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Autore: Son of Jericho    02/06/2015    6 recensioni
"You don't know me".
Hai ragione, non ti conosco. Ma come potrei, se non conosco nemmeno me stesso?

Un presente che appare insostenibile, un futuro che rischia di diventare ogni giorno più difficile, e la paura di non farcela, porteranno Beck lontano da tutto ciò che credeva di amare.
Tempo e distanza, per sperare che le cose tra loro si sistemino.
Nuovi amici lo accompagneranno nella sua nuova strada, fino a quando arriverà il momento di chiedersi se davvero vale la pena tornare indietro e lottare.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beck Oliver, Jade West, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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Angolo dell'autore
Un saluto a tutti, benvenuti per questa mia nuova storia!
Prima di lasciarvi al primo capitolo, permettetemi di fare una piccola premessa:
- Mentre nella serie Victorious i ragazzi hanno intorno ai 16 anni, nella mia fiction li ritroverete più grandi, dato che si svolge in quello che per loro sarà l'ultimo anno alla Hollywood Arts. Questo perché la mia intenzione è di dare un tono più serio e maturo ai personaggi, e affrontare i loro percorsi in maniera più adulta e profonda.
La mia introduzione finisce qui, e ringrazio anticipatamente coloro che dedicheranno il loro prezioso tempo alla mia storia.
Buona lettura!

 
I - Prologue


Troppe le notti insonni.
Troppe le notti trascorse a cercare invano di risolvere quell’inaspettato enigma.
 
Rompendo il rigido silenzio che abbracciava la sua solitaria abitazione, un movimento pigro e stanco lo fece voltare verso il bagliore sopra la mensola: le 2.10.
Sbatté forzatamente un paio di volte le palpebre, estremamente speranzoso di averci visto male.
Le 2.10.
Si lasciò andare ad un'imprecazione in lingua spagnola, ereditata da chissà quale lontano parente, mentre tornava a rivoltarsi nervosamente nel letto e schiacciava la schiena sul materasso.
La storia si stava ripetendo di nuovo, come una scena mal girata di un film di serie b.
Si passò una mano sulla faccia, stropicciandosi gli occhi per allentare la pesantezza delle palpebre, e si tirò faticosamente su dal letto.
“Tanto sarebbe stato inutile”, pensò mentre afferrava la prima maglietta che gli passava tra le dita e si incamminava lentamente verso il locale cucina, inondato dal chiarore argenteo riflesso dalla luna.
A metà del corridoio, i passi lo portarono a fermarsi davanti alla finestra, e, dopo aver scostato la tendina e avvicinato il viso al vetro, lo sguardo prese a vagare verso il buio e quieto orizzonte.
- Devo essere l’unico in piedi a quest’ora nel raggio di sei isolati. - mormorò sorridendo, mentre tuttavia un sospiro sconsolato gli sfuggiva dalle labbra.
Nell’ultimo periodo, che contava ormai quasi due settimane, gli era capitato sempre più spesso di svegliarsi quando la spia luminosa della sveglia segnava appena le prime ore dopo la mezzanotte, e di crollare solamente quando arrivava l’alba.
Quella notte non aveva fatto eccezione.
Raggiunse il tavolo e si rifugiò in quello che stava diventando un rituale consolidato, ma che avrebbe tanto preferito interrompere, una tazza di latte bollente in cui annegare tutte le ore di sonno perse. E mentre la stringeva tra le mani, appiccicando lo sguardo sul mini frigo come fosse un magnete, si lasciò andare all’unica cosa che poteva fare a quell’ora: riflettere.
All’inizio non era riuscito a capire.
Era stato ingenuo, forse fin troppo per uno per lui, le prime volte che si era ritrovato a fissare i minuti scorrere su quei numeri digitali; non aveva dato peso alla cosa, aveva pensato ad una coincidenza, persino ad uno dei tanti disturbi del sonno di cui gli psicologi si divertono a trattare.
Che ci fosse qualcosa che lo tormentava, però, lo avrebbe scoperto soltanto la notte in cui aveva deciso di uscire per una passeggiata, da solo nella radura ad ascoltare la voce della sua stessa coscienza.
Da allora, ogni minuto in più che veniva tenuto sveglio, era un nuovo pezzo del puzzle che andava a posto.
Era come dover sopportare una presenza oscura, senza nome o volto, che si era insediata dentro di lui a tramare nascosta nell’ombra.
Un dettaglio che gli era sempre sfuggito dal quadro generale.
Un pensiero. Uno solo, potente, sviluppatosi senza che lui nemmeno si accorgesse di come o quando.
E non appena le nebbie si erano diradate abbastanza da lasciare intravedere più a fondo, quella sagoma senza contorni si era fatta nitida, con un volto e un nome che, purtroppo, conosceva benissimo.
Una verità che per troppo tempo aveva inconsapevolmente scelto di relegare in qualche angolo remoto della sua mente, e che adesso non poteva più permettersi di ignorare.
Aveva un problema. Uno di quelli grossi. Uno di quelli che sperava non avrebbe dovuto affrontare mai più.
 
 
Sbatté lo sportello con tutta la forza che gli era rimasta nel braccio, facendo riecheggiare il boato della sua frustrazione nell’abitacolo e tra gli alberi.
Si sporse per riflettersi velocemente nello specchietto retrovisore: occhi arrossati, attorniati da occhiaie sempre più marcate, sguardo tutt’altro che lucido.
Niente di diverso da ieri.
“Sei uno straccio, Beck” pensò mentre si passava una mano tra i capelli, nel tentativo di scrollarsi di dosso l’ennesima notte in bianco. La sua famosa e folta chioma castana era forse l’ultima cosa rimasta integra in lui.
Allungò la mano verso la chiave ma, arrivato il momento di mettere in moto, un’esitazione la fece bloccare a mezz’aria.
Un’altra giornata da trascorrere portandosi dietro quel peso. Perché non importava quanto provasse ad alleviarlo o a renderlo meno insistente, in nessun modo avrebbe potuto lasciarlo a casa. Sarebbe salito con cui sul sedile di fianco e lo avrebbe accompagnato per tutto il giorno, esattamente come era successo nelle ultime due settimane.
Ruotò la chiave con un movimento tanto deciso da rischiare quasi di spezzarla, e, godendosi il ruggito del motore che invadeva le sue orecchie e andava a coprire anche le voci nella sua testa, diede gas in direzione Hollywood Arts.
 
 
Il rovente sole che incendiava l’asfalto delle strade di Los Angeles diventava ogni mattina sempre più fastidioso. Magari per il fatto che i suoi occhi stanchi non erano in grado di filtrarlo correttamente, o magari perché, istintivamente, rappresentava un segnale troppo positivo per il suo umore tutt’altro che sereno.
Guidava con le mani poggiate distrattamente sul volante della sua bella Pontiac GTO gialla, e lo sguardo fisso davanti a sé, disinteressandosi di ciò che lo circondava.
Solo quando venne sorpassato da un vecchio camioncino dei gelati, e ricevette un colpo di clacson dall’auto che lo seguiva, Beck si rese conto di star andando particolarmente lento. Eppure, non ne fu per niente sorpreso.
Sapeva perfettamente cos’era a frenarlo.
Era il peso opprimente di quei pensieri che erano tornati prepotentemente a farsi sentire. Era quella morsa alla bocca dello stomaco che, mattina dopo mattina, si stava lentamente divorando un po’ della sua sicurezza, e che aveva addirittura iniziato a fargli avere paura di iniziare una nuova giornata e di mettere piede a scuola.
Paura per quello che avrebbe potuto accadere.
Per lui. Per lei.
Non aveva mai immaginato di poter arrivare a sentirsi così. E forse, adesso ne aveva abbastanza.
Strinse aggressivamente la presa attorno al volante e affondò il piede sull’acceleratore, seminando l’auto dietro di lui e sfrecciando accanto al camioncino dei gelati.
 
 
La GTO gialla, riconoscibile a tutti, ma soprattutto alle ragazze, giunse sgommando al parcheggio della Hollywood Arts, lasciando una scia ben visibile sull’asfalto.
Beck guardò l’orologio: aveva ancora qualche minuto prima che quella campanella dal suono strano lo costringesse ad entrare.
Si era appena messo a ispezionare svogliatamente lo zaino per controllare che avesse tutto, quando la visione di lei, a pochi metri dall’auto, catturò la sua attenzione.
Senza che si fossero accorte del suo arrivo, Jade e Cat si stavano dirigendo verso gli scalini della porta d’ingresso; la mora stava ridendo soddisfatta, mentre la ragazza dai capelli rosso fuoco teneva il broncio e le braccia incrociate.
La bocca gli si piegò in un sorrisetto: non si sarebbe sorpreso se Jade avesse fatto qualche battuta di cattivo gusto su di lei o su suo fratello.
Ma fu a vedere la sua ragazza sotto quella luce, così apparentemente felice, che sentì la tenaglia allentarsi di qualche centimetro.
Almeno in lei non c’erano tracce delle urla della sera prima.
Attese, senza staccare lo sguardo da lei, che Jade fosse sparita dietro le vetrate per scendere dalla macchina e andare verso l’istituto.
 
Facile è noioso, aveva detto una volta.
Ma, adesso, solo lui sapeva quanto avrebbe voluto che le cose fossero state veramente così facili.
Aveva sempre pensato che lei fosse quella parte che gli mancava e che serviva a completarlo.
E se invece lei fosse stata la carta che lo faceva sballare e faceva saltare il banco?
 
 

 
   
 
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