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Autore: Feles 85    03/06/2015    10 recensioni
*Questa storia partecipa al contest "L'amore non vuole avere, vuole soltanto amare"
Questo fu il più nobile Romano tra loro tutti [...] Mansueta fu la sua vita; e gli elementi erano in lui così commisti che la Natura poteva ergersi ed esclamare dinanzi a tutto il mondo "Questo fu un uomo".
Questa è l'ultima frase del "Giulio Cesare" di Shakespeare, messa in bocca a Marco Antonio a proposito di Bruto.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità greco/romana
- Questa storia fa parte della serie 'Roma e Amor'
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Del Fiore Purpureo





NdA: il titolo allude alle offerte funerarie fatte di rose rosse e viole. Le rose rosse alludono alla morte e al sesso, alla caducità e alla rinascita. È il fiore che riassume il connubio Eros/Thanatos. "Purpureo" è sempre un aggettivo usato tradizionalmente per alludere alla morte (ad esempio si ritrova spesso in Virgilio), oltre che il colore della sacralità più alta, quella di Giove.









Era solo questione di tempo, poiché la battaglia era già vinta. 
Nel tumulto fratricida, la vittoria splendeva feroce sui vessilli di Marco Antonio e di Ottaviano, il quale poteva ora saziare l'animo con il gusto della vendetta.
"Cassio è caduto, Bruto si è ritirato", enunciò laconico un messaggero.
Dopo il furore dirompente rimaneva lo smarrimento di vedere, ancora una volta, sangue dello stesso sangue sparso sulla nuda polvere. 
Il profilo, sottile ma imperioso, di Ottaviano si librava silente sull'ecatombe; lo sguardo adombrato da un pensiero nascosto, manifestato solamente dalla ruga corrucciata apparsa alla radice del suo naso. 
"So cosa pensi... ho la sensazione di aver già visto una scena del genere e non troppi anni fa..." commentò Marco Antonio, mascherando col tono basso della voce l'inquietudine che gli stava salendo dallo stomaco.
"Alludi a Farsalo?..." domandò asciuttamente l'altro. Il suo tono però non sembrava quello che viene intonato nelle vere domande; era ovvio che la risposta la conosceva.
Marco Antonio annuì in silenzio; non poteva ammettere ancora a se stesso che Ottaviano lo inquietava. In quel momento, stagliata e silente sotto la cruda luce dell'ora pànica, dove i demoni meridiani assaltano gli sprovveduti, la figura del giovane Triumviro gli ricordava potentemente l'ombra di Cesare, all'indomani della vittoria contro Pompeo.
Farsalo... 
Enigmatico era stato per lui il Dittatore di Roma e ancora più impenetrabile gli sembrava ora il suo erede legittimo. Dove prima rilucevano gli occhi scuri e penetranti di Cesare, ora gli occhi di Ottaviano, calmi e piatti come il mare in bonaccia, meditavano disegni che gli erano preclusi.
"Anch'io ho visto una scena simile. Qualche tempo fa, in Spagna, contro il figlio di Pompeo", commentò tranquillamente il nipote di Cesare.
"Romani contro Romani... una realtà che si protrae da diverse generazioni..." aggiunse Antonio, sentendo sempre più presente l'inquietudine nel suo animo.
"Una situazione ancora peggiore dell'invasione di Annibale, sebbene a prima vista sembri meno rovinosa. Anche se a Canne perimmo quasi tutti, il nostro spirito era diverso, era indomito ed era unito. Mi chiedo cosa penserebbe l'Africano nel vedere questo fratricidio..." 
La voce di Ottaviano stava scemando in un vago sussurro, che aveva un che di sibillino in sé.
Antonio sentì un brivido lungo le sue membra temprate da anni di guerre; ma ebbe davvero un vago tremore quando il ragazzo voltò i suoi occhi chiari e attenti verso di lui, con quella ruga sulla radice del naso ora profondamente accentuata. I capelli biondi e sottili furono animati da un soffio di vento improvviso rendendo drammatica tutta la sua espressione, sebbene fosse apparentemente placida. Era proprio questa caratteristica del giovane della Gens Iulia ad inquietare il generale, questo riuscire ad essere una combinazione di calma glaciale e furore implacabile, come una brace ardente si copre sotto la cenere bianca di un faggio. 
Come Apollo scese, scuro come la notte, sul campo acheo, il biondo Triumviro fece trasparire il suo stato d'animo irrequieto:
"Lo dobbiamo trovare." 
Marco Antonio non ebbe bisogno di ulteriori specifiche: la vendetta del Cesaricidio doveva volgere alla fine.

 

*






"Ci vedremo a Filippi!"
"Ti vedrò!"


Osservava il cielo, alla ricerca di un segno. Non era mai stato il tipo che si lasciava prendere da queste cose, imbevuto com'era di preconcetti ellenistici, ma dopo l'inquietante fenomeno che gli era capitato la sera prima, cominciava a vedere con uno sguardo diverso i presentimenti, rivelazioni di una trama sconosciuta che solo in rare eccezioni si mostra agli uomini. 
Il vento cominciò ad alzarsi all'improvviso, smuovendo la polvere secca che giaceva inerte. Il tempo stava cambiando rapidamente e il candore del Sole si raffreddava, ottenebrato a sprazzi da nubi migranti e veloci.
Bruto emise un impercettibile lamento quando la polvere gli ferì gli occhi, impedendogli di guardare oltre. 
Ci vedremo a Filippi...
Ti vedrò!

Ancora attonito da quelle poche parole che aveva scambiato con quello che disse essere il suo cattivo genio, Bruto aveva dovuto convenire che lo spettro aveva avuto ragione. 
Cassio era morto suicida e lui era asserragliato su quella collina con quello che restava delle sue legioni. 
Il vento continuava a salire, e la polvere assieme ad esso.
Polvere insanguinata?
Ormai riusciva solamente a tenere gli occhi socchiusi a guisa di due strette fessure, mentre la desolazione, che stava maturandogli nel petto, giunse a compimento. 
Cominciò a correre quasi alla cieca, cercando il suo luogotenente con una fretta zelante. Era morto anche lui, gli dissero i compagni superstiti.
La carneficina era stata totale e trionfante; una battaglia in cui si era giunti subito allo scontro carnale all'arma bianca. Nessun lancio di giavellotti, nessun tentennamento. Solo uomini che correvano verso altri uomini, accomunati dalle stesse radici, con l'ardore che si può avere nell'amplesso amoroso, ma con un lampo di morte certa nei loro sguardi.
Ecco i figli della Repubblica, i figli di Roma, i figli della lupa, azzannarsi con le fauci umide di sangue, ansiosi di cozzare gli uni contro gli altri in un abbraccio funesto.
Bruto non poteva certo dire di non aver provato uno strano brivido in quel momento, sebbene avesse tergiversato fino al principio della battaglia. I suoi uomini avevano deciso per lui e si erano lanciati nell'orgia fatale, travolgendo il suo animo, che lui avrebbe voluto astinente ed intoccabile. 
Lui contro Ottaviano, Cassio contro Antonio.
Bruto avrebbe anche vinto contro il biondo erede di Cesare, poiché quest'ultimo era malandato di salute; ma Marco Antonio, rendendo giustizia alla sua fama di grande condottiero, aveva aperto l'armata di Cassio come fosse stata un frutto troppo maturo.
Marco Antonio...
Aveva fatto in tempo a vederlo, bello e immenso nella sua armatura da caporale, con il rosso pennacchio che troneggiava minaccioso; incomparabile era stato a Farsalo. Lo ricordava bene, così impetuoso e irruente mentre si gettava nella mischia facendo volare il mantello scarlatto, con quello sguardo terribile, quasi menádico. In quei momenti gli era parso, a tratti, una teofania del Marte primitivo della sua gente, il Dio che si lanciava sui confini con la sua lancia vibrante puntata contro il territorio nemico.
*Satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber! 
L'aveva sempre avuto come nemico: a Farsalo, a Filippi e anche ai funerali di Cesare, quando Antonio aveva improvvisato una potente arringa, infiammando il popolo contro Bruto e gli altri Cesaricidi. Era sempre stato nella fazione opposta alla sua e si rese conto di essere stato molto fortunato a essere sopravvissuto a una tale furia della Natura, perché, ora era lucido per ammetterlo, incuteva paura. 
Bruto però, nonostante questa grandezza che aveva riconosciuto in Marco Antonio, non desiderava essere come il generale; lui era profondamente diverso. Una natura irrequieta, votata alla disciplina, che nulla voleva concedere a certe Furie
Si guardò attorno e vide che tutto stava giungendo a compimento: il suo cattivo genio aveva trionfato. Pochi dei suoi erano scampati a quella rovina; Roma aveva rifiutato l'insorgenza dei Cesaricidi ed ora li guardava ostile da laggiù.
Guardò il suo gladio sporco, già sguainato.
 

*






"Sapevo che ti avrei trovato entro oggi."

Conosceva quella voce. Bruto si voltò di scatto e trovò la conferma del suo sospetto.
Marco Antonio era lì, ritto dinanzi a lui, stranamente disarmato; l'unica concessione che aveva fatto alla marzialità era il suo lungo mantello scarlatto, che mai si doveva indossare in circostanze civili.
"Sei temerario a venire qui disarmato..." osservò Bruto con un sorriso amaro sul volto affilato.
"Ormai i giochi sono fatti, Bruto. Paradossalmente avreste poco da guadagnarci uccidendomi." 

Il cielo era ormai completamente tappezzato da stracci di nubi spinte dal vento. La luce livida raffreddava l'ocra delle rocce macedoni, incupiva il verde fosco dei cipressi e dei lecci sconvolti.
Bruto stava chino con i ginocchi nudi e stanchi sul suolo arido; i corti capelli bruni oscillavano assieme al vento mentre con le mani lasciava cadere un oggetto indistinguibile ma inequivocabilmente riconoscibile. Un gladio.
Marco Antonio si avvicinò adagio, mantenendo il silenzio. Uomini doloranti, feriti o accasciati, erano sparsi qua e là, mentre Bruto se ne stava distante da ognuno, con lo sguardo spiritato e i tratti del volto tesi come cavi d'acciaio. 
Non aveva mai avuto un volto disteso, si sorprese a pensare Antonio. I tratti scarni di quel volto erano spesso corrucciati, le guance leggermente incavate come si conviene ad un amante della disciplina astinente dello Stoicismo. Un filosofo meditabondo, apparentemente quieto, che però era capace di atti inconsueti, di scatti ardenti, dettati da impulsi ideali subitanei.
Una versione più arcuata del giovane Ottaviano, che aveva saputo coniugare queste due nature e le padroneggiava con naturalezza; gli occhi  febbricitanti di Bruto erano la testimonianza della fatica immane che egli aveva provato per tutta la vita nell'armonizzare tutto questo. 
Guardandolo, pur rimanendo immobile, Bruto riprese a parlare:

"... Chissà perché, ho già sentito questi discorsi..." 
"Mi hai risparmiato la vita, lo so, non c'è bisogno che aggiungi altro", rispose l'altro, che ormai incombeva in tutta la sua possanza su di lui.
"Non ne hai tenuto conto, a quanto ricordo... Non ti ho mai detto di quanto il tuo sermone funebre sia stato teatrale. Non te ne credevo capace."
Marco Antonio alzò un sopracciglio con sarcasmo; trovava ridicolo che Bruto gli rinfacciasse la rottura del patto che fecero all'indomani delle Idi di Marzo. Non tardò a rispondere:
"Io non ti credevo capace di portare pugnali dentro il Senato, se è per questo." 
"... Non intendevo questo. Volevo dire che non sapevo tu avessi qualità da oratore... facevi quasi invidia", soggiunse amaramente il Cesaricida.
Rimasero ancora in silenzio, mentre il vento faceva il suo giro.
Bruto tornò a volgere i suoi occhi taglienti verso il gladio, che giaceva davanti alle sue ginocchia, ed era così raccolto da sembrare quasi un orante, alle porte di Eleusi.

"Sei mai stato ad Eleusi, Bruto?" chiese all'improvviso Antonio, rompendo quel silenzio surreale.
"... Solo a vedere il luogo. Non sono stato certo iniziato."
"Ed è giusto così. Siamo Romani."
"Perché mi chiedi di Eleusi, allora?"
"Perché se devo immaginare un devoto che attende i sacri misteri, lo immaginerei come te adesso."

Bruto si voltò ancora a guardare il generale. Forse, cercava il sarcasmo nei suoi occhi. Con grande stupore non trovò nulla di tutto questo.
"Cosa vuoi fare, adesso, Triumviro?"
"Bruto, come ho detto prima, tu mi hai risparmiato la vita quando quegli altri cani rognosi..." e qui la voce si caricò di una nota d'ira che lo costrinse a fermarsi "... volevano farmi fuori. Eppure sei stato irremovibile, categorico nell'impedirlo. Ora voglio restituirti il favore coprendo una tua fuga".

Bruto lo fissò in silenzio. I suoi occhi bruciavano più che mai a causa della polvere e gli conferivano uno sguardo quasi dèmonico. 
Tornò a guardare il terreno, chinando il capo.
"Io... non voglio fuggire... più."
"SEI PAZZO? Ottaviano non ti risparmierà!"
"Vuole la vendetta, vero? Non l'avrà."
"Oh sì che l'avrà, se ti mette le mani addosso!"
"Non mi avrà, ho detto", rispose tranquillamente Bruto.
"Ma è assurdo! Come credi di..."

La domanda di Marco Antonio morì prima ancora di concludersi.
Bruto aveva afferrato il gladio e ora specchiava i suoi occhi, torturati dalla polvere, il suo volto tetro sulla lama incrostata di sangue sporco. La mano gli tremava debolmente.

" Io non voglio più fuggire", ribadì.
"..."

Antonio lo guardava ora con occhi stanchi; s'intravedeva in questa mestizia, l'età non più giovanissima del suo animo virile.

"Vorrei dissuaderti..."
"Non puoi. Io non starò più lontano da Roma."
"Lo immaginavo... ti conosco bene", commentò piano il generale.

Marco Giunio Bruto si fece forza sulle mani e si alzò, fronteggiando ora il fiero generale che gli era stato nemico in tutte le tappe importanti della sua vita.
Erano quasi della stessa altezza, poiché anche Bruto era alto; era però meno robusto e più slanciato dell'altro. Ora si fronteggiavano direttamente, a poca distanza l'uno dall'altro.

"Marco Antonio, io... non credo che sia a causa del caso che tu sia qui. Probabilmente è il compimento del mio destino. Da pochi giorni ho capito che il caso non esiste... tutto segue una trama ben ordita...", disse e qui si fermò.
Il generale s'incupì ancora di più e allungò la sua grossa mano, rovinata dalle guerre, sulla spalla di Bruto, stringendola forte.
"Tu eri l'unico tra loro che ci ha creduto davvero ...ed ora lo dimostri ancora un volta."
"Non dirlo, anzi ti prego di rendere onore a Cassio, quando tornerai."
Marco Antonio reagì aggressivo, sputando per terra.
"Idiozie! Quelli avevano il complesso di inferiorità verso Cesare! Ti hanno voluto come unico garante morale e così è stato!"
Gli occhi spiritati di Bruto parevano quasi splendere di una luce sinistra, mentre se ne rimaneva in silenzio a guardare il volto irato di Antonio.

"Renderò onore a te e a te solo. Gli altri per me sono solo cani rognosi!"
"Non credevo tu avessi così stima per me... ciò mi riempie il petto di sollievo... Antonio, vorrei che fossi tu la mia morte."
L'altro si era placato dallo scatto di rabbia. Ora lo guardava con occhi lucidi.
"... Perché da me?"
"Perché non c'é nessuno come te che possa rappresentare meglio la mia vita, la mia gente, Roma. Tu sei il Marte primordiale che sfida i branchi di lupi. Non l'ho mai ammesso: ti ammiro profondamente. Sii la mia morte, Antonio."
"Sarò la tua morte, allora".
E lo guardò ancora, senza più alcuna remora nel trattenere le lacrime. Non gli importava: non era debolezza quella, anzi, era uno degli atti di coraggio più sottovalutati di sempre, poiché mostrava al mondo un cuore straziato.
Afferrò Bruto con quelle grandi mani e lo strinse a sé, bagnando con le lacrime il collo nervoso del cesaricida. Piangeva per lui, per le lacrime che il suo amato nemico non voleva versare.
Lo stoico Bruto si abbandonò a quella stretta possente, stringendo a sua volta il generale con le sue lunghe e asciutte braccia. Tuttavia, le lacrime non scesero dai suoi occhi, che si chiusero come per pregustare l'oblio.

"Sono onorato di morire per tua mano", sussurrò.
Antonio, allora, si distaccò piano da lui e, nel tempo di un sospiro, gli baciò entrambi quegli occhi spiritati e doloranti.

"E sia... sarò la tua morte."
"Prendi il gladio, Antonio."

 Marco Antonio non se lo fece ripetere. Prese il gladio con quella naturalezza che appartiene solo ai guerrieri, per trovarsi ancora a fronteggiare quel nemico
Bruto ora lo guardava a viso alto, stendendo le spalle in tutta la loro ampiezza; la magnificenza del suo animo scalpitava per trasparire, per sublimarsi in quel momento fatale. Gli occhi ora erano ben aperti, come a voler assaporare voluttuosamente ogni frammento del mondo, prima del salto. Il tetro entusiasmo di concupire ed evocare la sua morte, aveva risvegliato in lui tutti i sensi, acuendoli in modo innaturale; esso splendeva adamantino nei suoi connotati. Ciò lo rendeva tragicamente bello, come mai era apparso prima.
Bello e tragico lo trovò Antonio, mentre intuiva fulmineamente la sua natura.
"Così, sembra che decidere la tua stessa morte, fosse sempre stato il tuo obiettivo ultimo", commentò amaramente.
"Te ne stupisci? Lo faresti anche tu, lo so. In questo siamo identici", rispose prontamente l'altro.
"Preparati. Io non mi fermo mai."

Bruto sorrise apertamente; una nota ferina gli apparve all'angolo della bocca.
Fu un attimo: la spada lo penetrò a fondo nell'addome.

Antonio non si ferma mai...

Il respiro gli si occluse, mentre un dolore bianco gli infuocava tutto il tronco e sembrava spaccargli il cuore. Boccheggiò in cerca d'aria, scuotendo le braccia a vuoto. 
Era come un'apnea infinita tra i flutti del mare; lo spazio si stava deformando, il tempo era impazzito, la trama della Moira si stava lacerando, colpita da una folgore.
Sarebbe precipitato contro il suolo, ma si sentì afferrare prontamente da quelle potenti braccia che l'avevano colpito.
"Non ti preoccupare: non ti lascerò morire per terra..."

Quella voce che risultava autoritaria anche ora, aveva l'effetto di un saldo scoglio in mezzo all'oceano turbinoso, per lui. E mentre la vita fluiva via lesta dal suo addome, lui come un naufrago si aggrappava tenacemente alle granitiche spalle del suo assassino. 
Antonio sentiva la tunica scaldarsi del sangue, che scaturiva come acqua da una sorgente sulfurea, mentre Bruto si abbandonava sempre più languidamente tra le sue braccia, come Psiche si lasciò sedurre dal suo Divino Amante notturno. 
Il Divino Amante, bello e terribile come la morte...
E il cuore rallentava fatalmente il suo battito, e il respiro si faceva più rarefatto, inseguendo la sua anima spirante.
Eros e Psiche
Il buio siderale che scendeva sui suoi occhi non fu privato della coscienza; questo lo permeò di una gioia selvaggia che non poté esprimersi con le sue membra, ormai esangui. Fu così che s'identificò completamente con la sua anima.
Psyché...
Spirò.
 

*







Un mantello porpora, colore di Giove, copriva la salma di Marco Giunio Bruto, le cui braccia pendevano inerti nel vuoto. Marco Antonio lo stava portando in braccio al cospetto di Caio Giulio Cesare Ottaviano.
Il glaucopide giovane rimase per un lungo attimo in silenzio, meditando profondamente su ciò che stava vedendo.
Il corpo del cesaricida non aveva mai toccato terra da quando Antonio l'aveva trafitto e quest'ultimo non intendeva posarvelo nemmeno ora. I cani della terra, disse, non dovevano sfiorarlo, per cui pretese un giaciglio di fortuna, per quella salma. 
"Un colore così sacro...?" domandò finalmente Ottaviano
"Chi doma il suo soffrire, non vuole schiavitù."

*



Note:

1)"Ci vedremo a Filippi": famoso dialogo tra Bruto e l'apparizione del suo "cattivo Genio" alla vigilia della Battaglia di Filippi, riportato da Plutarco

2)"Satur fu fere Mars..." ritornello in versi saturnii, composti in latino arcaico, tratti dal Carmen dei Fratres Arvales

3)Psyché: l'ho scritto in modo diverso da Psiche, ricalcandone la grafia e la fonetica greca originale, per evocare il significato antico della parola; l'ho accostato poi al verbo "spirare" per rafforzare questo significato. Sia "anima" che "spirito" sono parole che riconducono al concetto di "respiro", da qui l'origine di "spirare"

4)Cani della Terra: figure che sono note ai Neo-Platonici come daimones di bassa gerarchia, guardiani delle soglie sottili. Sono accostati ai cani per la similitudine di ronzare accanto ai cadaveri e ne condividono la simbologia ctonia. Antonio, dunque, si premura di innalzare in ogni modo Bruto nella morte donde evitargli questa contaminazione, e tributargli l'altissimo onore delle fiamme e della porpora di Giove, il più celeste tra i Numi.

3)"Chi doma il suo soffrire..." citazione tratta dalla canzone "Santa luce dei macelli" del gruppo neo-folk italiano "IANVA"

   
 
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