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Autore: Dart Anevon    11/06/2015    1 recensioni
In una vecchia e anonima stazione ferroviaria, un barbone assiste da anni a uno stano evento. Sarà una buona idea volerne sapere di più?
Genere: Horror, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In uno dei tanti angoli depressi e anonimi d'Italia si trova un piccolo comune di pochi abitanti.

Raramente è indicato su atlanti geografici e mappe stradali e non ha niente di interessante che possa attrarre volentieri turisti e visitatori. L'unica infrastruttura di una certa importanza è la locale, vecchia, scomoda e detestabile stazione ferroviaria, costruita ai tempi della prima guerra mondiale.

L'orologio pubblico segna le sette in punto della sera. Un gruppetto di persone in attesa sulla banchina sbuffa, parla al cellulare o semplicemente rimane imbambolata a fissare il vuoto con espressioni spente e i bagagli sottobraccio, soffrendo l'afa del tramonto estivo.

Appartato in un angolo, tra pareti imbrattate da graffiti osceni e le aiuole non curate, al riparo dagli sguardi di quella gente, un barbone osserva uno strano fenomeno che si ripete fin da quando ha trovato dimora qui.

Tutti gli anni, in quel preciso giorno e ogni volta alla stessa identica ora, arriva in stazione uno strano giovane. Mai notato da altri, si siede sempre sullo stesso muretto scalcinato lontano dai binari e, nell'attesa del mezzo, si rigira tra le mani una rosa bianca. Il ragazzo aspetta il treno delle sette, osserva la gente salire, scendere e salutarsi e rimane lì seduto fino a che il mezzo non riparte. Una volta che i pendolari sono andati via, piega la testa sulle ginocchia e nasconde il viso tra le mani, con il corpo scosso da pochi ma intesi sussulti. Dopo qualche minuto rialza la testa, si asciuga le lacrime e poi si incammina verso la linea gialla e vi poggia sopra un ginocchio, deposita il fiore a terra e con una mano tocca poi il bordo della banchina. Lì rimane per un po', assorto come in preghiera. Alla fine si rialza e si incammina verso l'uscita, dando le spalle ai binari e a lui.

La cosa singolare e che lo mette anche un po' a disagio è che il tempo sembra non passare mai per quel tizio. Da quando lo ha visto la prima volta -più di un decennio fa- non è cambiato di una virgola. Stessa faccia, stessa espressione e stesso comportamento. Altra stranezza è che si fa vivo solo in quell'occasione e poi scompare nel nulla, fino all'anno successivo.

Non ha mai provato a raccontare questa storia a qualcuno -dopotutto, chi mai gli crederebbe?- ma sono anni che muore dalla voglia di parlare con quell'individuo. Finora non ne ha mai avuto il coraggio, però.

Finora!

Il barbone attende che il giovane completi quella specie di rituale e finalmente parla.

«Buonasera, ra...»

Il giovane si volta di scatto e la seconda parola gli muore in gola. Occhi neri come la pece ora lo fissano.

Una sensazione di freddo e morte lo avvolge all'istante, facendolo pisciare nei pantaloni. Le bestemmie e gli scongiuri non arrivano a formale parole, solo un vago gorgoglio. Che gran coglione è stato, ma chi gliel'ha fatto fare?

No, pensa in preda al panico. No, no, no, no...

L'essere dall'aspetto di un ragazzo rilassa i muscoli contratti del viso e chiude gli occhi. Quando li riapre sono di nuovo normali.

Si fissano ancora per un istante.

«'Sera» risponde quel, quel, qualunque cosa sia e senza altri indugi se ne va.

«'Sera» ripete il barbone, rimasto solo, con il cuore che ancora batte a mille.

   
 
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