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Autore: Choi Yume    07/06/2015    1 recensioni
ONKEY con accenni di 2min ontae e jongkey|AU| buon anniversario a me e alla mia migliore amica a distanza|Lee Jinki era stato un bambino allegro con il sorriso sempre stampato sulle labbra piene che gli riempiva ancora di più le guance paffute da bimbo acerbo nei tratti. Anche la sua adolescenza era stata segnata da quel sorriso che attirava a se l’amore di molti nei corridoi della scuola, non solo ragazze che in fin dei conti a lui non erano mai interessate un granché. Poi però qualcosa era cambiato intorno ai suoi ventisei anni, il sorriso era sfumato da quelle labbra perfette lasciando spazio a un’espressione seria, triste a tratti burbera; la voglia di sorridere era andata via da circa sei mesi, da quando ogni sua fiducia nel prossimo era stata tradita brutalmente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Key, Onew, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo col sorriso

dedicato alla mia migliore amica a distanza, per un anno della nostra conoscenza ti voglio bene


Lee Jinki era stato un bambino allegro con il sorriso sempre stampato sulle labbra piene che gli riempiva ancora di più le guance paffute da bimbo acerbo nei tratti. Anche la sua adolescenza era stata segnata da quel sorriso che attirava a se l’amore di molti nei corridoi della scuola, non solo ragazze che in fin dei conti a lui non erano mai interessate un granché. Poi però qualcosa era cambiato intorno ai suoi ventisei anni, il sorriso era sfumato da quelle labbra perfette lasciando spazio a un’espressione seria, triste a tratti burbera; la voglia di sorridere era andata via da circa sei mesi, da quando ogni sua fiducia nel prossimo era stata tradita brutalmente.
 
Era uscito prima dal lavoro quel giorno, sorrideva, avrebbe potuto fare una sorpresa al suo ragazzo, era passato a prendere un dolce alla sua pasticceria preferita, uno di quelli con la crema al latte che lui tanto amava. Fischiettava allegro sulla strada di casa, immaginava la faccia del suo piccolo Taemin quando avrebbe visto la torta, probabilmente, l’avrebbe baciato e lui avrebbe sorriso ancora una volta. Avrebbe messo il dolce in frigo pronto per il dopocena poi magari avrebbero preparato la cena insieme, tra uno scherzo e qualche bacio di troppo sarebbero andati in camera senza neanche toccare il dolce, sì, sarebbe andata così; almeno così lui sperava, ma le cose non andarono propriamente come lui aveva immaginato. Aveva aperto la porta di casa con le chiavi attento a non fare rumore, voleva fargli una sorpresa; quando rientrò in casa, però, non sentì la solita musica uscire dall’impianto stereo di casa, ma uno strano silenzio, per un attimo fu tentato di chiamarlo, ma poi le avvertì, delle risatine e qualche sussurro, si avvicinò curioso e quando aprì la porta della camera da letto, in quel preciso istante, il suo sorriso scomparve per sempre. Le lenzuola bianche erano scomposte ad avvolgere malamente due corpi nudi abbracciati che si scambiavano qualche bacio a fior di labbra in una dolce intimità che lo disgustò nel profondo. Il suo ragazzo e quello che doveva essere il suo migliore amico si coccolavano in quella stanza che puzzava ancora di sesso, gli veniva da vomitare.
“J-Jinki” balbettò sorpreso il suo ragazzo drizzando la schiena facendo voltare anche l’altro traditore verso di lui con gli occhi sbarrati “C-cosa ci fai già qui?” sussurrò appena spaventato Taemin passandosi una mano nei capelli biondissimi.
Il castano sulle prime non parlò, troppo nauseato da quella vista, parlò solo qualche minuto dopo facendo sentire gli altri due solo più colpevoli di quanto non fossero già “Da quant’è che va avanti questa storia?” chiese in una voce dura che non gli apparteneva.
Calò di nuovo il silenzio, il più piccolo non aveva il coraggio di parlare allora fu il ragazzo dai capelli nerissimi a parlare “Quasi quattro mesi” disse serio, lui era il primo ad essere stanco di quelle menzogne.
“Se c’è una cosa che ho sempre apprezzato di te Minho, è la sincerità” disse atono “Ma ora fuori da casa mia, tutti e due”.
“Amore…mi disp…” provò il biondo titubante.
“Tu sta zitto, non voglio più vederti” disse con il disgusto che trapelava da ogni singola lettera.
Il ragazzo abbassò la testa, l’ultima cosa che voleva fare era deluderlo, sapeva di star facendo la cosa sbagliata ma… “Mi dispiace per come l’hai scoperto, ma sappi che non mi tiro indietro. Io lo amo Jinki” disse Minho una volta che si fu rivestito dando voce anche ai pensieri del più piccolo.
“Mi fa piacere per voi, ma ora sparite” disse con la gola che tremava. Aveva bisogno solo di piangere.
Quando fu solo crollò a pezzi sul pavimento, non si era mai sentito così male, distrusse tutti ricordi che lo legavano a Taemin, strappò i vestiti che aveva lasciato in quella che era la loro casa insieme, tagliò le foto, fece a pezzi i suoi cd e la sua tazza distrusse tutto quello che poteva poi gli crollò addosso il silenzio, la rabbia del momento era scemata, ora restava solo il vuoto, non provava assolutamente nulla, solo l’eco sordo del dolore che risuonava nell’appartamento ormai vuoto.
Fu da quel giorno che Jinki perse ogni singola ragione per sorridere privando tutti quelli che lo conoscevano di quel dolce conforto nei momenti bui, ora lui non c’era più per nessuno. Era diventato freddo e scostante, la sua fiducia nel prossimo era completamente svanita.

 
Quella mattina il lavoro lo aspettava come al solito di prima mattina, recuperò una busta, l’ennesima, dal corridoio, conteneva le ultime cose che Taemin aveva dimenticato e che erano sfuggite alla sua furia distruttiva, le avrebbe buttate, ora non gli importava più.
Una volta uscito sul pianerottolo vide il suo vicino di casa, un certo Kim  Kibum guardare davanti a sé muto sulla soglia di casa stretto in quella che doveva essere una vestaglia mentre un ragazzo dai capelli biondo platino guizzava veloce dentro l’ascensore costringendo lui ad aspettare che risalisse.
Gli gettò una rapida occhiata, sembrava avere gli occhi lucidi, probabilmente tra quei due era successo qualcosa, ma non erano affari suoi, si disse a disagio mentre aspettava che l’ascensore arrivasse al piano terra, eppure non poteva fare a meno di guardarlo, gli ricordava se stesso qualche tempo prima quando l’unica cosa che sentiva dentro di sé era il dolore.
Kibum, probabilmente sentendosi osservato, si voltò a guardarlo, gli occhi come aveva già presupposto erano pieni di lacrime e il labbro inferiore tremava convulsamente, lo guardò fisso negli occhi come per dirgli e tu che vuoi? Tu non capisci ciò che provo, nessuno lo sa. Ma quel piccoletto dai capelli mezzi castani e mezzi verdi non poteva sapere che Jinki lo capiva eccome.
Per un attimo fu tentato di dirgli qualcosa, una cosa qualsiasi, ma era troppo tardi il suo vicino si era già ritirato in casa. Il ragazzo dagli ormai troppo lunghi capelli castani sospirò ripetendosi mentalmente che non erano affari suoi.
 
Quando rientrò dal lavoro una scena inversa gli si presentò davanti agli occhi. Il biondo era praticamente saltato addosso al suo vicino, si baciavano mordendosi le labbra, fu un attimo prima che potessero entrare in casa. Jinki batté un paio di volte le palpebre sorpreso, di certo quella non era una scena che si sarebbe mai aspettato dopo quella mattina, ma molto probabilmente era una lite passeggera, pensò ritirandosi nel suo appartamento ormai semi vuoto. Però il suo pensiero non era corretto, infatti, era diventata una routine quella, almeno due volte alla settimana vedeva il suo vicino e quel ragazzo, baciarsi di sera e far svanire tutto con il dolore la mattina, gli era sembrato indubbiamente strano, ma non aveva mai aperto bocca, guardava semplicemente il suo vicino in un misto di tenerezza e disappunto; non lo capiva.
Una di quelle mattine qualcosa appariva diverso, era uscito dalla porta, il biondo non c’era, ma Kibum era ancora lì sulla porta a fissare il vuoto con una finta espressione fiera e le braccia incrociate al petto, non piangeva, il labbro non tremava, era semplicemente immobile; tutto quello a Jinki apparve strano ma non fiatò, gli gettò la solita occhiata per poi dirigersi verso l’ascensore.
“Vorrei tanto sapere che hai da guardare tu” disse una voce alle sue spalle, era la prima volta che lo sentiva parlare, aveva una voce così svuotata.
“Non era mia intenzione disturbare” rispose con voce altrettanto piatta, quei due erano molto più simili di quanto l’un l’altro si aspettassero.
“Mi fissi ogni mattina, ma non ti sei mai degnato di presentarti come si deve eppure è da un po’ che vivo qui accanto” disse il più piccolo fingendo un tono sarcastico.
Già da quando Minho ha lasciato quella casa per trasferirsi chissà dove con quello che era il mio ragazzo. “Non m’interessa essere un bravo vicino” commentò aspro voltandosi appena a guardarlo.
“Si chiama semplicemente educazione, Io sono Kim Kibum. Vedi? Non è difficile” disse l’altro con un ghigno divertito dipinto sul volto. Il castano si chiese come potesse una persona essere così bipolare, lo guardò scettico mentre le porte dell’ascensore si aprivano per lasciarlo entrare “Lee Jinki” disse ancora freddo.
Una volta che le porte dell’ascensore si furono chiuse Jinki roteò gli occhi divertito, si divertito, per la prima volta dopo mesi era divertito dal comportamento di quello strano ragazzo.
Non poté fare a meno di rifletterci su tutta la giornata, quel Kibum aveva sbalzi d’umore incredibili nell’arco di cinque minuti cambiava completamente, forse era disturbo della personalità o qualcosa del genere, si passò una mano tra i capelli castani chiari ci stava decisamente perdendo troppo tempo dietro quell’inutile storia.
Quando tornò a casa l’ascensore si era guastato, roteò gli occhi avrebbe dovuto farsi ben sei piani a piedi; si sciolse il nodo alla cravatta, si tolse la giacca e arrotolò le maniche della camicia, avrebbe avuto più libertà di movimento così.
Arrivato finalmente a destinazione, quando mancava l’ultima rampa di scale per arrivare finalmente al suo pianerottolo lo vide, rannicchiato sull’ultimo scalino, tremante, scosso dai singhiozzi, in un maglione di almeno tre taglie più grande di quello che doveva essere, la fronte appoggiata sulle ginocchia e le mani che si accarezzavano i capelli mentre le braccia gli facevano da scudo al mondo esterno. Jinki deglutì come un lampo nella testa gli passò l’idea di non aver mai visto nulla di così bello che però fu prontamente scacciata dalla consapevolezza del non sapere cosa fare, di certo non avrebbe potuto evitarlo, era obbligato a passargli davanti in realtà quindi gli era assolutamente impossibile far finta di nulla. Prese l’ennesimo grande respiro della giornata per poi sospirare e salire le scale che lo separavano da lui. Posò la sua ventiquattrore e la giacca sotto il corrimano e si sedette accanto a lui. “Non sono uno che si interessa dei problemi degli altri ma tu sembri stare proprio di merda” disse franco non sapendo in che modo confortarlo, non sapeva cosa gli era successo d’altronde.
“Ti interessa di come sto? Sul serio? Mister freddezza?” disse Kibum asciugandosi le lacrime con la manica del maglione.
“Non mi piace vedere le persone stare male”. Jinki sentì qualcosa dentro di sé rompersi come se lentamente un muro che si era costruito stesse crollando.
“Non mi è sembrato”.
“Non mi conosci” rispose freddo.
“No, e tu non conosci me” commentò l’altro passandosi una mano tra le ciocche verdi.
“Perché piangevi? È per quel ragazzo biondo per cui fissi il vuoto tutte le mattine?” Kibum lo guardò di soppiatto, il castano non lo guardava, preferiva fissare dritto davanti a sé, non lo aveva neanche toccato eppure la cosa più naturale da fare quando qualcuno piange è abbracciarlo.
“Si…sai storia patetica. Ci conosciamo da una vita, io l’ho sempre amato lui mi ha sempre usato per divertirsi qualche notte” disse quasi come se quella storia non fosse la sua.
“Beh di certo non è più patetica di questa, sentila perché è davvero divertente. Una volta nell’appartamento dove vivi tu viveva un ragazzo, era un bel ragazzo, insomma chi l’avrebbe mai negato, era il migliore amico di un ragazzo che sorrideva sempre, per lui questo bel ragazzo era come un fratello. Il ragazzo che sorrideva sempre lo faceva perché era felice, aveva un ragazzo che dio se era bello e il ragazzo con il sorriso lo amava tantissimo, voleva persino sposarlo, poi però in un giorno come questo, tutto era normale, il ragazzo con il sorriso era tornato a casa felice come sempre poi però puff il suo bellissimo ragazzo e il suo bellissimo migliore amico erano a letto insieme” una piccola lacrima uscì dall’occhio del castano senza che potesse fermarla, non ne aveva mai parlato con nessuno e riviverla così faceva male.
“Poi che fine ha fatto il ragazzo con il sorriso?” chiese Kibum guardandolo con il viso posato mollemente su un braccio.
“È morto” disse Jinki asciugandosi quasi con rabbia quell’unica lacrima sfuggita al suo controllo.
“Che peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerlo” disse l’altro guardandolo con un sorriso stanco appena accennato sulle labbra.
“Già, peccato” disse alzandosi dalle scale dandosi dello stupido, si era scoperto troppo.
“Jinki…” disse titubante l’altro guardo la sua schiena.
“Si Kibum?”.
“Non credo che il ragazzo con il sorriso sia morto davvero, è da qualche parte congelato dal dolore dentro di te”.
“Come fai a dirlo?” pronunciò girandosi verso di lui.
“Lo vedo nei tuoi occhi” gli sorrise, gli occhi erano ancora arrossati dal pianto, ma sorrideva.
“Anche se volessi sorridere non ci riesco, anzi mi chiedo come tu riesca a farlo, anche la tua vita mi sembra una merda”.
“Lo faccio proprio perché la mia vita è una merda” rivelò con il suo solito piccolo sorrisino accennato.
“Non ti capisco”.
Kibum fece spallucce, gesto che fece di poco arricciare lo scollo largo di quel maglione sformato “Non sei il primo”.
Le labbra del castano si allungarono di poco verso l’alto mentre guardavano Kibum vestito di quella sua aura di tristezza e bellezza.
“Visto? Non è difficile”.
Jinki si voltò di nuovo scuotendo appena la testa, raggiunse la porta del suo appartamento, stava per aprirla quando si fermò “Se ti usa vuoi dire che non ti merita Kibum”.
“Lo so” disse tristemente senza aggiungere altro, lo fissava ancora dritto al centro delle spalle seduto sulle scale con quel maglione che gli scivolava lungo le spalle strette, il castano avrebbe voluto abbracciarlo, ma non lo fece, rientrò nel suo appartamento e per la prima volta non gli sembrò così immensamente vuoto.
 Gli stava succedendo qualcosa di strano, lo sentiva come qualcosa che gli pizzicava dentro mentre se ne andava avanti e indietro per il suo appartamento nella smania di fare qualcosa, ma non sapeva cosa, gli andava di…di…voleva cantare, era da tanto che non lo faceva, aveva smesso quando aveva deciso di entrare nel mondo degli adulti, non aveva più cantato, neanche per Taemin e ora invece si ritrovava con la voglia immensa di farlo, una voglia che quasi gli faceva esplodere le vene.
Eoddeokgaedeul sarangeul shijakhago itneunji
Saranghaneun sarangdeul malhaejweoyo

Intonò quasi senza pensarsi le parole di una canzone che aveva scritto tempo addietro.
“Non male, la tua voce intendo”.
Si voltò di scatto impaurito, dietro di lui c’era Kibum con la sua giacca e la sua valigetta strette tra le mani, doveva averle dimenticate sulle scale. “Come sei entrato?”.
“La porta era aperta” disse ridendo sotto i baffi.
Il castano sbatté un paio di volte le palpebre, era davvero un idiota certe volte.
“Avevi scordato queste” disse posando le cose su una sedia guardandosi poi timidamente attorno.
“Grazie” sussurrò appena grattandosi la nuca.
“Non sapevo che il ragazzo col sorriso cantasse anche” commentò poi il più piccolo.
“Non cantavo da tempo, mi dispiace per il pessimo spettacolo” disse gettandosi mollemente sul divano del soggiorno.
“No, sei bravo e anche tanto direi”. Si dondolò da un piede all’altro, provava chiaramente imbarazzo.
“Puoi sederti” disse guardandolo per un secondo, forse uno di troppo.
“G-grazie” pronunciò appena sedendosi in un angolino del divano, computo come se si trovasse su un letto di spine.
“Non sono bravo comunque, lo facevo da ragazzo, cantare ovviamente poi sono cresciuto”.
“Crescere non significa che si debba rinunciare alle proprie passioni specialmente se si è bravi”.
Jinki voltò il capo verso di lui “Ma tu hai sempre un’affermazione per ogni mia negazione?” un altro piccolissimo, quasi impercettibile sorriso gli increspò le labbra.
“Forse, sta a te scoprirlo” rise l’altro rilassandosi.
“È una sfida Kibum?”.
“Nessuna sfida. Non sono competitivo grande uomo d’affari, diciamo che ti sto chiedendo se davvero vuoi avere a che fare con uno come me” disse torturandosi le dita delle mani.
“Uno come te? Che significa? Come sei?”. Come si erano trovati seduti così vicini? Non lo sapeva, non gli importava avrebbe aggiunto, il corpo di Kibum era caldo, anche se dai capillari che emergevano da sotto la pelle le sue mani dovevano essere ghiacciate.
Il ragazzo si voltò verso il più grande spalancando gli occhi, probabilmente non si era reso conto neanche lui di quanto si erano avvicinati l’uno all’altro. “Sono un casino” iniziò deglutendo appena.
“Lo sono anch’io”.
“Sono isterico”.
“E allora?” si stavano avvicinando ancora o era una sua impressione?
“Sono capace di tenere il broncio per giorni” continuò con tono sempre più basso e sempre meno convinto.
“Uhm…” Jinki ormai non lo stava neanche ascoltando più.
“E sono pessimo con le amicizi…” non poté finire di parlare, le labbra di Jinki si erano attaccate alle sue morbide e invitanti, non pensò neanche un attimo a non ricambiare, come si erano ritrovati in quella situazione? Possibile che due cuori spezzati potessero aggiustarsi insieme? Non lo sapeva, sapeva solo che il bacio si stava intensificando piano, la lingua dell’altro era nella sua bocca che si era seduto dritto sovrastandolo di poco spingendosi verso di lui.
Kibum si sentiva stranamente bene, quasi leggero come se avesse smesso di pensare a tutto per un secondo, poi tutto finì, il cellulare nella sua tasca squillò facendoli separare; Jinki si leccò le labbra come riflesso condizionato mentre l’altro si affrettò ad abbassare il capo controllando il cellulare. "Devo andare, scusa, per tutto” disse quasi scappando.
“È lui vero?” tre semplici parole che gli fecero venire dei brividi dritti alla colonna vertebrale. Inutile negarlo Jonghyun gli aveva mandato un messaggio, voleva vederlo al solito posto. “Certo che è lui” disse poi incoraggiato dal suo silenzio.
“Mi dispiace, ti ho detto che sono un casino”. Kibum corse fuori, si sentiva davvero una merda, almeno il doppio di quanto si era sentito bene prima, lui rovinava sempre tutto.
Jinki fece incastrare le dita nei capelli, se li sarebbe volentieri strappati tutti, come aveva potuto agire in un modo così sconsiderato? Il cuore gli faceva male di nuovo, come se ci fosse una perdita e tutto il sangue fuoriuscisse senza che lui potesse fermarlo, faceva male; di nuovo.
Da quel bacio passarono le settimane, la routine proseguiva al solito modo solo che stavolta non era Jinki a osservare Kibum da lontano, ma l’inverso, lo guardava con uno sguardo colpevole e una confusione in testa che avrebbe potuto anche fargliela esplodere, inutile dire che il più piccolo non aveva smesso di pensare a quel bacio neanche per un istante, era come un trapano nel cervello, un chiodo fisso, le labbra di Jinki.
Jinki dal canto suo si era ritrovato di nuovo a ricucirsi le ferite da solo, era successo tutto troppo in fretta perché potesse rendersene conto, i muri erano crollati, i punti di sutura al cuore si erano aperti ed era tutto tornato in mille pezzi rasi al suolo e la piccola fiamma di un flebile sorriso era stata distrutto dal forte vento creato dal crollo.
Anche quel giorno al rientro dal lavoro quei due si stavano baciando sulla soglia, il castano incassò la testa tra le spalle, non voleva vederli, non voleva neanche immaginarsi le loro bocce unite figurarsi vederle. Si richiuse nel suo appartamento, vuoto, aveva voglia solo di dormire per sempre, si gettò sul letto guardando il lampadario sul soffitto, Minho… Taemin… e ora Kibum, possibile che tutte le persone a cui affidasse anche solo un briciolo di cuore lo deludessero? Chiuse gli occhi, voleva solo dormire.
Era notte fonda, dovevano essere circa le due, quando il suo sonno fu interrotto bruscamente, sentiva delle urla provenire da fuori, la voce però non la conosceva, si alzò sbadigliando, era ancora vestito, aprii di poco la porta sbirciando dalla fessura.
“Che significa che questa era l’ultima volta Kibum?”. Era il ragazzo con i capelli biondo platino a parlare.
“Hai capito benissimo, non ho più intenzione di continuare con questa storia” il tono del suo vicino era più tranquillo, forse più duro.
Il biondo si passò una mano tra i capelli biondissimi “Kibum, so che certe volte mi comporto male, ma ti assicuro che a te ci tengo tantissimo”.
“È proprio questo il punto. Tu tieni a me, ma io ti ho amato fino ad ora”.
Il biondo deglutì a vuoto, la scena era patetica, stava per chiudere la porta e provare a dormire ancora quando… “Se ti dicessi che ti amo anch’io?” disse il più basso accarezzandogli il braccio con quello che doveva essere un sorriso confortante sulle labbra.
Jinki per poco non spalancava la porta sentendo quelle parole, lo aveva usato fino a quel momento e ora pur di usarlo ancora diceva che lo amava. “Direi che ormai non ti amo più” le parole fredde di Kibum fecero raggelare il sangue nelle vene sia a Jinki che a Jonghyun.
“Non mi ami più?” chiese il biondo piegando di lato la testa.
“No, ed è per questo che non ho più intenzione di vederti, ora sei pregato di andare via”.
Il biondo strinse i pugni e i muscoli del castano che li stava spiando si tesero da soli pronti a scattare; però il biondo non fece nulla, sibilò appena un “Fanculo Kibum” e scomparve dietro le porte dell’ascensore.
Il ragazzo sulla soglia sospirò chiudendo gli occhi “Ora puoi uscire” disse in un tono quasi divertito.
Jinki sarebbe voluto sprofondare nel baratro infinito dell’imbarazzo, si fece avanti di qualche passo a testa bassa come un ladro beccato con le mani nel sacco.
“Hai sentito tutto?” chiese il più piccolo senza guardarlo.
“Non tutto, ma gran parte” ammise colpevole. “Quindi alla fine ti sei stufato di farti usare”.
“In un certo senso” rispose l’altro appoggiandosi allo stipite della porta guardandolo.
“Sono felice per te” rispose alzando la testa guardandolo, gli si mozzò il fiato, aveva ancora quella bellezza scomposta che lo circondava, i pantaloni corti, una camicia aperta sul petto glabro, le ciocche verdi erano strategicamente sparse tra i capelli castani, era bello, molto bello.
“Mi sento meglio ora sai, più leggero, più pulito, meno colpevole” disse incrociando le braccia al petto, gli veniva da ridere sia perché era felice sia per l’aspetto trasandato di Jinki, i pantaloni erano stropicciati, la camicia aveva qualche bottone aperto di troppo, gli occhi ancora semi chiusi per il sonno e i capelli sparati in ogni direzione lo rendevano adorabile.
“Ti sentivi colpevole?” azzardò il castano.
“A differenza di altri non riesco a usare le persone”. Il più grande lo guardò interdetto, non capiva il senso delle sue parole. “Si insomma non trovi anche tu squallido andare a letto con qualcuno che non ami?”. Si stava avvicinando a lui gesticolando appena “ Non riuscivo più neanche più a baciarlo senza immaginare involontariamente te al suo posto dannazione”.
Jinki spalancò gli occhi muovendo qualche passo in automatico verso di lui “Tu sei strano Kibum, non riesco a capirti”.
“Forse ci riusciresti se passassimo più tempo insieme”. Ormai erano uno di fronte all’altro Kibum sorrideva, Jinki si mordeva le labbra.
“Potrei provarci” si guardarono negli occhi senza muoversi. “Vuoi baciarmi sì o no idiota” proruppe il più piccolo dopo qualche istante e il castano non se lo fece ripetere due volte facendo combaciare le loro labbra. Fu un bacio lungo che fece consumare l’aria nei loro polmoni, un bacio dolce e allo stesso tempo passionale, un bacio pieno di paura, insicurezza e cose non dette.
Quando si separarono sorrisero, entrambi e al più piccolo mancò per la seconda volta il fiato… il suo sorriso, era la cosa più bella che avesse mai visto come se il sorriso fosse fatto per troneggiare sul suo viso, il modo in cui le labbra piene si stendevano, il modo in cui gli zigomi si riempivano, il modo il cui i denti sfioravano il labbro inferiore, tutto era perfetto, lui era nato per sorridere. “Il ragazzo col sorriso è tornato” disse accarezzandogli appena con il pollice il profilo del labbro inferiore “Visto? Non era tanto difficile tornare a sorridere ancora”.
“Merito tuo” disse facendo combaciare le loro fronti con il sorriso ancora dipinto sul volto.
“Sei bellissimo non smettere mai di sorridere”. Un piccolo bacio a stampo, la mano del più piccolo dietro al collo del maggiore.
“Tu restami accanto e non smetterò più”.
“Te lo prometto”. Si baciarono ancora una volta. Due cuori spezzati ricuciti insieme battevano più forte di uno solo, quello era l’amore.

[angolino dell'autrice]
salve a tutti e ciao a te nessa spero che la storia ti sia piaciuta e mi dispiace se ho inserito anche le mie ship...non ho resistito...gomen... la canzone che Onew canta è hello il testo viene da internet solo perchè non mi faceva copiare i caratteri coreani l'ho scritto così. auguri ancora.
P.s i personaggi hanno acconciature da vari spazi temporali, Tae è biondo stile danger, Minho è com'è ora, Kibum like view idem per Jong e Onew è stile Sherlock.
Bye
Chloe x

 
  
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