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Autore: Angelika_Morgenstern    09/06/2015    6 recensioni
L'alba del 6 agosto 1945 sembrerebbe l'introduzione di una giornata come tante a Hiroshima.
Ingannata dalla pace che quel mattino sembra promettere, Kaori gioca con i suoi figli Naoki e Saori, mentre suo marito Isamu è via per lavoro.
Non immagina nemmeno che degli aerei americani sono già in volo verso la sua città.
[Partecipante al Contest "Che Storia Sia!" indetto da 9dolina0 sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Guerre mondiali
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L'ultimo Sole

Mi ero alzata presto, quel mattino.
Era caldo com’era giusto che fosse nel mese di agosto, il cielo era sereno, perfetto per stendere il futon* all’aria dalle prime luci del giorno. Ci misi poco tempo ad attraversare la casa col mio giaciglio tra le braccia per poi metterlo sullo stendino formato da canne di bambù.
Tornai dentro ed iniziai a preparare il miso.
La nostra casa era piccola: io ed Isamu ci sposammo pochi anni prima e ci accontentammo di poco. Era una fortuna aver trovato una casa prima della guerra, per non parlare del fatto che la città era stata risparmiata dai raid aerei americani. Una grande fortuna!
Almeno fino a quel momento.
Isamu aveva preso il treno per Kumamoto. Era un architetto e si era messo in viaggio con i membri dello studio di cui faceva parte. Il capo stava progettando di costruire case più moderne e confortevoli, che potessero scaldare meglio d’inverno senza rischiare di prendere fuoco, ma che fossero al contempo resistenti ai frequenti terremoti che spesso mettevano la nostra isola in ginocchio.
Sarebbe dovuto rimanere fuori solo due giorni, e quel mattino era partito molto presto alla volta della stazione, per non rischiare di incappare in qualche imprevisto.
Mi affacciai sulla porta dell’altra stanza ed osservai Naoki dormire placidamente vicino a Saori.
- Nao, sveglia.- lo chiamai, piano. Non volevo che anche Saori si svegliasse.
Naoki era il primo dei nostri figli. Un maschietto sano e vivace di sei anni, che non stava un attimo fermo. Era una vera e propria peste e si divertiva a dare fastidio alla sorellina, che finiva sempre a disperarsi salendo in braccio al padre.
Guardai fuori: il sole era abbastanza alto ed iniziavo a sentire i rumori delle altre case che si svegliavano. La vita stava popolando Hiroshima, come accadeva tutte le mattine.
Non avrei mai pensato di rimpiangere quei momenti di semplicità.
 
Quella sera indossavo uno splendido yukata** blu con decorazioni da me ricamate che ricordavano la festività per la quale vi era tanto movimento: tanabata, ovvero l’incontro tra Orihime e Hikoboshi, la tessitrice ed il pastore.***
Molte ragazze sperano di trovare proprio durante la festività l’uomo dei propri sogni, ed io non ero da meno, tanto che passai mezzo pomeriggio ad acconciarmi i capelli come meglio potevo.
Il mio yukata era senza dubbio uno dei migliori e lo sapevo perché furono diversi i giovanotti che si voltarono ad ammirarlo, e molte le ragazze che lo guardavano a bocca aperta, spostando poi gli occhi sulle mie mani, piene di buchi che avevo cercato di celare alla vista con cerotti sparsi sulle dita.
Dato il caldo avevo abbinato un ventaglio di carta che riportava disegni raffiguranti delle carpe koi kohaku****. C’entrava poco col mio abito, è vero, ma le kohaku erano la varietà di koi che preferivo.
Quella sera avevo ottenuto il permesso di girare per i vari mercatini insieme a Sawako, la mia migliore amica con la quale avevo frequentato tutto il ciclo scolastico, avendo sempre vissuto a due case di distanza.
Proprio lei mi domandò se avessi preparato i miei tanzaku*****- Certo.- ridacchiai.
- Davvero? Cos’hai chiesto?-
- Non posso dirtelo, altrimenti non si avvererà!-
- Oh, ma sei cattiva! Io te l’avevo detto, l’ultima volta!- osservò Sawako, mettendo il broncio.
- Infatti non si è avverato!- risi ancora. Ero una ragazza molto gioviale e la mia amica mi supportava in ciò, senza farsi problemi nel ridere e fare scherzi, vivendo la nostra adolescenza nella maniera più spensierata possibile per quel che ci permettevano i tempi.
Non eravamo esattamente ricchi, ma quella sera il mio destino cambiò per sempre.
- Guarda, i dango!******- esclamai, indicando una bancarella di dolciumi. Ambedue ci affrettammo verso il venditore, affannandoci per accaparrarci dei bastoncini dei golosi dolcetti, quando qualcosa colpì il mio yukata e mi voltai, per scoprire la stoffa posteriore macchiata dalla salsa di soia di alcuni dango.
- Oh, no, il mio yukata!- quasi urlai, già rossa.
- Perdonami, non volevo…-
Alzai il viso e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo col volto più bello che avessi mai visto. I suoi occhi emanavano una luce che mi colpì immediatamente.
- Non fa nulla.- balbettai.
Rimanemmo a guardarci.- Kaori, i dango!- esclamò Sawako, ricordandomi perché eravamo lì.
- Ah, già!- risposi, facendo per voltarmi.
- Scusa.- la voce del ragazzo mi aveva bloccata nuovamente- Permettimi di offrirti dei dolci.-
- Come?- domandai. Quel volto mi aveva frastornata, talmente era bello.
- Vorrei rimediare al danno.- disse lui, indicando la mia gonna. Ah, già, la macchia. Era così bello che me n’ero totalmente dimenticata!
Mi venne quasi da ridere per la mia sbadataggine, ma mi imposi di non fare brutte figure. A giudicare da come parlava, doveva avere ricevuto un’ottima educazione. Io ero non solo povera, ma anche scalmanata.
Tuttora sono sicura che quei dango mi caddero addosso nel tentativo di farmi largo tra la fila, sgomitando. Era sempre così, io e Sawako facevamo casino e poi finivamo nei guai. Da bambine finivamo sempre a botte coi maschietti per questo nostro caratteraccio.
Crescendo, ovviamente cambiai, ma solo quando lei non c’era mi comportavo da vera signorina.
Ogni volta che ci riunivamo, accadeva qualcosa, e difatti non mi ero smentita. Anche se, stavolta si trattava di qualcosa di bello.
- Oh, no!- risposi- Non è importante…-
- Insisto.-
Sospirai. Non avevo voglia di approfittarne e mi voltai verso Sawako.
Era sparita. Ma che fine aveva fatto?
Mi aveva lasciata sola!
Senza nemmeno che me ne rendessi conto, mi trovai di fronte un piattino con sei file di dango immerse nella salsa di soia. Quello strano ragazzo… come aveva fatto a saltare la fila?
- Grazie.- borbottai, sempre più sorpresa.
Non avevo ancora appeso il mio tanzaku: possibile che il mio desiderio si fosse già avverato?
Dato che Sawako era svanita nel nulla, io ed il ragazzo sedemmo su una panchina insieme. I dango sciolsero la nostra parlantina.
Lui si chiamava Isamu Kaneko ed era figlio di un’artista locale molto famoso, di cui ignoravo totalmente l’esistenza. Ma era interessante. Aveva le idee molto chiare sul suo futuro: voleva fare l’architetto.
Il suo desiderio nacque durante un viaggio all’estero, dove vide che la gente viveva in case molto più solide e sicure delle nostre.
- Effettivamente da noi si sviluppano incendi facilmente, con tutta quella carta…- valutai, e lui annuì- Infatti è questa la cosa che mi convince meno. Inoltre all’estero sono dotati di vere e proprie opere d’arte architettoniche. Noi possiamo vantarci solo dei nostri templi, dopodiché…-
Annuii convinta dal suo ragionamento.
C’era del vero nel suo discorso e la sua mi sembrò una personalità molto forte ed interessante.
Mi piacque fin da subito.
 
Mentre versavo il miso, Naoki fece la sua comparsa in cucina, sedendo di fronte alla colazione.
- Di nuovo prugne e miso? Che schifo!- disse.
- Nao, sai che non si dicono queste cose. Vuoi che lo dica a papà, quando torna?- lo rimproverai.
Mio figlio mise subito il broncetto per il quale a scuola risultava tanto adorabile. Scampava sempre tutte le punizioni quando assumeva quell’espressione, grazie al viso tondo e paffuto, per non parlare dei suoi occhi vispi e di una boccuccia a cuore sempre con gli angoli all’insù.
Lo ammetto, Naoki era alquanto viziato dagli altri. Io e Isamu cercavamo sempre di farlo ragionare, specialmente mio marito, che era molto severo coi piccoli.
Anche se risultava più indulgente con Saori, che invece era molto buona e tranquilla, si limitava a mangiare, dormire e giocare.
Mi saltava sempre in braccio quando cucinavo, guardando curiosa ciò che bolliva in pentola. Sicuramente sarebbe stata un’ottima forchetta, da grande.
Aveva ripreso di me: adoravo mangiare e non mi dispiaceva affatto gettarmi in abbuffate infinite.
Avvertii proprio il pianto debole della piccola principessa, segno che si era appena svegliata.
- Sao?- la chiamai.
Naoki si voltò verso la loro stanza, sulla cui soglia comparve la figura della mia piccola bambolina di porcellana dai capelli a caschetto sotto le orecchie.
La principessina della casa aveva solamente due anni ma ancora non parlava bene, cosa insolita per una bambina della sua età. Molto probabilmente era per via del suo attaccamento ai genitori, così aveva detto il dottore.
Secondo me, quello non ci capiva niente di bambini. Era anche vedovo!
Isamu, invece, aveva concordato con silenzioso cameratismo maschile. Questi uomini!
Le tesi le braccia- Vieni da mamma, Saori.- dissi.
La piccola si stropicciò gli occhi, voltandosi poi verso Naoki, che le fece un cenno con le bacchette.
- Mamaaaaaaa!- pianse subito la piccola, correndo da me. Si gettò sul mio seno e sapevo cosa significasse quel gesto.
- Naoki, smetti di spaventare tua sorella!-
- Saori è una fifona! Saori è una fifona!- cantilenò mio figlio, un po’ geloso che io la difendessi.
Guardai la piccola in viso, dicendo- Anche tu, devi crescere, sai? Vai a dare uno schiaffo a tuo fratello, così!-
Le feci vedere come avrebbe dovuto fare, poggiandole piano una mano sulla spalla, mimando uno schiaffetto.
La piccola guardò il fratello, e si diresse verso di lui con espressione concentrata.
Naoki rideva, mettendo in mostra le due finestre che si erano formate con la perdita dei primi denti da latte, e Saori caricò col braccino, dandogli due schiaffi sulla spalla. Dal canto suo, il fratello balzò verso di lei con le mani alzate, facendo- Bu!-.
La piccola scoppiò a piangere, spaventandosi e correndo verso di me, che l’abbracciai.
Devo ammettere che sia io che Naoki prendevamo in giro quella gnappetta fifona quando suo padre non era nei paraggi, divertendoci un sacco.
Va bene, anche mio figlio aveva preso di me, lo ammetto.
Cercavo di fare di tutto per non alimentare la rivalità tra i fratellini, coccolando una e giocando con l’altro.
Conoscevo madri che avevano fatto l’errore di spostare tutte le attenzioni sui più piccoli, dando adito a sentimenti quale rabbia e invidia nei figli maggiori, che si rifiutavano di obbedire e, in casi gravi, avevano anche fatto davvero del male ai fratellini, spingendoli dalle scale, ad esempio, oppure facendogli immergere le manine nell’acqua bollente del riso.
Avevo preso questi avvenimenti come monito da usare nel futuro, ma per fortuna andavo abbastanza d’accordo coi piccoli, tanto da essere io quella più indulgente. Davo loro pessimi esempi, secondo Isamu, ed in effetti quello più maturo tra i due era lui, non avevo dubbi.
Guardai il cielo sgombro da nuvole.
- Nao, devi andare dal Signor Abe?- domandai.
Il piccolo annuì- Vado appena finisco il miso!- rispose.
Da poche settimane Naoki si era appassionato al koto******* e avevamo pensato che farglielo imparare ci avrebbe avvantaggiati nella gestione della casa, soprattutto con quel koala di Saori, che proprio non ne voleva saperne di staccarsi da me.
Solo quando Naoki non era presente la piccola girava per casa libera. Era evidente che avesse paura del fratello e la cosa era per me molto spassosa, sebbene Isamu mi rimproverava: avrei dovuto dire a Naoki di non fare scherzi alla sorellina, altrimenti non mi avrebbe più lasciata stare.
In effetti fu seccante quando, l’anno prima passò tutto il periodo estivo nei nostri futon.
Mio figlio si alzò, dirigendosi nella sua stanza, per poi uscirne di corsa.
- Vado dal maestro, ciao!- esclamò, salutandoci con la mano.
- Ti aspetto per pranzo, mi raccomando!- gli gridai dietro.
Saori scese finalmente dalle mie braccia ed io mi ritrovai libera per poter pulire la cucina e sistemare la casa.
Canticchiavo tra me e me mentre lavavo le scodelle e mi stavo avvicinando allo stendino, quando le sentii.
Le sirene.
- Saori, Saori!- chiamai subito a me la bambina.- Vieni qui, vieni da mamma.-
La strinsi tra le braccia con l’intenzione di portarla al rifugio, ma improvvisamente mi ricordai di Naoki.
Il panico stava per prendermi, tuttavia decisi di stare calma e scesi in strada. Il maestro Abe risiedeva lì vicino, ci sarebbe voluto un attimo.
Invece mi persi.
Non ricordavo proprio dove abitasse, e, nel mentre, le sirene avevano smesso di suonare, così mi placai, andando più piano.
- Andremo comunque a prendere Naoki.- dissi a Saori, che annuì titubante.
Pensai di fermarmi a prendere del pesce fresco al ritorno, così avrei potuto preparare degli onigiri******** per merenda.
Mentre passeggiavo insieme alla piccola, lo vidi.
Una luce molto forte mi abbagliò, tanto da impedirmi di vedere per un attimo ciò che mi circondava.
Mi portai una mano a proteggermi gli occhi, ma il rumore che ne seguì mi spaventò.
Un boato.
Improvvisamente venni investita da qualcosa e l’aria divenne bollente, mozzandomi il respiro. Ebbi comunque la forza di portare Saori sotto di me, mentre la cosa che mi aveva colpito mi trascinava a terra, riparandomi dal vento che si alzò improvvisamente.
Non potei vedere nulla ma sentii distintamente rumore di crolli, urli, pianti, e poi il puzzo di carne bruciata che mi attanagliò le narici, spingendomi quasi a vomitare.
Pensavo che si trattasse di un terremoto, non sarebbe stata la prima volta che un sisma improvviso combinasse in breve tempo tutto questo casino, così mi alzai come fosse tutto normale, spostando da me quella cosa… morbida…?
Cos’era?
- Saori, stai bene?- domandai distrattamente, sporgendomi per capire cos’avessi addosso.
Mi scrollai dalla schiena una figura nera, un’oggetto grande, rigido e pesante che odorava di bruciato ed aveva qualcosa appiccicato che sembrava carta velina,.
Spinsi con ambedue le mani, facendolo cadere al contrario, ed urlai tutto il mio orrore.
Quella cosa che sapeva di bruciato e le cui fattezze erano irriconoscibili, altri non era che un uomo.
Un essere umano.
- Ma che succede?-
Mi guardai attorno, sconvolta: a terra vi erano riverse molte figure umane, probabilmente coloro che passeggiavano assieme a me un attimo prima.
Ad uno sguardo più attento notai che tutti gli edifici erano svaniti nel nulla, come polverizzati. Non c’erano nemmeno macerie a terra, solamente masse informi che si stavano liquefando sotto i miei occhi attoniti.
Voltai il capo alla mia destra: i resti di un edificio stavano prendendo fuoco.
- Saori, vieni da mamma, dobbiamo andare via.- esortai la mia bambina, che però non rispose.
- Sao…-
Mi voltai e rimasi attonita.
La piccola se ne stava a terra, illesa fortunatamente, ma priva di conoscenza ed io ero terrorizzata all’idea di posizionarle le dita sotto il nasino e verificare che respirasse.
E se fosse…?
- Saori, Saori, svegliati!- implorai, le lacrime agli occhi, il viso che bruciava come se avessi preso troppo sole e mi fossi scottata.
Una bruciatura?
Questo non è un terremoto.
La mia bambina, la principessina della casa non mi rispondeva più.
Cercai di alzarmi, ma caddi subito a terra e guardai in basso, inorridita da ciò che la mia gamba destra presentò sulla pelle: una macchia rossa, carne viva che nemmeno sanguinava i cui contorni erano bianchi, come se si fossero sciolti.
Era una bruciatura? Non potevo saperlo.
Naoki!
Il nome del mio bambino mi risuonò nella testa, dandomi la forza necessaria per alzarmi con Saori sulle spalle.
- Mama…- mormorò la piccola.
- Saori! Saori, sei viva!- dissi, piangendo di felicità. Le presi una manina con l’intento di baciargliela, ma non riuscii a voltarmi del tutto.
- Shonno, mama…-
- Riposa, riposa. Dopo mamma ti sveglia.- dissi, convinta che ormai la mia piccola fosse salva.
Ora dovevo solo trovare Naoki e riportarlo a casa.
Se prima le strade mi erano parse poco familiari, adesso tutto era estraneo.
Ovunque passassi, aleggiava odore di morte e ciò che mi veniva incontro era degno di un film apocalittico: le persone che scappavano da tutte le parti erano i ritratti della paura.
Ai lati di ciò che era rimasto delle strade vi erano diversi bambini disperati, alcuni soli, dai volti e i corpicini bruciati, altri chini su ciò che rimaneva dei cadaveri dei loro cari.
Ogni tanto trovavo qualche pezzo di essere umano ed ero grata a Saori perché dormisse, almeno si risparmiava certe visioni infernali.
Io stessa mi voltavo altrove, non riuscendo a focalizzare le conseguenze di ciò che era accaduto.
Già, ma cos’era successo?
Forse la fine del mondo era giunta?
Zoppicai tutto il tempo, cercando di caricare sulla gamba buona, finché Saori non iniziò a tossire nel sonno.
- Sta tranquilla, piccolina, tra poco finirà tutto…- mormorai.
Ero speranzosa nel trovare Naoki e non mi resi conto di essere passata di fronte alla casa del maestro Abe almeno tre volte. Vidi un gruppetto di giovani ragazzi venire nella mia direzione, alcuni nudi, altri zoppicanti, altri ancora perdevano stralci di pelle in strada, che cadeva a terra liquefatta.
- Scusate…- provai a dire, senza ottenere risposta. Il terrore che si rifletteva nei loro occhi non dava modo a me di domandare, ed a loro di rispondere.
Continuai a camminare, sebbene fossi stremata. La ferita non mi dava tregua e notai che aveva iniziato a sanguinare.
- Fortunatamente sono vicino al fiume!- pensai, avvicinandomi alla sponda.
Vidi delle persone attraversarlo con alcune barche, altri gettarsi nello stesso.
Sedetti con difficoltà dopo aver poggiato a terra Saori, che rimase supina e immobile. Respirava e potei stiracchiare la schiena, accorgendomi di provare dolore in alcune zone.
Tastai con la mano e mi accorsi che alcune parti del mio abito si erano sciolte assieme alla mia pelle, che sembrava gelatina bollente. Lo shock era stato talmente forte che non mi ero accorta di nulla.
Tolsi la scarpa, immergendo la gamba nel fiume, provando immediatamente un senso di sollievo. Il contatto con l’acqua generò un filo di fumo, e mi guardai attorno mentre godevo della sensazione benefica.
Hiroshima era completamente distrutta.
La nostra bella città non esisteva più, tutto era stato raso al suolo da chissà quale catastrofe naturale, le persone impazzivano di dolore e nell’aria iniziarono a levarsi richieste di acqua sempre più insistenti.
Un ragazzo nuotò vicino a me, invocando aiuto e strappandosi letteralmente la pelle di dosso. Uscì dal fiume gattoni, lasciando galleggiare qualcosa di strano sulla superficie del fiume, senza però curarsene per via della tosse insistente, che alla fine lo fece cadere al suolo supino, esattamente nella stessa posizione di Saori, verso la quale mi precipitai, trascinando la gamba.
- Va tutto bene?- domandai al ragazzo, che voltò il viso verso di me e gli occhi al cielo, traendo un respiro profondo.
Ma senza espirare.
Era morto così, di fronte ai miei occhi. Mi voltai per sincerarmi di cosa si trattasse ciò che galleggiava sul fiume e me ne accorsi solo in quel momento: capelli.
Si erano staccati dal suo capo bruciato, rimanendo sospesi nell’acqua.
Quella visione terribile mi fece balzare in piedi, afferrare Saori e correre via senza nemmeno recuperare la scarpa.
La mia bambina scottava terribilmente e cercai una delle numerose fontane della città, invano: l’esplosione le aveva spazzate via.
Mi sentii impotente e continuai a camminare, sempre zoppicando con la mia bimba sulle spalle.
Chissà Isamu cosa sta facendo.
Mi trovai di fronte ad un incrocio e riconobbi da lontano lo scheletro del palazzo della prefettura, rimasto miracolosamente in piedi. Da lì potevo avere un punto di riferimento verso la nostra casa, nella quale tornare.
Mi incamminai, speranzosa di trovarvi Naoki.
Incespicai e Saori cadde a terra, senza fare un lamento.
- Saori...?- chiamai.
La piccola non rispose e le carezzai il viso, sgranando gli occhi in preda al terrore: una ciocca di capelli della mia adorata principessa restò tra le mie dita, scivolando come non avessero un ancoraggio.
La disperazione mi prese ed iniziai a singhiozzare, stringendo a me la mia bambina convulsamente, tanto che lei mi chiamò.
- Mama…-
Si era ripresa!
Scattai a sedere in preda all’euforia- Saori! Oh, Saori!- invocai il suo nome, piangendo.
La piccola non rispose: era sempre più bollente, doveva avere un febbrone da cavallo ed io mi sentii impotente.
- Mama… aua…- implorò la mia bambina.
Cambiai immediatamente direzione, tornando al fiume, nel quale immersi le mani a coppa per dare un po’ di sollievo alla gola della mia piccolina, che bevve avidamente e ne chiese ancora.
Mi affrettai a farla bere per altri dieci minuti ed intanto la esaminai.
Perdeva qualche capello ma, a parte ciò sembrava stare bene.
Non riuscii a capire cosa le stesse succedendo, ma mi bastò vederla tremare.
- Hai freddo?- domandai e lei annuì.
Mi guardai attorno e vidi un cadavere. Mi avvicinai, spogliandolo ed avvolsi la mia piccola in quel che rimaneva di un paio di pantaloni bruciacchiati.
Le sorrisi disperatamente- Va meglio?-
Lei annuì, le palpebre gonfie, gli occhi lucidi di febbre e le labbra screpolate. Come aveva fatto a mutare in così poco tempo? Quel mattino era perfettamente in salute!
Non me lo spiegavo.
Strappai alcuni pezzi di stoffa dalle maniche del mio vestito, dato che faceva così caldo che non mi sarebbero servite, e ne ricavai delle pezze, che bagnai per sistemarle a turno sulla fronte di Saori.
Ripresi a camminare, zoppicando anche per effetto della scarpa mancante, che rendeva il contatto con l’asfalto bollente insopportabile. Mi guardai la pianta del piede: la pelle era quasi fusa.
Dopo qualche minuto dovetti fermarmi e bagnarla con una delle pezzuole imbevute d’acqua, che si stava già scaldando grazie all’alta temperatura dell’aria.
Guardai il cielo e non vidi nulla. Dov’era finito l’azzurro di quel mattino?
E il sole?
Forse è esploso il sole! In fondo quel bagliore è stato così intenso…
Ripensai a Naoki e ripresi a camminare, seppur con difficoltà crescente.
Feci diverse volte il giro, fino a tornare a quella che doveva essere la mia casa.
Ma che non c’era più.
Al suo posto trovai un incendio generato dall’abitazione accanto e nessun sopravvissuto.
Di fronte a me, parti carbonizzate, sicuramente resti umani.
Ne voltai uno: il viso era intatto, ma la nuca e tutto il resto della schiena erano totalmente ustionati e fumavano ancora.
Mi feci coraggio e mi avviai verso la direzione che ricordavo aveva preso Naoki.
La vista iniziò ad annebbiarsi e le mie gambe erano sempre più deboli, per non parlare delle braccia che urlavano il proprio dolore direttamente sulle spalle grazie al carico costante di Saori, che sembrava essersi di nuovo addormentata.
Respirava, lo sentivo direttamente sulla pelle del collo, e la cosa mi lasciava tranquilla e speranzosa.
Non avevo ancora capito cosa fosse successo, ma pensai che fosse una cosa catastrofica non solo per via della situazione degli edifici della città, ma anche per l’uomo che mi trovai di fronte.
Non aveva più lineamenti, l’unico punto riconoscibile del viso era la bocca, spalancata che chiedeva aiuto mentre le braccia si agitavano in aria, afferrando il nulla, non essendo più dotato di tutte e dieci le dita, mozzate fino ai palmi.
I capelli erano stati bruciati e così tutta la pelle. Sbucava solamente il nero di una pupilla, ridotta ad un acino di uva passa mentre il naso era totalmente svanito.
Rimasi immobile, terrorizzata da quel fantoccio di carne bruciata che ancora si agitava e chiedeva, implorava di avere salva la vita in quell’inferno fatto di fuoco, polvere e nulla.
Mi spostai per non farmi afferrare, ma poi mi sentii in colpa.
- Stia calmo, stia calmo!- lo esortai, più agitata di lui- Deve andare al fiume.-
- Come? Come?- domandò l’uomo, disperato. Non sapeva come arrivarci, poveretto: la catastrofe l’aveva reso cieco.
Nonostante la ferita e lo smembramento della mia famiglia, sentii la compassione farsi strada nelle mie viscere.
- Venga, la porto al fiume. Segua i miei passi, le darò la direzione.-
Il che era abbastanza semplice, dato che non vi era più nessun rumore.
Nessuna donna che cantava, nessun bambino che urlava, non c’era più il chiacchiericcio degli anziani, il rumore delle stoviglie e l’odore del cibo. Era tutto andato distrutto nella frazione di un secondo, grazie a quel bagliore accecante.
Guidai l’uomo fino alla riva del fiume, tenendolo d’occhio e indicandogli la via a voce quando sbagliava.
Saori era ancora sulla mia schiena a riposare.
Quando arrivammo, l’uomo si lasciò cadere a terra, rotolandosi sulla pancia per poggiare direttamente il buco che fungeva da bocca sulla superficie dell’acqua, per poi iniziare ad aspirare rumorosamente.
Mi allontanai senza farmi notare, nella fretta di dover trovare mio figlio.
Camminai a lungo e, finalmente giunsi di fronte a quella che ero sicura fosse la casa del maestro Abe.
O meglio, di fronte alla strada dove dimorava.
- Naoki! Naoki!- iniziai a urlare.
Non ebbi risposta: il fumo e la polvere ostacolavano la vista, l’odore di carne bruciata mi prese alla gola e ci misi qualche minuto a notare che non vi erano cadaveri a terra.
- Forse si sono salvati tutti.- sperai intimamente.
Mi ero appena voltata, quando un lamento catturò la mia attenzione- Naoki?- domandai.
Il lamento continuò a spandersi nell’aria e andai nella sua direzione, ritrovandomi di fronte ad una mano che usciva da alcune macerie.
Poggiai Saori a terra, scavai con le mani e vidi sotto le macerie spuntare il viso dell’anziano maestro Abe.
- Maestro! Maestro!- lo chiamai, ottenendo risposta solo dopo altri tentativi.
- Ka… Kao…-
- Non si affatichi, per carità!- dissi, strizzando una pezzuola imbevuta d’acqua direttamente sulle sue labbra.
Quello tremò, piangendo- Nao…-
Trasalii. Naoki era con lui?
- Naoki, sì, Naoki…? È qui?- domandai, in preda all’emozione. Presto avrei riabbracciato il mio bambino, finalmente!
Il maestro Abe scosse il capo.
- Lui… sciolto…-
-…sciolto?-
Un tremendo presentimento iniziò a farsi strada in me, ricordando le fattezze del cieco che avevo appena guidato al fiume.
Naoki… sciolto? Non aveva senso, non era mica fatto di zucchero!
- Parlate, vi prego!- lo esortai, ma quello tossì, perdendo i sensi.
Continuai a bagnargli la fronte per farlo rinvenire e ci misi tutto l’impegno possibile.
Un profondo sospiro, un grugnito e l’anziano riprese a respirare, tornando tra i vivi. Sorrisi, ringraziando il cielo, e mi voltai verso Saori, rendendomi conto solo in quel momento dell’orrore.
Alla mia bambina erano caduti tutti i capelli.
- Saori!- urlai, in preda al panico.
Le presi il visino, che roteava abbandonato tra le mie mani.
Non respirava!
- No!- gracchiai, chinandomi su di lei per praticarle la respirazione bocca a bocca, senza esito.
- Saori, svegliati, svegliati!- ormai imploravo, piangendo disperatamente, ma fu tutto inutile: Saori non tornò da me.
Lanciai un ultimo urlo al cielo, prima di perdere i sensi.
 
Venni trovata il giorno dopo da alcuni volontari che giunsero da altre parti del Giappone per soccorrerci.
Trasportarono me ed il maestro Abe in un ospedale fuori dall’area di Hiroshima, ed io non seppi proferire parola mentre curavano le mie ferite.
I medici si rallegravano delle mie condizioni di salute: stavo bene, nonostante lo stress psico fisico subito e le ferite molto profonde, ma io non ero affatto allegra.
Maledicevo dio ogni giorno per avermi salvata, mentre avevo perso tutto.
Non sapevo dove fosse Isamu.
Saori era morta tra le mie braccia.
Naoki era ufficialmente disperso, sparito di fronte al maestro Abe assieme a metà del koto che stava suonando in quel momento, dissolvendosi letteralmente nell’esplosione.
Il mio fisico si riprese velocemente, ma non la mia mente. Non parlavo, mangiavo appena e se mi saziavo, vomitavo tutto.
Non ero in me, ero un fantasma.
Finché, un mattino, ricevetti una visita.
L’infermiera si affacciò alla porta della mia stanza.
- Signora, c’è una visita per lei.-
Non sapevano il mio nome, non avendo mai proferito verbo da quando Saori era morta.
Mi chiamavano semplicemente Signora, e a me stava bene così.
Annuii, segno che, chiunque fosse poteva entrare, ed il mio cuore perse un colpo quando vidi Isamu affacciarsi sulla soglia della porta in tutta la sua bellezza.
Era deperito, le guance erano scavate e gli occhi rossi, gonfi, i capelli non in ordine come al loro solito, eppure per me fu come un’oasi in pieno deserto.
- Isamu…- mormorai, la voce che mancava da tempo. Fu difficile dire anche solo il suo nome, ma lui mi riconobbe.
- Kaori… Kaori, sei viva!- esclamò, venendo ad abbracciarmi. Le sue braccia mi cinsero con forza, trasmettendomi tutta la vitalità che ancora aveva in corpo.
Ricordai di avere dei sentimenti, e improvvisamente iniziai a piangere.
- Isamu… Isamu… sono svaniti, tutti e due... perdonami… è colpa mia, solo colpa mia…-
- Kaori, sei viva, esisti ancora! Sono così felice!-
- Scusami, scusami…- continuavo, e lui mi rispose- Non è colpa tua, Kaori. Hanno sganciato una cosa, una bomba potente sulla città, è un miracolo che tu sia ancora viva!-
- Cosa dici? Una bomba…?- ero sconvolta.
Una bomba? Perché? E chi?
Mio marito scosse il capo.
- Ne è stata sganciata un’altra, a Nagasaki. Ma a loro è andata meglio…-
- Saori è morta tra le mie braccia.- rivelai.
Sentii mio marito sussultare, per poi tremare. Mi accarezzò i capelli- Ha sofferto?-
- No, si è addormentata. È morta nel sonno, ma…-
Mio marito tirò su col naso, ingoiando le lacrime- Sì... mentre sono venuto a cercarti, ho visto cose inumane. Bambini ridotti a scheletri, carne che si liquefaceva, pelle strappata…-. Doveva essere sconvolto per non rendersi conto che la sua figlioletta preferita era morta a soli due anni appena.
- Lo so.- annuii- Li ho visti anch’io.-
- E Naoki?- domandò mio marito, speranzoso.
Ricordai Naoki che quel giorno mi salutava, uscendo di casa con la promessa di tornare per il pranzo, e ricominciai a singhiozzare in silenzio, affondando nel petto del mio amato, le braccia ancorate al suo collo.
- Non lo so.- risposi- Il maestro Abe dice che è… svanito, si è dissolto col suo koto di fronte ai suoi occhi.-
Isamu deglutì a fatica e lo vidi stringere i pugni.
Abbassò il viso, dandomi un bacio fra i capelli.
- Stanotte rimarrò con te.-
Annuii. Non avevamo più una casa, non avevamo più una vita.
Come saremmo andati avanti?
Avremmo ricominciato?
Dove? Da che punto?
 
Un mese dopo trovarono una scarpina di Naoki tra le macerie della casa del maestro Abe.
Ancora la tengo sul mio comodino, e nella stessa ho infilato una ciocca di capelli della mia piccola Saori, l’unica cosa rimastami di lei. Ce l’avevo attaccata ai vestiti quando mi hanno trovata, esattamente come lei in vita, che non si staccava mai da me, dalla sua mamma.
Ogni sera dedico qualche ora alla preghiera, sommersa dai ricordi.
Non riesco a non pensare.
Non riesco a dimenticare.
Non ce la farò mai.




*futon - materasso tradizionale giapponese 
**yukata - abito tradizionale estivo.
***tanabata - http://it.wikipedia.org/wiki/Tanabata
****carpe koi kohaku - varietà rossa e bianca di carpa koi, pesci ornamentali da stagni all'aperto o laghetti da giardino - http://it.wikipedia.org/wiki/Carpa_koi
*****tanzaku - striscie di carta colorata dove si usa scrivere preghiere e desideri rivolti ai protagonisti della leggenda di tanabata, per poi essere legati a rami di bambù.
******dango - dolcetti simili a gnocchi di riso e riso glutinoso. 
*******koto - derivato della cetra, lungo circa due metri, si suona in orizzontale con tre dita - http://it.wikipedia.org/wiki/Koto
********onigiri - polpette di riso triangolari, farcite con pesce o carne.


Il 6 agosto 1945 alle 8.14 del mattino, l'aeromobile Enola Gay sganciò la prima bomba atomica sul suolo giapponese, provocando centinaia di migliaia di morti tra coloro che perirono all'istante, i feriti e gli esseri umani morti negli anni a venire per effetto delle radiazioni.
Alcuni di loro, come Sadako Sasaki, svilupparono malattie e tumori pur essendo scampati alla bomba.
Gli Stati Uniti hanno sempre ritenuto di aver usato la bomba su Hiroshima e quella su Nagasaki al fine di far cessare al più presto la guerra, visto che si poteva andare incontro a perdite molto più gravi.
Dopo le prime due bombe, sembra che si discuteva a favore di un terzo bombardamento su Tokyo, evitato grazie alla resa del Giappone il 15 agosto 1945.


 
   
 
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