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Autore: Mary P_Stark    07/06/2015    1 recensioni
Anno 2034. Cameron e Domenic Van Berger, rampolli della famiglia omonima e giovani di brillante talento, si ritrovano loro malgrado nel mezzo di un intrigo internazionale. Sarà Cameron a farne le spese in prima persona, e Domenic tenterà di tirarlo fuori dai guai, utilizzando tutte le sue conoscenze tecniche... e non. Un segreto che, ormai da anni, cammina con lui, si rivelerà determinante per la salvezza del fratello. E della donna che ama. Antiche amicizie si riveleranno solo meri inganni, e questo porterà Domenic e Cameron a confrontarsi con una realtà che non avrebbero mai voluto affrontare. Chi è veramente il nemico, di chi possono fidarsi, i due gemelli? - SEGUITO DI "HONEY" E "RENNY" (riferimenti nelle storie precitate)
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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XIV. Alaska.
 
 
 
 
 
L'abitazione era quasi totalmente isolata dal resto del mondo, sita lungo una strada chiusa, circondata dal Parco Nazionale e da metri e metri di neve.

L'aria era molto più che frizzante e il cielo, cupo e ricoperto di nubi, non lasciava intravedere neppure una parvenza di sole, già basso sull'orizzonte.

Minami, infagottata in un pesante parka e, per una volta, scevra di tutti i suoi abiti vezzosi e della parrucca enorme, si guardò intorno dubbiosa e mugugnò: «Se dentro non c'è neppure un computer, impazzirò in meno di trentasei ore.»

«Cervelloni...» ironizzò per contro Cameron, ghignando al suo indirizzo.

Lei gli fece la linguaccia mentre Bryce, ora in divisa ufficiale da agente CIA, avanzò assieme a quattro colleghi per controllare che il perimetro fosse sicuro.

Altri tre agenti rimasero con Cameron e compagni e, in fretta, li fecero entrare nella villa di tre piani in sassi e legno.

Se all'esterno appariva come un confortevole, ma normalissimo, chalet di montagna, con tanto di tronchi levigati e tendine di pizzo alle finestre, l'interno somigliava più a un bunker.

Le finestre erano blindate, potevano all'occorrenza essere oscurate e, su ognuna di esse, si trovavano sensori di movimento già attivi.

Le porte, spesse cinque centimetri, erano in kevlar rinforzato, abbellite all’esterno  con pannellature lignee color cigliegio.

Le camere da letto, che gli agenti controllarono prima di dare il via libera, avevano finestre oscurabili, e anch'esse potevano contare su vetri antisfondamento e sensori.

Quando Domenic entrò nella sua, lasciò cadere la valigia sul pavimento in parquet color sabbia e si guardò intorno, studiando l’ambiente.

Osservò per un istante il semplice letto a due piazze, la sua struttura arcuata e la marea di cuscini presenti sul letto e sulle poltrone ergonomiche.

Sorrise, chiedendosi chi fosse stato ad ammobiliare quel luogo. Forse, una donna, vista la marea di cuscini.

A ogni modo, era un buon posto per riposare ma, in quel momento, il suo pensiero era legato a qualcosa di più importante che un letto comodo e un pisolino.

In fretta, uscì dalla stanza dai toni del marrone e del verde, ben più preoccupato per i suoi computer, che per l'alloggio in sé e per sé.

Cameron, per contro, lo raggiunse quasi di corsa e, afferratolo alle spalle, esalò disgustato: «Non mi verrai a dire che, con tutto questo ben di dio di neve e impianti sciistici, noi non possiamo uscire?!»

Dom fissò basito il fratello, cercò di capire se stesse scherzando o meno – no, non scherzava – e, infine, sospirò esasperato.

Gelido, quindi, gli ringhiò contro: «A volte, mi chiedo sei hai sale in zucca. Ma capisci perché siamo qui?»

«E tu capisci che, se nessuno di noi uscirà mai di qui, qualcuno potrebbe insospettirsi?»

Domenic si accigliò, ma non poté ribattere.

Era dannatamente vero.

Anche se avevano scorte di viveri per mesi interi, e non necessitavano di uscire per recarsi al supermercato, non potevano essere del tutto invisibili.

Le tracce sulla neve erano state lasciate, e qualche turista avrebbe potuto notarle.

Le luci stesse della villa potevano attirare l’attenzione, e non potevano nascondere il fumo derivato dalla combustione della legna nel camino.

Il fatto stesso di provare a rendersi del tutto invisibili, avrebbe potuto creare dei problemi, e più di qualche sospetto.

Se c’era una cosa che attirava i curiosi, erano i misteri.

E lui non voleva finire in quelle case sperse nei boschi, dove gli unici contatti col mondo erano gli animali selvatici e le piante d’alto fusto.

No, in qualche modo, dovevano rendersi almeno in parte visibili.

«In ogni caso, tu non potrai uscire. Persino i sassi ti conoscono, e ci sono troppe telecamere a circuito chiuso, Viewscan e quant'altro, ad Anchorage, ivi compreso sulle piste da sci. No, tu sei confinato in casa esattamente come me.»

«Vuoi dirmi che solo Phie e Minami, possono uscire? Oltre, ovviamente, agli agenti di scorta?» esalò sconfortato Cameron, facendo tanto d'occhi.

«Brutto da dire, ma sì. Loro non sono nel mirino dei Tashida mentre tu, io e Yuki-necchan, decisamente sì.»

«Sappi che ora sono furioso» brontolò Cam, infilando le mani in tasca con espressione sconfortata.

«Ne hai tutto il diritto» assentì il gemello, imitandone la posa.

«Andiamo a cucinare? Mi è venuta fame, e giù ho visto una cucina che merita di essere almeno testata» aggiunse a quel punto Cameron, avvicinandosi al fratello per dargli un colpetto con la spalla.

Dom lo seguì in silenzio e Phie, spuntando in quel momento dalla sua stanza, sorrise nel vederli discendere insieme le scale.

Poco dietro di lei, Minami osservò la scena senza capire e, rivoltasi alla ragazza, chiese lumi.

Sophie, allora, si appoggiò allo stipite della porta, lanciò un'occhiata oltre il ballatoio del primo piano – da cui si intravedevano l'ampio open space d'entrata e la cucina – e asserì: «Hanno imparato quando avevano circa dodici, tredici anni. Quando erano così arrabbiati da volersi prendere a pugni, Hannah li metteva ai fornelli, in modo tale che sfogassero in altro modo la loro rabbia.»

«E capitava spesso?» si informò Minami, curiosa.

«A quell'età, sì. Cam si ostinava a dire al gemello di uscire di casa, di andare a giocare a palla con gli amici, e l'altro non voleva, preferendo starsene dentro a studiare. In realtà, Cameron non voleva che il fratello si isolasse dagli altri, così si infuriava quando Domenic si rifiutava di uscire.»

La giapponese ridacchiò, divertita dalla storia. Ma disse: «Capisco bene Domenic-san. Il computer ha un fascino tutto particolare.»

«Anche tu hai un Q.I. come il suo?»

Minami sgranò gli occhi, a quella domanda, e scosse ferocemente il capo.

«Oh, no, del tutto normale, il mio! Infatti, certe cose, neppure capisco come Domenic-san riesca a farle. Mi ha insegnato molto, da quando sono entrata a far parte del gruppo che lui supervisiona, e sono brava nell'hackering puro, ma certe cose proprio mi sfuggono. Ero poco più di una bambina, quando mi beccò a curiosare nel mainframe della V.B. 3000. Stupidamente, pensavo di essere abbastanza brava da bucare il loro sistema di sicurezza.»

Rise di quel ricordo e, nell’appoggiarsi alla balaustra del ballatoio, guardò dabbasso, scrutando i gemelli alle prese con il frigorifero: «Mi chiese se volevo evitare la galera, - se combini certi casini, ti sbattono dentro anche a tredici anni, in Giappone . Sai, dargli una mano con il suo gruppo e diventare una whitehat… cose così.»

«Eppure, mi pare che anche tu sia molto brava. Dom ha decantato molto le tue doti» esordì una voce dietro di loro, sorprendendo le due ragazze.

«Kendall-san... o dovrei dire Agente Kendall?» ironizzò Minami, ammiccando con i suoi scuri occhi neri. «Perché non ti sei identificato, a Tokyo? Avresti potuto evitare di fare la parte dell'imbranato.»

Bryce ridacchiò e, scrollando le spalle, replicò: «Mi viene bene, ammettiamolo. E poi, ero in missione operativa sotto copertura. Non potevo scoprirmi... neppure con te.»

«Tyler ancora non si fida di noi, eh?» brontolò la nipponica, storcendo il naso. «E’ una fortuna che abbia preso la via della pensione. Non era proprio il tipo giusto, per questo genere di mansioni.»

«Già. Domenic ci ha litigato per ore, ma non è servito a nulla. Per questo, siamo partiti così tardi da Los Angeles. Avremmo potuto iniziare la missione con almeno dieci ore di anticipo.»

Phie, che aveva seguito a stento il loro scambio di battute, sospirò e disse: «Non so se mi abituerò mai a saperti un agente della CIA. Ma come ti è saltato in mente, Bryce?»

«Ricordi che ti parlai della confraternita all'università?» le domandò allora lui, ammiccando.

«Sì, certo.»

«Beh, è nato tutto lì.»

Sophie attese che continuasse, ma lui si murò la bocca e, senza dire altro, discese le scale per raggiungere i gemelli che, nel frattempo, si erano messi a pulire della lattuga.

«Lo odio, quando fa così» sibilò Phie, prendendo sottobraccio Minami per scendere dabbasso a loro volta.

La nipponica si limitò a ridacchiare ma, quando raggiunse la cucina assieme alla sua nuova amica, rimase sorpresa da quel che vide.

Visti di spalle, era impossibile riconoscere i due Van Berger, se non per una lieve differenza nella loro acconciatura.

Cameron portava i capelli corti, a spazzola, mentre quelli di Domenic erano più lunghi, e cadevano in onde sulla fronte e sul collo.

Entrambi, però, erano alti e dalle spalle ampie, dalle linee slanciate e abili nei movimenti.

Vederli all'opera, era come essere di fronte a una catena di montaggio ben oliata.

Ciò che iniziava uno veniva terminato dall'altro, in un susseguirsi armonico di movimenti.

Minami esalò sorpresa e mormorò: «Sono davvero...»

«Eufonici?» le suggerì Phie.

«Sì, sembra l'armonia di un'orchestra perfettamente a tempo. Incredibile.»

Sophie ridacchiò, e le disse: «Vuol dire che sono furiosi. Più vanno a tempo e si concentrano, più hanno i nervi a fior di pelle.»

«Sempre detto che sono strani» chiosò Bryce, servendosi da bere direttamente dal frigorifero.

 
§§§

Un quieto bussare alla porta, seguito da una domanda educata e composta.

Yuki sorrise spontaneamente.

Era difficile pensare a Domenic come a una persona impulsiva, eppure rammentava bene come avesse colpito il suo precedente supervisore.

Non se l'era aspettato, da lui, ma era questo a colpirla ogni volta.

Sapeva sorprenderla sempre e, anche quella volta, quando lo vide entrare con un vassoio in mano, si chiese cosa gli fosse preso.

Sbattendo le palpebre per la confusione – aveva notato la mancanza di droidi in casa, ma non ne aveva chiesto lumi – gli domandò: «Beh? Ti metti a fare il maggiordomo?»

Lui si limitò a sorridere e, nel posare il vassoio sulla vicina scrivania, le domandò: «Ti senti meglio? Ormai, i nanobot dovrebbero essere stati assorbiti dal tuo organismo.»

«Ho un po' di solletico al fianco. Si vede che non hanno ancora finito. Per il resto, sto bene.» Poi, indicando il vassoio, ammiccò. «Potevo scendere senza problemi, sai?»

Domenic scrollò le spalle e, nel sedersi sul letto, disse: «Dovevo stare lontano da mio fratello per non gonfiarlo di pugni.»

Yuki lo fissò senza parole e, nel portarsi alla scrivania per mangiare – a giudicare dal profumo, doveva esserci della carne di ottima qualità, sotto il coperchio d'acciaio – rise sommessamente.

«Ma come? Tanta fatica per salvarci, e poi vuoi gonfiarlo di pugni?»

«E' indisponente, anche se lo capisco. Tenerlo al chiuso, è come togliergli l'aria. Ma non possiamo fare altrimenti, finché non capisco come decrittare tutto.»

Il tono di Domenic si fece pensoso e Yuki, desiderosa di confortarlo, si volse verso di lui, ignorando la cena.

«Sai che io e Minami-chan ti daremo una mano, vero?»

«Certo. Ma, ugualmente, non sarà una cosa facile, e l'idea di tenere in gabbia mio fratello mi angustia» sospirò Domenic, reclinando il viso.

Quando mai avrebbe pensato un momento a se stesso, quel ragazzo?

Anche quell'impegno assiduo, che aveva preso sulle sue giovani spalle all'età di  diciotto anni, non era forse diventato troppo, per lui?

Ma era inutile che Yuki si chiedesse cose simili.

L'abnegazione e l'impegno di Domenic erano totali, e niente lo avrebbe distolto dal suo ruolo di caposquadra.

E che squadra!

Un branco di scombinati, sempre ai limiti delle leggi federali americane e internazionali, tenuti assieme dal suo carisma, e dalla non secondaria promessa di evitare il carcere.

Sorrise a quel pensiero, e disse: «Cameron-kun capirà in fretta che, primo, tu non c'entri nulla, secondo, un po' di tranquillità domestica può far bene anche a lui. Inoltre, credo che Sophie-chan lo terrà così occupato, che neppure penserà alle piste da sci.»

Il giovane annuì, ridendo sommessamente per quel commento.

Non aveva dubbi che, dopo il pericolo corso, quei due avrebbero passato parecchio tempo in camera da letto.

Con un sorriso, lanciò uno sguardo al vassoio ancora coperto, e mormorò: «Mangia. Non vorrei si freddasse.»

«L'hai preparata tu? Ho notato che non ci sono droidi in casa, né ne ho visti all'esterno o sull’aereo.»

Annuendo, Domenic le spiegò l'arcano.

«Per eludere il sistema di sicurezza interno dei droidi domestici, dovrei commettere troppe effrazioni nel sistema, e questo non rientra nel mio salvacondotto CIA. No, meglio fare a meno di un po' di servitù robotica e tornare ai cari, vecchi metodi. E poi, cucinare mi rilassa.»

«E ti viene bene» commentò Yuki, dopo aver assaggiato un pezzo di carne al sangue, annaffiata con aceto balsamico e cosparsa di aneto.

Inforchettata l'insalata, se la portò alla bocca e, dopo aver ingollato il tutto con espressione soddisfatta, si volse a mezzo verso Domenic e aggiunse: «Ribadisco. Potresti aprire un ristorante tuo, con una mano simile.»

Dom le sorrise grato e ristette nella stanza della ragazza a guardarla mangiare, lieto anche soltanto di saperla viva.

Parlarono del più e del meno, evitando tutti gli argomenti più spinosi, come il tradimento dei Tashida e il pericolo incombente che li stava cercando.

La luce all'esterno si spense del tutto, e il cielo tornò di un cupo color nero fumo, senza neppure una stella a illuminare quell'immensa distesa monocroma.

Alcuni lampioni tentarono di abbattere quell'oscurità ovattata, lanciando aloni rosati sulla neve fresca attorno a loro.

Quando infine Yuki terminò la cena, Domenic si alzò per portare via il vassoio ma la giovane, afferrata una mano dell'amico, mormorò: «Domenic-kun... grazie per averci trovati.»

Lui le sorrise, si chinò verso di lei per deporle un casto bacio sulla fronte liscia e, nello scuotere il capo, replicò: «Non dirlo neppure. Vi avrei riportati a casa a ogni costo, anche contro il parere di Tyler. Era mio dovere, no?»

Yuki cercò di non apparire delusa da quell'ultima frase e, annuendo, lasciò la presa.

«Eriksson non potrebbe avere di meglio, come caposquadra di noi sbandati.»

Dom ridacchiò a quel commento e, nel ritirare il vassoio, chiosò: «Sbandati che io adoro... e che ho scelto personalmente. Non credi che abbia avuto buon gusto, forse?»

«No, no, ne hai avuto molto» assentì lei, sorridendogli.

Tornando serio, Domenic aggiunse: «Non c'è niente che non farei, per voi.»

«Lo so» sussurrò Yuki, guardandolo uscire dalla sua stanza senza più dire nulla.

Quando fu certa che non fosse più a portata d'orecchio, però, aggiunse: «Vorrei solo essere speciale, per te, non soltanto una tra tanti.»

 
§§§

Il passo elegante di Nobu venne incrinato per un attimo, quando i suoi occhi scuri si posarono sul viso tumefatto di Byron.

Immediatamente, però, riprese il controllo di se stesso e, dopo aver tirato un poco di fumo dalla sua sigaretta, mormorò: «Avrei dovuto farla seguire, invece di fidarmi di lei. Non avevo davvero idea che si fosse messa in testa di imparare il ninjutsu. Ha sempre preso le lezioni di papà come un gioco.»

«E' dannatamente brava, anche se immagino che quel colpo di pistola a tradimento l'abbia parecchio debilitata. Non credo di averle rotto nulla, comunque. Riusciva sempre a rintuzzare i miei colpi, pur se all'ultimo momento» gli spiegò Byron, osservando con disprezzo il livido bluastro che aveva sull'avambraccio.

Non avrebbe dimenticato quella sconfitta molto alla svelta, e avrebbe trovato il modo di vendicarsi.

«Il luogo è pulito?» si informò Nobu, avvicinandosi alla finestra per osservare Tokyo la mattina, frenetica di attività e di persone.

Sembravano così piccole, da quella prospettiva rialzata! Così semplice, schiacciarle con un solo dito! Così vulnerabili e senza protezione!

No, non avrebbe permesso che Asclepio vedesse la luce. Lo avrebbe distrutto.

E così avrebbe fatto con tutti coloro che si erano messi contro di lui, a partire da sua sorella.

«Ripulito alla perfezione. Se anche qualche poliziotto zelante si chiedesse il perché dei danni alla palestra, non troverebbe nulla di riconducibile a noi.»

Nobu tornò ad annuire, pensieroso e, nello spegnere la sigaretta, tornò a guardare il suo amante.

Gli si avvicinò, allungando una mano per sfiorare il livido che aveva sul viso, e si accigliò.

«Non fa molto male. E' più il morale, a sentirsi ferito» ironizzò Byron. «Sconfitto da una ragazza. Che umiliazione!»

«Non ti aspettavi da lei che conoscesse simili tecniche di difesa. Va detto anche questo. Anche il guerriero più indomito può essere sorpreso, se non sa contro chi sta combattendo. E, da quel che mi hai detto, aveva degli alleati.»

Annuendo, Byron asserì torvo.

«A parte Van Berger, che si è dimostrato parecchio ostico, per essere solo un damerino americano, c'erano almeno altre due persone. Un uomo e una donna. Non sono riuscito a vederli, a causa della scarsa luce, ma potrei ricorrere alla scansione vocale per riconoscere almeno la ragazza. L'uomo non ha parlato a voce alta, e dubito che i sensori del mio registratore abbiano captato la sua voce, ma posso sempre tentare anche con lui.»

Nobu sorrise soddisfatto, annuendo.

«Il tuo vizio di registrare tutto, eh?»

L'inglese si limitò a scrollare le spalle.

«Mi è capitato più di una volta di dover ricorrere a simili espedienti, per riconoscere un nemico. Stavolta, pare sia una di quelle occasioni.»

Annuendo, Nobu si sedette sul bordo del letto e iniziò a carezzare distrattamente il braccio robusto e sodo di Byron, tracciando lente carezze su quella pelle chiara.

I peli ruvidi e corti sotto i suoi polpastrelli lo portarono a sorridere – amava sentirli su tutto il corpo – e, pensieroso, mormorò: «Quello che mi sorprende, è la rapidità con cui li hanno trovati. Il nostro informatore ci aveva detto che avremmo avuto tempo sufficiente per rintracciare Yuki-chan e neutralizzarla.»

«E' quello che mi sono chiesto anch'io. Evidentemente, anche tra le fila della nostra cara gola profonda, qualcosa è andato storto.»

«Quel che mi chiedo ora, però, è un’altra cosa…» mormorò Nobu, osservando l’amante con una vena di preoccupazione negli occhi scuri.

L’inglese annuì, lasciando che parlasse.

«Perché Yuki-chan ha addosso un localizzatore satellitare?»

Byron non seppe che rispondere e, reclinando il capo sul cuscino, lasciò che i suoi pensieri andassero a ruota libera.

Tre mesi addietro, quando Nickolas aveva proposto alla Tashida di testare un nuovo programma farmaceutico, sia Nobu che suo padre non avevano avuto nulla da ridire.

La collaborazione con la V.B. 3000 era sempre stata fruttuosa, e andava avanti da più di un ventennio.

Quel che li aveva stupiti era stato ricevere, poco tempo dopo, file criptati sul contenuto di Asclepio, il programma ideato da Domenic Van Berger.

Quando Nobu aveva letto quei files, e aveva scoperto cosa il programma fosse in grado di fare, ne aveva visto sia le potenzialità che i danni, per l’industria farmaceutica.

Un’intelligenza artificiale in grado di debellare qualsiasi male.

Questo avrebbe portato sul lastrico ben più di una compagnia; non avrebbero più potuto contare sui farmaci antitumorali o per le malattie croniche, per creare mercato a lungo termine.

Poterlo sfruttare per fini di lucro, invece, sarebbe stato tutt’altro affare.

La gola profonda, che si era messa in contatto con Nobu, aveva dato prova della sua affidabilità offrendo loro dati sensibili che nessuno, oltre a qualcuno di ben informato, avrebbe potuto avere.

Un dipendente della V.B. 3000 aveva tradito? Più che probabile, visto ciò che aveva fatto sapere loro.

Ma questo non spiegava il segnalatore di Yuki.

Era un mistero, e forse avrebbe potuto creare loro più guai di quanto, la ragazza stessa, non avesse già causato con il suo colpo di testa.

Ma, in quel momento, era vitale trovare i fuggitivi.

Al resto, avrebbero pensato a tempo debito.

«Non appena la troveremo, andrò a prenderla personalmente» gli assicurò Byron, torvo in viso. «E le chiederò cosa diavolo è quel segnalatore.»

«So che vuoi vendetta, ma non mi fido molto di quegli americani.»

«Mi si può imbrogliare una volta, ma non due. Lasciami andare, Nobu-san

Nobu allora si chinò per baciarlo sulla fronte, il naso e le labbra e, annuendo, mormorò sulla sua bocca: «Sai che non ti negherei nulla.»

 
§§§

Domenic discese le scale con i capelli scompigliati e l'aria di non aver dormito molto ma, quando udì dei colpi ritmati e la voce in sottofondo di suo fratello, si immobilizzò.

In piedi sulla scala, guardò dabbasso e, con aria a metà tra lo sconcertato e l'esasperato, si chiese chi avrebbe ceduto prima; se Cam, o le sue guardie del corpo.

Dopo aver improvvisato un dojo nel bel mezzo del salone open space, Cameron stava fornendo le indicazioni di base a un paio di agenti perché imparassero il karate.

«Che ci fa una palestra giapponese nel bel mezzo dell'Alaska?» mugugnò dietro di lui Yuki, sbadigliando sonoramente un attimo dopo.

Dom si volse a mezzo, le sorrise e trovò che quella massa arruffata di capelli neri, che incorniciavano un viso eburneo e ancora assonnato, fosse la cosa più bella al mondo.

Ma ovviamente non glielo disse.

Non voleva complicare le cose ancor più di così, e già da anni non si intrometteva nella sfera privata di Yuki.

«Cam ha pensato di trovare un sistema alternativo per non impazzire...» ironizzò Domenic, indicando il fratello. «... cioè, far impazzire i nostri agenti di scorta.»

Yuki ridacchiò a quel commento ma, prima ancora di poter dire alcunché, Minami uscì dalla sua stanza, li vide nel corridoio e balzò fuori pimpante e allegra.

Come facesse, era un mistero.

Era rimasta alzata fino alle quattro del mattino assieme a loro, per controllare tutti i dati raccolti dalla Tashida, eppure sembrava appena uscita da una SPA.

Dom e Yuki la fissarono vagamente irritati mentre, con passo balzellante, scendeva gli scalini per raggiungere il pianterreno.

«Cos'ha da essere così giocosa e chiassosa, di prima mattina?» brontolò alle loro spalle Phie, giungendo con passo strascicato e sonnolento.

I capelli lunghi e bruni erano stati legati grossolanamente in una coda di cavallo, e il lungo pigiama di flanella che indossava pencolava un po' su una spalla.

Domenic le sorrise e, quando le fu al fianco, la baciò su una guancia, mormorando: «Buongiorno, Phie.»

«Ciao, Dom» mugugnò lei, abbracciandolo a mo' di koala perché la accompagnasse al piano inferiore.

Il giovane ridacchiò, ben più che abituato a quel suo comportamento infantile.

Quando voleva essere confortata, Phie si comportava a quel modo, e Domenic sapeva bene perché.

Pur con tutta la buona volontà del mondo, non ci si poteva dimenticare che non erano lì in vacanza.

E che la ragazza, con sprezzo del pericolo, si era andata a infilare in una potenziale situazione mortale.

Non era da tutti sopportare così stoicamente una situazione simile, e ci stava che Phie desiderasse un po' di conforto.

Scendendo le scale poco alla volta, Sophie ancorata a lui come una cozza allo scoglio, gli occhi chiusi e il viso stanco, Dom le baciò i capelli, tenendola stretta a sé per non farla cadere.

Yuki, dietro di loro, li seguì a un passo di distanza, osservando la scena con una punta di invidia.

Sapeva perfettamente che il comportamento di Domenic era del tutto fraterno, e che anche Cameron non avrebbe avuto nulla da ridire a vederli così avvinghiati.

Ma le spiacque che fosse solo Phie a beneficiare di quel trattamento.

Quando infine raggiunsero il pianterreno, la giovane si staccò dall'amico, gli diede un rapido bacio sulla guancia e andò ad afferrare il fidanzato che, ridacchiando, la strinse a sé tutto sorridente.

«Ehi, dormigliona! Ti sei svegliata, finalmente!» ironizzò Cameron, dichiarando chiuso l'allenamento con un inchino e un sorriso.

Gli agenti tornarono a indossare le loro giacche, coprendo così le armi che portavano addosso e, chi per un verso, chi per l'altro, tornarono alle loro postazioni.

Non vedendo Bryce, Domenic immaginò fosse all'esterno della casa.

Dirigendosi con Yuki verso la cucina – Minami era già lì, assieme a Cam e Phie – Dom chiese all'amica: «Sei riuscita a dormire almeno un po'?»

«Ho chiuso occhio non appena ho poggiato la testa sul cuscino, ma risento parecchio del jet-leg. E questa penombra perenne non aiuta.»

Il cellulare di Domenic scelse quel momento per suonare e, scusatosi con Yuki, rispose alla chiamata.

«Ehi, figliolo. Ciao! Siete in piedi, vero? Non vi ho svegliato, spero.»

La voce di Nickolas Van Berger giunse squillante e stentorea e Domenic, guardando l'orario, si disse che il padre doveva essere al lavoro da almeno un'ora.

«Ciao, papà. Sì, siamo tutti più o meno svegli. Minami-chan e Cameron sembrano due molle stracariche, mentre io, Phie e Yuki-necchan siamo vagamente più in coma.»

Il padre ridacchiò. «Yuki-chan sta meglio?»

«Le toglieranno le graffette stamattina. Se vuoi, te la passo.»

«Non c'è problema, figliolo. Non voglio rubarti del tempo, visto che so quello che devi fare.»

Fu il turno di Domenic per ridacchiare.

«Credimi, papà, ogni tanto mi fermo anche io. E ora, penso mi farò la classica colazione da campioni. Ieri notte, abbiamo lavorato fino a tardi, e adesso ho fame.»

«Non strafare, ragazzo. Hai già dato molto, in questi giorni e, io immagino, anche negli anni passati.»

Ora, il tono di Nick si fece pensoso e sì, preoccupato.

Dom sospirò e, nel sedersi sul vicino divano, asserì: «Sentivo di dover mettere le mie doti al servizio di qualcosa di importante e, quando mi contattarono quelli della CIA, capii che volevo provare.»

«Desidero solo che tu sia felice, Dom. E, se questo ti rende felice, o ti da soddisfazioni sufficienti, per me va bene.»

Il giovane sorrise, immaginando cosa suo padre non gli stesse dicendo.

«Guarda che anche lavorare alla V.B. 3000, mi piace. Non devi pensare che quello non fosse sufficiente, papà. Solo, volevo che quello che so fare aiutasse il maggior numero possibile di persone. E ho pensato che, lavorando per il Governo, questo fosse fattibile.»

«Ed è così?»

«A volte sì, a volte no. Ma mi è servito per maturare, per capire che non si può ottenere tutto quello che si vuole, che certe volte bisogna accettare dei no, come risposta.»

«Sai che io e la mamma siamo orgogliosi di voi, vero?»

Domenic rise sommessamente e, pur sapendo che non poteva vederlo, annuì.

«Sì, papà, lo sappiamo entrambi. Non temere. Ti passo Cam... vedo che si sta sbracciando per farsi notare.»

«D'accordo. A presto, Dom, e riguardati.»

«Lo farò» assentì il figlio, levandosi poi in piedi per passare il cellulare al gemello. Lui, iniziò subito a parlare a raffica, tempestando il padre di informazioni su come fosse il loro alloggio, o cosa non stessero facendo a causa degli agenti di scorta.

Questi ultimi sorrisero indulgenti, e Cam strizzò loro l'occhio con fare complice.

Domenic ne fu lieto.

A quanto pareva, il gemello si era già adattato alla situazione.

Lasciando il fratello alla sua telefonata, si avvicino alla consolle centrale della cucina, e lì Yuki gli allungò un toast imburrato e della marmellata di mirtilli.

«Grazie.»

«Se non ricordo male, ti piaceva» si limitò a dire lei, scrollando le spalle.

«Com'è che conosci le abitudini alimentari di Domenic-kun?» si interessò Minami, impegnata a sbocconcellare dei biscotti al miele.

Lanciando un'occhiata a Domenic, Yuki si lasciò andare ai ricordi della loro infanzia e raccontò alla ragazza di come si fossero conosciuti.

Le sue parole profumarono di nostalgia e Dom, nell'osservarla assorto mentre la giovane si lasciava trasportare dal racconto, desiderò per un momento tornare a quegli istanti spensierati.

Non ne aveva ancora parlato con il gemello, ma temeva che Cam fosse rimasto colpito nel profondo dal tradimento di Noboru.

Per lo meno, molto più di lui.

Se Domenic era sempre stato più affezionato – e legato – alla madre di Yuki, Cam lo era stato di Noboru e, da lui, aveva imparato i rudimenti del bushido.

Non faticava a immaginare quanto, quel voltafaccia, gli pesasse.

Quasi quanto a Yuki, pensò.

 
§§§

La neve stava cadendo silenziosa e fredda dal cielo scuro e, quando Cameron andò a sedersi accanto al gemello, nella veranda chiusa della casa protetta, disse sommessamente: «C'è qualcosa che non ti posso nascondere?»

«Ben poco, credo.»

Vagamente piccato, allora Cam replicò: «E perché tu ci riesci, invece? Non avevo davvero idea che facessi questo, nel tempo libero.»

«Nel tempo libero, vado in barca, nuoto e corro. E' ben diverso» ribatté sorridente il gemello.

«Non spaccare il capello in quattro, fratellone.»

Domenic allora sospirò, si lasciò andare lungo la sdraio dove si era sistemato e, le mani strette dietro la nuca, mormorò: «Tu sei sempre stato espansivo, Cam. Una vera forza della natura, sempre pronto a sperimentare cose nuove. Ma eri anche un cristallo purissimo, ai miei occhi. Riuscivo a vedere tutto, in te, perché tu non volevi nascondermi nulla.»

«E tu, invece?»

«Ti ho sempre, e solo, tenuto nascosto questo mondo, ma per proteggere te, mamma e papà.»

«E la faccenda di Yuki-necchan, allora?» ritorse Cameron, accigliandosi.

«Lei è... è complicato, Cam. E' legata a doppio filo con quello che faccio, perciò non ho mai aperto bocca. Troppi problemi.»

Domenic sospirò, interrompendosi, ma Cameron, non contento, proseguì nelle domande.

«Posso capire, e accettare, che tu abbia tenuto segreto il tuo coinvolgimento con la CIA, per gli ovvi motivi che sappiamo... ma Yuki-necchan? Perché non mi hai detto di lei?»

Il suo tono suonò quasi ferito, e Dom lo fissò spiacente, temendo di aver deluso il fratello.

«Scusa. Ho sbagliato.»

Cameron crollò in avanti, andando a poggiare il capo sulla spalla del gemello.

Esasperato, borbottò: «Non voglio che ti scusi. Voglio che mi parli. Parlami, Dom... dimmi quello che pensi, che provi. Ho sempre l'impressione che io, per te, non faccia mai abbastanza. Lasciati aiutare, consolare,... lascia che io sia, per te, ciò che tu sei per me.»

A quel punto, Domenic balzò a sedere, costernato e scioccato da quell'ammissione, ed esalò: «Ma lo sei, Cam! Che diavolo ti salta in mente?!»

Imperturbabile nella sua convinzione, Cameron scosse il capo e replicò: «No che non lo sono. Io non ho mai fatto le stesse cose che tu hai fatto per me!»

Il gemello sorrise indulgente, afferrò il viso di Cam tra le mani e mormorò: «Solo perché non ho bisogno delle stesse cose, o nello stesso modo. Ma tu sei la mia spalla, Cameron. Non dubitarne mai. Quando ho scoperto che eri in pericolo, mi sono sentito perso, vuoto. Non sapevo cosa fare.»

«Non mi pare» replicò il gemello, guardando Domenic sorridere in risposta.

«Credimi, ero terrorizzato. E mi sono sentito tranquillo solo quando ho saputo di poter contare su Bryce, perché altrimenti non avrei combinato nulla.»

Domenic lasciò cadere le mani, sospirò e tornò a guardare la neve che cadeva leggera e silenziosa.

«Tu ci sei stato nei momenti giusti, Cam. Quando mi sentivo solo, o spaesato, o spaventato da qualcosa, mi bastava guardarti. E allora sapevo che non mi sarebbe mai successo nulla. Che, se avessi avuto bisogno di un aiuto, o di una mano a cui aggrapparmi, tu ci saresti stato.»

«Non è la stessa cosa, Dom.»

«E' la stessa, identica cosa. Solo, io ho un modo diverso di chiedere il tuo aiuto.»

Cameron ci pensò su per un momento, e alla fine annuì, ma si sentì in dovere di dire: «Andando avanti, però, ogni tanto, chiedimi davvero una mano. Non pensare soltanto che te la darò sempre e comunque.»

«Andata» assentì Domenic. «E ora... vuoi parlarmi un po' di Noboru-san

«Quando me l'hai chiesto, poco fa, per poco non mi è venuto un coccolone» brontolò il gemello, sdraiandosi con fare scocciato.

«Immaginavo fosse una cosa rimasta in sospeso. Ne hai parlato un po' con Yuki-necchan

«Poco, e malvolentieri. Entrambi, siamo rimasti molto colpiti da ciò che ha fatto. Anche se sono propenso a dare ragione a Yuki-necchan. E' tutta opera di Nobu-san, e suo padre ne è rimasto invischiato.»

Annuendo, Domenic pensò la stessa cosa.

«Non so che pensare, Dom. Sono così poco bravo a capire le persone?»

«Fratellino... se neppure Yuki-necchan ha compreso subito cosa stava succedendo, come potevi sperare di riuscirvi tu, che lo vedevi, e sentivi, molto meno di lei? Inoltre, Noboru-san è sempre stata una persona molto ermetica, chiusa. Non fa specie che nessuno si sia accorto di cosa stava facendo. O di cosa stesse macchinando Nobu-san

Cameron rimase in silenzio così a lungo che, per un momento, il gemello pensò non avrebbe risposto alle sue affermazioni.

Quando però lo vide volgere lo sguardo verso di lui, fremette.

Le mani si chiusero a pugno e, senza dire nulla, Dom strinse a sé il fratello e lasciò che il suo calore lo cingesse, lo fortificasse, lo proteggesse dall'immenso dolore che aveva letto nel suo sguardo.

Non gli importava nulla di Asclepio, né del fatto che avessero tentato di rubarlo.

Era questo a farlo star male, a farlo fremere di rabbia a stento controllata.

Il fatto che avessero ferito le due persone che più amava.








Note: Sarà veramente un dipendente della V. B. 3000, ad aver tradito la fiducia di Domenic? O ci sarà dell'altro? Come faceva, questa fantomatica gola profonda, a conoscere l'esistenza del segnalatore di Yuki?
Vi lascio con queste domande e, nel ringraziarvi per avermi seguita fino a qui, vi auguro buona giornata.

  
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