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Autore: lasognatricenerd    11/06/2015    1 recensioni
[Fury]
Norman Ellison si ritrova sbattuto su Fury, un carrarmato di un'armata Americana. Lui, un dattilografo, diventa un soldato di guerra durante la seconda guerra mondiale...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era l’Aprile del 1945, ed io ero stato addestrato per battere 60 parole al minuto non per uccidere tedeschi. Eppure successe: mi ritrovai dentro un’armata Americana, sballottato qua e là tra un carrarmato e l’altro, finchè non mi diedero un posto fisso. Fury; era così che si chiamava e sarei dovuto stare al comando del sergente Don Collier. IO. Io che non ne sapevo niente di quella roba!
Non ero pronto; non ero stato addestrato per questo. Dovevo essere un dattilografo e lo ero solamente da otto fottutissime settimane. Non avevo mai assistito ad uccisioni. Non avevo mai ucciso nessuno e non volevo nemmeno farlo!
Non ero nato per questo. Io non volevo nemmeno che andasse così! La guerra non doveva esserci; io volevo solamente tornare a casa, in America e non vedere più quella merda di guerra.
“Sergente… Sergente Collier?”
“Sì. E tu chi cazzo sei?”
“Io sono Norman Ellison, signore. Sono il vostro nuovo mitragliere.”
Il sergente si fermò di scatto e mi squadrò da testa a piedi come se fossi un mocciosetto. Non si sbagliava: avevo solamente 23 anni e a suo avviso dovevo essere una vera ed inutile formica.
“Stai scherzando, spero.”
“No, no! Me l’ha detto il Sergente… è lì, se vuol…”
“Da quanto tempo sei arruolato?”
Restai in silenzio. Non ero davvero arruolato. Non lo ero mai stato. Alla fine decisi di rispondere nel migliore dei modi, sperando di farla franca.
“Otto settimane, signore.”
Lui restò in silenzio e si accese una sigaretta come se non mi avesse sentito. Mi prese per il polso e mi trasportò di peso fino al carrarmato, dove appoggiai a terra il mio borsone. Uno di loro cominciò a frugare dentro quest’ultimo, senza il mio permesso.
“Prendi un secchio d’acqua calda e va a pulire.” Poi, Collier, se ne andò senza dire nient’altro.
“Ridammelo.” Biascicai verso quell’uomo che sembrava avere un’aria non Americana. Forse era messicano, o spagnolo, non riuscivo a dargli una razza. “Ridammelo, ho detto!” Mi avvicinai a lui e cercai di riprendermi il libro, ma lui con una semplice spinta mi fece sobbalzare all’indietro. Per poco non caddi a terra.
“Sei cristiano? Credi in Dio, ragazzino?”
Rimasi in silenzio per un attimo, guardando colui che mi aveva posto la domanda. Era alto, robusto, ed in faccia ero messo davvero male. Nonostante questo, con la sua sigaretta e l’aria da sbruffone, sembrava passarsela alla grande.
“Oh, sei protestante!”
Non ebbi il tempo di reagire a quell’affermazione, che mi buttò addosso il secchio d’acqua e mi disse una cosa come “Hai sentito il sergente?! Pulisci!”
Non ero mai stato dentro ad un carrarmato e non avevo idea di che cosa aspettarmi. Non sapevo che cosa potesse esserci ed avevo paura. Arrancai fino all’entrata e mi buttai dentro, delicatamente, attento a non far cadere l’acqua bollente. Non appena fui entrato, un odore nauseante mi colpì in pieno. Il mio sguardo passò in rassegna ogni cosa: dalle fotografie di famiglia, alle munizioni, alle foto di ragazze poco vestite e poi…
“Oh cazzo.” Ansimai quando notai del sangue contro la colonna c’entrale, fino al pavimento. Probabilmente era quello che dovevo pulire. Mi tappai il naso per un secondo, ma poi immersi lo straccio nell’acqua e cominciai a pulire proprio come mi avevano detto di fare.
I primi cinque minuti furono facili. Ma ogni secondo che passava, il voltastomaco era sempre più grande, finchè non fui costretto a correre fuori, buttarmi a terra e vomitare come solamente un idiota potrebbe fare.
Caddi in ginocchio, mi passai una mano sul viso e respirai, a fondo, cercando di prendere più boccate d’aria possibile anche se mi si era bloccato il respiro in gola.
 
Presto ci mettemmo in marcia perché qualcuno aveva chiesto rinforzi. Mi ero messo alla mia postazione e cercavo di stare attento, anche se non avevo idea di come usare una cazzo di mitragliatrice. Ce l’avevo fra le mani, eppure non sapevo che cosa fosse.
“Lì sono le munizioni. Lì il grilletto. Alza quel coso.” Guardai per un attimo ciò che il messicano mi stava puntando, e lo feci. “Così li uccidi. Abbassalo.” Lo abbassai. “Così no.”
Respirai. “Molto efficace…” Dissi a bassa voce sperando che nessuno mi sentisse.
Ad un tratto vidi qualcuno fra i cespugli di fianco a noi. Quando guardai meglio vidi che era un bambino; non dissi niente, era sicuramente innocuo. Poi, però, il carrarmato davanti a noi prese fuoco a causa di una granata lanciata da uno di loro e, tutti in allerta, cominciarono a sparare. Il Sergente che mi aveva spedito da Collier, scese dal carrarmato davanti. Era infuocato. Urlava dal dolore. Erano urla disumane che mi penetrarono i timpani facendomi chiudere gli occhi. Li riaprii appena in tempo per vedere la sua mano andare sulla pistola, premere il grilletto e suicidarsi. Cazzo!
“Si può sapere che cazzo fai?! Hai visto che cazzo hai combinato?!” Don mi urlò contro, sbattendomi contro il ferro del carrarmato. “E’ tutta colpa tua!”
“Ma erano dei bambini!”
“Hai visto che cosa sono capaci di fare dei bambini?! Guarda che cazzo hai combinato!”
Mi diede del coglione altre due volte, mi diede una spallata enorme e poi ritornò a comando, dicendo che avrebbe fatto lui da guida agli altri carrarmati.
Ovviamente sperai che fosse l’unico uomo a vedere morto, ma speravo male.
 
Ben presto ci trovammo in un campo aperto ed un carrarmato grosso che veniva verso di noi. Molti di noi morirono. Io cercavo di sparare, ma non ci riuscivo. C’erano tanti di quei tedeschi che non sapevo dove sparare!
“Spara, cazzo, spara!”
“Ma sono morti, a cosa cazzo sparo?!”
“Se non vuoi che si alzino e ammazzino te, tu continua a sparare!”
Urlai e ringhiai. Diedi un pugno contro il ferro. “Non ce la faccio più, voglio scendere! Cazzo, cazzo! Sono morti, non gli sparo!”
In realtà non avevo sparato nemmeno ad una persona là fuori. Non mi importava se erano tedeschi, non era giusto ucciderli.
Non era giusto; ognuno di loro aveva una famiglia, dei figli, ed io volevo solamente tornare a casa. “Cazzo!” Urlai ancora perché ne avevo bisogno. Avevo bisogno che qualcuno mi sentisse. Che qualcuno capisse la mia disperazione.
“Chiudi l’auto parlante se devi urlare in questo modo.”
Mi calmai, seppur a fatica. Appoggiai la testa contro il ferro e chiusi gli occhi, mentre sentivo gli altri festeggiare per la vittoria. A quanto pare avevano fatto un prigioniero tedesco. Non volevo ascoltare. Non me ne fregava niente.
Volevo solo starmene nel mio angolino a piangere come un cazzo di idiota che ero. Io ero solamente un dattilografo, non un mitragliere! Ansimai e chiusi gli occhi, finchè il Sergente Collier non mi chiamò. “Vieni qui.”
No, non volevo muovermi. Volevo rimanere lì, fermo, immobile, a non fare niente. Volevo piangere, urlare, tornare a casa. Mi girava la testa. “Ho detto, vieni qui!”
Cacciai un gemito di disapprovazione e mi alzai velocemente, uscendo dall’ala protettrice del carrarmato. Lui mi prese per le spalle e mi portò davanti al tedesco che continuava a ripetere che aveva moglie, figli, che era disarmato.
“Non me ne frega un cazzo della tua famiglia.” Gli buttò a terra le foto e poi mi mise in mano una pistola. “Voglio che tu diventa uomo. Devi imparare ad uccidere. Fallo. Uccidilo.”
Lo guardai con occhi sbarrati e spaventati. “Non posso.” Dissi con voce flebile. Mi faceva male la testa. Cazzo, faceva male sul serio. La mano contro la pistola era tremante, così gliela passai di nuovo. “Non posso.”
“Non puoi? E’ un crucco, devi ucciderlo! O tu, o lui! Vuoi morire, ragazzino?!”
“Uccidi me, UCCIDI ME!” Non sapevo che cazzo avessi in testa, ma lo urlai con così tanta forza che mi sorpresi di me stesso. Gli stavo davvero chiedendo di uccidermi per un tedesco? “Non è giusto.” Ansimai.
“Non è giusto? Sai cosa non è giusto?! La guerra! Loro non sono giusti! Sei qui per ucciderli, non per capire che cosa è giusto o sbagliato!”
Mi prese e mi fece inginocchiare. Le sue mani mi presero il collo e mi bloccarono a terra. Poi mi fece impugnare la pistola e mi bloccò anche la mano. “No, ti prego, non farmelo fare. Ti prego, ti prego!” Sentivo la gente ridere attorno a me. Mi stavano dando del pappamolle, ma in quel momento non mi importava. Non volevo ucciderlo. “Per favore, per favore! Serg…”
Sparò. Il proiettile gli oltrepassò la schiena e l’uomo cadde a terra. Non appena Don mi lasciò, io caddi a terra proprio come lui. Sconvolto. Gli occhi presero a lacrimare, non riuscivo a parlare. Non volevo parlare.
“Alzati, Norman. Forza, dobbiamo andare…”
Bibbia mi si era avvicinato, lui era il cannoniere. Era un Cristiano puro. Mi feci trascinare fino al carrarmato e rimasi in silenzio. Non volevo pensare a niente. “La mia… la mia coscienza è pulita. E deve rimanere tale…” Sussurrai non appena mi fui seduto ancora alla mia postazione. “Deve rimanere tale…” Ero sconvolto.
Sentivo il sudore colarmi lungo le tempie ed avevo freddo. Tremavo e nemmeno me ne rendevo conto. Ripresi a piangere cercando di non farmi sentire da nessuno, mentre mi ripetevo mentalmente la preghiera.
 
Non ci crederete mai, ma alla fine vinsi. L’America vinse, ma io riuscii a vivere. Fui l’unico a restare vivo. Durante un attacco di circa 200 o 300 soldati tedeschi, cercammo di annientarli, ma loro furono più bravi. Il primo a morire fu Grady, tranciato da una granata.  Poi Garcia, che fu messo K.O. mentre lanciava una granata e, per proteggermi, se la mise in bocca. Morì con la testa spappolata. Il terzo fu Bibbia, preso in pieno da un proiettile in testa. E poi toccò a Collier, il mio sergente. Parlammo. Mi disse che aveva paura. Anche io ne avevo. Ero spaventato. Non volevo morire.
“Cazzo, io mi arrendo. Non ce la faccio. Mi arrendo.”
“Non devi.” Mi disse. “Ti faranno male. Devi combattere, devi resistere e lottare. Non devi dargliela vinta. Lotta finchè puoi.”
Mi ricordai di una frase che mi aveva detto giusto il giorno prima. Gli ideali sono buoni, la storia è violenta.
La ricorderò per tutta la vita.
Mi disse di scappare nella botola di sicurezza. Di infilarmi sotto al carrarmato. Lo guardai per un’ultima volta e poi lo feci. Pensavo di essere salvo, ma un tedesco mi stava fissando con la pila in mano. Mi guardò. Io lo guardai. Lo pregai di non uccidermi con gli occhi. Non volevo. Avevo paura. Non volevo morire. Lui mi sorrise e poi se ne andò come se non mi avesse visto. Ringraziai il cielo.
E poi, la mattina dopo, gli Americani mi trovarono. Uno di loro mi disse che ero un eroe.
E per la seconda volta mi ricordai una frase che lo stesso Don mi aveva detto.
La guerra crea gli eroi, la storia li trasforma in leggende.
Ma io non ero un eroe: ero solamente Norman Ellison. Un dattilografo. Avevo solamente resistito. Fino alla fine. Ed avevo ucciso senza pietà chiunque mi si presentasse davanti. Non ero un eroe e mai lo sarei stato. Ero un sopravvissuto.
   
 
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