per i figli di Apollo.” Sbuffa. Appoggia le mani sui fianchi e sposta il suo peso su una gamba.

Leo sbatte le palpebre e si guarda intorno. Quando è arrivato al Bunker Nove, quando ha preso in mano un cacciavite, quando ha dimenticato quello che stava facendo non lo sa. “E io stavo lavorando a quello, non a una macchina per il gelato” termina. Sorride imbarazzato. Sta peggiorando. “Come sono arrivato a parlare di Hazel Grace?”

Jason sorride, perché non può far nient'altro se non sorridere. Guarda verso destra e accarezza uno dei macchinari costruiti dall'amico.

Leo è di nuovo scomparso in uno dei suoi pensieri.








Due.

Il macchinario è pronto e lo deve consegnare. Voleva che lo facesse Nyssa, ma la sorellastra sta facendo qualcosa di assurdamente importante. Cos'era…? Er…?

Leo si gratta la testa.

Qualcosa era.

Ah, sì. Era quello.

“Non ti preoccupare. Hai tutto il tempo per parlare. La prima volta che è successo a me, volevo morire. Ma grazie al mio senso dell'umorismo… t'insegno delle battute divertenti?” Alza lo sguardo e davanti a lui non c'è Nyssa. “Oh.”

Will rotea gli occhi, perché è questo quello che fanno le persone davanti a Leo. “Nyssa se n'è andata ore fa” sbuffa. Continua a sbuffare. “Non sei venuto alla festa in tuo onore” e questo lo dice con una punta di preoccupazione.

Il figlio di Efesto lo guarda. Lo guarda e non ascolta. “Ah." Tutto quello che Will riesce a fargli uscire dalla bocca.

Il figlio di Apollo sospira, perché è veramente preoccupato -tutti sono preoccupati per Leo. “Dovresti andarci a parlare” inizia sommessamente, non aprendo neanche troppo la bocca.

Il moro alza la testa riccioluta, lo guarda per un po', poi sorride. “Jake avrà fatto gli onori di casa.”

Will inclina la testa e capisce che Leo, nella sua mente, ha già cambiato argomento.














Tre.


Leo sa quello che ha in testa e non capisce perché ci metta così tanto ad esprimerlo. Non capisce nemmeno perché ultimamente i suoi pensieri siano così confusi, come se mancasse loro un centro. Ed eppure lui, di centri, non ne aveva mica bisogno.

“Dovrei usare quella droga per i bambini iperattivi” mormora, grattandosi la testa.

Percy alza un sopracciglio e lo guarda.

A Leo Percy piace per lo stesso motivo per cui piace a Jason. Lui certe cose le capisce. O meglio, le intuisce, sa quando deve stare zitto e quando è il momento di una battuta. Solo che, forse, a volte è troppo simile a lui e quel sorriso che nasce sulle sue labbra sembra essere molto più di un sorriso, sembra che lo abbia compreso fino in fondo. Questo non è sempre bello.

Il maggiore ha uno zainetto in spalla, la mano sul fianco e la battuta pronta. “I mostri ne sarebbero felici, saresti più facile da uccidere.” Sorride. “Potresti diventare uno zombie.”

Leo lo guarda e chiede -perché lo deve chiedere, sente di aver sbagliato qualcosa: “Di cosa parlavamo prima?”

“I progetti per i draghi meccanici, quelli per proteggere il Campo.”

“Ah.” Tutto quello che riesce a dire, ancora una volta. “S-sono…”

Percy alza la mano, come a dire fermati, lo capisco. Poi alza le spalle. “Quando puoi, amico.”

Leo non lo stava già più ascoltando.
















Quattro.

Gli brontola la pancia e vorrebbe veramente mangiare qualcosa. Cosa vorrebbe mangiare? A dirla tutta, non lo sa. Cibo spazzatura, forse. Forse cibo da conigli. Forse quella che ha non è fame.

“Se dovessi scegliere, forse, la polenta dolce” dice. Gli occhi puntati verso la parte alta del Bunker Nove, un dito sulle labbra e la testa inclinata verso il basso. “Mamma la faceva e dentro ci metteva la cannella. Una delle mie colazioni preferite.”

Questa volta, a guardarlo, accanto all'entrata del Bunker è Hazel, con una lancia attaccata alle spalle e il suo gladio in mano. Non dice una parola. Aggrotta le sopracciglia, perché quell'idiota non la stava ascoltando, ma non dice davvero una parola.

Leo sbatte le palpebre, a guardarla. Era sicuro di avere davanti Miranda, mentre teneva la testa trai macchinari, con i ricci unti d'olio. Era lei che gli portava il cibo, ultimamente. Dopo quello. Leo non ne vuole parlare.

“Parlavamo delle nuove casette dell'Omega Village” sospira Hazel, perché non può far nient'altro se non sospirare, anche se vorrebbe tanto prenderlo a calci. Questa storia continua da troppo tempo. “Dovresti coordinare i tuoi fratellastri e i ciclopi. Ricordi?”

Il figlio di Efesto, di nuovo, aggrotta le sopracciglia. “Ah” commenta e nient'altro. Riprende il suo cacciavite e ricomincia a lavorare.

Hazel si massaggia il ponte del naso e niente. Leo non si sa a cosa pensa e quando ha iniziato a progettare un acchiappa-zanzare elettrico con una coscienza è un mistero.













Cinque.


Caffè.

È questo quello che gli serve. Del buon caffè amaro in un tazzone da cinque litri e dei biscotti. E a lui il caffè fa schifo. Ma lo necessita, cavolo, ne ha un bisogno cane.

Sono giorni che non dorme. Forse cinque da quello, ma non perché non sia stanco. È l'idiozia della situazione che non lo fa dormire.

“Devo costruire un letto a castello.”

Piper gli dà un colpo in testa con la mano aperta e sembra davvero molto arrabbiata. Da quanto tempo Leo non vedeva Piper nel Bunker? Sicuramente non stavano parlando di questo, prima.

“Quando sei tornata?” chiede, perché era sicuro che lei fosse partita per un'impresa neanche il giorno prima e gli sembrava improbabile che fosse già riuscita a tornare.

Piper stringe i pugni e uno di quelli lo fa sbattere contro la spalla del ragazzo, troppo gracile e poco arrabbiato per continuare una lotta. “È una settimana che sono partita” grida. È furiosa. “E quando sono tornata non ti sei nemmeno degnato di venirmi a salutare. Vedere se stavo bene. Niente.” Gli dà un'altro pugno, perché è giusto così. E lui nemmeno risponde.

“Oh” dice e sembra che ultimamente l'unica cosa che pensa e dice sia questo e nemmeno è una parola con senso compiuto.

Piper è arrabbiatissima e allo stesso tempo preoccupata. Se lei è partita da una settimana per davvero, forse Leo non dorme da più tempo di cinque giorni. Da quando Miranda gli porta il pranzo? Avrebbe dovuto fare le stanghette sui muri, come i carcerati: nel Bunker Nove non entra la luce del sole.

Oh un cavolo!” Piper grida. Ma poi la smette, perché Leo non sembra ascoltarla più, di nuovo. Sospira. “Perché non mi ascolti?”

Il figlio di Efesto ha già riattivato le mani e sta costruendo una macchinetta del caffè.
















Sei.

Non cambia i suoi vestiti da molto tempo, se non dorme da molto tempo. Chissà che puzza, intorno a lui.

Dovrebbe indossare vestiti auto-pulenti. Oppure una lavatrice. Cioè, Leo non vuole indossare una lavatrice, magari costruirla. Ecco, sì, costruire una lavatrice e un asciuga-panni.

“Ho finito” mormora lasciando cadere il cacciavite e i pezzi di metallo a terra. Aggrotta le sopracciglia guardando l'opera davanti a lui e… “Quando ho iniziato a costruire una maschera meccanica?” Si gratta la testa. Comunque quella maschera da tragedia greca meccanica è veramente forte. Modestamente, un lavoro niente male. Diventa più piccola e più grande con un bottone solo, suggerisce le battute di tutte le tragedie da Eschilo a Beckett e i figli di Apollo saranno felici. Ma quando ha anche solo pensato di costruire una maschera?

Frank lo guarda dall'angolo del Bunker e inclina la testa. “Non mi stavi ascoltando, vero?”

Leo la alza, la testa, e si rende conto di non essere solo. “Oh” di nuovo. Deve aggiornare il suo dizionario. “Sì, sì” cerca di dire. “I-i draghi?” prova, ma sa bene di star parlando di cose a caso, un eco di qualcosa che gli avevano detto. Qualcuno aveva parlato di draghi meccanici, no? Altrimenti perché ne ha un progetto sotto la scarpa?

“La festa a sorpresa per Jason.”

“Oh.” Leo si gratta la testa. “Di già?” Il tempo sta volando. Da quanto tempo sta nel Bunker?

“Devi uscire da qui dentro” mormora Frank e alza le sopracciglia, come se alzando le sopracciglia fosse più convincente. Non lo è.

“Ho del lavoro arretrato…” Leo prende il progetto dei draghi meccanici da sotto la scarpa e gli sembrano veramente incredibili. Un ragazzo colto li chiamarebbe ben progettati, Leo li chiama i miei bellissimi bambini. Lo gira tra le mani, il progetto, e gli sembra veramente buono. Lo deve portare a termine. Lo porterà a termine. Riprende da terra il cacciavite e si sporge verso il tavolo di lavoro. Aggrotta le sopracciglia e inizia a trafficare con le mani pezzi di metallo, colla, chiodi e qualunque cosa gli sembra che possa servirgli.

Frank appoggia le mani sui suoi fianchi, inclina la testa, ancora una volta, ancora di più, e guarda l'amico entrare nel suo mondo. Non lo ascolterà più, già. Se ne rende perfettamente conto. “Odio il mondo di Leo” borbotta al nulla, perché Leo è immerso nel suo mondo. E non è possibile che continui così.













Sette.


“Smettila di provarci, perché così non sta andando bene.” La voce di Annabeth lo salva dal caos dei suoi pensieri ed è forse una delle poche voci che potrebbero distoglierlo da quel macello che è lui. “Non stai andando per niente bene.” La bionda ha le braccia incrociate sul petto, le gambe leggermente divaricate e lo sguardo di una mamma che non ammette repliche.

Leo, per la prima volta in quelle settimane, guarda qualcosa oltre a un suo marchingegno. Guarda Annabeth e si rende conto di quello che lo sta circondando. Una macchina dei gelati. Un caffettiera. Una lavatrice. Un'aspirapolvere. La maschera meccanica. Un letto a castello. Un caricatore per il cellulare ad energia solare. Tre draghi meccanici che si strusciano contro i suoi pantaloni luridi. Tutto quello lo aveva veramente costruito lui?

Annabeth lo tira per le orecchie e prende a gridargli cose come: “Hai intenzione di morire disidratato?” o “Vuoi diventare un fantasma?” o “Leo, giuro che se non muori di fame ti uccido io.” Al che Leo risponde: “Perché, da quanto non mangio?” che è la risposta più lunga alla prima domanda che qualcuno è riuscito a tirargli fuori.

“Devi parlarle, Leo. Non possiamo andare avanti così,” Annabeth ha una voce troppo dolce, poco se le confà a lei e a quella sua fama da potrei ucciderti col movimento di un dito.

“Così come?” Leo riesce a rimanere concentrato su Annabeth perché è Annabeth, niente da fare, nient'altro da dire. Sono quelle affinità che nascono senza motivo. A Leo Annabeth piace. È un punto di riferimento.

“Da idiota. Sei qui dentro da settimane e ti sei perso due feste, una delle quali era in tuo onore. Non mangi, non bevi e gli dei solo sanno dove e quando vai in bagno. Leo. Devi parlarle, adesso.” Annabeth sa di star per perdere l'attenzione dell'amico, lo strattona per la maglietta e grida: “Avete solo litigato.”

“No, non capisci…”

Annabeth gli dà un colpetto sulla spalla -che fa male, dopo i pugni di Piper. “Sì, che lo capisco” dice. “Capisco che hai paura ad avere un centro.” Poi non dice niente. Prende i progetti dal tavolo da lavoro e se ne va, sotto lo sguardo confuso di Leo.

Un cerchio ha un centro, pensa il ragazzo. Centro come baricentro. Il baricentro di Leo era sempre stata sua mamma. Se Leo aveva un baricentro poteva essere anche un triangolo. Quella macchina là -quella vecchia che aveva costruito quel vecchio Capo Cabina di cui tutti parlano, quello strano marchingegno che forse aveva il compito di essere una borsetta piccola all'esterno e più grande all'interno-, quella aveva un baricentro poco stabile. Leo avrebbe dovuto siatemarla.

Ed è questo a cui pensa per i seguenti tre giorni.













Non va bene così, ha ragione Annabeth. Se c'è qualcosa che non va, Leo la deve aggiustare. L'unico che lo può aggiustare è lui.

Deve pensare a quello a cui ha pensato, alle macchine che ha costruito. I suoi pensieri non possono essere andati in una direzione casuale. Deve esserci un senso.

Ha costruito una macchina per i gelati. Per quale motivo? Una caffettiera, ed eppure lui il caffè lo detesta. Cosa lo ha portato a costruire certe cose in automatico, senza neanche pensarci?

E Hazel Grace? E la polenta dolce? E il letto a castello?

Si passa una mano sul viso e si rende conto troppo tardi di essersi sporcato di olio, con quel semplice gesto, e comunque che importa, non che avesse intenzione di uscire dal Bunker. Ha un problema, uno serio, e deve trovare una soluzione.

"I miei pensieri sono come stelle che non riesco a far convergere in costellazioni" cita, scuotendo leggermente la testa. E non ricorda quel piccolo particolare che Annabeth aveva voluto fargli notare. Essere ottusi vuol dire anche questo.

Il tutto succede quando non pensa che qualcosa possa succedere. Di nuovo i suoi pensieri lo avevano portato in un altro posto. E non aveva intenzione di tornare, prima di aver trovato una soluzione.














Otto.

Secondo alcune culture, l'otto è un numero fortunato. Glielo aveva detto qualcuno. Forse Frank. Probabilmente Frank, niente da dire, lui non lo ascoltava quando parlava. Bravo Leo.

L'otto è un numero anche graficamente carino. Due palline una sopra l'altra, simmetrico nel simbolo e nella parola e ci sono altre motivazioni, oltre al fatto che Otto è il numero cicciotto, per le quali a Leo piace, come numero.

È l'ottava persona che lo va a trovare nel Bunker a sistemare tutto. E come la voce di Annabeth raggiunge subito le sue orecchie, il passo delicato di lei lo percepisce appena lei entra nella stanza.

E alza lo sguardo dal suo lavoro -un appendiabiti col telecomando? Ma cosa...?

Calypso ricambia lo sguardo e nemmeno lei dice una parola. Ha un piatto in mano, come prima del litigio e questo gli fa venire in mente una cosa.

Aveva dimenticato che colore avessero i capelli di Calypso. Cannella, come quelli di Hazel, come la cannella nella polenta dolce, che sapeva di lei, in un modo strano.

La prima volta che aveva cucinato la polenta dolce accanto a Calypso non era stata solo la prima volta dopo anni in cui l'aveva cucinata -dopo sua mamma, si era detto, la polenta dolce non è qualcosa che valga la pena cucinare né far conoscere al mondo-, era anche stata la volta in cui l'odore di cannella intorno a lui gli aveva fatto venire un capogiro tale da girarsi verso la ragazza e baciarla. Così semplice. Si era girato, si era inebriato di cannella e l'aveva baciata. E lei aveva risposto, dandogli dell'idiota. E al diavolo la polenta.

“Puzzi.” Calypso lascia il piatto abbastanza vicino a Leo, se abbastanza vicino è considerato due tavoli da lavoro più avanti a lui, come se le facesse schifo, ribrezzo, come se detestasse anche solo l'idea di avvicinarglisi.

Leo, dal canto suo, non può far altro che fissarla. Sa che dovrebbe dire qualcosa -qualsiasi cosa-, ma ha le parole bloccate in gola. “Sì, beh…” ma si ferma.

Erano sempre più vicini quando guardavano la televisione insieme. Succedeva di rado. Leo non è tipo da ore e ore di televisione, lui è uno attivo e impegnato, a cui piace guardare molti film e serie tv, ma ai suoi tempi -e che internet e gli streaming siano sempre lodati da semidei e mortali. E Calypso, quando a Leo veniva voglia di fare una maratona del Doctor Who, o di The Big Bang Theory, si accoccolava accanto a lui e gli faceva domande stupide sui personaggi. A lei piace lui? Loro viaggiano sia nel tempo che nello spazio? Ma Henry è figlio di Regina o di Emma? E lui rispondeva sempre girandosi verso di lei con un sorriso, perché ci provava sempre, anche se la serie non le piaceva, e tirava le ginocchia verso il suo petto, lei, tenendo in una mano una tazza di caffè, che sorseggiava con tranquillità, mentre la prossima domanda appariva nella sua testa. Perché quei cosi hanno una frusta da cucina al posto della mano? Al che Leo rideva. Sono Dalek, Cal, non cosi. E lei alzava le spalle, continuando a bere il suo caffè, con la spalla attaccata a quella di Leo.

Mi spiace deluderti, Leo, ma credo che Kirk e Spock siano una coppia e non di amici.

“Ho costruito una lavatrice.”

“Iniziala a usare, allora.”

“Lo farei, ma tutte le volte che mi ci avvicino, mi strappa i vestiti di dosso” ride. Ha lasciato il suo cacciavite e tiene poggiata una mano aperta sul tavolo. Non la guarda negli occhi, perché non sa esattamente cosa aspettarsi da lei. L'ultima volta, avere un senso dell'umorismo non lo aveva salvato dall'umiliazione di essere stato rifiutato da chi amava. E chi amava, per la cronaca, era Calypso.

“La tua lavatrice ha una coscienza.” La ragazza fa un passo avanti e poi uno indietro. Sembra star danzando. Come quella volta in cui Leo le aveva appoggiato le mani sui fianchi e si era messo in testa che Calypso dovesse sapere come si balla il merengue. Lei aveva appoggiato le mani intorno al suo collo e aveva iniziato a girare e girare e girare e le faceva male la testa e perdeva l'equilibrio. Ma rideva e cercava sempre di cadere verso Leo. “Come il computer. Come quella volta in cui volevi farmi vedere Hunger Games e invece ci ha fatto vedere The Maze Runner perché gli piaceva di più…”

Gli mostra un sorriso timido e Leo capisce di essere in grado di cadere nel Tartaro, di farsi esplodere mille volte, di essere in grado di costruire un appendiabiti con il telecomando e una lavatrice con una coscienza, perché una volta lei aveva commentato qualcosa sui suoi vestiti sparsi per tutta la sua stanza, per quel sorriso. Per lei.

Il tutto inconsciamente, perché il suo corpo sapeva che voleva solo vedere quel sorriso.

Anche un letto a castello. Aveva costruito anche un letto a castello, perché una volta lei aveva detto che le sarebbe piaciuto guardare una persona a testa in giù dal letto di sopra.

Cavolo.

È un macello.

“Potresti…?” Andartene. Girare i tacchi e non tornare più. Non guardarmi in quel modo. Leo avrebbe potuto continuare la frase con migliaia di altre frasi e invece chiude la bocca. Forse ha paura che, se lo dice -Vattene, non tornare-, lei se ne vada per sempre, per davvero. E addio alla cannella, avrebbe continuato a rispondere in modo incomprensibile e costruire roba inutile per una persona che non avrebbe mai più rivisto. “Cosa…?”

“È una stupidaggine, Leo. Dai.” Se non l'avesse conosciuta bene, avrebbe detto che quella ragazza ha problemi a parlare dei suoi sentimenti. Anche perché, diciamocelo, cosa avrebbe dovuto spiegare quella frase appena detta? Cos'avrebbe dovuto risolvere?

“Per me non è una stupidaggine.” Vero. Per lui non lo è.

“Abbiamo veramente litigato per Colpa delle stelle?”

Leo sbatte le palpebre, perché non è possibile che lei non abbia capito. “No!” e stava seriamente sperando di non sembrare uno di quei ragazzi piagnucoloni e ipersensibili che, nella relazione, fanno la parte della ragazza. “È che…”

È che.

È tutta colpa dello scriba del Campo, che ha riscritto i libri moderni in greco antico e li andava spargendo in tutte le Cabine, neanche fossero petali di fiori delicati. E cosa capita alla Cabina Nove? Già. Il Trono di Spade.

È alla Cabina Undici, nella quale vive Calypso, sotto la protezione di Ermes, che è stato consegnato il romanzo di John Green. E lei era così innamorata di quel romanzo, da volerlo far leggere anche a lui.

Come fare a dirle di no, quando si era dovuta sorbire un miliardo di film e serie televisive perché a lui piacevano?

Quindi okay, sì, andiamo avanti. Leo lo ha letto e la storia gli è anche piaciuta. Non ha pianto. Beh, sì, forse un po'. Qualche lacrima, poche, comunque.

Anche Calypso aveva pianto, ma non per questo Leo le aveva spiegato che lui si era nascosto per ore nel Bunker Nove perché nessuno vedesse che aveva gli occhi rossi dal tanto piangere. Questo era un segreto, comunque.

Poi lei ha detto una cosa che ha fatto star male Leo.

Ripercorrendo la storia di Hazel Grace Lancaster, detta Hazel-e-basta, c'erano dei punti in cui Leo aveva rivisto qualcosa della sua relazione con Calypso. Per questo gli era piaciuta la storia. Certo, non voleva morire e lasciare Calypso e ringraziava il cielo di non trovare molto romantica una visita alla casa di Anna Frank -senza offesa per Anna Frank, ma il primo bacio con in bocca la promessa di tornare di Leo e Calypso aveva avuto non solo molta più tensione emotiva, ma anche una buona dose di romanticismo non troppo sdolcinato-, ma il salvarsi a vicenda e prendersi per mano, per vivere, quello era qualcosa che apparteneva anche a loro.

Finché Calypso non dice: “Non sarebbe mai durata.”

È questo che spezza l'equilibrio di Leo. Se Augustus Waters non era abbastanza per Hazel Grace, come può essere abbastanza Leo Valdez per Calypso-senza-cognome?

“Ti stuferai di me?” Vorrebbe veramente non avere quel tono di voce, mentre parla. L'insicurezza fa comunque parte di lui, nonostante la mascheri. Fa parte di lui anche l'ironia, per questo aggiunge: “Magari, poi, preferirai un gatto.” Ma il risultato non lo fa ridere.

Se Leo perdesse Calypso rimarrebbe senza niente, a dirla tutta. Queste settimane sono da lezione: il centro dei suoi pensieri è lei, il punto di vista per vedere la costellazione è lei, e senza tutto continuerebbe a ruotare intorno alla ninfa, senza che lui se ne accorga neanche. Oggi lo sa. Domani potrebbe essere assorbito di nuovo da tutte quelle stelle e non ricordarselo.

Leo non è abituato a questo.

Lo era, e adesso è un Capo Cabina, sa come essere un punto di riferimento -anche se non molto stabile. Ma averlo, un punto di riferimento, avere anche la paura di perderlo, è tutta un'altra cosa.

Sta seriamente pensando di scappare via.

“Sono allergica ai gatti” commenta Calypso, inclinando la testa. Lo guarda con quegli occhi leggermente a mandorla e sembra veramente non capire. O forse ha già capito ma la cosa gli sembra davvero stupida e non la prende in considerazione. “T-ti sei stufato di me?” chiede, come se la cosa fosse possibile, con quel tremore nella voce che fa paura, perché sembra voler scoppiare a piangere, ma non lo fa. Non ha capito.

“Fai parte della musica caraibica, Raggio di Sole. Come posso stufarmi della bachata?”

Nessuno dei due si muove. È una loro caratteristica: sono diversi e avere a che fare l'uno con l'altro a volte è un po' difficile, ma alla fine quello che vogliono è la stessa cosa, niente da fare.

“Se fosse stato possibile che io mi stufassi di te, probabilmente saremmo ancora intrappolati a Ogigia, Leo.”

“Ti ho conquistato con il mio fascino da latin-lover” ridacchia lui.

“Avevo bisogno di qualcuno che mi aggiustasse gli attrezzi per il giardinaggio” mette in chiaro lei, con un sorriso abbastanza sollevato. “Abbiamo fatto pace?” Calypso è molto confusa su alcune cose che riguardano le relazioni. Non ha neanche capito bene cosa li ha fatti litigare. Forse è stato perché lei lo aveva visto piangere, mentre guardavano il film di Colpa delle Stelle? Se l'era presa così tanto da voler quasi lasciarla? Nascondersi nel Bunker, comunque, non era stata la migliore decisione del mondo, visto che lei aveva pensato che non la volesse nemmeno vedere -altrimenti avrebbe continuato a portargli il pranzo, come aveva sempre fatto. Leo le era mancato, si era chiesta se stesse bene. Si era chiesta cos'aveva fatto di sbagliato.

“Te ne andrai.” Constatazione. Prima o poi tutti si stufano di Leo, in un modo o nell'altro -la Jasper in questo ne è un esempio lampante. E questa conversazione un po' dà sui nervi al ragazzo, perché si sente davvero troppo vulnerabile, perché deve smetterla di guardarsi Grey's Anatomy -guardare quello che succede a Meredith gli fa venire voglia di parlare dei suoi sentimenti, oh santi dei.

Calypso scoppia a ridere e corre verso Leo. Non si ferma finché a dividerli non c'è l'ultimo tavolo da lavoro, quello sopra il quale c'è la caffettiera e la maschera meccanica, poggia i palmi della mano sul tavolo e dice: “Leo.” Sorride sbattendo quegli occhi e il ragazzo sente seriamente di star di nuovo perdendo il suo controllo sui suoi pensieri, perché nella sua testa c'è solo il caos. “Io andrò dove voglio.” È una frase tremenda. Per un attimo i pensieri di Leo si fermano, tutto si ferma e lui trattiene il respiro. Deve trovare una battuta per sdrammatizzare la situazione. “Ma solo se ci sarai tu.”

Oh.

Leo tira un sospiro di sollievo. Scoppia a ridere e non trova le parole.

Calypso alza un lato delle labbra e lo guarda come a chiedere scusa del sentimentalismo: lei è sicura di essere la ragazza della coppia, quella che si fa film mentali e la più sensibile dei due. Quanto si sbaglia non lo sa, ma va bene così.

Leo poggia prima la sua mano sulla guancia di lei, poi le si avvicina abbastanza da non avere più la percezione dello spazio che li divide. Quando la bacia, si giura che un giorno riuscirà a parlarle dei suoi sentimenti senza fare nemmeno una battuta. Ma tutti sanno quanto lui sia un bugiardo.













Da tutto questo, Leo capisce una cosa. Forse un po' più di cose. Due? Tre? Facciamo quattro e non ne discutiamo più.

L'ordine dei suoi pensieri seguiva un nesso logico, più o meno. Seguivano Calypso, quasi sempre. E la sua mente comanda il suo corpo inconsciamente perché lui non faccia altro se non renderla felice.

È un drogato di sorrisi calypsiani, che gli dei lo aiutino.

Ha così tanta paura di Annabeth da riuscirla a sentire nonostante lui si trovi nelle profondità della sua mente -che gli dei lo aiutino anche in questo caso.

Quarta e ultima cosa, ama Calypso e solo lei riesce a dare un senso a… beh, a tutto, dal tostapane che fa capricci alla macchinetta per il caffè.

“No, Leo.” La ragazza, rannicchiata sul divano, la tazza di caffè appoggiata sulle labbra e lo sguardo che non ammetteva repliche, lo distrae dal vedere Star Trek. Ti prego fa che sia per un buon motivo. “Non può dire una cosa del genere -Voglio che tu sappia perché ti ho salvato- e dire che la loro relazione sia completamente… platonica, ecco.”

Leo lancia uno sguardo allo schermo del computer, al capitano Kirk e a Spock, e rotea gli occhi. “Raggio di Sole, è come la cosa tra Dean e Castiel: non lo voglio sapere.”

Ed eppure senza di lei nulla ha senso.






 
  
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