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Autore: FAT_O    31/05/2015    1 recensioni
Dopo più di duemila anni di dominazione, la divinità ermafrodita Cambìsex può finalmente godere dei frutti del suo duro lavoro. Il continente abitato dai suoi seguaci, la Serotheia, sta conoscendo un periodo di pace e prosperità, che sembra destinato a protrarsi per un lungo tempo. Nulla lascia presagire che ben presto il continente sarà colpito da una crisi di proporzioni inimmaginabili, che porterà Cambìsex, le altre divinità e tutti i serotheiani a dover lottare per ciò che più sta loro a cuore. Le vicende degli dei si intrecciano alla lotta per la redenzione del cinico avventuriero Cole, agli sforzi del Sommo Sacerdote Vermann per salvare la sua gente e al folle viaggio del suo amico e consigliere Locknoy, con lo scopo di capire le cause della crisi e trovare per essa una soluzione. A poco a poco, le trame si dipaneranno, giungendo infine a mostrare il loro fondamentale collegamento, insieme alla risposta che un intero universo attende fin dalla sua remota origine. E a un cambiamento che non lascerà nessuno indenne.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quinto
 
 
Fuori dalla porta, qualcuno gridava. Cole, ancora stordito, aprì lentamente gli occhi.
A poco a poco, riuscì a distinguere più chiaramente i rumori provenienti dalla strada. Quello era sempre stato un quartiere chiassoso, ma di certo non era comune che risuonasse di grida di terrore o di disperazione. Passi concitati percorrevano la via. Che cosa stava succedendo? Cole, ancora indolenzito, scese dal letto e si rese conto di essere completamente nudo. Ebbe qualche istante di confusione, poi volse lo sguardo verso il letto e ricordò tutto. La consolatrice dormiva ancora, russando pesantemente, sdraiata sulla pancia. Il suo corsetto e la sua gonna colorata erano rimasti a terra. In ogni caso, non c’era tempo per svegliarla, per quanto fosse strano che non l’avesse già fatto il trambusto fuori.
Le grida dall’esterno si facevano sempre più agghiaccianti. Cole indossò alla svelta un paio di pantaloni, una sgualcita camicia bianca e gli stivali, poi afferrò il suo coltello e aprì la porta. Per qualche istante, ebbe modo di visualizzare la situazione. La gente scappava urlando inseguita da qualcosa. Guardando meglio, Cole si rese conto che erano gli automi, i dannatissimi automi, a seminare il panico. Non li aveva mai potuti sopportare, con quel loro ghigno inquietante, ma... Un uomo gigantesco travolse Cole con la forza di un toro, mandandolo a gambe all’aria.
Per un attimo, gli mancò il respiro e gli parve di perdere i sensi. Vedeva le macchine, sfocate, avvicinarsi sempre più, ma era come bloccato a terra... Erano ormai erano a pochi passi da lui, quando fu pervaso da una scarica di adrenalina e scattò in piedi. Si rese conto che cadendo era finito sopra il corpo di una donna di mezza età, sgozzata brutalmente. I canini dell’automa più vicino erano sporchi di sangue.
Cole alzò il suo coltello e dopo aver lanciato un urlo selvaggio lo piantò nel cranio della macchina. Gli istanti successivi furono pieni di confusione. La testa si spaccò in due, liberando per un istante un crepitio di saette azzurrognole che accecarono momentaneamente Cole. Poi, l’automa crollò all’indietro con un tonfo sordo.
Quando i suoi occhi ripresero a vedere, Cole si rese conto che altre tre di quelle macchine infernali si stavano avvicinando a lui, più circospette, dopo aver visto ciò che aveva fatto al loro compagno. Una stringeva tra le mani guantate un grande martello da lavoro. Tutto intorno, la gente continuava a scappare gridando. Ma in quel momento, per Cole esistevano solo lui, la sua arma e i tre automi che gli stavano di fronte. Prese un respiro e poi si lanciò su quello armato, che alzò  prontamente l’impugnatura del martello per proteggersi dal colpo. Il legno si spezzò in due, ma l’attacco fu respinto. Nel frattempo, gli altri due automi avevano aggirato Cole, e lo afferrarono per le braccia. Preso di sorpresa, l’uomo tentò di divincolarsi, ma la presa degli avversari era ferrea. Era abituato a contare sul suo udito per prevenire situazioni di quel genere, ma le macchine parevano non emettere alcun suono.
L’automa che aveva subito il suo attacco lasciò cadere la parte dell’impugnatura del martello che era stata recisa dal coltello, e sollevò il resto sopra la testa con una mano sola, apparentemente senza alcuno sforzo. Cole credette di essere condannato. Prima che l’automa calasse il colpo mortale, tuttavia, gli venne un’idea. Smise di dimenarsi, rilassò i muscoli, chiuse gli occhi. Percepiva la confusione delle macchine. Rilasciarono per un istante la presa sulle sue braccia. Fu sufficiente. Cole svicolò dalla loro presa con uno scatto. L’automa con il martello tentò di colpirlo, ma ottenne solo di sfondare il cranio ad uno dei suoi compagni. Un nuovo ventaglio di fulmini scaturì dalla sua testa, ma questa volta Cole era pronto e si coprì gli occhi.
Poi inferse un duro colpo di taglio sul sottile collo dell’automa armato, recidendolo di netto. Dal busto della macchina scaturì il solito crepitio, ma la retina di Cole iniziava ad abituarsi. Tirò un potente calcio sul torace del terzo avversario, sbilanciandolo, e poi lo finì. Il grido di esultanza che stava per lanciare gli morì in gola.
Gli automi avevano smesso di inseguire la gente, e si erano accalcati intorno a lui. Erano parecchi, non era in grado di capire quanti. Sembravano ben determinati a vendicare i loro quattro compagni. Cole sospirò. Mai avrebbe pensato di morire così. Più di una volta aveva riflettuto sull’eventualità che a porre fine ai suoi giorni fosse uno scontro di qualche tipo, ma di certo non gli era mai passato per la mente che la sua ultima battaglia sarebbe stata contro quelle grottesche, improbabili macchine. Del resto, per quanto istintivamente le avesse sempre detestate, fino a quel momento aveva creduto che fossero innocue. E invece, avanzavano a passi lenti verso di lui, minacciose nonostante il volto inespressivo, alcune con in mano martelli, cazzuole e altri attrezzi da lavoro. Un fugace pensiero attraversò la mente di Cole. Probabilmente, una parte delle macchine proveniva dai cantieri dei quartieri in costruzione, a nord. E da lì, si dirigevano verso il centro. Qual era il loro scopo? Poi l’uomo scrollò il capo. Non era certo il momento di perdere la concentrazione dietro futili ragionamenti. Sapeva di non avere possibilità, ma dal momento che la fuga non pareva una via praticabile, era perlomeno intenzionato a portare con sé il massimo numero possibile di automi. Ci fu ancora un istante di pausa, in cui Cole scrutò i suoi avversari, e loro parvero osservare lui.
Poi, gli furono addosso tutti insieme, con le armi sollevate, e lui cominciò a menare fendenti da ogni parte, mietendo vittime. Ma le macchine erano decisamente troppe. Cole crollò a terra, colpito da una potente martellata sul torace. Giaceva supino, attendendo la fine. Un automa lo sovrastava, pronto a chinarsi e sgozzarlo senza pietà. Ma d’improvviso,  si udì uno scalpiccio di passi in avvicinamento.
Poi, la via cominciò a risuonare dei colpi di fucili e revolver. Voltandosi per un istante, Cole vide un folto gruppo di vigilanti in divisa blu accorrere nella sua direzione, sparando a tutto spiano. Dopo un attimo di sorpresa, gli automi reagirono scagliandosi sui loro nuovi avversari, e fu battaglia.
Cole si alzò di scatto e rientrò nella mischia. Quel giorno, la fortuna pareva essere dalla sua parte. Non era ancora il momento di morire. Schivò di poco il morso letale di un automa, diretto alla sua gola, ma venne comunque ferito ad una spalla. Il sangue cominciò subito a macchiargli la camicia. Furioso per essersi lasciato sorprendere, prese a battersi con foga ancora maggiore. La sua lama divelleva i crani degli avversari, ammaccava i loro toraci metallici e recideva le teste. Si sentiva invincibile. Voltandosi di scatto, piantò il coltello nel petto dell’ennesimo nemico. Ma poi, si accorse di aver commesso un terribile errore.
Perché il corpo in cui la sua lama era affondata non era quello di un automa.
Un ragazzo di nemmeno vent’anni lo fissava dall’altra parte del coltello, con la bocca spalancata e gli occhi strabuzzati, il viso contorto in un’ultima smorfia di sorpresa e dolore. Cole, ammutolito, ritirò la sua arma di scatto, e il ragazzo crollò a terra. Ogni cosa parve fermarsi per un istante. I vigilanti e gli automi, tutto intorno, sospesi con le braccia a mezz’aria nell’atto di lottare gli uni con gli altri. Le urla di battaglia e di dolore. Tutto si congelò, e Cole in un solo istante fu percorso da una violentissima scarica di pensieri ed emozioni. Nel corso della sua vita aveva ucciso molti altri uomini. Ma sempre uomini che avevano cercato a loro volta di fargli del male. Di certo, mai così giovani. Neanche una volta si era fatto problemi a derubare degli innocenti, spesso provandoci anche gusto. Ma uccidere, uccidere era una cosa diversa. Un sentimento mai sperimentato si impadronì di Cole: il pentimento. Non poteva continuare a combattere oltre.
Mentre i vigilanti e gli automi proseguivano nella loro lotta senza esclusione di colpi, si voltò, e cominciò a correre verso il centro. Scappava da ciò che aveva fatto. Forse, se fosse riuscito a mettere tra se stesso e il corpo del ragazzo una distanza sufficiente, quel senso di oppressione che già gli attanagliava la gola e il petto sarebbe svanito. A un certo punto, sfinito, si lasciò cadere in un vicolo che pareva deserto. Si rese conto di avere gli occhi lucidi. Per un attimo si chiese che cosa ci facesse il ragazzo in mezzo alla mischia. Poi, comprese che probabilmente stava cercando di fuggire, approfittando della confusione. E ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per lui. Cole sentì che stava per mettersi a piangere.
Poi, un rumore in una strada vicina lo mise in allarme. Subito scattò in piedi e si affacciò all’angolo del vicolo per vedere cosa stesse succedendo. Un uomo di mezza età, disperato, con un sensore di controllo per gli automi fra le mani gridava: “Aiutami, aiutami!”
Era rivolto al suo automa, che sembrava curiosamente mansueto, privo della folle furia omicida che aveva pervaso i suoi simili. Altre tre macchine stavano infatti per raggiungere l’uomo, con il chiaro intento di eliminarlo. Prima che Cole potesse fare qualunque cosa, vide l’automa sano tentare di frapporsi tra il suo proprietario e quanti lo stavano assalendo. Ci fu una breve colluttazione, poi avvenne un fatto misterioso. La proboscide di uno degli automi si sollevò, e i suoi due fori andarono a combaciare perfettamente con i canini dell’altro. Ci fu un rumore di risucchio, poi i due si separarono. Cole vide con orrore la macchina che aveva cercato di proteggere il suo padrone voltarsi e saltargli alla gola, sgozzandolo con un gesto fulmineo.
Si riparò nuovamente dietro il muro. Aveva bisogno di qualche istante per elaborare quanto aveva appena visto. Quello che era lampante, tuttavia, era che gli automi, in qualche modo, si convertissero a vicenda a quella follia. La mente di Cole, totalmente assorbita da quell’inaspettato sviluppo, si era liberata per qualche istante del pensiero del giovane che aveva ucciso.
D’un tratto, udì nuovi rumori provenire dalla strada. Si sporse dal muro, e vide una ragazza che correva, inseguita da un gruppo di automi. Sembrava sul punto di essere intercettata dalle quattro macchine già presenti nella via, ma svicolò agilmente. Mentre si avvicinava, Cole si rese conto che era la ragazza che la sera prima aveva cercato di derubarlo. Correva senza urlare, con un’espressione concentrata sul viso, sfruttando tutta la sua rapidità. Ma si vedeva che era allo stremo delle forze.
Un brivido percorse la schiena di Cole, e gli fu chiaro ciò che doveva fare. Espiazione, quella era l’unica strada. Salvare la vita alla ragazza, per potersi perdonare ciò che aveva fatto. Quando gli automi gli passarono davanti, li travolse emettendo un urlo disperato e furioso insieme, cogliendo i suoi avversari di sorpresa. Rivolto alla ragazza gridò: “Va’, scappa!” Lei lo guardò per un attimo con un’espressione enigmatica, quindi riprese a correre e scomparve dietro l’angolo.
Cole distolse lo sguardo dal punto in cui era sparita e lo scontro ebbe inizio. Due dei nove automi erano stati abbattuti nell’attacco iniziale, ma i rimanenti sette sembravano ben determinati ad abbatterlo. Doveva giocare d’astuzia se voleva sopravvivere. Ma non ebbe molto tempo per pensare. Gli avversari gli furono subito addosso, tutti insieme. Cole evitò alcuni colpi, senza aver modo di controbattere, poi i canini di una delle macchine gli penetrarono nel braccio disarmato. Emise un verso da animale ferito, poi piantò il coltello della nuca riccioluta dell’automa. Il crepitio di saette gli passò vicinissimo al volto, stordendolo. Istintivamente, tentò di battere la ritirata, ma, accecato per qualche istante, incespicò nei suoi piedi e cadde a terra.
Cercò di sollevarsi, ma una delle macchine lo schiacciò a terra mettendogli un piede sul torace. Era finita.
Per quel giorno, aveva tentato fin troppe volte la fortuna, non poteva aspettarsi altri doni.
Chiuse gli occhi, aspettando che i canini gli aprissero la gola. Ma il dolore non arrivò. Udì un tonfo sordo, poi la pressione sul suo petto si allentò. Cole riaprì gli occhi di scatto, in tempo per vedere l’automa che lo aveva tenuto a terra barcollare e sbattere contro un muro. Dopo un attimo, fu chiaro cosa l’avesse colpito: un mattone piovuto dal cielo colpì un'altra delle macchine. Cole si tirò in piedi e guardò verso l’alto. La ragazza che aveva salvato era sul tetto di una delle case che si affacciavano sulla via, e lanciava mattoni e detriti di ogni genere contro gli automi.
L’uomo, approfittando della confusione dei suoi avversari, riuscì ad eliminarli uno dopo l’altro. Poi, senza più fiato, si piegò su se stesso, appoggiando le mani sulle ginocchia. Nel frattempo, sentiva la ragazza che scendeva dal palazzo, aggrappandosi ad ogni sporgenza disponibile. In poco tempo, gli fu di fronte. Cole si risollevò, guardandola negli occhi. Ci fu qualche istante di silenzio, poi la ragazza gli tese la mano: “Sevaje.” L’altro la strinse, rispondendo: “Cole.” Seguì un altro silenzio, poi Cole disse: “Immagino che il nostro piccolo diverbio di ieri sera si possa considerare risolto.” La ragazza annuì, seria: “Naturalmente. Ti sono grata.”
Parlava con uno strano accento, che l’altro non era in grado di classificare. “Anch’io immagino di doverti essere grato.” La ragazza annuì di nuovo, sempre senza cambiare espressione. Poi, senza alcun preavviso esclamò: “Ora devo andare!” E partì di corsa nella direzione da cui era arrivato Cole. Lui rimase sorpreso per un attimo, poi la richiamò: “Aspetta! Dove vai?” La ragazza si fermò bruscamente, e voltandosi gli rispose: “Devo trovare il mio amore. Ci hanno separati stamattina.”
Di fronte a quella risposta, l’altro rimase per un attimo perplesso, poi replicò: “Da quella parte è pieno zeppo di automi.” “Non m’importa.” Cole colmò la distanza che li separava a larghi passi e disse: “Importa a me. Mi seccherebbe parecchio se dopo tutta la fatica che ho fatto tu finissi in qualche pila di cadaveri.” Gli occhi della ragazza lampeggiarono pericolosamente, riempiendosi di sfida: “Non sono affari tuoi. Ci siamo salvati a vicenda una volta, qualunque forma di debito potessimo avere, l’abbiamo pagato. Adesso, ognuno per la sua strada.” Cole scosse la testa. Non riusciva a trovare nulla da dire di fronte a quella testardaggine priva di senno.
Poi, un dubbio odioso gli si insinuò nella mente. Osservò gli abiti della ragazza. Colorati, comodi e larghi. Ne aveva già visti di simili quella mattina. Il ragazzo che aveva ucciso. Doveva essere lui il compagno di Sevaje. Sperò di sbagliarsi con tutto se stesso. Alla fine, mentre la ragazza sembrava sul punto di rimettersi a correre, chiese: “Siete forse gitani?” La ragazza annuì, diffidente: “Che importanza ha adesso?”
Cole non rispose. Cercò di mantenere un’espressione neutra, ma la consapevolezza che la ragazza potesse cercare il ragazzo e trovarlo, ucciso in quel modo, rischiando di morire a sua volta, lo distruggeva. Aveva un solo modo per espiare: salvare la ragazza, anche da se stessa. Non sapeva ancora come avrebbe fatto, ma ci sarebbe riuscito.
Con tono sarcastico, la ragazza chiese: “Posso andare adesso?” Cole ebbe un’idea. Non era nulla di brillante, ma gli pareva di non avere molte alternative: “Non saprei come impedirtelo. Fammi solo la cortesia di indicarmi il tuo campo, così potrò portare la notizia della tua morte agli altri gitani.” Sevaje lo guardò con disprezzò, poi indicò verso est, dicendo: “Da quella parte, non è lontano, appena fuori dalla città. Ma tornerò, e sarò insieme a Clarsico. Di’ loro di aspettarmi, se proprio vuoi.” Cole rispose: “E sia. Spero davvero di rivederti, ragazza, anche se non penso che accadrà.”
Sevaje gli lanciò un’ultima occhiata sprezzante, poi si voltò e fece per ripartire di corsa. Ma Cole, fulmineo, le diede una botta in testa con il manico del coltello. Fu rapido a sorreggerla mentre scivolava a terra. Poi, se la caricò in spalla, gemendo per il dolore delle ferite, che adesso si faceva sentire con tutta la sua intensità. Si diresse nella direzione che gli era stata indicata. Conosceva la zona, sapeva che camminando in quella direzione la città avrebbe presto lasciato il posto a sparuti gruppi di case, e poi alla campagna. Sperava solo di non incontrare altri automi. Ne aveva visti abbastanza quel giorno, da bastare per una vita intera.
Sentiva che quella lunghissima mattinata gli aveva cambiato la vita. Aveva uno scopo, una colpa gravissima per cui redimersi. O non sarebbe mai più stato in grado di vivere in pace. Salvare la ragazza, a tutti i costi. Anche contro la sua stessa volontà. Anche se l’avesse odiato per questo.  
 
   
 
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