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Autore: fragolalidia    08/06/2015    0 recensioni
Nel regno di Camelot c’erano numerosi cavalieri valorosi e, incredibile ma vero, per esserlo non era necessario avere un nobile lignaggio: bastava il cuore al posto giusto, gambe leste e mani capaci.
E il Piccolo Tor, figlio di Ars delle Terre Senza Re, questo lo sapeva bene: se lo faceva raccontare da sua madre ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattina appena sveglio, mentre beveva il suo bicchiere di latte di capra.
(Storia legata a "Simbolo Vuoto", ma di cui non è indispensabile la conoscenza.)
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Artù, Mordred, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore dietro l'ideale'
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Nel regno di Camelot c’erano numerosi cavalieri valorosi e, incredibile ma vero, per esserlo non era necessario avere un nobile lignaggio: bastava il cuore al posto giusto, gambe leste e mani capaci.
E il Piccolo Tor, figlio di Ars delle Terre Senza Re, questo lo sapeva bene: se lo faceva raccontare da sua madre ogni sera prima di addormentarsi e ogni mattina appena sveglio, mentre beveva il suo bicchiere di latte di capra.
Sua madre, a parere non solo di Tor e dei suoi fratelli ma anche di tutte le persone della valle, era la più bella donna della regione: i capelli rossi sembravano far impallidire anche i raggi del sole al tramonto e i suoi occhi erano tanto neri quanto luminosi. La bella Toria, questo era il nome della donna da cui Tor stesso prendeva il suo, non solo era bella, ma aveva la voce più melodiosa e l’animo più gentile che si potesse mai incontrare. Tor era tremendamente felice di essere suo figlio e non poteva non sentirsi orgoglioso quando le persone gli dicevano che aveva i suoi stessi begli occhi.
Suo padre Ars era l’uomo più forte che conoscesse. Spesso Tor si chiedeva come mai non fosse mai stato notato dai sovrani di Camelot e non fosse mai diventato cavaliere, ma quando lo diceva, Ars si metteva a ridere, buttando indietro la testa e quella sua magnifica chioma del colore del grano. Tor invidiava quella chioma riccioluta tanto che a volte detestava i suoi fratelli che l’avevano ereditata, contrariamente a lui che aveva i capelli scuri come la notte.
Gli capitò solo una volta di tirar fuori questo l’argomento per non farlo mai più.
Era successo quando Tor non aveva che sei anni e avrebbe sempre ricordato quel momento come se fosse capitato poco prima.
Era stato un freddo inverno.
Quel giorno, mentre suo padre sistemava una vecchia sedia, Tor si incantò a guardare sua madre pettinare i lunghi capelli biondi e lucenti della sorella. Fu allora che chiese come mai era l’unico ad avere dei capelli così brutti e neri. La madre lo guardò quasi inorridita, prima di distogliere lo sguardo e scappare fuor di casa, verso le stalle, per scoppiare a piangere così forte da spaventare lui e i suoi fratelli. Tor guardò spaventato suo padre in cerca di risposte e questi, invece, si limitò a fissarlo per lungo tempo in silenzio prima di parlare.
<< Perché dici questo, Tor? >> chiese mettendogli la grande mano callosa sul capo, per accarezzarlo.
Tor si accorse che la sua mano tremava, ma non sarebbe mai riuscito a capire quale emozione lo stesse pervadendo e, per la prima volta, ebbe paura di suo padre. Fu lì che comprese che c’era qualcosa che non andava: non era mai stato un bambino stupido, ingenuo forse, ma non stupido, e aveva subito capito che il fatto che non avesse i capelli come il suo papà era un argomento che non era da tirare fuori.
<< Io… perché è vero… >> riuscì a sussurrare sentendo le gambe tremargli.
<< Hai per caso sentito qualcuno fare dei commenti al riguardo? >>
<< No… Io… Vorrei solo essere come te… >>
A quelle parole, Ars si inginocchiò davanti a lui e lo abbracciò.
Fu la prima volta che lo sentì piangere.
<< Mi dispiace, padre… non volevo… Giuro che non lo dico più. >>
<< No, taci. >> lo fermò l’uomo guardandolo negli occhi con i suoi luminosi occhi azzurri << Tu non hai fatto nulla di male. Tor, non hai fatto nulla di male e impara questo, figlio mio, non chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta nel tuo cuore, che sia un’idea o una cosa da fare. È l’unico insegnamento che potrò mai darti. >>
E con quelle parole, gli baciò la fronte.
E con quell’insegnamento, Tor si relazionò sempre, per tutta la sua vita.
 
Aveva in mente quelle parole quando, appena quattordicenne, aveva sentito delle donne al mercato commentare la sua somiglianza con quel gigante di suo padre, così diverso da quel basso pastore dai capelli biondi. Quella volta lo avevano chiamato bastardo e Tor era abbastanza grande per sapere cosa significasse quella parola. Anche sua sorella, di un anno più piccola, ne conosceva il significato, tanto che stava per andare a dire loro qualcosa quando lui la fermò: non era giusto che la sorella desse spettacolo per qualcosa che lui stesso sapeva essere vera.
La pregò di tacere e lei ubbidì.
Erano poco lontano da casa quando Tor, fermandola, le chiese di non raccontare dell’accaduto ai suoi genitori.
<< Perché? >> le chiese lei.
<< Perché nostra madre ne morirebbe. Credo che sia un ricordo che non vuole rivangare… >>
La sorella aveva acconsentito scuotendo la testa in silenzio.
<< Ma non vuoi sapere? >>
Tor la guardò in silenzio: sua sorella sapeva sempre fare le domande più scomode.
<< No. Io ho già un padre: si chiama Ars ed è un uomo migliore anche del Re. Se quell’uomo non si è preoccupato di venirmi a cercare, allora non si merita il mio affetto. >>
Tor non avrebbe più voluto parlare di quella storia, ma sua sorella, la cui mente curiosa era come un fiume in piena, non riusciva ad abbandonare le domande che le frullavano in testa.
<< Tu sei nato dopo che Re Uther era venuto qui… >> disse una volta mentre pescavano lontano dagli altri fratelli.
Tor si guadò attorno prima di rispondere.
<< E allora? >>
<< E se fossi suo figlio? Oh, dai! Potrebbe essere! Dicono che Uther Pendragon fosse l’uomo più bello mai comparso su queste terre e tutte le mie amiche sono innamorate di te, che sei il più bello di tutti. Alle feste papà viene rispettato come fosse un re e la mamma è trattata come una regina! È vero che abbiamo molte terre, ma non così tante da avere tutto questo rispetto! E se fossi il figlio del re… saresti un principe… >>
<< E tu una principessa. >> rispose Tor riuscendo a sorridere solo in quel momento.
<< Esatto! >>
Tor le accarezzò il volto roseo.
<< Un giorno diverrò cavaliere, sorella. E tu sarai la mia dama. Ti porterò a corte e tutti i principi si innamoreranno di te e tutte le principesse ti odieranno perché sarai mille volte più bella di loro. >>
A quelle parole, Aretha lo abbracciò d’istinto.
<< Io non voglio che tu sia cavaliere. I cavalieri se ne vanno lontano, a combattere. E quelli che passano per il villaggio sono volgari e cattivi. Ho sentito dire che fanno delle cose orribili alle fanciulle come me, se sono tanto sventurate da finire sul loro cammino: è per questo che quando arrivano ci rinchiudono in casa. >>
<< Ti prometto, sorella, che non diverrò mai quel genere di uomo. Anzi, ti giuro che impedirò a chiunque di torcere anche solo un capello a qualunque donna che essa sia una principessa, una serva, una mungitrice o una fata. >>
Sua sorella sorrise.
<< Lo so. E sarai un grande principe. >> disse per poi riprendere dopo un attimo << Mi mancherai. >>
<< Guarda che per ora non vado da nessuna parte. >>
<< Ma andrai via, un giorno, perché sei il figlio di un re. >>
 
Sua sorella non toccò più quell’argomento. La sua bellissima sorella.
Tor non avrebbe mai dimenticato il sorriso pieno di lacrime con cui l’aveva salutato prima che i suoi genitori lo portassero a Camelot, per partecipare alla grande fiera dove avrebbe potuto mostrarsi come cavaliere.
Sua madre e Aretha avevano cucito per mesi un corredo adeguato per quel giorno, sua padre aveva venduto il suo montone più bello per procurargli un cavallo e un’armatura adeguata.
Solo quando varcò le porte di Camelot, però, Tor comprese che tutti i suoi sogni, finalmente, stavano diventando realtà.
Sarebbe diventato cavaliere.
Avrebbe combattuto contro draghi e orchi, salvato donzelle in pericolo e servito il già leggendario Re Artù.
Era così entusiasta che neanche si accorse delle serve, e non solo quelle, che gli facevano gli occhi dolci e che facevano scuotere la testa ai suoi genitori. Dovette farglielo notare suo padre, con il risultato di metterlo ancor più in agitazione.
La sera prima dell’inizio della giostra, però, Tor visse l’esperienza più importante della sua giovane vita, segnando profondamente lui e le persone che gli stavano attorno.
Suo padre gli aveva intimato di andare a letto presto, ma lui, troppo nervoso per riuscire a rimanere fermo, sgattaiolò fuori dalla finestra e cominciò a vagare per le vie di Camelot. Non aveva mai visto una città più bella e carica di vita, non che il paesino presso cui abitavano lui e la sua famiglia fosse così grande da definirsi città, ma neanche nel giorno della fiera del bestiame, aveva mai visto tanta gente riunita.
Lì a Camelot si incontravano, Tor ne era sicuro, le genti di tutto il mondo.
Si era spostato lungo la piazza centrale, dove si ergevano le mura interne, quelle che dividevano il castello dalle case attorno, e dove la chiesa in costruzione prometteva di essere poderosa e incombente, a memento della giustizia divina che rappresentava.
Tor continuò a camminare, superando lo spazio che di giorno era occupato dal mercato, nel quale si era perso il giorno prima e di cui ora conosceva tutti i segreti, fino ad arrivare all’area destinata ai tornei dove cominciò a guardarsi attorno, respirando profondamente il silenzio di quel posto.
Lì l’indomani si sarebbe deciso il suo destino: o cavaliere o nulla.
Stava ancora contemplando gli spalti dove si sarebbero seduti il Re e la sua corte quando delle urla strozzate attirarono la sua attenzione.
Tor era sempre stato un ragazzo curioso e quella volta non fu da meno.
C’era qualcosa di strano in quei rumori soffocati, ma non si sarebbe mai aspettato di trovarsi una scena del genere davanti agli occhi, tanto odiosa da far scattare in lui l’ira più profonda che avesse mai provato.
Una fanciulla, così giovane da essere poco più di una bambina, era strattonata da tre giovani uomini. Tor li aveva già visti, quei tre, erano aspiranti cavalieri come lui: figli di signorotti di qualche regione sperduta, probabilmente, che si erano riconosciuti come parte dello stesso mondo e avevano snobbato gli altri che, come lui, erano visibilmente figli di nessuno.
Lei implorava loro di lasciarla andare, che sua madre la stava sicuramente cercando e che le facevano male.
Loro ridevano e le dicevano di non preoccuparsi.
Ma lei non era così piccola da non sapere che, invece, doveva preoccuparsi parecchio.
Tor non si accorse neanche di aver preso una qualunque decisione, sapeva solo che nel momento in cui uno di loro alzava alla giovane la gonna, mentre un altro gli strappava un po’ della camicetta, lui aveva afferrato quest’ultimo e gli aveva sferrato un pugno tale da sentire le sue ossa rompersi, mentre questi cadeva svenuto a terra.
Il ragazzo che teneva le braccia della giovane costringendola addosso a un albero la lasciò, indietreggiando un attimo spaventato prima di lanciare un ringhiò e scaraventarsi verso di lui. Tor lo schivò con facilità (era grosso e troppo lento per lui) mentre si sporgeva verso il terzo ragazzo per sferragli una ginocchiata nello stomaco. Tor perse per un momento l’equilibrio, ma per sua fortuna lo recuperò in fretta, tanto da schivare un paio di colpi avversari.
Guardò la giovane e le intimò di andare via, ma lei, terrorizzata, rimaneva immobile vicino all’albero sui cui volevano immolarla.
Tor fu costretto a incassare un paio di colpi avversari, ma riuscì ad assestarne altrettanti, schivando e contrattaccando come faceva sempre con i figli dei vicini o i suoi fratelli, con in più l’intenzione di colpire seriamente i suoi avversari. I tre giovani guerrieri combatterono tanto da non accorgersi di essersi avvicinati alle strade abitate e Tor continuò a destreggiarsi tra un colpo e l’altro fino a quando un dolore acuto lo colpì alla testa e la vista si offuscò.
Quando Tor si riprese, non gli ci volle molto per capire di essere in una cella.
Si alzò a stento, sentendo la sua testa pulsargli. Dovevano averlo colpito alle spalle, convenne toccando il bernoccolo che gli era spuntato sul capo.
Guardando fuori dalla finestra, Tor vide che il sole era già alto.
Imprecando, andò alla porta e chiamò la guardia.
<< Ehi, fammi uscire! >> gli disse implorante << Il torneo! Devo essere al torneo! >>
<< Non credo proprio, ragazzo. >> disse l’uomo prima di aprire la porta. << Il torneo è stato rimandato a domani, visto il putiferio che hai combinato. Vieni. Il re vuole vederti. >>
Il primo istinto di Tor fu quello di scappare, ma poi gli insegnamenti di suo padre tornarono ad avere la meglio su di lui e, con calma temeraria, seguì il soldato lungo gli stretti corridoi delle prigioni, fino a quelli ampi e luminosi del palazzo di Camelot.
Durante tutto il tragitto, Tor continuava a pensare alle parole che suo padre gli aveva detto quando ancora era un bambino ma che lui non aveva mai dimenticato: non chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta.
A qualunque cosa, Tor avrebbe risposto questo.
Aveva umiliato suo padre facendosi sbattere in prigione, ma si sarebbe riscattato. Ars non si sarebbe vergognato ancora per molto.
Quando aprirono le porte che conducevano alla sala del Torno, però, Tor sentì la sua sicurezza vacillare un attimo: stava per incontrare il grande Re Artù, colui che aveva salvato la loro isola dal caos e dalla guerra, che aveva portato pace e giustizia…
L’uomo più leggendario di tutte le terre conosciute…
Tor trattenne il fiato prima di entrare e poggiare lo sguardo sul suo sovrano.
Poi lo vide e quasi ci rimase male.
Artù Pendragon era un uomo nel fiore degli anni, dall’aria semplice e… normale.
I suoi capelli, biondi come quelli di suo padre, erano ribelli ed eleganti e gli conferivano un’aria ancora vagamente infantile.
I suoi occhi erano simili a quelli di un bambino che si diverte a catturare girini e sarebbe stato facile scambiarlo davvero per un fanciullo, se non fosse per la poderosa fisicità che, anche da seduto, riusciva a incutere un certo rispetto.
Ma per il resto, aveva un’aria assolutamente comune. Se non avesse avuto il mantello o il diadema, che pure era semplice, sul capo, Tor non avrebbe mai detto che quello era un re.
Figuriamoci Re Artù di Camelot.
<< Vieni avanti, ragazzo. >> disse il re.
Tor non se lo fece ripetere, ammaliato da quella voce profonda e regale, cominciando finalmente a capire da dove venisse parte del fascino del sovrano: non era qualcosa che aveva nel suo aspetto, era qualcosa che nasceva da dentro e che si vedeva nei gesti e nelle espressioni, non nell’apparire.
<< Hai fatto un bel casino ieri notte. >>
Tor guardò meglio il re, rammaricandosi di non trovare alcuna somiglianza tra di loro. Un po’ gli dispiaceva non poter tornare dalla sorella con la sicurezza di essere il fratello bastardo di Artù Pendragon. Era più probabile, piuttosto, che fosse il re ad essere il figlio illegittimo di Ars anche se all’epoca della nascita del re, suo padre probabilmente non era che un ragazzo.
Il re volse lo sguardo verso una guardia.
<< Fa entrare gli altri. >> l’uomo scosse la testa e ubbidì.
Forse, pensò Tor, quello non era una semplice guardia: i suoi vestiti erano più simili a quelli di un cortigiano e zoppicava visibilmente: nessuno avrebbe tenuto uno zoppo come soldato, neanche il grande Artù.
L’uomo fece entrare un gruppo di persone che Tor riconobbe come i tre giovani aspiranti cavalieri e le loro famiglie. Dietro di loro, Tor notò con un sussulto, c’erano suo padre e sua madre.
Sua madre Toria corse verso di lui per abbracciarlo e lui si lasciò baciare sulla fronte, grato di poter sentire quel calore un’ultima volta.
Il re aspettò un attimo prima di ricominciare a parlare, zittendo con una mano alzata il giovane uomo che stava per parlare senza permesso.
<< Quattro aspiranti cavalieri di Camelot. Sapete quanti sono gli aspiranti cavalieri quest’anno? Sedici. Il che vuol dire che una gran bella porzione degli aspiranti cavalieri, ieri sera, hanno combattuto tra di loro, contro ogni etica di comportamento e ogni regola della giostra. >> il re sembrava parlare più a se stesso che al suo pubblico.
Tor lo vide girarsi, guardano alla sua sinistra.
<< Sai cosa vuol dire questo? >>
In quel momento Tor si accorse in un giovane fanciullo, bello ed elegante come una notte di luna, fermo in una nicchia.
<< Sì, sire. Che la scelta quest’anno sarà più facile. >> disse lui con pacata semplicità.
Tor sentì un profondo odio nei confronti di quel fanciullo.
Il re invece rise.
<< Hai ragione, figliolo. >> disse prima di tornare a guardare i convocati. << Ragazzo, ho sentito le versioni degli altri e mi manca la tua. Vuoi dirmi qualcosa prima che io prosegua in qualunque modo? Vuoi forse scusarti o giustificarti o… fare ammenda per il tuo comportamento? >>
Tor sentì il suo cuore perdere un battito.
<< No, Sire. >> rispose lui.
Sentì sua madre trattenere il respiro, nascondendo il volto dietro il suo braccio.
<< No? >> ribatté il re << Ne sei sicuro? >>
<< Non chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta nel tuo cuore, che sia un’idea o una cosa da fare. >> disse lui pregando che nessuno si accorgesse del fremito della sua voce.
In quel momento, Tor lo sapeva, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
<< E’ una frase molto impegnativa. Cos’è? >>
<< Mio padre mi ha insegnato molte cose, maestà, e questa è la più importante. Io ho fatto quello che dovevo e non mi pento, né chiederò mai scusa. >>
Il gruppo dei suoi avversari cominciò a protestare e il re alzò nuovamente la mano.
<< Tuo padre è un uomo saggio e profondo. Anche io sono stato cresciuto con insegnamenti molto simili. Però devi capire che in questo caso non basta che tu dica di aver fatto la cosa giusta. Beh, forse hai ragione, io ti hi chiesto se volevi fare ammenda, ma avrei anche dovuto chiederti come sono andate le cose. Anche perché, ragazzo, capirai che le informazioni che ho io, quelle che mi sono state date dagli altri aspiranti cavalieri, per lo meno, non ti fanno sembrare nel giusto. >>
Tor guardò i tre giovani uomini che lo guardavano con odio beffardo.
<< Mentono. >>
Il re rise.
<< Sei un ragazzo di poche parole, vedo. Purtroppo a me serve qualcosa di più. Io devo sapere almeno le ragioni che ti hanno spinto a fare quello che hai fatto, visto che è indubbio quello che hai fatto. >>
Tor guardò per un attimo sua madre, prima di tornare a guardare il suo sovrano.
<< Non volevo che un’altra giovane vita fosse segnata come mia madre. >> disse lui mantenendo lo sguardo fisso verso il re, mentre la sentiva allontanarsi leggermente.
Il re passò lo sguardo tra di loro senza capire, prima di fargli segno di continuare.
<< Mia madre… >> Tor abbassò un attimo lo sguardo per trovare la forza di ferire sua madre << Diciott’anni fa mia madre subì violenza da un cavaliere e da quella violenza nacqui io. >>
Tor con la coda dell’occhio sua madre trasalire portandosi la mano alla bocca e distogliere lo sguardo, mentre la mano si suo padre l’afferrava per una spalla e lo costringeva a voltarsi.
<< Come…? Chi…? >> riuscì a pronunciare l’uomo.
Tor gli prese la mano tra le sue e gliela baciò prima di tornare guardare il re.
<< Io sono stato fortunato e sono stato cresciuto da un uomo che anche se non è mio padre è il padre migliore che potessi desiderare che come vedete mi ama come se fossi figlio suo e mia madre, la mia adorata madre, nonostante sia il ricordo più vivo di quella violenza non ha mai smesso di volermi bene. Ma so che il dolore di quella crudele empietà ancora le lacera l’anima. E… a cosa seve essere cavalieri se non possiamo salvare gli indifesi? C’era una giovane con loro e le stavano facendo male e lei implorava di essere lasciata andare. Non so se per qualcuno una cosa simile sia giusta, ma per me no. Tre contro uno è da vili contro un uomo, figuriamoci contro una fanciulla. Ora, sire, sì, ho una cosa di cui devo chiedere scusa: non volevo far piangere mia madre, ma vostra maestà mi ha chiesto le ragioni che mi hanno spinto ad agire e quelle lacrime sono le mie ragioni. Se i miei avversari hanno detto a vostra maestà che li ho presi di sorpresa, non posso negarlo, o per lo meno posso dirlo per lui, che ha la mandibola rotta, perché è stato il primo che ho colpito e sul quale ho scagliato tutta la mia ira. >>
<< Lo hai colpito… come? >>
Tor alzò la mano, accorgendosi solo in quel momento di averla dolorosamente gonfia e sanguinolenta.
<< Con questa. Maestà, io non mi sono presentato, non li ho sfidati e non ho seguito alcuna regola di cavalleria, ma io non ho agito come cavaliere, ma come uomo con una dignità. Forsanche perché piuttosto che non agire, avrei preferito impiccarmi. >>
Dopo quelle parole, nella sala del trono cadde il silenzio.
Il re guardò per un istante tutti i presenti prima posare nuovamente lo sguardo sul giovane dietro di lui e fargli un cenno alla quale lui ubbidì in silenzio, sparendo dietro a una tenda.
<< Hai ragione, ragazzo. Secondo la loro testimonianza, tu ti sei avventato senza alcun motivo. Di solito, lo scoprirai crescendo, questo può accadere, ma di solito il provocatore è ubriaco, cosa che non si può dire di te. >>
<< Sì, Sire. >>
<< Ora, questa parte riguardante il comportamento dei tuoi… avversari, non ci è di certo stato fornito da loro che, secondo la testimonianza che hanno fatto si stavano solo divertendo in modo innocente. A dire il vero, però, >> disse il re facendo nuovamente il gesti di tacere << c’è un modo per sapere se è quello che dici è vero. Basta trovare i testimoni. Dimmi, ragazzo, chi sarebbe la donna che è stata aggredita? >>
<< Non lo so. >>
<< Non l’avevi mai vista? Neanche di sfuggita? >>
<< No, sire. Io e i miei genitori siamo arrivati a Camelot solo l’altro giorno. Non conosco nessuno, qui. >>
<< Un bel dilemma, anche perché, lo saprai bene anche tu, quando una donna è vittima dell’ingiustizia del suo sesso, difficilmente lo racconta. E senza altri testimoni, temo di non poter dare molto credito al tuo racconto. >>
Tor strinse le labbra e asserì con la testa, pronto a subire il suo destino.
<< C’è da dire, però, che a volte le fanciulle in questione sono così assetate di giustizia che possono anche far sentire la loro voce. Soprattutto, se hanno un paladino al loro fianco. >>
Tor sentì il suo cuore ricominciare a battere, mentre il giovane valletto del re tornava con la giovane fanciulla aggredita.
<< Il tuo nome, ragazza? >>
<< Rivalen, Sire. Sono la figlia di Fedor, il fabbro. >>
<< Avevi mai visto quel ragazzo prima di ieri sera? >>
<< No, Sire. >>
<< E uno di loro? >>
<< No, Sire. >>
<< E dimmi, piccola, come mai sei qui. >>
Lei fece per parlare ma la voce le morì in gola, allora abbassò lo sguardo.
<< Io… >> disse poi con un filo di voce. << Io non sono stata attenta… >>
Il re gli sorrise e gli mise la mano sulla testa, prima di tornare a guardare i presenti.
<< Sapete, io… beh, non sono un uomo particolarmente aventi negli anni, ma ho abbastanza esperienza per capire un ragguardevole numero di cose. Questa fanciulla si è presentata all’alba alla servitù per essere ascoltata, purtroppo però i preparativi della giostra hanno reso la cosa impossibile. Ma la piccola è stata molto caparbia e ha continuato a cercare qualcuno che la aiutasse tanto da attirare l’attenzione di Mordred. Lui l’ha ascoltata e l’ha portata da me. La piccola era così stravolta da non essersi neanche accorta di avere la camicia strappata e di essere stata lei a urlare aiuto, tanto da richiamare la ronda. Questa non l’aveva vista, ma come far caso a una bambina nascosta nell’ombra? Hanno pensato fosse semplicemente l’abitante di una delle case che spaventandosi avesse chiesto aiuto. Capita, certo. Anche se è piuttosto raro in quella zona, visto l’assenza di taverne. >>
Uno dei giovani aggressori fece per parlare ma un sibilo del padre dietro di lui lo zittì.
<< Ho visto io stesso i segno dell’aggressione su di lei. Le sono state strette così forte le mani attorno alle braccia che ancora ne tiene il segno. Le sono state graffiate le cosce, non so se con le unghie o con altro, ma non m’importa. Lei vi ha già riconosciuti, mentre ancora eravate nelle vostre celle e stavate ricevendo le prime cure e se, come credo, volete insinuare che la piccola e il qui presente cavaliere siano in combutta, posso assicurarvi che ho indagato anche su questo. Il giovane e i suoi genitori non sono arrivati che ieri e un ragazzo di quella stazza non passa inosservato.  Ho il resoconto di quasi tutto il suo tempo qui a Camelot, per non contare che ho la stessa cosa per la piccola. Ed il mio siniscalco, Ser Kay, non ci ha messo che poche ore per scoprire che, in effetti, vi hanno visto aggirarvi proprio dalle parti dove la piccola ha abitudine di passare il suo tempo libero. >> disse il re prima di girarsi a guardare nuovamente la fanciulla << Puoi andare. Grazie per il tuo aiuto e ringrazia tuo padre per la comprensione. >>
La giovane sparì da dove era venuta.
Re Artù aspettò in silenzio per qualche minuto prima di alzarsi.
Tor non poté fare a meno di trasalire: il re era un vero gigante: lui stesso non era di certo un giunco e spesso veniva paragonato a un toro, ma il re era più vicino a un possente orso, un orso che impressionava tanto era maestosa la sua potenza mentre scendeva i gradini del trono e andava verso il gruppo di suoi vassalli.
<< Bran, spero capitate. >> disse il re, mentre l’uomo a cui si stava rivolgendo abbassò la testa asserendo con gravità.
<< Morcant Bulk, figlio di Bran. >> il re guardò il ragazzo che per primo voleva protestare. << Ryon, figlio di Rience.  >> il re guardò il ragazzo con il capo fasciato e la mascella rotta << Ironside, figlio di Ruben. >> il re guardò il terzo e ultimo ragazzo. << Non posso certo impedirvi di fare quel che volete nelle terre dei vostri genitori, questo spetta a loro e alla vostra coscienza. Ma certo è tutta un’altra cosa qui a Camelot. Qui non potete pensare di poter avere tutto quello che volete, solo perché lo volete. Per rispetto all’alleanza fedele e sicura dei vostri padri, non vi infliggo la punizione che vorrei darvi, con la speranza che un giorno capirete il vostro errore e facciate ammenda. Posso però assicurarmi di una cosa: voi non sarete mai dei miei cavalieri. Io pretendo di più di saper tirare di spada o rimanere su un cavallo durante una battaglia. Io esigo che i miei rappresentanti nel regno, i miei cavalieri, infondano fiducia assoluta in qualunque individuo del mio regno, che esso sia uomo, donna o bambino. E voi siete abbastanza grandi per sapere di aver sbagliato anche perché, altrimenti, non avreste omesso il particolare della fanciulla che era oggetto del vostro divertimento. Non potete negarlo: sono stato io a chiedervelo. Pagherete un risarcimento: per i prossimi sette anni un decimo del ricavato delle vostre terre verrà dato a Rivalen, figlia di Fedor, fabbro di Camelot, come risarcimento per l’onta subita. Pregate che non ci sia carestia, perché dovrete darle il decimo del massimo ricavato possibile. >>
Tor vide quello che era stato chiamato Ironside dal re fece per parlare ma il solo sguardo del re lo zittì.
<< Ser Bran, Ser Rience, Ser Ruben, spero che gli altri vostri figli vengano a ridarvi l’onore che so meritate. Potete andare. >>
I vassalli del re e le loro mogli fecero un inchino e se ne andarono in silenzio.
Quando le porte si chiusero verso di loro, il re si voltò a guardare Tor e i suoi genitori.
<< Sei avventato e spavaldo. Decisamente. >> gli disse il re << Sai, ragazzo, anche io ero così alla tua età: o non sarei riuscito a tenermi il trono… o avere la donna che amo… o sopravvivere. Ma bisogna esserlo con parsimonia. >>
Tor scosse la testa in segno di assenso.
Il re sorrise lievemente beffardo, prima di rivolgersi a suo padre.
<< Non credo che vostro figlio se ne sia accorto. >>
<< Credo anche io, sire. >> disse l’uomo con la voce carica di emozione.
Il ragazzo passò lo sguardo tra il suo sovrano e suo padre, quando la mano di sua madre si posò sul suo braccio. Tor la guardò: aveva le lacrime agli occhi, ma questi erano luminosi come il suo sorriso.
<< Tor… ti ha chiamato cavaliere. >>
Tor trasalì, ricordando le parole di Artù Pendragon: volete insinuare che la piccola e il qui presente cavaliere siano in combutta
 
Il qui presente cavaliere…
 
<< Ma io… la giostra… >> bofonchiò lui.
<< La vostra giostra l’avete combattuta ragazzo. Un po’ prima di quanto fosse necessario ma l’avete combattuta. >> rispose il re prima di tornare a guardare suo padre. << Sapete, anche se vostro figlio non avesse fatto quello che ha fatto, avete comunque scombinato un po’ la tranquillità qui a Camelot, Ars. Non fate quella faccia, molti miei cavalieri erano anche cavalieri di mio padre. Il mio padre adottivo, ser Hector, quando vi ha visto è venuto a parlarmi di voi, entusiasta di rivedervi vivo e in forza, anche se a suo dire non si ricordava foste così basso. È vero che avete battuto ser Pellinore? >>
<< Sì, sire. >> disse lui dopo un lungo silenzio a sguardo basso.
<< A mani nude, per quanto ricorda ser Hector. >>
<< Lo eravamo entrambi, sire. >>
<< Beh, io non ci sono riuscito ed ero armato e molto più giovane di lui! È anche vero che ci sono voluti venti uomini per fermarvi? >>
<< Sì, sire. >>
<< E per questo avete perso i vostri titoli e le vostre terre. >>
<< Sì, sire. Il re vostro padre mi aveva intimato alla resa ma io non ho ubbidito. >>
Dopo un attimo di silenzio, il re mormorò.
<< Il sovrano della terra senza re… Mio padre ha preferito l’alleanza con re Pellinore piuttosto che con voi. Beh, lo capisco: la vostra è una bella terra, ma non al pari di quella di Pellinore e voi non avete eseguito un suo ordine duretto. Ci sono stato, dalle vostre parti, sapete? Il mio tutore, Merlino, mi ha fatto conoscere ogni centimetro del mio regno. Purtroppo però, capirete che non posso nominarvi re, ma… avete un figlio, dopo questo, che può assumere quel ruolo? Scusate se vi faccio questo affronto, Tor, ma io vi voglio qui con me, non nelle terre di tuo padre e, come con mio nipote prima di voi, vi costringo a non divenire re. >>
<< Io non voglio essere re. >> disse Tor stordito. << Io… Aretha. Mia sorella Aretha sarebbe un’ottima regina. Lei è, dopo mia madre, la donna migliore che esista sulla faccia della terra. Se vostra maestà accetta che sia una donna a governare sul quelle terre… lei è perfetta per fare la principessa, figuriamoci una regina. >>
Il re sorrise.
<< Uomo o donna, non importa. La madre dei miei figli è la regina delle sue terre e il suo sesso di certo non la rende meno idonea a quel ruolo. Dopo questi festeggiamenti, tornate a casa e riprendete il viaggio per Camelot con tutta la vostra famiglia. Ho una sovrana da nominare. E ora andiamo. Il torneo ha aspettato anche troppo e dobbiamo annunciare i cambiamenti effettuati sul numero dei partecipati. >>
Tor era così euforico che si accorse che il giovane valletto del re, li aveva raggiunti, quando ormai gli era a fianco. Trasalì, vedendo che, nonostante fosse palesemente poco più di un bambino, era già più alto di lui di una spanna, tanto fa raggiungere quasi il re.
Mentre seguiva sua maestà il re, non poté fare a meno di guardare il modo in cui dialogava con il suo valletto, comprendendo in fine, che quello non era solo un valletto.
Forsanche perché il giovane Mordred, quello era il suo nome se non ricordava male, ora lo stava chiamando padre.

  
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