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Autore: AnAngelFallenFromGrace    07/01/2009    4 recensioni
Si dice che a volte ritornano. E questa volta il proverbio è verità anche per Elisa e Ville. E' passato più di un anno da quando la nostra protagonista è fuggita dalle braccia di Ville, dalla Finlandia e dal suo sogno ormai in frantumi, con il cuore spezzato, lasciando dietro di sè lacrime e preghiere. Tutto sembra dimenticato, i loro sentieri appaiono definitivamente separati. Ma è davvero tutto come appare?
"Ho paura. Ho una paura tremenda di aver trovato l’unica persona giusta per me e di essermela lasciata sfuggire, come sabbia tra le dita. Voler cambiare il passato è un desiderio inutile, quanto doloroso. I rimpianti non servono a nulla, se non ha rovinare il presente."
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The 101 Canto

Chapter 1

Dear God

Pieces of a new life

23 Giugno 2007

Mi rigiro nel mio letto, ancora e ancora, cercando una posizione comoda. Ma so già che è inutile: quando mi capita di svegliarmi, così, all’improvviso, mi è quasi impossibile rimettermi a dormire.

Sarà il caldo: passare l’estate a Milano non è proprio il massimo, l’afa è terribile, ogni giorno di più. Ho la finestra spalancata, ma sembra che nemmeno un filo d’aria abbia la compiacenza di farmi una visita.

D’altra parte, fin quando non avrò terminato questo stupido esame di maturità non posso nemmeno scapparmene al lago. Per sfuggire al caldo sarei disposta anche ad accontentare

Arianna e andare con lei al mare, sebbene non lo ami proprio alla follia. Ma un bagno non sarebbe affatto male in questo momento.

E invece no: con la solita fortuna, i commissari d’esame hanno estratto la D, cosicchè la cara Elisa Bonizzi sarà una delle ultime maturande a sviscerare la sua tesina. Come poteva essere altrimenti?

Pensare alla maturità mi rimette lo stomaco in subbuglio: la settimana scorsa ho terminato le prove scritte, e tra l’altro ho idea che il mio tema sul Decadentismo non sia stato proprio un’opera d’arte, ma, come si dice, è inutile piangere sul latte versato.

Mi rigiro per l’ennesima volta, a pancia in su. Per evitare di pensare a tutta la roba che devo ancora far entrare a forza - e per forza - nella mia povera testa, concentro la mia attenzione sulle foto e i poster che ho attaccato sul mio soffitto.

Sì, perché la mia stanza non è molto grande, sarà forse qualche metro quadro in meno di quella di Arianna, ma ogni superficie piana è completamente sotterrata da quadri o fotografie. C’è anche qualche disegno, regalatomi da qualche amico, o fatto da Arianna. Gli acquarelli sono la sua ultima passione. Il più bello di tutti rappresenta la Uspensky Cathedral di Helsinki, con le sue guglie dorate e i riflessi granata.

La parete sud, quella sopra la scrivania, è interamente dedicata alla Finlandia: ci ho impiegato quasi un mese per fare un collage con tutte le nostre foto e il risultato è davvero impressionante. Quando mi siedo al computer, ogni tanto sollevo lo sguardo e mi sembra di essere ancora lì, tra le strade illuminate o sulla banchina del porto, a guardare il mare.

La mia foto preferita in assoluto occupa il posto d’onore proprio al centro del muro ed è anche molto più grande delle altre, così da saltare subito agli occhi. Era stata scattata proprio il primo giorno, sull’immensa gradinata davanti alla Cattedrale: c’è tutto il gruppo, Dave, con la sua espressione sempre mezza addormentata, Andrea, con il suo dolcissimo sorriso, Luke, con la sua faccia da schiaffi e gli occhiali da sole, e naturalmente io e Arianna, in piedi alle loro spalle, in una posa decisamente assurda.

Ogni volta che guardo quella foto non posso fare a meno che sorridere, ripetendo a me stessa che prima o poi quella città meravigliosa e i suoi tranquillissimi abitanti dovranno sopportare un nuovo assalto della banda degli Svitati, al gran completo.

Nonostante ciò che mi ero ripromessa, non ho mai dovuto rimettere Arianna su un aereo diretto verso la penisola scandinava.

L’autunno scorso infatti, la mia amica ha trovato un posto come commessa nel nostro negozio di cd preferito, uno dei pochi negozi dove riusciamo a trovare musica davvero interessante. Ricordo come fosse ieri quel venerdì, uno dei primi di Ottobre, quando Arianna tornò a casa superesaltata, e, saltellando per la cucina dove io, invano, stavo tentando di preparare la cena, mi aveva informato della novità: “Visto che sei sempre qui, potresti anche darci una mano in negozio” le aveva proposto il proprietario, un ragazzo vicino ai trenta, che, a mio parere, si è preso anche una bella sbandata per lei. Sebbene lei sembri non farci proprio caso.

Ama quel lavoro: ama sistemare per ore e ore la merce in un nuovo ordine, soprattutto i vinili, adora ancor di più consigliare i clienti, che ogni volta ritornano ringraziandola con il cuore per i suoi consigli.

E poi è venuto il giorno, a Gennaio, quando finalmente ha potuto posare sullo scaffale delle nuove uscite anche il primissimo cd degli ‘Unforgivable sinner’: ritrovare il volto dei nostri migliori amici sulla copertina di album, nei negozi, è ancora uno shock, e nonostante siano passati quasi sei mesi, non sono ancora riuscita ad abituarmici.

La band nel frattempo è tornata a casa e comincia a godere dei primi frutti del suo successo: naturalmente qui in Italia non c’è stato un gran boom, ma in Finlandia e in Germania hanno già venduto moltissime copie.

Non posso nemmeno esprimere a parole quanto sia felice e fiera di loro, benché l’improvvisa notorietà non abbia giovato affatto sul già smisurato ego del loro frontman.

Quando erano divisi, divisi da chilometri e dal mare, sembrava che Arianna e Luke non potessero vivere separati. Da quando vivono nella stessa città, la loro relazione è un continuo tira e molla.

Ogni tanto ritrovo Arianna a parlare da sola davanti allo specchio, o con una tazzina di caffè, imprecando contro ogni essere vivente e respirante e giurando a se stessa – e alla tazzina di caffè – che quella sarà stata l’ultima volta in cui si è fatta fregare.

Naturalmente fino a quando non lo vede flirtare con un’altra ragazza; allora la situazione si ribalta.
Immagino che l’espressione ‘come cane e gatto’ sia il loro motto di vita: d’altra parte conosco davvero poche persone così indissolubilmente legate.

Per quanto mi riguarda, rientrata dal mio folle viaggio a Helsinki, sono tornata a scuola e, nonostante avessi saltato quasi due mesi di lezione, con molte preghiere e tanto, tanto lavoro, sono riuscita a non perdere l’anno. Gli esami di riparazione me li sogno ancora di notte, a volte: si può quasi dire che per me la maturità sia un gioco da ragazzi. Beh, quasi.

Certo adesso ho dalla mia la simpatia di quasi tutti i professori, mentre un anno fa…un anno fa le cose era completamente diverse.

Molte erano le persone che non me l’avrebbero fatta passare liscia volentieri, e se non fosse stato per l’intervento della prof di Matematica, l’unica che credeva realmente nelle mie possibilità e nella mia buona volontà, probabilmente ora non sarei qui a due passi dalla fine.

Così mi hanno dato una seconda chance ed io l’ho colta e sfruttata a pieno, dimostrando che la loro fiducia non era stata mal riposta.

Non dico di essere diventata una studentessa modello – certe abitudini sono dure a morire – ma senza dubbio quest’anno ho studiato come mai nella mia vita. E impegnarmi seriamente in qualcosa mi ha aiutato molto, a distrarmi, a tenere la mente occupata, a decidere cosa fare della mia vita, come una persona adulta.

Ritornate in Italia, Arianna mi ha ospitato a lungo nel suo vecchio appartamento. La situazione non era proprio delle più idilliache: il monolocale era piccolo, il mio letto era una poltrona alquanto scomoda, la convivenza a volte diventava un po’ difficile, soprattutto quando Luke veniva a trovarla dalla Finlandia…

Ma ha fatto tanti sacrifici per me, non ha permesso che tornassi a vivere con quell’uomo.

Non appena compiuti diciotto anni, sono andata a cercarlo, per l’ultima volta. Senza scenate, senza litigi, sono riuscita a dirgli tutto quello che pensavo di lui e a informarlo che sarebbe stata l’ultima volta che mi avrebbe visto. Adesso sono ufficialmente una donna emancipata e sono contenta di esserlo.

Per tutto l’anno io e Arianna abbiamo lavorato duramente e forse il destino ha voluto ricompensarci. Ancora non riusciamo a credere alla fortuna che ci è capitata: verso la fine di Marzo, abbiamo trovato, quasi per caso, un appartamento di modeste dimensioni, ma addirittura con due camerette divise ed un terrazzino davvero delizioso, di cui ci siamo perdutamente innamorate a prima vista. Quando scoprimmo che anche l’affitto era decisamente abbordabile, abbiamo firmato il contratto in un attimo.

E’ anche piuttosto vicino al locale dove lavoriamo entrambe la sera, come cameriere: un posto carino, sempre affollato. Certo, nulla in paragone del vecchio Midnight Wish…

Ma ogni tanto, quando mi sveglio di notte e resto a fissare il soffitto, con gli occhi sbarrati, proprio come adesso, mi ripeto che il famoso Midnight Wish non era davvero reale: faceva parte di quel meraviglioso sogno che è durato fin troppo a lungo, ma che, come tutti i sogni, ha finito per infrangersi in mille minuscoli frammenti, simile ad un vaso di cristallo troppo fragile.

Pensavo che tutti i pezzi fossero stati portati via dal vento molto tempo fa: in realtà, durante quest’anno, mi sono resa conto che le schegge penetrate nel mio cuore non potranno mai uscirne.

Quando di notte mi sveglio e resto a guardare il soffitto, non posso fare a meno di pensare a lui. A dire il vero, ci penso molto più spesso, ma è facile mentire a me stessa quando il mondo intorno a me risuona dei suoi mille rumori e la voce delle persone – anche quella della scorbutica prof di diritto – riesce a carpire nuovamente la mia attenzione e a riportarmi alla realtà.

Quando però sono sola nella mia stanza, nel profondo silenzio interrotto soltanto dallo sporadico motore di una macchina, in lontananza, nella strada deserta oltre la mia finestra, non mi resta nessun appiglio. Nessuna ancora di salvezza che possa salvarmi dal mare di ricordi nel quale inevitabilmente sprofondo ogni volta.

I primi tempi è stato difficile.

Non riuscivo più ad ascoltare la sua musica: tutto riportava alla mia mente i momenti trascorsi insieme, persino un pezzo di pizza, un libro di poesie o un gatto nero. Sentire la sua voce non era nemmeno da prendere in considerazione.

Senza contare poi che ho dovuto eliminare internet dalla mia vita per qualche mese: proprio i primi giorni da quando ero tornata a casa infatti, mentre ero a casa di una mia compagna di scuola dalla quale ero andata ad elemosinare appunti e ad invocare un po’ di aiuto, mi imbattei per caso nelle mie foto in rete. Fu un duro, durissimo colpo.

Ancora ringrazio che gli HIM in Italia siano conosciuti ben poco; in caso contrario un bel mattino, risvegliandomi, avrei probabilmente trovato una schiera di giornalisti fuori dalla mia porta.

Invece ho dovuto convivere soltanto con la curiosità di amici e conoscenti, i quali però, dopo i miei continui e, talvolta, scorbutici silenzi, hanno presto capito che non era il caso di insistere.

A dire il vero mi capita ancora qualche volta di essere fermata nei locali da qualche ragazzina con un heartagram appeso al collo o un tatuaggio in bella vista, che mi domanda, con sguardo trasognato, se abbia davvero conosciuto Ville Valo.

Ma adesso è diverso. Posso anche parlarne. Un poco.

Le ferite, non più fresche, bruciano meno. E la dipendenza da quelle canzoni, che sono state per anni la colonna sonora della mia esistenza, è tornata a farsi sentire.

Quando sono insieme ad Arianna o ad altri amici, riesco anche a cantarle con un sorriso sulle labbra. Per quanto riguarda video e interviste, mi tengo ancora ad una distanza di sicurezza. Ma è più che altro una precauzione: non ho bisogno di foto o filmati per ricordare ogni particolare del suo volto.

Non ho più voluto sapere nulla della sua vita. Mi illudo che sia un capitolo chiuso, che le nostre strade si siano definitivamente divise, che i nostri mondi siano diventati estranei l’uno all’altro. Io sono la fan, lui il mio cantante preferito. Fine della storia.

Dall’alto del suo posticino sopra l’armadio più alto, seminascosta dalla polvere, una grande scatola nera mi ricorda che le cose non stanno esattamente in questo modo. In quella scatola ho sepolto tutti i poster, tutte le maglie, la mia tazza preferita, tutto ciò che avevo della mia vecchia vita, legato agli HIM.

Ma soprattutto in quella scatola sono nascosti tutti i biglietti scritti di suo pugno, quei semplici pezzi di carta, macchiati della sua illeggibile calligrafia, che ho portato con me dalla Finlandia per uno stupido riflesso infantile e masochista, e dei quali non sono ancora riuscita a liberarmi.

Non apro quella scatola da quasi due mesi ormai; la sua presenza è tuttavia costante e talvolta quasi opprimente in quella stanza.

C’è poi un altro piccolo particolare che gioca contro di me e i miei patetici tentativi di auto-convincimento: la rosa che ho tatuata sul mio piede destro, con al centro il simbolo della sua band. La rosa che lui ha disegnato per me, contornata dalle parole di una sua canzone: ‘I’ll be the thorns on every rose, you’ve been sent by hope’

Sollevo la gamba nuda e un sorriso triste si dipinge sulle mie labbra, quasi inconsapevolmente, non appena i miei occhi ormai abituati all’oscurità si posano sul ben noto tatuaggio. Oh, come hai ragione Ville, penso ironicamente: le spine nascoste nell’amore che mi hai offerto non hanno ancora cessato di lacerare la mia carne.

Mi lascio trasportare dall’onda dei ricordi, ripensando a quel giorno. E’ strano pensare a quali scherzi possa giocare la memoria: quando sei davanti ad una cattedra non riesci a riportare alla mente quello stupido articolo tal dei tali nemmeno piangendo in greco, turco o macedone; eppure sei convinta di averlo ripetuto almeno un centinaio di volte la sera prima. E anche mentre intingevi i biscotti nel tuo caffelatte.

Quando si tratta però dei momenti trascorsi insieme a lui, invece, sembra quasi un viaggio nel tempo: ogni particolare, ogni parola, ogni gesto è perfettamente chiaro e limpido. Immutato.

“Adesso ci sarà sempre qualcosa che ti appartiene intimamente a ricordarti di me. Non ne sei spaventata? E se col passare del tempo inizierai ad odiarmi? E se un giorno non vorrai più vedermi? Se dovesse succedere, cosa farai?

“La rosa è passione, nel bene e nel male. Se un giorno le spine diventeranno più forti e feriranno la mia carne, non spegneranno comunque la passione. L’odio è fuoco, e non è poi tanto distante dall’amore. Per quanto potrò mai odiarti o detestarti, sarai sempre una parte importante della mia vita e non ne sarò mai pentita”

Sfiorandomi con le dita la caviglia, seguendo il contorno dello stelo fitto di spine, mi accorgo che in fondo, sebbene abbia deciso di non vederlo più, sebbene mi abbia fatto del male e mi abbia ferito proprio quando avevo abbandonato ogni difesa, non sono mai riuscita ad odiarlo. La passione però, quella continua a pulsare ancora oggi nelle mie vene, quasi fosse la linfa che tiene in vita una rosa che non potrà mai appassire.

Non so se anche questo sia un proverbio, o semplicemente sia una delle mie frasi inventate, ma penso che i ricordi siano come le ciliegie: uno richiama inevitabilmente gli altri, in una catena senza fine. E quando cedi al primo, è la fine.

Ti amo

Perché, anche nel ricordo, quelle parole sono tanto dolci? Così forti e delicate insieme, come la mano di un amante. Così seducenti, così ammalianti, da sembrare vere?

Quando le sue parole tornano a riempire le mie orecchie, non posso fare a meno di chiedermi se la mia scelta sia stata quella giusta e di desiderare di tornare indietro, laggiù dove ho lasciato il mio cuore e dove vorrei essere in ogni momento.

Un altro sospiro fugge dalla mia bocca, mentre sollevo il capo, appoggiandolo contro la mano, per poter sbirciare l’orologio sul mio comodino.

Sono passate da poco le quattro, ma è inutile restare in questo letto; oramai il sonno è andato, non c’è più speranza di ricadere tra le braccia di Morfeo.

Mi alzo lentamente e do uno sguardo alla mia scrivania; cerco di appigliarmi all’unica preoccupazione abbastanza forte da scacciare, almeno momentaneamente, memorie decisamente troppo vivide per essere tollerate: la mia tesina.

Sto per accendere la piccola ab ajoure, e sedermi sulla mia sedia con le rotelle, ma poi ci ripenso: quella stanza ha un effetto troppo psichedelico sui miei nervi scoperti.

Prendo il mio computer e mi dirigo in cucina, facendo il minor rumore possibile. Passando davanti alla sua porta, do un’occhiata nella camera di Arianna: la rossa dorme profondamente, i piedi fuori dal letto, la testa appoggiato contro il materasso, qualche centimetro più sotto del cuscino. La osservo per qualche istante, sollevando un sopracciglio: un giorno o l’altro riuscirò a carpire il suo segreto.

Quando arrivo in cucina e accendo la luce, scopro che c’è una sorpresa ad aspettarmi.

Proprio al centro del tavolo c’è un gigantesco biglietto e accanto un altro meraviglioso acquarello: il disegno è stato copiato da una fotografia scattata lo scorso Settembre sul lago e rappresenta la sottoscritta, come al solito pallidissima, con un costume da bagno nero, un buffo cappello di paglia e un paio di occhiali da sole verde mela, dalle lenti spropositate.

Non riesco a trattenere una piccola risata, mentre ricordo ad alta voce alla mia cucina quanto odi quel cappello. In generale io odio tutti i cappelli.

Sistemo il disegno sulla credenza, in modo che sia ben visibile, e lascio sul tavolo un po’ di spazio per Frankie, il mio portatile.

Mentre aspetto che Frankie, con i suoi tempi, ricarichi i milioni di dati che lo ho costretto ha memorizzare, stringo ancora tra le mani il mio biglietto.

“Buon diciannovesimo compleanno Elisa”

A lonely road, crossed another cold state line
Miles away from those I love purpose hard to find
While I recall all the words you spoke to me
Can't help but wish that I was there
Back where I'd love to be, oh yeah

***

La mia Helsinki è sempre bellissima, di notte come di giorno. E’ l’unica in grado di confortarmi in ogni circostanza, qualunque sia la mia pena.

Ora, decidere se le quattro del mattino di un giorno di fine Giugno, con tutta questa luce, siano da considerarsi notte o giorno, è un altro paio di maniche.

Ma in fondo non mi importa: continuo a camminare, senza compagnia, senza una vera meta, soltanto per il gusto di farlo.

Questo è decisamente il momento che preferisco per errare da solo, perdendomi nei miei pensieri. I pub hanno chiuso da forse un’ora e i negozi non sono ancora aperti. Non c’è nessuno per strada, la città è completamente addormentata e il silenzio culla ogni mio passo, dolcemente.

Arrivo fino alla baia meridionale, vicino al porto: i miei piedi ormai, quasi inconsapevolmente, seguono sempre lo stesso percorso. Scendo lungo la scala di legno e roccia e mi accoccolo sugli scogli, a contemplare il sole che sorge oltre la linea dell’orizzonte.

Sono stato via solo qualche settimana, per due o tre festival in Germania, ma la mia Helsinki mi è mancata tremendamente.

Forse Migè non parla proprio a vanvera quando, prendendomi in giro, mi fa notare che matrimoni tra esseri umani e città non sono ancora stati permessi dalla legge, come il matrimonio tra gay.

Ride tanto, ma sono sicuro che anche lui, ogni volta che partiamo per qualche data all’estero, non desideri alto che tornare a casa.

Soprattutto adesso che ad aspettarlo impaziente c’è Vedrana, la sua nuova compagna. I due stanno insieme da neanche un anno, ma sono una coppia talmente affiatata che sono sicuro che è soltanto questione di tempo prima che Mikko si decida a farle, finalmente, la proposta.

Proprio ieri l’ho beccato mentre teneva troppo a lungo lo sguardo fisso sulla vetrina di una gioielleria: quando gli ho domandato, con un sorriso sardonico, se fosse interessato a qualcosa in particolare, lui è diventato tutto rosso e si è allontanato il più velocemente possibile, borbottando frasi incomprensibili.

E così adesso Migè ha Vedrana, Lindzy ha Manna e la piccola Olivia, che si fa ogni giorno che passa più bella e intelligente, Burton ha Luisa e da pochi mesi anche Heartta, la loro dolcissima figlia.

Persino Gas ha abbandonato il Club degli Scapoli, iniziando ad uscire con una strana ragazza dai capelli color del miele, un sorriso immenso di denti bianchissimi e gli occhi forse un po’ troppo vicini, che rendono il suo viso estremamente buffo, ma allo stesso tempo inguaribilmente simpatico.

“Ora è il tuo turno, Ville!” continuano a ripetere, con ammiccamenti vari ogni volta che, per un motivo o per l’altro, mi ritrovo a parlare con una bella donna.

Ma non ho nessuna intenzione di tradire la mia Helsinki: ho messo una pietra sopra il mondo femminile, definitivamente.

Una volta ero un uomo pieno d’amore e cercavo disperatamente la persona giusta a cui donarlo: ho tentato e ritentato, affidando sempre il mio cuore nelle mani della persona sbagliata, ricevendolo indietro sempre più a pezzi, subendo una delusione dopo l’altra, sentendomi sempre più debole ad ogni pugnalata infertami intenzionalmente o senza volerlo.

Poi, quando finalmente ho trovato la persona giusta, ho rovinato tutto per un errore: sono stato io a spezzare il suo cuore e l’ho perduta per sempre.

Non potrò tornare ad amare altra donna, perché ciò che restava del mio cuore è rimasto con lei. Benché lei non lo sappia, benché lei non abbia voluto ascoltare.

Non ho bisogno di voltare il busto e sollevare il capo per vedere la collina verde che sovrasta la baia, alle mie spalle. Essa è incisa nella mia mente, come anche quella notte di Maggio, più di un anno fa.

Su quella collina, tra gli alberi ancora bagnati di pioggia, è finito tutto.

Se chiudo gli occhi, posso ascoltare distintamente le sue ultime parole e rivedere il suo viso contrito dalla sofferenza, così come quel malinconico e sarcastico sorriso, che mi aveva ferito più di mille lacrime.

“Ciò che c’è stato fra noi è finito. Finito, Ville, capisci? Per sempre”

“ Esprimi un desiderio

Oh sì, io lo espressi il mio desiderio Elisa, ma questo non si è avverato. Quel giorno non ti sei più voltata indietro, te ne sei andata via. Non era certo questo ciò che bramavo.

Da quella sera non l’ho più rivista.

Di certo non mi diedi per vinto: andai alla sua camera d’albergo, il giorno successivo e iniziai a bussare incessantemente alla sua porta, gridando disperatamente il suo nome.

Dopo quelle che mi erano sembrate ore, la porta finalmente si aprì, ma la persona che uscì nel corridoio non era la stessa che stavo aspettando. Arianna, la sua migliore amica, cercò di convincermi in tutti i modi ad andarmene, a lasciarla da sola, dicendomi che se davvero l’amavo come dicevo, dovevo rispettare la sua decisione.

Ho pianto a lungo davanti a quella porta chiusa, non ascoltando la voce della rossa, volendo sentire anche quelle stesse parole così dolorose, ma almeno dalla sua bocca.

Alla fine mi lasciai persuadere e tornai a casa mia. Passai tutta la notte e il giorno seguente appollaiato sulla finestra della mia torre, senza mangiare né bere, fumando non so quanti pacchetti di sigarette e guardando il mare.

La sera infine, capii che non avrei mai potuto mantenere la promessa. Presi la mia giacca e salii su un taxi diretto al Midnight Wish, il locale dove lavorava. Arrivai trafelato a destinazione, per poi scoprire dal proprietario che la mia Elisa si era licenziata il pomeriggio stesso e probabilmente era già in volo verso casa.

Correre all’aeroporto fu tutto in utile: quando arrivai a ?, il suo aereo era già partito.

Quindi era vero? Se ne era andata per sempre, fuggendo da me, risolvendosi di abbandonare la sua nuova vita, i suoi amici, tutto pur di non incrociare più la sua strada con la mia.

Fermo in quell’aeroporto, guardando il tabellone con gli annunci di aerei che non avrei mai preso, compresi di averla persa per sempre e che non era giusto provare a rincorrerla.

I primi tempi furono difficili.

La stampa mi continuava a tormentare, bloccandomi alla prima occasione per estorcermi informazioni sulla misteriosa ragazza.

Era inutile dire anche la verità: se avessi detto che non sapevo più nulla di lei, che lei non ne voleva più sapere nulla di me, di certo non mi avrebbero creduto.

Con il passare dei mesi però, senza più alcuno scoop di cui nutrirsi, alla fine hanno lasciato perdere. Soltanto ogni tanto, quando qualche rivista si trova a corto di informazioni succulente, qualche giornalista riesuma la vecchia notizia, chiedendosi che fine abbia fatto l’oscura meteora ‘dalla pelle pallida e i capelli corvini’.

Per quanto mi riguarda, per molto tempo non ho più rilasciato interviste. Ho costretto la band ha cancellare tutte le date previste, che per fortuna erano davvero poche, non ho più scritto canzoni, ho iniziato ad uscire di casa sempre più raramente, fin quasi a diventare l’ombra di me stesso.

Sono ripiombato in quel circolo vizioso che è l’alcol, dal quale ero riuscito così faticosamente ad uscire nei mesi precedenti, in gran parte grazie a lei, alla voglia di vivere che riusciva a trasmettermi con un solo e semplice sorriso.

Ormai anche la mia salute fisica aveva toccato livelli inammissibili. Mi stavo lasciando andare lentamente, ma non ero sicuro che me ne importasse qualcosa.

Poi, è bastato un piccolo gesto per cambiare tutto.

Una sera, mentre ero ubriaco e completamente fuori di me, lanciai contro il muro il fermaglio a forma di farfalla che un tempo le era appartenuto, uno dei pochissimi ricordi tangibili del suo passaggio nella mia vita. Quando il giorno dopo sono tornato in possesso delle mie facoltà, ho ritrovato il fragile oggetto, distrutto. Ho versato lacrime amare, rendendomi conto dell’uomo che ero diventato, una larva capace soltanto di lasciare sgretolare tutto fra le sue stesse dita, impotente.

Mentre cercavo disperatamente, nel guazzabuglio che era diventato la mia casa, un qualunque mezzo per riparare il fermaglio, ritrovai per caso un foglio sgualcito dal tempo e dall’abbandono.

Sbigottito, riscoprii il testo di quella canzone che avevo scritto per lei, insieme a lei.

E tornai quasi inconsapevolmente a sorridere.

Fu come una lampadina, accesa dal destino o chi per esso.

In quel momento mi resi conto che l’unico modo per sopravvivere sarebbe stato continuare a scrivere canzoni e a cantarle, sempre per lei. Illudendomi forse che un giorno sarebbe tornata da me, grazie a quelle stesse canzoni che l’avevano avvicinata la prima volta.

Lei non è tornata, ma io, almeno, ho ricominciato a vivere nel suo ricordo.

Lentamente, mi sono risollevato dal baratro in cui ero sprofondato e ho ripreso le redini della mia vecchia esistenza. Con qualche miglioramento.

Alla fine ho accettato l’aiuto e i consigli di amici e parenti, e mi sono disintossicato completamente. Sono sobrio esattamente da quattro mesi e diciassette giorni, e sono contento di esserlo.

Ogni tanto, quando mi ritrovo in un pub con i ragazzi, o alle feste dopo i concerti, mi piacerebbe cedere alla tentazione. Ma la memoria del male sopportato è un buon deterrente.

Senza contare che quando sono ubriaco non riesco a ricordare ogni particolare del suo volto, ogni smorfia o l’intonazione della sua voce. Ed è qualcosa che non voglio mai dimenticare.

Ho ripreso in mano anche la mia chitarra e ricominciato a scrivere, mettendo a posto un po’ di idee che frullavano da tempo nella mia testa.

Il nuovo album è pronto: gli altri membri della band ne sono rimasti entusiasti; è forse un po’ più cupo degli altri, ma, come dice Gas, finalmente sembriamo un vero gruppo metal.

Abbiamo completato le registrazioni in tempi brevissimi e abbiamo stabilito il rilascio per Settembre.

Ho in mente tuttavia di presentare qualche brano al Ruisrock, tra due settimane o poco più.

Mentre guardo i riflessi dorati del sole sulle acque tranquille, ripenso a quanto Elisa e tutto ciò che mi ha insegnato abbiano influenzato questo album, anche tralasciando le due canzoni che ho scritto su di lei e rivolgendomi a lei sola.

Scegliere il titolo, per una volta, non è stato affatto complesso: Venus Doom. Per la mia dea, la mia Venere.

Getto un sasso nel mare e mi domando quale mai potrebbe essere il suo giudizio. Oh cosa darei per sapere cosa ne pensa, quale effetto suscitano quelle parole nel suo cuore!

Ma da lei, di certo, non lo potrò mai sapere.

Quando è partita ho provato a lungo a chiamarla, a lasciare messaggi nella sua segreteria, sono arrivato addirittura a mandarle degli sms. Lei non ha mai risposto. Credo che abbia anche cambiato numero adesso.

Sono rimasto in contatto con Arianna e con altri dei loro amici italiani. Ci sentiamo spesso, io e la rossa. E’ lei a raccontarmi come prosegua la loro vita, tra alti e bassi.

Non mi sono perso nulla, nessuna novità, dalla riammissione a scuola con ottimi risultati, all’emancipazione dal padre, i lavori temporanei, il corso avanzato di chitarra, il nuovo appartamento. Ho seguito il suo percorso di riavvicinamento alla nostra musica. Ho gioito insieme ad Arianna quando il sorriso è tornato a risplendere sul suo volto.

Mi ha raccontato un sacco di piccoli avvenimenti ed io, ogni volta, ascolto avidamente, per timore di non cogliere qualche cambiamento. Anche gli eventi che appaiono insignificanti riescono a riempire la mia vita.

Alla fine di ogni conversazione arrivano poi le due domande che ho sempre paura di porle. E’ passato più di un anno da quando Elisa mi ha lasciato, e da allora le risposte sono continuamente le medesime. Eppure, l’angoscia e la speranza non mi abbandonano mai.

Anche ieri pomeriggio, quando ho chiamato Arianna, la nostra scenetta si è ripetuta immutata.

“E’ davvero intrattabile” mi ha confidato in un sospiro “E sta uscendo di testa oltretutto: questa mattina ha iniziato ad urlare in giro per casa che Mussolini doveva ringraziare di essere già morto, perché se avesse potuto mettergli le mani addosso lei non se la sarebbe cavata con una fucilata. Sei fortunato a non essere qui”

Ho riso: ormai sono diventato un vero esperto del primo dopoguerra e di tutte le dittature che sono state instaurate in Europa negli anni ’30. Ho cercato così di dissimulare la tempesta che quella piccola frase aveva scatenato nel mio petto.

Ma Arianna, che non è affatto stupida, ha compreso subito la sua gaffe: “Mi dispiace, io non intendevo…”

“Non ti preoccupare” le ho detto dolcemente, frenando i suoi sensi di colpa “So cosa intendevi”

“Scusami comunque” ha aggiunto, realmente dispiaciuta.

Poi il silenzio è caduto sulla conversazione. Le parole premevano nella mia gola, contro le mie labbra, ma non riuscivo a lasciarle uscire.

La rossa ha atteso ancora qualche istante, poi, abituata, ha risposto con tenerezza alla mia domanda silenziosa.

“No Ville, non c’è nessun’altro”

Non ho potuto fare a meno di sospirare di sollievo, pentendomene subito dopo amaramente. Ciò che desidero più al mondo è che lei sia felice, e se questo significa doverla sapere con un altro ragazzo, sono disposto a sopportarlo. Egoisticamente però, e forse anche presuntuosamente, non so smettere di ripetermi che nessun’altro potrà mai amarla nel modo in cui io la amo.

“Oh” ho bisbigliato, inghiottendo a fatica “E…”

Ancora una volta mi ha anticipato, con un tono, però, più triste: “E no, non ha parlato di te”

“Meglio” ho risposto, non so neanche per quale motivo.

“Scusa Ville, devo riattaccare: è appena arrivato il suo autobus” mi informa, e nella sua voce il timore di essere scoperta.

“Certo vai” mi sono affrettato a replicare “Stalle vicino anche da parte mia. Soprattutto domani”

“Lo farò. Un bacio, Ville”

“Un bacio”

Tiro fuori il portafogli dalla tasca dei jeans e ne estraggo una fotografia un po’ sgualcita: sorrido, mentre i miei occhi si posano sull’immagine scattata in un freddissimo giorno di Maggio, presso una pista sciistica qualche miglia a nord di Helsinki. In primo piano c’è la mia piccola Elisa, stretta nel suo cappotto nero, con un’espressione a metà tra il tenero e l’imbronciato, probabilmente a causa di quel ridicolo cappello che l’avevo costretta ad indossare. Alle sue spalle, con il medesimo berretto e le braccia avvolte intorno alla sua vita, ci sono io. Ricordo distintamente le scene per fare quella fotografia: Elisa continuava a ripetere di non volerla scattare e di essere la persona meno fotogenica della terra.

Scruto il pezzo di carta lucida con occhio critico: a me non sembra proprio, è bellissima, come sempre, o forse mi sembra ancora più bella, perché la vedo lì, tra le mie braccia. Solo mia.

Questa è l’unica fotografia che ho di lei. Certo, ci sono quelle degli articoli di giornale, ma non è la stessa cosa. Quelle foto sono state rubate, e sono state sotto gli occhi di tutti per così tanto tempo che adesso mi sembrano quasi violate.

Vorrei poterla vedere adesso. Vedere se è cambiata o se è sempre la stessa. Vedere se quelle adorabili fossette incorniciano ancora il suo viso ogni volta che sorride. Vedere se i suoi occhi conservano ancora i riflessi violacei di un mare di petrolio.

Ma soprattutto continuo a desiderare che un giorno, anche lontano, lei voglia ascoltare la verità su quella dannata notte che ci ha separato per sempre.

Le ho scritto un mucchio di lettere. Mai spedite naturalmente.

Questa notte le manderò la mia prima lettera. Affidandola alle onde del mio fedele amico, il mare.

Mi alzo in piedi, con in mano la bottiglia di vetro che ho portato con me. Nella bottiglia c’è uno dei tanti messaggi che ho scritto, insieme ad un biglietto.

Prima di scagliarla il più lontano possibile, alzo gli occhi al cielo, e quasi mi pare di scorgere una luce più intensa, oltre le nuvole lontane. Uno spicchio di cielo un po’ più azzurro.

Non sono cresciuto in una famiglia credente e non mai confidato nell’esistenza di un dio.

Ma se mi fossi sbagliato, se tu, Dio, esisti davvero, c’è soltanto una cosa che ti chiedo:

proteggila, e veglia sempre su di lei, al mio posto. Falla sentire sicura e difesa, stretta in un abbraccio, adesso che io sono impotente, adesso che sono così lontano.

Prendo un poco di rincorsa e lancio la bottiglia, guardandola perdersi tra i flutti scuri.

“Happy ninteenth birthday, my sweet wildcat”

There's nothing here for me on this barren road
There's no one here while the city sleeps
and all the shops are closed
Can't help but think of the times I've had with you
Pictures and some memories will have to help me through, oh yeah

Dear God the only thing I ask of you is
to hold her when I'm not around
when I'm much too far away

***

Senza staccare gli occhi dallo schermo di Frankie, porto la tazza alle labbra; mi accorgo però che la mia seconda migliore amica ha deciso di tradirmi: la mia tazza sbeccata, quella di Jack, è completamente e irrimediabilmente vuota.

Sbuffo sonoramente, posandola sul tavolo con un tonfo sordo.

Odio quando succede.

Mi alzo dalla sedia, ripetendo mentalmente i pilastro fondamentali dell’economia dell’Italia neofascista, e mi avvicino al termos. Troppo impegnata a snocciolare senza tregua date ed eventi, non mi rendo conto che la caraffa è fin troppo leggera.

Quasi mi escono gli occhi dalle orbite quando, tentando di versare il magico liquido nero, mi ritrovo a capovolgere il recipiente a testa in giù, senza che ne esca una sola, misera goccia.

Il mio Caffè dello Studente è esaurito. Finito. Caput.

Guardo Frankie e i sogni di gloria del regime fascista decadono in un colpo solo. No coffee, no party.

Il sole è ormai sorto da un pezzo oltre i tetti delle case e filtra indisturbato nella stanza attraverso la finestra aperta: posso chiudere la mia sessione notturna di studio senza rimpianti e cominciare una nuova giornata con una bella tazza di caffèlatte.

Sì, sono decisamente diventata una caffeina-dipendente: già mi piaceva prima, adesso che ho iniziato anche a studiare seriamente non posso più farne a meno. In compenso è da un sacco di tempo che non tocco più una goccia d’alcol.

A giudicare dai rumori che fa il mio stomaco, anche ad un bel piatto di biscotti integrali non direi di no.

Esco qualche istante sul terrazzo, per prendere una boccata d’aria e salutare le mie piante – o meglio, le piante di Arianna -.

Dopo essermi assicurata una decina di volte di aver salvato le modifiche fatte al file della tesina, do la buonanotte a Frankie e spengo anche l’mp3, che nelle ultime quattro ore non ha fatto altro che ripropormi il cd di The poison a ripetizione. Per qualche strano meccanismo chimico del mio cervello, Bullet For My Valentine ed Economia vanno d’accordo alla perfezione. Un po’ come Storia e Sonata Arctica. Se qualcuno volesse chiedermene un giorno la spiegazione, non saprei proprio cosa dire.

Io e la musica abbiamo uno strano, stranissimo rapporto. Penso che sia molto più di una droga per me. Non potrei vivere senza.

La musica è stata per anni il mio unico porto sicuro, in una realtà che non riuscivo a sopportare. Grazie alla musica ho conosciuto le persone più importanti della mia vita.

La musica mi ha aiutato a tirare avanti, in ogni momento.

E adesso ho scoperto che, a seconda dei gruppi che ascolto, anche le mie abilità di studio possono essere notevolmente migliorate. Cosa posso chiedere di più?

Per quanto riguarda le canzoni, ho anche qualche mania un po’ ossessiva e preoccupante, nonché scomoda per gli individui che mi stanno intorno: mi capita spesso infatti che una sola canzone diventi il mio chiodo fisso per giorni interi, talvolta anche per una settimana e forse più. E per tutto il tempo non faccio altro che canticchiare e ascoltare quella canzone, o a scribacchiarne il testo su ogni superficie piana disponibile. Proprio quando le altre persone stanno per perdere la testa e ricercano esasperate il numero di una clinica psichiatrica nell’elenco delle pagine bianche, ecco che, puff, l’ossessione sparisce. E la canzone finisce, insieme alle altre, sulla mia playlist chilometrica. Mantenendo comunque un posto speciale nel mio cuore.

Questa volta, però, ho superato me stessa.

Mentre aspetto che il pentolino del latte si scaldi, non prima di essermi assicurata che la porta della camera di Arianna sia ben chiusa, faccio partire lo stereo, play e subito dopo repeat. Traccia numero 10.

Il cd è sempre lo stesso da un mese, non c’è pericolo di sbagliare. Da quando Arianna mi ha portato a casa l’ultimo cd degli Avenged Sevenfold, il mio amore per la band californiana è cresciuto a dismisura. Ho imparato in neanche una settimana tutti i testi, ho anche tentato di emulare Synister Gates con la mia chitarra. Tralasciando i miei risultati discutibili, ‘Avenged Sevenfold’ è diventato un interessante diversivo per staccare dalle ore di studio.

Poi, un mattino, è scattata la scintilla. E’ esattamente da diciannove giorni e forse un’ora che, appena sono da sola, le note di Dear God invadono le mie orecchie, la mia testa e il mio cuore.

Cullando dolcemente la testa e battendo a terra il piede, a tempo con la musica, verso il latte nella tazza e, recuperati il sacchetto di biscotti dalla credenza, mi lascio cadere mollemente sulla sedia.

Giro svogliatamente il cucchiaino, avanti e indietro, ma ormai ho perso la cognizione di ogni mio gesto, troppo immersa ad ascoltare con attenzione le parole, once again.

We all need the person who can be true to you
I left her when I found her
And now I wish I'd stayed

Ritrovare in una canzone il riflesso della tua vita è una delle esperienze più catartiche che abbia mai provato. Per questo, ogni volta che mi imbatto in una canzone di questo genere, non riesco a smettere di ascoltarla.

E’ un modo, forse un po’ infantile, per affrontare il problema da un'altra angolatura.

Se qualcuno ascoltasse tutte le bugie che ho rifilato ai miei amici e alla parte più razionale di me stessa, potrebbe pensare che questa canzone abbia ben poco a che fare con la mia vita.

Ma forse nessuno è tanto stolto da lasciarsi ingannare.

Ho paura. Ho una paura tremenda di aver trovato l’unica persona giusta per me e di essermela lasciata sfuggire, come sabbia tra le dita.

Voler cambiare il passato è un desiderio inutile, quanto doloroso. I rimpianti non servono a nulla, se non ha rovinare il presente.

Senza quasi accorgermene, ho abbandonato il cucchiaino nella tazza, mentre quelle frasi tanto vere si sono fatte strada dal mio cuore alle mie labbra.

Some search, never finding a way
Before long, they waste away”

Il grande amore si ritrova sulle pagine dei libri, ma nella vita reale non è altrettanto semplice: c’è chi, cinico, si convince che non esista proprio, per mettersi l’anima in pace. C’è chi invece, inguaribile romantico, continua la sua ricerca senza mai darsi per vinto.

Ma la maggior parte delle ricerche non porta ad alcun risultato, se non a qualche falsa pista: prima ancora che un sentimento sincero possa nascere, tutto è finito.

“I found you, something told me to stay
I gave in, to selfish ways”

Prima ancora che potessi rendermene conto, il destino ha tracciato la mia strada. Mi sono innamorata. Innamorata davvero. E in qualche modo ho sentito che la mia ricerca era finita.

Quando mi ha spezzato il cuore, sono fuggita via, coprendo con il pianto e mille ragioni quella voce che mi gridava di restare.

Nonostante i suoi tentativi di parlarmi e spiegarmi cosa fosse successo, non ho mai voluto ascoltare. Mi sono convinta di non averne bisogno. Orgogliosa, ero convinta di sapere tutto.

Egoista, ho scelto la soluzione più facile. E ho rinunciato.


“And how I miss someone to hold
when hope begins to fade...”



Quando alzo gli occhi umidi dalla mia tazza, mi accorgo che una silenziosa spettatrice mi osserva concentrata, dal muro opposto. Un’espressione piena di tristezza e comprensione deforma i tratti dolci del suo viso.

Sussulto e, portando rapidamente una mano agli occhi per controllare che le lacrime non abbiano trovato una via di fuga, le regalo il mio miglior sorriso di scuse.

“Mi dispiace, non volevo svegliarti”

“Non è stata colpa tua” mi rassicura, facendo qualche passo nella stanza, fino a raggiungermi. Mi accarezza piano i capelli, prendendo un biscotto con l’altra mano “Mi sono svegliata da sola”

Decido di crederle e do un po’ di tregua ai sensi di colpa, già tirati troppo spesso in ballo.

“Ancora questa canzone?” domanda con un finto broncio esasperato.

Alzo le spalle, mentre lei prende posto sulla sua sedia, alla mia destra.

“Quando mai ti ho portato quel cd” sospira, alzando gli occhi al cielo, prima di frugare nuovamente nel sacchetto dei biscotti.

“Sai benissimo che non sarebbe cambiato nulla: la canzone avrebbe trovato un altro modo per trovarmi e…Hey!” esclamo arrabbiata, tirando uno schiaffo contro il palmo della sua mano, mentre la mia amica intinge il biscotto nel mio caffelatte “Giù le mani”

Con aria di sfida, Arianna mette in bocca il frollino inzuppato. Ci fissiamo in cagnesco per un istante o due; poi scoppiamo entrambe a ridere come due sciocche.

Lei però ritorna subito seria: “Eli…”

Scuoto energicamente la testa, cercando di non badare al groppo alla gola che mi ha appena colto: “No, non c’è bisogno di parlarne”

“Sei sicura? Lo sai che io…”

La guardo dritta negli occhi per qualche istante, sperando che il mio sguardo sia meno tremulo e più convincente della mia voce: “Lo so. Ma non ce n’è bisogno.”

Voglio ancora illudermi che chi mi sta intorno non possa guardare oltre la ragnatela di bugie che mi avvolge: parlarne anche solo con la mia migliore amica distruggerebbe l’incantesimo.

Ancora una volta Arianna sceglie di non insistere: annuisce lentamente e poi mi abbraccia, stringendomi forte: “Buon compleanno tesoro” esclama esaltata.

Quando rincontro i suoi occhi, malinconia e preoccupazione sembrano scomparsi.

Accolgo di buon grado il mutamento repentino e mi lascio sopraffare dalla sua allegria.

Piano piano, tutto ritorna alla normalità e i miei dubbi finiscono nuovamente sepolti sotto un velo di menzogne ben costruite.

Non posso tornare indietro. Quel che fatto è fatto.

Di certo non rinnegherò il passato: questa storia mi ha fatto crescere, maturare, mi ha reso la donna che sono oggi. E di questo sarò grata per sempre.

Ma è illudersi è inutile.

Sono più forte.

Forse.

'Cause I'm lonely and I'm tired
I'm missing you again

Oh no,
Once again
¹

Note:

¹ ‘Dear God’, Avenged Sevenfold

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Ed eccomi qui, come promesso!

Naturalmente non potevo lasciare i miei due personaggi preferiti in pace per molto tempo xD

Spero che continuiate a seguire anche il seguito! Fatemi sapere cosa ne pensate! Personalmente questo capitolo mi piace tanto (uno dei pochi che mi piace anzi xD), forse per la canzone che l’ha ispirato che è stata la colonna sonora della mia estate.

Aspetto fiduciosa i commentini! Soprattutto delle mie lettrici preferite!

Buona befana in ritardo!xD

Baci

FallenAngel aka Mossi

  
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