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Autore: Vegethia    02/06/2015    3 recensioni
(In occasione del compleanno di Rob Lucci)
Lucci ritiene che gli unici giorni da festeggiare siano quelli in cui si combina qualcosa di buono nella vita, quelli in cui si raggiunge un traguardo, un successo personale. Kaku, che da quando era solo un bambino ammira e rispetta il suo leader più di chiunque altro, non è dello stesso avviso.
[Lucci/Kaku]
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cipher Pool 9, Kaku, Rob Lucci
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno importante


Il Governo Mondiale non ammetteva vizi lungo l'aspro sentiero di chi era destinato a diventare più forte della Giustizia stessa.
Era un percorso difficile ed ostile, fatto di sacrificio mentale prima che fisico; un tragitto impietoso ma necessario ad instillare nei suoi giovanissimi agenti i semi dell'obbedienza, del cinismo, della determinazione.
Per questo, al Cipher Pol n.9 non permettevano ai bambini di coltivare alcun genere di hobby che li distraesse dai loro doveri. L'addestramento e l'apprendimento delle Rokushiki erano le Priorità, nonché l'unico motivo per cui quei piccoli marmocchi dimenticati dalla società e nascosti agli occhi del mondo venissero sfamati e allevati sull'isola.
Ma in tutto il Vecchio ed il Nuovo Mondo, ogni bambino amava giocare e coltivare interessi: per quanto duramente istruiti e rigidamente addestrati, i bambini del futuro CP9 non facevano eccezione.
Se si passava in rassegna l'isola nelle ore immediatamente successive ai pasti, in quelle che precedevano il sonno della sera o gli allenamenti del mattino, si poteva sorprendere Califa a sfogliare libri e agende; Blueno scagliare una roccia, un frutto od un qualsiasi oggetto di fortuna con una mazza da Baseball; Jabura guardare ragazzine conosciute per altre terre in foto (nascoste con cura sotto un asse del pavimento nella sua camera); Fukuro e Kumadori comporre filastrocche in rima e poesie, per recitarle in una tediosa ed oltremodo delirante cantilena.
Se si osservava con più attenzione tra il selvaggio boschetto tropicale, si riusciva perfino a scorgere Lucci passeggiare con Hattori, un piccolo colombo bianco che da quando aveva raccolto da un nido abbandonato non lasciava mai la sua spalla.
E lungo la battigia, con un immancabile berretto di tela a ripararlo dal sole cocente, Kaku, il più piccolo dei sette; costruiva modellini di navi da collaudare nelle acque basse prima che Jabura potesse trovarli e distruggerli. Questo, fin quando non annunciò di voler impiegare il suo tempo libero a guadagnare qualche soldo, fermandosi nelle cucine dell'unico grande e vivibile edificio dell'isola ad aiutare i pochi inservienti presenti.
Non passava giorno che non venisse schernito per quella decisione: cosa se ne faceva un poppante dei soldi, se non poteva andare oltre i confini di quell'atollo deserto che contava appena una decina di anime e nessun esercizio commerciale?
Kaku aveva le sue ragioni, ma non poteva rivelarle. Non prima di qualche mese, almeno.
Perché c'erano due cose che la giovanissima recluta del Governo amava più dei modellini navali, e per cui il suo interesse non sarebbe mai scemato negli anni. La prima erano i cappelli, naturalmente: da quando aveva memoria, ne aveva sempre indossato uno prima di uscire dalle sue stanze, rifiutando di toglierlo persino durante gli allenamenti.
La seconda, e più importante, era la persona che godeva di tutta la sua stima e ammirazione: Rob Lucci. Quel ragazzino di undici anni, taciturno e talentuoso, che se ne andava in giro con l'inseparabile Hattori. Lucci che non aveva paura di niente e nessuno. Lucci che era l'unico in grado di tenere testa a Jabura nella lotta, avendo ben sette anni in meno. Lucci che aveva imparato le Rokushiki prima degli altri e che non lo prendeva mai in giro per il suo naso buffo. Lucci... che, a differenza sua, amava la notte e odiava la luce troppo intensa.
Da quell'ultima constatazione era nata l'idea del regalo. Kaku ci aveva pensato con largo anticipo, affinché potesse permettersi di pagarlo coi suoi ristretti guadagni mensili ed assicurarsi di scegliere l'oggetto giusto.
Così, a distanza di cinque lunghi mesi durante i quali aveva sacrificato le ore destinate allo svago, in una fresca giornata di fine Aprile che annunciava pioggia, il bambino si trovò al punto cruciale del suo progetto.
«È tutto quello che ho, ma dovrebbe bastare» riferì ad un quattordicenne Blueno, un ragazzone di costituzione robusta, con petto ampio e altezza sopra la media.
Stava per partire in missione su un'isola del Mare Orientale, dove il Governo lo spediva a sedare i disordini generati da una guerra civile. Quale occasione migliore per commissionare il suo acquisto?
«D'accordo» fece Blueno, infilandosi le banconote dentro uno dei taschini interni della giacca. Erano avvolte in un foglio con annotazioni scritte a mano, che lui avrebbe semplicemente dovuto consegnare al punto vendita Doskoi Panda, un franchising di abbigliamento e accessori molto rinomato.
«Tornerai in tempo?»
Blueno gli rivolse un'occhiata annoiata, in cui Kaku scovò un filo d'esasperazione. «Manca più di un mese, Kaku.»
«Lo so, ma è importante! Ed io non posso uscire dall'isola...»
Abbassò lo sguardo. Come detestava essere piccolo, in quei momenti!
Il ragazzo dalla chioma taurina sembrò captare il suo dispiacere. Non che ci volesse molto: Kaku era il più giovane tra le reclute e aveva un carattere sensibile per natura; lo si leggeva come un libro aperto. Un modo d'essere che avrebbe imparato a modificare (non ad eradicare del tutto), crescendo.
«Tornerò in tempo, non preoccuparti.» Gli diede le spalle e salì sulla rampa che conduceva alla nave pronta all'imbarco.
Ma come Kaku lo vide a metà tragitto, rialzando il nasino quadrato, si sentì assalire da un dubbio troppo impellente perché potesse tenerselo dentro.
«Blueno!» gridò. «Credi che gli piacerà?»
Blueno si voltò appena, osservandolo con la coda degli occhi. Sembrò soppesare la domanda per non più di un secondo, poi il suo viso da acerbo adolescente si addolcì.
«Nessuno lo conosce meglio di te.»

Giugno arrivò, portandosi via il freddo residuo di Aprile e gli sporadici ma intensi acquazzoni di Maggio. Il giorno cerchiato in rosso sul calendario di Kaku giunse poco dopo, al secondo dì del mese, sbocciando in cielo con un'alba nitidissima e splendente.
L'attesa aveva fomentato l'animo del bambino per un periodo così lungo che gli aveva reso impossibile dormire nelle ultime notti e che gli era costata, appena due giorni prima, l'ennesima frattura delle dita mentre si esercitava con lo Shigan.
Solo vedere Lucci serio ed ermetico nella sua cameretta aveva leggermente placato l'entusiasmo. Gli metteva sempre una certa soggezione rimanere a tu per tu con lui, ma adesso, mentre stringeva tra le mani il pacco regalo che gli aveva consegnato, si sentiva il cuore in tumulto, come un tamburo in preludio di un triplo salto mortale.
La confezione era molto semplice -una scatola rigida e bianca con coperchio dello stesso colore, chiusa da un nastro blu lucido- però di dimensioni vistose. Quando Blueno gliel'aveva portata dalla Mirrorball Island, Kaku s'era dato un bel daffare per nasconderla agli occhi di tutti gli altri, specialmente da Fukuro, che proprio non era capace di mantenere un segreto, e da Jabura che, non sapeva come, ma avrebbe di certo trovato il modo di rovinargli i piani.
«Allora... lo apro?» chiese Lucci, spezzando finalmente il silenzio denso di perplessità in cui si era chiuso dopo gli auguri del bambino.
Kaku gli aveva chiesto di passare dalla sua stanza prima del solito addestramento e lui si era immaginato di tutto -chiarimenti sull'esecuzione dello Shigan? La confessione dell'ultimo atto di bullismo ricevuto da Jabura? Fukuro che canticchiava sfottò sul suo naso? (Senza notare che, per Dio, aveva una cerniera al posto della bocca!)- ma non certo quello.
Il piccolo annuì contento. «Sì! Aprilo!»
Lucci obbedì senza altre domande e dall'incarto tirò fuori un cappello. Era un cilindro di feltro a tesa larga, completamente nero, eccetto che per la fascia attorno alla cupola, rosso scuro. Sembrava fatto su misura, perché la testa di un adulto non avrebbe potuto calzarlo.
«Ho pensato che tu non ce lo avevi, un cappello!» esclamò Kaku. «Questo modello lo portano anche alcuni nobili mondiali, lo sapevi?»
Lucci quasi non ascoltò. Il suo primo pensiero fu che Kaku doveva aver preso in prestito, o peggio rubato dei soldi a qualcuno (cosa per cui l'avrebbe punito). Ma il secondo pensiero gli disse che non era possibile, non era da lui; ricordò allora che da diversi mesi il bambino si fermava a pulire le cucine per mettere qualche di Berry da parte. Dunque aveva probabilmente speso gran parte dei suoi soldi per... un regalo. Per lui.
«Perché?»
«È il tuo compleanno» si accigliò il bambino. Non era forse la cosa più naturale del mondo?
Non per Lucci, evidentemente, che inclinò la testa da un lato senza mutare la sua imperturbabile espressione. «E allora?»
Kaku deglutì, nervoso. Non capiva cosa stesse sbagliando.
Gli era successo altre volte, di capire le parole di Lucci ma allo stesso tempo di non intenderlo affatto. Ma gli piaceva anche questo, di Rob: era come uno di quei libri scritti con parole difficili, che andavano tradotte ed interpretate per essere lette, ma che una volta comprese ti lasciavano un senso di meraviglia per la profondità del significato.
Il fiore all'occhiello dei futuri killer del Governo Mondiale tirò un sospiro d'impazienza, piegando le ginocchia e abbassandosi all'altezza del bambino per parlargli faccia a faccia.
«Kaku, non ha alcuna importanza in che giorno uno nasce. Ogni giorno nascono migliaia di bambini, tutti uguali. Ciò che cambia è cosa faranno nella vita, che persone diventeranno...» 
Fece una pausa, cercando le parole più semplici e dirette per arrivare al nodo della questione, proprio come gli avevano insegnato gli educatori. «I giorni che meritano di essere festeggiati sono solo quelli importanti. Quelli in cui raggiungiamo un traguardo. Come quando portiamo a termine una missione per il Governo... o quando impariamo una delle Sei Arti.»
Lucci gli indicò con un cenno il cilindro. «Non ha senso farmi un regalo. Il semplice fatto che io sia nato in questo giorno, non rende questo giorno importante.»
Kaku abbassò il viso, i riccioli biondo rame a nascondergli un sentore di dispiacere negli occhi, ricadendo morbidi sulla sua fronte.
«Non è vero.» Mormorò. «Tu non sei uguale a tutti gli altri.»
Lucci inarcò leggermente un sopracciglio, seccato. Tanta pena per nulla. Aveva recepito solo la prima frase del suo discorso?
Scosse la testa. «Non è questo il punto...»
«Non è vero quello che hai detto!» protestò imperterrito Kaku scuotendo il capo a sua volta, ma con più foga. «Io non sono come Lucci. Lucci non è come Blueno, Kumadori, Fukuro, Califa e, non è affatto, come Jabura!»
Aveva cominciato a parlare come se dovesse essere lui, il moccioso di otto anni, a spiegargli una cosa elementare. Questo sarebbe stato sufficiente a spazientire Lucci, se le parole fossero uscite dalla bocca di una qualsiasi delle persone menzionate dal bambino. Ma con Kaku la storia era un po' diversa; quando si trattava di lui, la sua soglia di sopportazione aumentava senza che nemmeno se ne accorgesse.
«Lucci è diverso, e questo è speciale.» Ribadì accorata la voce di Kaku, trovando per la prima volta il coraggio non solo di andare in disaccordo col suo modello, ma di farlo guardandolo negli occhi, con un'inedita testardaggine.
«Perciò se il due di Giugno è nato Lucci, il due Giugno è un giorno importante!»
L'espressione del festeggiato rimase attonita e statica. Nessuna luce nei suoi occhi dorati, che sembravano neri come gli abissi se non li si guardava da vicino.
Lucci pensò che essere piccoli era davvero una cosa patetica, quasi penosa. Non si aveva il senso della realtà e nemmeno di quel che si diceva: come Kaku, adesso. Una giovane promessa del CP9, certamente più forte e maturo rispetto a qualunque altro bambino della sua età, ma ugualmente sciocco e stupidotto nella sua ostinazione.
«Come credi.» Si limitò a rispondere.
Prese atto che convincerlo era impossibile, e non aveva intenzione di picchiarlo per costringerlo a ragionare come faceva con Jabura (ma Jabura non era piccolo, era solo un grande scemo). Gli posò una mano sulla testa e scompigliò appena le sue ciocche color miele che coprendogli quegli occhi grandi, azzurri come le acque più cristalline dell'oceano, gli conferivano un aspetto infantile ed innocente. Persino più marcato che in Califa, pressappoco della sua stessa età.
«Un giorno cambierai idea, Kaku.»
Le labbra di Kaku s'incrinarono in un broncio. Osservò a testa bassa Lucci che se ne andava, il cilindro che gli aveva regalato stretto al fianco, trasportato con noncuranza.
Pensò che aveva sbagliato tutto. Forse, se avesse scelto un regalo migliore, l'altro non l'avrebbe ripreso e non sarebbe mai sorta quella discussione.
Poi però il ragazzo raggiunse la porta ed il rumore del pomello che girava non lo seguì. Kaku sollevò timidamente il volto e vide che Lucci si era fermato davanti al solo specchio presente nella sua stanza, affisso al centro e per tutta la lunghezza dell'anta di legno, a scrutare il proprio riflesso... col cilindro indosso.
Gli occhi di Kaku si fecero più grandi, riempiti di colpo da un fulgore di speranza. Lucci li intercettò, rivolgendogli le ultime parole di quella mattina:
«Comunque... hai scelto bene. Mi piace.»
Il viso del bambino s'illuminò. Di più; s'infiammò di una gioia incontenibile, sbocciando in un sorriso così ampio da far apparire i contorni geometrici del naso tanto piccoli al centro di un visetto da fanciullo ancora puro, inviolato dall'impronta nera del Governo Mondiale.
Irradiava felicità al solo guardarlo. E per quello che fu un attimo, ma che durò molto di più nella sua mente, Lucci lo avvertì spezzare le sue difese.
Gli sfiorò il cuore, come una corda di violino suonata dall'arco giusto, guidata dalla mano giusta, levando una nota maledettamente giusta. Aveva avuto per la prima volta l'impressione, che gli negli anni si sarebbe trasformata in certezza, che Kaku l'avesse toccato in un modo così intimo e profondo da lasciare un'impronta indelebile in lui. Nell'unico modo che nessuno sarebbe mai riuscito ad imitare.


***** 


Sedici anni e quindici ore dopo quella mattina, in un'isola assai più vasta e lontana da quella in cui aveva trascorso i suoi primi anni di vita e parte della sua adolescenza, Rob Lucci rincasò.
Era finita un'altra opprimente ed improduttiva giornata lavorativa al Dock Uno della Galley-La, e non certo perché mancasse da saldare ed inchiodare assi navali nel suo reparto (di quelle ce n'erano sempre a bizzeffe). No, era il suo vero lavoro a non dare risultati.
Nessun risvolto sui progetti di Pluton, né su dove Iceburg li nascondesse, solo false piste ed un mucchio di congetture improbabili.
E dopo quattro anni, lui era ancora lì. A fare il galoppino e il dipendente per quella vecchia volpe. A costruire navi ed imbarcazioni spesso destinate a feccia piratesca. A sorbirsi la demenza di Pauly e compagni.
Chiuse la porta alle sue spalle, spingendola col solo peso del corpo.
Odiava quel posto e odiava quella dannatissima metropoli dell'acqua. Il fatto di possedere il Neko Neko no Mi era solo uno dei tanti motivi.
Accese la luce e sentì Hattori volar via dalla sua spalla, come di consueto, per andarsi ad appollaiare sulla spalliera della poltrona. Il suo era un appartamento nuovo ma modesto, una sessantina di metri quadrati o poco più, in una zona rispettabile di Water Seven. In confronto alle stanze riservategli dal Cipher Pol risultava misero, ma era ciò che poteva permettersi con lo stipendio da carpentiere, e in fin dei conti Lucci aveva passato notti in posti ben peggiori.
Fece per muovere un passo ma notò qualcosa di strano: Hattori che deviava dalla poltrona e si posava sul bastone della tenda in cima alla finestra; la porta che dava sul corridoio aperta, come non l'aveva lasciata al mattino. C'era qualcuno.
Avvertì dei passi e dal buio oltre la soglia distinse un viso familiare.
«Ti aspettavo, Lucci.»
Kaku si palesò tenendo le braccia dietro la schiena, simile ad un soldato sull'attenti.
Lucci gli rivolse uno sguardo inespressivo. Non era sorpreso di vederlo, del resto era l'unico, assieme a Califa, ad avere le chiavi del suo alloggio da usare in caso di emergenze (Blueno, ovviamente, non ne aveva bisogno).
Raggiunse la poltrona e si mise a sedere, sperando in una svolta nelle indagini. «Perché sei qui?»
Kaku avanzò con aria seria fin quando non lo ebbe di fronte. Lucci sembrava stanco, ma conoscendolo si augurava che avesse scoperto qualcosa riguardo a quel Cutty Flam che cercavano, o magari circa il loro personalissimo Santo Graal, i progetti di Pluton.
«Nessuna novità sulla missione» gli anticipò.«Sono qui per un altro motivo.»
Lucci non fece in tempo a chiedere chiarimenti che si ritrovò la risposta davanti: stretto tra le braccia di Kaku, un cesto con tre regali dentro.
«Oggi sono ventisette, giusto?» Il ragazzo si lasciò andare in un sorriso: «Tanti auguri!»
Due occhi d'oro, incastonati tra i tratti severi del volto, sussultarono appena.
Per qualche secondo il leader del CP9 non trovò modo di replicare, preso alla sprovvista ancora nello stesso giorno e ancora dalle stesse parole. D'altra parte, aveva imparato a non dare importanza a ricorrenze come quelle in età talmente precoce che era ormai impensabile chiedere alla sua memoria un simile sforzo.
«Oh, è per questo...» commentò infine con una punta di stizza, poggiando insofferente le spalle sullo schienale. «Non ricordo di averti autorizzato ad entrare per questo
E Kaku interpretò la sua espressione con un inequivocabile: Credevo che questa ridicola fissa ti fosse passata.
«Lo so, scusa.» Ma non si sentiva colpevole neanche un po'.
Posò il cesto sul tavolino di fronte alle ginocchia dell'altro e gli porse il primo regalo: un pacchetto rettangolare e sottile, chiuso da un fiocco argentato. Lucci, con aria poco interessata, contornata in compenso da una notevole riluttanza, sciolse il nodo che teneva chiuse le due parti dell'astuccio, rivelando una cravatta grigio perla. Un colore che spiccava molto sul completo nero del Governo Mondiale.
«Sai chi la manda?»
Ci dovette pensare solo un secondo o due. Nessuno dei suoi (finti) colleghi della Galley-La avrebbe mai pensato di regalargli un accessorio così apparentemente inusuale per lui, eccetto chi sapeva che ad essere inusuale era proprio la tenuta da carpentiere.
«Califa.»
L'altro annuì con un sorriso.
Ero indecisa sul colore. Spero che non lo trovi molesto, gli aveva detto la bionda sistemandosi gli occhiali sul naso quel pomeriggio, e Kaku, vedendo per la prima volta la stoffa uscire dalla scatola, si chiedeva cosa potesse mai esserci di molesto in una tonalità talmente neutra (ma soprattutto, che cosa al mondo non trovasse molesto la sua collega).
Il secondo regalo era una bottiglia di liquore, più precisamente di scotch whisky, con una semplice coccarda rossa applicata sul collo di vetro ambrato.
«Blueno.» Indovinò Lucci, senza nemmeno doverci riflettere.
Da quando si erano infiltrati a Water Seven faceva il barista in un'osteria dove, di tanto in tanto, Lucci, Kaku, Pauly e gli altri carpentieri del Dock Uno passavano a consumare qualche stuzzichino o un paio di boccali di birra. Ma Lucci aveva sempre preferito il sapore pungente e aromatico dello scotch, ragion per cui Blueno era diventato il suo fornitore di fiducia; sapeva addirittura quali varietà di produzione prediligeva e, stando all'etichetta, quella che gli aveva destinato era tra le sue preferite, oltre che più ricercate.
Spero non voglia darlo anche al piccione... Ma non dirglielo, questo. Kaku sorrise solo dentro di sé, stavolta. Era più probabile che Lucci cominciasse a fare le fusa piuttosto che smettesse di condividere qualcosa con Hattori, il suo piccolo assistente alato.
«E per esclusione, questo è il mio», concluse passandogli l'ultima scatola, la più grande del cesto. «Di sicuro anche gli altri ti avrebbero mandato gli auguri, se non fossimo sotto copertura...»
Per fortuna lo siamo, allora, pensò seccamente Lucci. L'ultima volta che il resto del CP9 aveva tentato di festeggiarlo, diversi anni prima, era finita a scazzottate con Jabura, col capo che si ustionava sulle candele della torta e Fukuro e Kumadori che tentavano di spegnergli la faccia lanciandogli addosso del sakè e spaccandogli in testa una bottiglia d'acqua, rispettivamente. Risultato? Un mese di straordinari non retribuiti per tutti e quattro, e Spandam che vomitava ingiurie fino a notte fonda: la peggiore festa di sempre. Anche se Kaku, Blueno e Califa, dietro una maschera di fasullissimo contegno, avevano riso di gusto.
Con una lieve smorfia a seppellire il compleanno passato, Lucci tornò a quello presente, rigirandosi tra le mani l'ultimo regalo su cui campeggiava il marchio Criminal. La firma era diversa, ma le sue dimensioni e la forma sapevano già di déjà vu. E infatti, ne estrasse un cilindro nero, stavolta con fascia e rivestimento interno di seta bianca.

«Ho pensato che tu non ce lo avevi, un cappello!»

Di nuovo, aveva ragione.
L'ultimo cilindro di Kaku l'aveva perso sette o otto anni prima in missione, quando già da due gli andava stretto. Questo nuovo cappello sembrava indubbiamente più pregiato, ma comunque abbastanza simile a quello che gli aveva regalato la prima volta, al tempo in cui lui le prendeva ancora da Jabura e Kaku a stento gli arrivava alla vita. Sembravano trascorsi secoli.
Kaku studiò in silenzio la reazione dell'uomo, criptica e statica come di regola. Ma lui ci aveva fatto il callo e aveva i suoi personali stratagemmi per interpretarla: aveva imparato che le emozioni balenavano per pochi istanti negli occhi di Lucci, come un lampo impercettibile a sguardi estranei. Se solo avesse alzato il viso un po' di più, lui le avrebbe colte; ma quando lo fece era già troppo tardi.
«Tutto qui?»
Kaku restò attonito. Prima per la domanda, poi perché si sentì un idiota a non aver intuito il fine dell'altro.
In un guizzo degno di un felino, Lucci gli afferrò il bavero della felpa e lo tirò a sé, costringendolo a piegarsi e premendo le labbra contro le sue.
Il bacio fu tanto improvviso e inaspettato che Kaku si sentì le guance avvampare. Capitava sempre più raramente che Lucci gli dedicasse quel tipo di attenzioni e nella maggior parte dei casi duravano un nonnulla: il tempo di una pausa caffè dentro il ventre buio di una nave da rifinire, o di un saluto notturno nel vicolo dietro al bar di Blueno, dopo l'ennesima bevuta con gli altri.
Solo in casi rari Lucci si fermava a casa sua, o lui da Lucci.
Avvertì la lingua del leader sfiorargli le labbra. Chiuse gli occhi e lasciò che le oltrepassasse, mentre osava cercare un contatto più intimo con lui, intrecciandogli le dita tra i capelli, facendo presa sulla sua nuca per aumentare la pressione su quella bocca, tutt'altro che muta e gelida come l'intera Water Seven pensava. Sentì il suo cuore prendere la rincorsa e, a giudicare dalla bramosia nei gesti di Lucci, capì che non era il solo.
Quando si staccarono per riprendere fiato la presa sulla felpa cessò, ma non lo sguardo del compagno su di lui.
«Spegni la luce.»
Era uno di quei rari e fortunati casi, dunque. 
Kaku non se lo fece ripetere.
Lucci lo guardò allontanarsi verso l'interruttore e calarsi il berretto sulla fronte. Felice.
Non l'aveva visto in faccia e anche se l'avesse fatto forse non vi avrebbe scovato alcun mutamento, ma lui lo sapeva perché lo conosceva. Non come le persone comuni dicevano di conoscersi dopo un paio d'anni, no. Tutte stronzate, quelle. Pauly conosceva lui, Kaku, Califa e Blueno da quattro anni e non aveva la più pallida idea di chi aveva di fronte.
Lucci conosceva Kaku dalla quasi totalità dei suoi ventidue anni e da almeno la metà condivideva con lui gli incarichi governativi. Erano cresciuti insieme. Per il Governo si erano spezzati le ossa, avevano sputato sangue, avevano ucciso e avevano rischiato di essere uccisi innumerevoli volte. E tutte le volte, Kaku gli era rimasto accanto senza tremare, senza esitare qualunque cosa accadesse. L'aveva seguito e poi spalleggiato in silenzio, col rigore e col rispetto che aveva preteso da lui sin da quando non era che un infante.
Anche quando tra loro era nata quell'attrazione che ancora faticava a spiegarsi, Kaku aveva saputo mantenere la compostezza e le giuste distanze, pur restandogli vicino... come quel cilindro elegante e perfettamente immobile sul bracciolo alla sua destra.
Concentrandosi sull'oggetto, Lucci rivide quel bimbo dai capelli chiari, che oggi era il suo uomo più fidato, offrirgli in regalo un cappello signorile acquistato coi suoi primi guadagni.

«Lucci è diverso, e questo è speciale.»

Sfiorò la cima del cilindro, sorprendendosi per il ricordo che la percezione del tessuto sulle dita gli rievocava alla mente.

«Perciò se il due di Giugno è nato Lucci, il due Giugno è un giorno importante!»

Realizzò che Kaku non aveva mancato di farglielo notare ogni anno, dovunque fossero. Persino quando erano in missione lontani trovava il modo di fargli arrivare un augurio, e riusciva a non farsi mandare al diavolo come Fukuro e Kumadori, snobbare come Califa e Blueno, o picchiare come solo quel cane di Jabura sapeva fare.
Pensandoci bene, l'unico motivo per cui Lucci ricordava la ricorrenza della sua nascita, era per loro. Per le trovate di quei cinque, e per Kaku.
Prese il cappello e lo ripose nella sua scatola (evidentemente sulla poltrona sarebbero stati stretti, tra poco), mentre afferrava un ultimo ricordo.

«Come credi. Un giorno cambierai idea, Kaku.»

La luce si spense. I lineamenti austeri e perennemente contratti attorno ai suoi occhi si rilassarono.
Agli angoli delle labbra, ben celato dall'oscurità, fugace come la fievole brezza primaverile che cedeva il passo all'estate, si delineò qualcosa di simile ad un sorriso.
Dopotutto, non l'aveva cambiata.
Il due Giugno, per Kaku, continuava ad essere un giorno importante.
E quello, per Lucci, restava ogni anno il regalo migliore.





Note dell'autrice

Dopo due o tre anni di sospensione, finalmente questa storia ha avuto il suo finale. Per quanto non sia proprio soddisfatta di come l'abbia scritta e rimaneggiata nel tempo (ma quando mai?) ho deciso di pubblicare ugualmente, in primis per ricordare il compleanno di Lucci, personaggio a cui sono molto legata, in secondo luogo perché ho constatato che esistono veramente poche storie sulla Lucci/Kaku e di questo mi struggo abbastanza.
Il pensiero che potesse esserci qualche povera disgraziata come la sottoscritta, che a tanta distanza dalla saga di Water Seven apre ancora EFP alla speranzosa ricerca del tag "Lucci/Kaku", mi ha dato la spinta giusta per pubblicare xD
Ad onor della cronaca, ho basato la descrizione del CP9 giovane sui disegni pubblicati da Oda nelle SBS, tenendo però in considerazione anche le differenze d'età reali dei personaggi e le loro personalità da adulti (purtroppo emerse solo a sprazzi nell'opera originale). Lucci in realtà portava già un cilindro da bambino, ma l'inesattezza era necessaria ai fini del racconto.
Ed infine sì, ho trattato male Jabura in questa storia, ma ci tengo a precisare che in realtà lo adoro.
Questo è quanto. Grazie a chi è arrivato alla fine!

Vegethia

  
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