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Autore: Aoboshi    11/06/2015    4 recensioni
Kuja sentiva il fruscio delle radici scorrergli acconto come serpenti, era così stanco, voleva chiudere gli occhi una buona volta e non riaprirli mai più. "Kuja..." Gidan era accanto a lui, non sapeva perchè fosse ancora lì, ma una parte di lui era felice di quel comportamento illogico. Il fratello gli aprì una mano lasciandoci scivolare dentro qualcosa, sembrava una collana "Me lo ha dato un fantasma di Memoria, mi ha chiesto di dartelo...". Kuja cercò di mettere a fuoco l'oggetto, non era così semplice. Osservò il girocollo in velluto, un nastro scuro attorno a cui erano ricamate delle catenine argentee, al centro era fissato un medaglione, Kuja fece per aprirlo, due sottile ciocche di capelli gli scivolarono nelle mani. Un odore familiare gli solleticò le narici,per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare. Prese la piccola treccia di capelli, due nastri, uno color argento e uno mogano, avvolti l'uno sull'altro. Kuja riconobbe la sua ciocca, non appena sentì la morbidezza di quella scura, il medaglione si illuminò. Dopotutto era un oggetto di Memoria e, come tale, doveva ricordargli qualcosa.
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kuja, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti perduti di Gaya'
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I suoi passi echeggiarono lugubri nel corridoio della reggia, Kuja osservò con odio ogni centimetro di quel maniero. Tutto era stato costruito secondo il suo gusto estetico: solo i marmi più belli, solo i migliori scultori per i decori della sua magione, ma era arrabbiato e la sua reggia non gli bastava, lui voleva la bellezza del mondo… ai suoi piedi.  Brahne si era rivelata inutile e sciocca, aveva osato sfidare lui, quella vecchia, disgustosa scrofa: impensabile. La sua mano si serrò sulla testa di una statua, spaccandola. Il marmo si frantumò tintinnando sul pavimento dell’atrio.
I suoi piani erano andati in fumo, la morte di Brahne aveva messo fine alla guerra e lui aveva bisogno di un novo modo di mietere anime. Ora che il suo dannato fratello sapeva della sua esistenza, le cose sarebbero diventate ancora più complesse e, come se non bastasse, quella maledetta non voleva collaborare. Al pensiero di lei, la rabbia gli prese a scorrere nelle vene come fiele.
 –Son, Zon!- la voce era affilata. Lui non urlava, non si scomponeva, ma sotto la calma nascondeva una furia cieca, pronta ad esplodere come una polveriera. I due giullari corsero da lui, Zon –o Son- inciampò nella scalinata di ingresso, prese in pieno suo fratello e i due rovinarono giù per la scalinata
Idioti… sono circondato da idioti
Pensò mesto che quella scena era una perfetta parafrasi di lui e di suo fratello: Gidan lo avrebbe trascinato a fondo. Kuja trattenne una smorfia di disgusto non appena i due si inchinarono a lui. I due giullari erano deformi quasi quanto la loro vecchia regina –Lei dov’è!?- non avrebbe sprecato altro tempo con loro.
Zon fece un passo indietro
-Diglielo tu, Son!-
-No, tu Zon!- lo spintonò l’altro. La pazienza di Kuja stava pericolosamente venendo meno, la magia gli prese a scorrere nelle vene come nutrimento della sua rabbia. Il raggio partì quasi involontariamente, bruciando i piedi dei suoi servitori, l’odore di bruciato gli pizzicò le narici sedando appena la sua ira.
-La… la ragazza… è nella sua cella…- la marsina del giullare aveva una fiamma sull’estremità, Kuja si scostò una ciocca di capelli argentei dal viso, contraendo il viso elegante in una smorfia 
– Or dunque- incrociò le braccia annoiato -  Li avete estratti!?-
I due giullari si guardarono tentennando, Kuja sentì il calore del fuoco lambirgli la mano, i due gemelli scattarono subito alla nuova minaccia, prostrandosi ai piedi del mago. Kuja dovette resistere dall’assestare ad entrambi una pedata
Vorrei davvero la loro bava sui miei stivali… rabbrividì
–No mio signore, un fallimento, un fallimento!-
-Sì, signore un fallimento totale!-
-Su tutta la linea…-
-Completo…-
-Pien…
La palla di fuoco li colpì con più forza, i due giullari vennero scagliati contro la scalinata, nell’aria si diffusero una miriade di scintille infuocate.
-Cosa, esattamente, credete che io stia facendo!?-  gli occhi erano ridotti a due fessure, dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non disintegrare i due, inutili, scagnozzi – Avevate tutto il necessario io…-
-E’ inutile che gli dia addosso così!- una voce seria e decisa lo interruppe. Kuja alzò gli occhi verso la sorgente di quel rimprovero, per un istante la sua rabbia svanì.
Una mano candida scivolò lenta sul parapetto di marmo, sulla sommità della scala c’era lei: gli occhi erano leggermente a mandorla, i capelli scuri e corti, acconciati con precisione, le incorniciavano gli zigomi chiari,  il vestito cobalto le lambiva la sommità degli alti stivali. Gli occhi scuri ragazza lo scrutavano dalla scalinata, Kuja odiava essere guardato dall’alto in basso. La sorpresa di vederla già lì lasciò posto alla stizza e poi di nuovo all’ira: perché non era nella sua cella!? Kuja celò il suo scontento dietro un sorriso, ormai gli riusciva naturale.
-Dama Cassandra… ero stato informato diversamente in merito al suo alloggio!-
Son e Zon tremarono.  Cassandra li guardò di sottecchi, non le piacevano quei due, li detestava, come quasi tutto in quella prigione, ma dopotutto vedere qualcuno punito o torturato – come lei- le piaceva ancora meno.  Arrivò alla base della scala, Kuja fece scivolare la mano della ragazza nelle sue, baciandola. Cassandra sussultò, erano ripugnanti, lui e la sua fasulla ostentazione di pacatezza ed equilibrio.  Dato l’esubero di tempo libero – solitamente la giornata tipo di un prigioniero era più tosto noiosa-  lei aveva preso a studiare il mago. Anche prima di essere catturata aveva una certa bravura nel decifrare le persone.
Per lo meno…
Certo, chiunque con un minimo di cervello avrebbe percepito che Kuja era un folle; lui mascherava la sua pazzia dietro un portamento signorile. Ma Kuja non era un pazzo comune, certo aveva progetti terrificanti, ma i disegni dei suoi piani erano di una precisione sconcertante. I suoi intrighi erano un complesso meccanismo da orologiai. Dietro quella accuratezza maniacale non c’era solo la pazzia, c’era altro e, sotto l’aspetto volubile del mago capriccioso c’era di più, una voragine nera che la lasciava sveglia la notte.  Cassandra non riusciva a capire da dove provenisse  quel desiderio morboso di rivalsa e controllo, Kuja non era calmo come poteva sembrare, non lo era mai, era sempre sotto pressione, come un attore costantemente sotto i riflettori obbligato a mascherare con fittizia sicurezza le sue paure.
Nonostante lo studiasse da quando aveva messo piede in quel covo di matti, non aveva ancora capito da dove quel sogno febbrile provenisse. La sua natura di studiosa emergeva sempre davanti a simili esemplari… Già, Kuja era decisamente un “esemplare” unico nel suo genere,  ogni volta che gli occhi gli occhi del mago la sfioravano, Cassandra provava sentimenti ambivalenti di curiosità e timore.
Kuja le tenne la mano e la fece scivolare verso di lui in una piroetta.
-Bellissima nonostante tutto…vero, mio fiore del deserto? – la voce vellutata le accarezzò, suadente, l’orecchio. Cassandra si raggelò, quando non era arrabbiato, quell’uomo era quasi più spaventoso. La dama ritrasse la mano, Kuja sorrise trionfante, era così bello osservare lo sguardo scosso di lei. Fece un inchino
-Non era mia intenzione essere sgradevole!-
-Oh, vero, le cerimonie di estrazione giornaliere sono l’ultima moda della cortesia …- Cassandra si portò teatralmente una mano al volto -Cielo, mi chiedo come possa essere così obsoleta di abitudini!
Kuja sfoggiò un sorriso carico di innocenza –Infatti, mia signora, come potete essere così indietro sulle nuove abitudini di corte?
Cassandra incrociò le braccia, va bene scherzare, ma almeno il suo tono sarcastico era lampante
-Se magari mi lasciaste andare, probabilmente sarei più informata sulle mode…- la gettò lì, tra scherzo e realtà, dopotutto Kuja era imprevedibile. Il mago prese a studiarla con lo sguardo, nelle corti del continente della nebbia aveva visto nobildonne e cortigiani di una bellezza straordinaria, ma nessuno era come lei.  Cassandra aveva passato buona parte della sua vita a nascondersi e con lei la sua bellezza, ma bastava prestare appena più attenzione per riconoscere la linea armoniosa dei tratti sottili, della bocca delicata, i riflessi mogano tra i capelli corvini. Tutti dettagli sublimi, che solo chi era avvezzo a cercare la bellezza era capace di vedere. Kuja vantava di essere tra quei pochi e, in più, adorava demolire tutti gli sforzi della ragazza per passare inosservata. Ogni volta che il suo sguardo indugiava poco più sulla vita affusolata stretta nel corsetto cobalto, o sulla linea sinuosa delle sue forme, Cassandra si stringeva in se stessa, diventando, se possibile, ancora più minuta. Ogni complimento, con lei, sortiva un effetto migliore delle minacce e la cosa lo divertiva sempre.
– Liberarla dice!?- Cassandra era già avvampata per la sua occhiata troppo lunga e forse anche un po’ languida –Intende nel deserto, priva di acqua e protezione da qualsivoglia mostro!? Non potrei mai!-
Cassandra andò verso i due giullari, rialzandoli. Kuja rimase turbato, nonostante la torturassero e insultassero ogni giorno, i due tirapiedi si ripararono sotto le sue gonne. Il mago fece una smorfia, lei era buona in una maniera inconcepibile. Già di per sé Kuja aveva difficoltà a comprendere i gesti “buoni” delle persone, ma lei era un vero enigma, il che la rendeva ancora più affascinante
Il fascino del mistero…
-Vero, vero, tu sei un galante signore… - fece un cenno con la mano –Per questo rapisci e torturi la gente…-
Cassandra gli sorrise raggiante. Kuja le restituì lo stesso sorriso ironico, scambiare battute con quella donna era sempre divertente. Certo, spesso lei esagerava, ma ne apprezzava comunque l’irriverenza e il coraggio. Da quando l’aveva rapita, Cassandra non aveva pianto una volta, né aveva dato segni di isterismo, al contrario, proprio come lui, quella ragazza puntava tutto sul suo autocontrollo. Si chiese come i dotti di Daguerrero non avessero mai intuito le sue origini – Cassandra D’Oeilvert, l’evocatrice multiforma.
Kuja sentì tutta la sua rabbia sfumare, forse averla lì, nonostante i continui fallimenti, non era poi così male, solo lui poteva vantare di avere l’ultima discendete dei grandi di Oeilvert.
–Mi rincresce che sua grazia non gradisca il servizio…- mise il broncio
-Se devo essere sincera- Cassandra sospirò e gli porse la mano. Ormai andavano avanti con quella farsa da mesi: lui la torturava, lei cercava di fuggire – veniva riportata indietro- ma era come se fossero due cortigiani di palazzo avvezzi alla reciproca compagnia. Cassandra si accorse troppo tardi di avergli, più o meno volontariamente,  permesso di sfiorarla. Kuja colse l’invito immediatamente, le prese la mano e camminarono per gli androni della reggia del deserto. Cassandra cercò di dominare il suo disappunto.
Be’ te la sei cercata. Si morse il labbro inferiore, Kuja era abbastanza bravo nella parte del nobiluomo raffinato, però lei non doveva dimenticare anche la sua straordinaria abilità come flagello di Gaya e suo personale aguzzino.
-Così avete avuto ancora ragione dei miei servi…- cominciò lui osservandola di sottecchi.
-Dovreste trovarne di migliori!- rispose lei osservando le statue del corridoio, le mettevano un’angoscia non indifferente, come il loro stesso ospite, quelle decorazioni nascondevano sotto l’aspetto elegante tutta le ferocia e le malvagità possibili. Temeva sempre di vederle spostare la testa  o fare altro di terrificante, in realtà anche se le avessero fatto solo una linguaccia, si sarebbe fatta internare in qualche manicomio.
Oh sì, perché qui sono tutti sani non è vero!?. La ragazza guardò la sua mano sul braccio di Kuja, osservò il suo abbigliamento bizzarro. Mai nella vita lei avrebbe osato farsi vedere in giro tra tutti quei veli e piume… alle volte Kuja le sembrava una ballerina di can-can, se lo immaginava perfettamente a sgambettare nei varietà di Toleno. Trattenne una risata.
Kuja la stava guardando, gli occhi smeraldini brillavano- Vi state forse proponendo, madame?-
Cassandra lo fulminò con uno sguardo – Non sarò mai, un’arma nelle vostre mani!- lo sibilò a denti stretti. Per un istante Kuja rabbrividì, quel rifiuto lo incupì, i poteri di Cassandra sarebbero stati di un’utilità straordinaria, un ulteriore passo verso il suo obiettivo.
Ricordava ancora la battaglia a Daguerrero, era stata dopo la prima volta che aveva rivisto Gidan, in un impeto di rabbia, il mago aveva deciso di scagliare il suo stormo di draghi contro Daguerrero, così, perché era arrabbiato. Aveva contato di mietere abbastanza anime in tempi molto brevi, ma non fu così.
 Zalera, Zodiark, Siren, Ixion e Ultima combatterono alternati a difesa della città/biblioteca.  Alla vista del grande angelo Ultima, Kuja era rabbrividito, ma la forza di quell’eidolon aveva mostrato la vera identità dell’evocatore. L’angelo aveva spazzato via lo stormo di draghi argentei, ma  la forza di Ultima si era ripercossa anche sul suo evocatore o meglio, il suo “possessore” .  Kuja era sceso nella cascata di Daguerrero, lì dove aveva visto cadere un corpo, quello di Cassandra.  La ragazza stava giusto tornando al suo aspetto normale –per morire tra le correnti- quando lui l’aveva presa. I capelli lunghi e argentei di Ultima erano tornati corti e scuri come mogano, la pelle perlacea dell’angelo aveva riacquisito la sfumatura umana. L’eidolon era tornato umano e Kuja l’aveva trovata, il “possessore”, non un evocatore, ma una persona in grado di diventare l’eidolon, un vero e proprio esper in un corpo umano. Non era stato così chiaro all’inizio, ma lo fu poi, dopo tutte le inutili cerimonie di Son e Zon. L’estrazione non aveva effetto su Cassandra, non c’era nulla da estrarre perché lei stessa era una strana forma di eidolon. Ovviamente l’aveva scoperto a sue spese, durante l’ennesima estrazione, Cassandra, ridotta allo stremo, si era trasformata in Zalera e aveva perso il controllo della propria coscienza comportandosi come un Mortifero impazzito. Kuja dovette intervenire in prima persona per proteggere se stesso, la sua casa e già che c’era i suoi stupidi servi, quella volta la sua reggia era stata invasa da morti viventi. Rabbrividì, togliere tutti i pezzi di cadaveri decomposti era stato tutt’altro che divertente, soprattutto dopo giorni, quando lo stato di decomposizione era così avanzato da diffondere nella raggia esalazioni tossiche.
-“ Be’ se l’è cercata…”- gli aveva risposto lei piccata.
Ma ormai su Cassandra le estrazioni non facevano neppure più emergere il suo lato di “spirito”, al massimo la lasciavano priva di sensi per qualche ora e con qualche sbalzo di umore, ma nulla di letale- quando magari l’eidolon non era Zodiark. 
Arrivarono alla sala da pranzo, una lunga e ampia stanza rettangolare, in cui troneggiava un lungo tavolo di ciliegio, il fuoco ardeva nel camino, ma non produceva calore, le fiamme erano blu e danzavano ipnoticamente nell’abitacolo. Kuja accompagnò la dama sino al capo opposto del tavolo, scostò la pesante sedia lasciando modo a Cassandra di sedersi. Non appena si accomodò le spinse delicatamente la sedia al tavolo, le prese la mano e la baciò ancora, quella donna sapeva di vaniglia e la pelle sotto la bocca era appena più calda e liscia. Kuja indugiò qualche istante sulle dita affusolate di lei. Cassandra si ritrasse, avvampò, prese il tovagliolo e se lo assicurò sulle gambe, cercando di non guardare il suo ospite. Era così facile metterla in difficoltà.  Kuja si sedette al capo opposto della tavolata. Son e Zon si occuparono del servizio, badarono bene a non incrociare lo sguardo dell’una e dell’altro. Kuja scrutava in silenzio la sua ospite mentre beveva un sorso dal calice di vino.
-Ho paura che dobbiate rivedere le vostre convinzioni, mia cara!- la voce le arrivò forte, nonostante la distanza tra loro. Kuja sapeva come farsi ascoltare, la voce impostata sapeva modulare nei toni più accattivanti, era un artista della manipolazione. Cassandra fece finta di non sentire, posò il calice sulla tovaglia di lino e poi alzò lo sguardo sul suo rapitore – In merito a cosa?-
Kuja trattenne un sorriso, quella donna era completamente incapace di fingere, era così cristallina da intenerirlo, be’, quasi – Basta giochetti damina D’Oeilvert, non è forse meglio che collaboriate, invece di lasciarmi pensare a come forzarvi a farlo?-
Cassandra bevve un altro sorso, forse Kuja si aspettava una risposta, ma lei gli servì uno sguardo pieno di innocenza –Dite? Siete così fantasioso non potrei mai sottrarvi il vostro diletto…-
La mano di Kuja si serrò sul gambo del suo calice, la mascella si indurì, Cassandra nascose un sorriso, lo destabilizzava sempre quando faceva così, ma il mago sfoggiò la sua maschera di cortesia.
-Non sapete quanto mi addolori dovervi sottoporre costantemente alle cure dei miei maldestri collaboratori…-
-Oh, allora smettetela- osservò lei distrattamente. Sì, il vino era sempre ottimo per fortuna, si chiese da dove Kuja se lo facesse portale.
-Non se voi non collaborate!- la richiamò lui.
-Allora non smetterete mai!- rispose indifferente lei, mandò giù un altro sorso.
Lo schianto sul tavolo la fece trasalire, il pugno di Kuja si era abbattuto sul legno inesorabilmente.
Meno male che avevo il bicchiere in mano.
Cassandra lo guardò con riprovazione – Kuja, Kuja… che volgarità!-
Il mago sorrise feroce, lei si prendeva gioco di lui, quella sciocca umana, osava… Kuja si alzò, camminò verso di lei, Cassandra cercò di rimanere impassibile. Aveva esagerato, aveva decisamente esagerato e aveva detto la verità, Kuja era estremamente fantasioso nel trovare metodi per torturare la gente.
Ormai è fatta… qualsiasi cosa le stesse per fare, se l’era merita, in un certo senso, quindi non c’era motivo di tremare.
Spero solo non mi bruci il vestito… Se no rischio che mi presti i suoi… Rabbrividì al pensiero di andare in giro come una sorta di odalisca. Kuja, si mise dietro la sua sedia, le scostò una ciocca di capelli dal collo, facendola rabbrividire. Cassandra sentì il respiro del mago riscaldarle la guancia, trattenne un brivido. Kuja sprigionava un fortissimo odore di magia … e instabilità.  
–Vi ho già spiegato che tutto sarebbe estremamente più semplice se voi collaboraste- lo sentì inspirare, come se cercasse di controllarsi, il cuore di Cassandra prese a  scandire i nanosecondi
-Se non a me, Gaya dovrà arrendersi a qualcosa di ben peggiore, si fidi, dama Cassandra, io sono il male minore!
Cassandra scattò, si alzò dalla sedia velocemente, Kuja arretrò evitando la sedia per un soffio. Cassandra camminò verso di lui, furono uno davanti all’altra,  gli occhi azzurri di Kuja si specchiarono nei suoi, mare contro terra.
-Ma siete comunque un male! – lo vide trasalire, qualcosa gli passò nello sguardo, risentimento, ma anche… delusione!? Cassandra rimase sconcertata, si era sbagliata forse? Lo sguardo di Kuja indugiò su di lei, vide i respiri del mago farsi più lunghi. Kuja le andò sempre più vicino, finché lei non ne percepì il calore. Non arretrò, le gambe le rimasero inchiodate lì, presto cominciò a dimenticarsi anche del perché il cuore stava cercando di frantumarle lo sterno. I loro volti erano a poco più di due centimetri, Cassandra poteva contare  le gradazioni di azzurro e verde delle iridi di lui. Cercò di non deglutire mentre il suo sguardo scendeva nell’incavo del collo cesellato e dei muscoli asciutti e definiti del mago. Cercò con tutta se stessa di richiamare l’immagine dell’odalisca, ma sotto i suoi occhi c’era solo il corpo definito di lui, sotto la cintura si intravedevano i muscoli inguinali.
Odalische, Cassandra pensa alle odalische…
Fu inutile, Cassandra si costrinse ad alzare lo sguardo sul volto del mago, magari gli occhi cangianti erano meno magnetici dei suoi addominali. Pregò solo che Kuja non si fosse accorto di quello sguardo troppo lungo, ma era talmente pieno di sé da non lasciarsi sfuggire l’occasione, sicuramente.
-Io sono quanto di meglio Gaya possa anelare!
Che bello, era troppo arrabbiato per accorgersene! Gioì un poco, anche se respirare con lui a una distanza così minima era diventato difficile.
-Voi siete solo un pazzo dittatore!-
Bene fortunatamente la sua bocca e il suo cervello erano sintonizzati su idee diverse.
Kuja le sfoggiò un sorriso sghembo – Non vedo come le due cose si annullino! – allargò le braccia  
-Dovreste ringraziarmi di tenervi ancora in vita!
-Oh, quanta magnanimità!- il sarcasmo l’aveva sempre protetta anche dai pomposi dotti di Daguerrero, sperò potesse aiutarla di nuovo, magari l’avrebbe carbonizzata prima che potesse dire “che addominali ipnotici”.
- Una vita in catene non è una vita!- si chiese come facesse a parlare per inerzia.
-Se non collaborate avrete anche di peggio!- le rispose lui a tono, gli occhi erano freddi e taglienti
-E cosa avete intenzioni di farmi Kuja!?- era esasperata ed esausta, più insisteva più rischiava di farlo arrabbiare per davvero, ma ormai il dado era tratto, tanto valeva dire tutto.
-Potete solo uccidermi, ma sappiamo entrambi che non lo farete!-  si chiese perché dovesse affrontare quelle inutili discussioni con Kuja, come se davvero le sue parole potessero cambiare qualcosa.
-E cosa me lo impedisce adesso che ho gli eidolon di Garnet!?- le parole gli vennero fuori di botto, Kuja si bloccò e così anche Cassandra. Quella rivelazione la lasciò senza parole. Era vero, lui aveva Bahamut, Leviathan, Odio… Certo, lei aveva Ultima, Zalera, o meglio,  lei era Ultima, Zalera e molti altri, però… però Kuja aveva dalla sua una magia sconosciuta e tremendamente potente.
No, non le interessava cosa le avrebbe fatto, non avrebbe mai fornito a Kuja anche il suo potere.
Ecco perché la teneva in vita- si disse- Kuja voleva solo più potere, era ossessionato dalle manie di grandezza, nessun’altra ragione.
-Voi siete folle!- fece per andarsene e concludere lì quel nonsenso. Non aveva fatto un passo, sentì una pressione al polso, la mano di Kuja era lì, serrata, il mago la tirò a sé. Cassandra gli rimbalzò praticamente addosso e Kuja la bloccò per la vita. La ragazza trasalì, ora erano decisamente troppo vicini, il respiro di lui le lambiva le guance in fiamme. Sentiva il petto del mago alzarsi e abbassarsi contro il suo.
-E voi testarda quanto bella!- le pupille di lui erano dilatate, il loro nero aveva fagocitato i riflessi marini delle iridi.
-Allora in questo momento dovrei essere irresistibile!-
Gli occhi di Kuja mandarono un guizzo –Lo siete infatti!-
Accadde tutto troppo velocemente, le labbra di Kuja cercarono le sue, aderendovi perfettamente, le sue mani le scivolarono sulla vita, stringendola più forte a lui. Cassandra sentì il corpo di Kuja ardere sotto la stoffa del suo vestito, le sue guance erano diventate una pira. Sentì appena il sapore di vino sulle sue labbra mentre la bocca di lui assaggiava ogni centimetro della propria. Lei chiuse gli occhi e gli passò le mani nei lunghi capelli lisci, sottili e serici, rispondendo appassionata a quel bacio inatteso. Kuja spalancò gli occhi, praticamente incredulo davanti alla risposta di lei. Cassandra sussultò appena si accorse per davvero di cosa stesse succedendo. La ragazza fece scivolare le mani sul petto del mago, il quale si abbassava ed alzava febbricitante. La dama lo spinse via, sottraendosi a quel bacio. Tutti e due ansimavano, Cassandra si appoggiò al tavolo, la testa le girava, un ronzio insidioso le confondeva i pensieri.
Kuja aveva gli occhi sgranati, le pupille cercavano di tornare alla normalità, anche le sue guance erano in fiamme - e non per il blush che si era sicuramente dato.
Si guardarono ancora Cassandra annaspava alla ricerca di qualcosa di logico da pensare o da dire, ma voltarsi verso Kuja era impossibile
–Voi…- cominciò il mago con un sussurro. Cassandra trasalì.
Oh ti prego non dirlo
 -… non mi avete respinto…-
Maledizione!
Cassandra fece scivolare la mano sul tavolo, il suo piatto cadde a terra, il fragore dei cocci la risvegliò dai suoi pensieri. Era vero, non lo aveva respinto, lo aveva fatto dopo, troppo dopo, si portò una mano alla bocca scoprendo una leggera fitta di nostalgia al sapore di quelle di lui. Alzò lo sguardo sconvolto su Kuja, confuso quasi quanto lei. Cassandra non resse, quando la voce di Kuja cercò di raggiungerla, lei era già corsa via in uno degli innumerevoli corridoi di quel dedalo. Ogni statua sembrava guardarla, accusarla di averlo voluto, di non averlo respinto perché, poco alla volta, quel mago psicotico l’aveva affascinata. Quando finalmente incontrò il freddo metallo della sua cella, Cassandra  sbatté la pesante anta di ferro ossidato. Il suono cupo e cavernoso rimbombò come nel campanile di una chiesa. Cassandra si abbandonò al muro metallico, cercando di riprendere fiato. Non riusciva a calmarsi mentre il cuore le batteva a mille.
 Non Kuja, non Kuja, non lui…
Ma il suo cuore diceva altro, non appena la sua mente sfiorava il pensiero del mago ecco che quei secondi le piombavano addosso come un stormo di cornacchie. Si afflosciò su se stessa, abbracciandosi le ginocchia cercando di ignorare i battiti del suo cuore e il jenoma che titubante aveva poggiato la sua schiena sul muro che li divideva.
Non seppe dire quanto rimase così, probabilmente aveva dormito in quella posizione tutta la notte, il collo dolorante le confermava quella teoria.  Sperò che quello fosse stato solo un sogno da dimenticare velocemente, ma, notando la sospettosa assenza di Son e Zon, già le palpitazioni cominciarono a cavalcare
Che abbia smesso di torturarmi…
Non avere più a che vedere con i giullari gemelli era una liberazione, il motivo però la scombussolava non poco. Quando, ore di angoscia più tardi, sentì bussare Son alla sua cella, provò sollievo e delusione insieme. La voce gracchiante del giullare la riportò alla realtà
-Oggi il padrone ha di meglio da fare che dedicarsi ai suoi capricci!-
Cassandra sussultò. Kuja…
-Ha detto di impiegare il tempo come meglio ritiene, la biblioteca è aperta, è questo che ha detto…- ribadì contrito il giullare. Il cuore di Cassandra andava già a mille. Cosa credeva, che per un bacio si sarebbe piegata ai suoi ordini!? Che non serviva più l’estrazione perché era diventata un’amante mansueta? La parola ”amate” le infiammò le guance. Deglutì.
No, ma che amante!? Gli unici pseudo uomini con cui aveva scambiato appena una parola erano i pomposi saggi di Daguerrero. Sospirò, in effetti, l’unica persona con cui avesse mai avuto una conversazione, anche solo per finta, era stato Kuja. Oh ma che tristezza… constatò.
-Se crede che lo aiuterò, si sbaglia di grosso!- odiava sembrare una bambina capricciosa, ma non riuscì a distillare il tono petulante dal risentito. Son gracchiò un “Non si aspettava niente di diverso…” e andò via. La porta della sua cella si aprì poco dopo, Cassandra zampettò mogia verso i bagni, anche prima del… non riusciva a ripeterselo- le era permesso riassettarsi. Indugiò sul “le era permesso” per ricordarsi che Kuja era il nemico e la teneva prigioniera. Cassandra passò la giornata nella splendida biblioteca della reggia, i libri di Kuja erano scritti in lingue antichissime-che lei conosceva- Si chiese come mai il mago avesse così tanti volumi, così antichi e preziosi, neppure Daguerrero poteva vantare quella raccolta bibliografica. Cassandra si beò con i suoi amici di carta, finché Zon non comparve sulla soglia della grande sala. Lei era sopra la scala sul secondo piano, in bilico per rimettere a posto alcuni volumi
-Il padrone l’aspetta nella sala da pranzo!
Il giullare venne investito da una cascata di libri, il mostriciattolo imprecò mentre Cassandra cercò di recuperare tutti i volumi bofonchiando distrattamente delle scuse. Il giullare sgattaiolò  via irritato, lei rimase a fissare la soglia della porta. Oltre il corridoio, a primo piano sotto la scala, c’era la sala da pranzo e Kuja la stava aspettando. Si torturò le mani lungo il percorso, la bocca si era arrossata per il suo continuo mordicchiarsela. Pensieri sciocchi e seri si mischiavano, mentre l’imbarazzo cominciava a farle tremare le gambe.
Oh andiamo è Kuja, il folle mago maniaco ossessivo-compulsivo con sindrome bipolare dell’umore…
Non valsero a nulla i suoi tentativi di autoconvincimento. Intravide il profilo della sala, il tavolo, i suoi candelabri, il camino di fiamme azzurre, la sua sedia da un capo del tavolo e quella di Kuja a darle le spalle. Trasalì e si bloccò sulla soglia. No, non poteva rimanere lì, doveva, doveva far finta di niente. Con decisione, ignorando il tremore delle gambe- e anche il cuore che cercava una qualsiasi via di fuga dalla cassa toracica- Cassandra entrò. Non appena sentì il suo passo Kuja si alzò, era teso, e Cassandra non sapeva come accogliere quella reazione, anche lei era tesa e lui… se ne era accorto?
Kuja le scostò la sedia come sempre, Cassandra sentiva l’imbarazzo arrampicarsi sulle sue guance. Si chiese perché una buona volta il pavimento non si aprisse per inghiottirla.
-Grazie…- Kuja le sfiorò il gomito, bastò a farla sussultare. Il mago la fissò per qualche secondo poi andò a sedersi. Anche la prima sera cenarono in silenzio, Kuja l’aveva fissata con superbia, come se non fosse neppure degna di essere guardata rispetto a tutti i suppellettili squisiti di quel luogo.
La tensione tra loro era palpabile, persino i due giullari facevano in modo di apparire e sparire nel nulla. Lei aveva il volto chino sul suo piatto, sapeva che Kuja la fissava e intuiva sul suo volto anche l’accenno di un sorriso sornione.
- Devo chiedere a Zon cosa abbia messo di così interessante nel tuo piatto!- esattamente, sornione era il termine giusto. Cassandra sospirò, almeno aveva affettato l’imbarazzo che aleggiava tra loro, aveva scelto la maniera peggiore, però era sempre meglio di “Tu non mi hai respinto!” … Le suonava praticamente come un’accusa. Come poteva essere attratta da un essere così meschino e crudele.
Forse perché magari non è davvero così…Cassandra scacciò quel pensiero, sì che era così, Kuja era una persona orribile, sadica, psicotica e senza la minima etica e lei doveva odiarlo, doveva essere facile, lei odiava la condotta del mago, poteva estendere la sua insofferenza anche a lui, come aveva sempre fatto prima. Sempre!?. Le chiese una vocina dai meandri della testa.
-Probabilmente è veleno… Ho cercato di ucciderlo nella biblioteca…- commentò lei ricordando il suo attentato.
Kuja sorrise e sorseggiò il vino –Spiacente che tu non sia riuscita nell’impresa…-
Cassandra si portò un pezzetto di carne alla bocca e lo mangiò, si tamponò le labbra con il fazzoletto
-Sì, ma non avremmo potuto consumare questo ottimo pasto, non credi?-
Certo, puoi anche parlare del tempo adesso… ah già, non vedi il cielo da tre mesi, ci ricordiamo per colpa di chi!?
-I cuochi di Alexandria sarebbero stati molto più bravi- eccolo lì, spocchioso come sempre, Cassandra apprezzò il fatto che fosse sgradevole, lui e le sue mani eleganti, i capelli serici e luminosi come fili di argento. Maledizione... La dama prese un sorso di vino.
-Sarebbe controproducente ricordarti gli effetti di quella bevanda!?-
Cassandra sbiancò, alzò gli occhi vacui su Kuja, non poteva averlo detto sul serio, il mago sogghignava. Lo faceva a posta, la stava piccando gratuitamente, cos’era, dopo l’estrazione voleva vincerla per vergogna?
-In che altro modo le persone dimenticano i loro sbagli!?-
Kuja sgranò gli occhi, Cassandra fu sicura di vedere un lampo di sofferenza in quello sguardo, si pentì amaramente di quanto detto. Kuja era malvagio certo, aveva fatto del male a innumerevoli persone senza remore, e aveva perso il filo del discorso… Ricomincia dei capelli argentei.
Scosse la testa. Lo aveva ferito gratuitamente, lei e Kuja non erano poi così diversi, lui aveva il potere e lo usava per far soffrire le persone e lei stava facendo con lui la stessa cosa, per quanto la sorprendesse. Serrò la mano sul bracciolo della sedia… magari Kuja stava solo recitando e  cercava di far leva sulla sua indole per convincerla a collaborare. Stava cercando di manipolarla, sì, questo era decisamente da Kuja, sentì ammontarle la rabbia.
-Io non collaborerò mai con te!-
Kuja si stava portando il bicchiere al viso, si fermò –Prego!?- sfoggiava indifferenza lo psicopatico…
Le nocche della ragazza divennero ancora più bianche– Dovresti uccidermi, io non collaborerò mai con te… e se dovessero liberarmi, non esiterei a battermi contro di te…- era vero e lo disse con una freddezza incredibile. Kuja fissò il vino nel suo bicchiere, Cassandra attese qualche minuto, il cuore le batteva nel petto come un martello, l’avrebbe uccisa? Magari con le parole giuste si sarebbe potuta salvare, ma a che pro? Una vita in prigione-non nel maniero, nella sua celletta- non era vita, quindi tanto valeva farsi liberare dalla sua maledizione degli eidolon e raggiungere i suoi nella nebbia. Sì, lo avrebbe preferito così da non essere più un pericolo per nessuno. Kuja la fissò con uno sguardo indecifrabile, poi si alzò, la sedia strisciò appena, il mago la avvicinò al tavolo, non si voltò verso la ragazza fino a quando non raggiunse la soglia. Cassandra era pietrificata e il cuore le batteva in gola.
-Ho dato ordine a Son e Zon di sellare uno dei draghi, dovrebbe essere pronto nei sotterranei…-
Non era vero, il cuore di Cassandra palpitò. Libera, sarebbe potuta andare alle grotte di Ghizamaluk, al vulcano Gulgu, a Lindblum, Toleno, ovunque, sarebbe potuta andare ovunque, a Oeilvert, persino tornare a Daguerrero. Un grazie le stava già affiorando sulla bocca se non fosse stato strozzato da una fitta alla porta dello stomaco: lui non la voleva più con sé.
-Vattene dove preferisci – lei vedeva solo le sue spalle stagliarsi nel buio del corridoio – Ma fa in modo di non farti rivedere mai più…- la figura di Kuja fu inghiottita dalle ombre. Cassandra rimase pietrificata, il cuore si era fermato, osservava l’uscio assente, le mani serrate attorno al tovagliolo, il sapore di libertà le fece venire le vertigini, mentre le lacrime le bagnavano le guance in fiamme. La dama di Oeilvert rimase da sola, nella grande sala da pranzo, a fissare l’uscio vuoto. La lasciava libera, non aveva più bisogno di lei.
 
L’aveva detto, non poteva più tornare indietro, era tutto vero, aveva lasciato Son e Zon ad occuparsi del drago, non sapeva perché l’aveva fatto, ma era così, aveva dato l’ordine e i suoi servi lo avevano eseguito. Entrò nel suo studio, sbatté la porta, uno dei suppellettili sullo sgabello di noce – una sfera di cristallo turchino- cadde a terra frantumandosi in mille pezzi. Osservò disgustato la sua stessa reazione, si massaggiò la fronte. Cosa gli stava succedendo? Era un bene che lei se ne andasse, lei e qualsiasi maleficio gli stesse intessendo, doveva andare via e in fretta, prima che lui potesse cambiare idea e decidere di ucciderla…
Come dovresti fare. Quella voce gli apparteneva ed aveva ragione. Conosceva Cassandra, in quei tre mesi con lei aveva cominciato a capirla, lei, la sua tranquillità, la sua bontà d’animo e la sua maledetta integrità. Kuja scagliò anche lo sgabello per terra. Perché non poteva essere come lui, perché non potevano essere più simili, perché anche lei non condivideva lo stesso amore spasmodico per il potere!? Guardò il mappamondo con i tre continenti… Certo che non potevano essere simili, erano -davvero- di due pianteti diversi. Ma lei lo aveva baciato, era un pensiero dolce-amaro, se lo disprezzava perché aveva risposto a quel bacio. Lui l’aveva fatto per umiliarla, ma poco alla volta aveva demolito quella menzogna. Lui lo aveva fatto perché erano giorni, forse settimane che immaginava di sentire il sapore della sua bocca sulla propria, di inspirare a fondo quel profumo di vaniglia e Cassandra. Forse ne era già stato rapito quando l’aveva salvata, lì, anche con le labbra cianotiche per il principio di affogamento, quando l’aveva tenuta tra le braccia, non aveva mai visto nulla di più sublime. Anche se non fosse stata un’ evocatrice multiforma o un  possessore, lui l’avrebbe portata con sé. Era bella, non solo d’aspetto, era tutta bella, lo sguardo dolce e alle volte severo, la sua gentilezza e la sua forza. Kuja trovava stupida ogni forma di resistenza e determinazione, ma non la sua. Il jenoma  si abbandonò alla grande poltrona color zaffiro, la coda si srotolò dalla gamba battendo pigramente contro la poltrona. Era stanco, il pensiero di vederla partire gli serrò la bocca dello stomaco. E se Garland l’avesse vista, se avesse scoperto, Kuja si ritrovò ansimante. No, se l’avesse scoperta l’avrebbe già uccisa, lei e il suo potere. Cercò di rilassarsi, Cassandra aveva fatto ricorso ai suoi poteri per proteggere Daguerrero, bastava rimanerci lontano e lei non si sarebbe messa in mezzo. Già la immaginava lì come un topo di biblioteca… No, non l’avrebbe più vista o immaginata, doveva cancellarsela dalla testa. Eppure appena chiudeva gli occhi incontrava il suo viso. Non avrebbe mai dovuto permetterle di cenare insieme, di farla uscire dalla sua maledetta cella. Alzò lo sguardo amareggiato, i suoi occhi incontrarono lo schermo della prigione di lei. Un sorriso tirato gli si aprì sul volto, l’avrebbe sempre avuta davanti. L’aveva studiata per un mese intero per capire su quale debolezza fare forza per piegarla al suo volere, ma la mera manipolazione si era trasformata in altro. Kuja non aveva mai visto una persona così, lontana dalla meschinità, dallo sporco, una persona sincera, incapace di mentire. Certo, c’era Gidan e lui lo odiava, ma lo odiava anche per questo, perché rappresentava qualcosa di troppo diverso da lui.  Cassandra invece era diversa da lui in modo più dolce. Si alzò di scatto. Lui la voleva e l’avrebbe avuta, avrebbe detto a Son o Zon di portarla a lui e volente o nolente… No, non era così che la voleva. Ripensando alla sera prima gli scese l’amaro dove prima c’era il dolce sapore di lei, avrebbe voluto stringerla ancora. Si accasciò sulla sedia, perché gli sembrava che fosse possibile, perché irrazionalmente credeva che lei sarebbe rimasta, per lui, una persona orribile e meschina – a detta di tutti, sembrava-  che godeva del proprio essere e della sofferenza altrui? Si prese la testa tra le mani. L’avrebbe dimenticata… sicuramente, presto o tardi… ma per il momento faceva male.
La porta cigolò, Kuja scattò –Chi è?- la voce era limpida, al contrario del suo animo. Per un momento osò sperare, ma non appena sentì il gracchiare di Son sentì lo sconforto bruciargli la gola. Perché si illudeva!?
-Mio signore…
Kuja sussultò, il giullare era per dirgli che andava via, aveva avvisato Son? Stava partendo…? Si accorse di aver serrato la mano sul bracciolo, si rilassò, di certo non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno, men che mai da un disgustoso giullare.
-Cosa?- disse con tutta la sua indifferenza
Son tentennò –Ecco… notizie da Alexandria…-
Kuja si rilassò –Ebbene?-
Son si guardò intorno spaventato, era così bello incutere timore, pensò Kuja, ma non era dell’umore, sospirò stanco, cercando di farsi passare annoiato
-L’incoronazione di Garnet… Dicono sarà domani!-
Kuja annuì  -Ottimo Son puoi andare!-
il giullare rimase stranito, si era aspettato una reazione di fredda ferocia, invece Kuja era rimasto insensibile, la sua freddezza era sempre ammirevole. Son fece per andare via, gli era andata anche bene, sull’uscio però si sentì richiamare – Sì, signore?
-Dama… Dama D’Oeilvert?- il nome gli bruciava sulla bocca, perché nella sua vita aveva solo rifiuti, perché era così maledettamente solo, aveva passato anni ai margini degli umani e delle altre razze per distruggerle, ma anche su Tera lui era il solo sensiente, e Garland non era certo la compagnia più auspicabile. Meglio la solitudine a confronto.
Gli occhi di Son si illuminarono maligni –Devo farla uccidere, signore?-
Già, poteva farlo, poteva farla uccidere, risparmiarsi un sacco di problemi e…
-No… - disse subito -Sai dov’è?-
-L’ho vista entrare nella stalla signore, non so altro se vuole posso…-
Fu una coltellata, Kuja scosse la testa, era esausto, si alzò e superò Son. Non aveva neppure voglia di suonare. Magari il suo umore ballerino l’indomani avrebbe sistemato le cose.
–No… Domani è un giorno importante… Sarebbe inutile…- Kuja si allontanò verso le sue stanze, cercando di non pensare al suo fiore del deserto.  
 
Fissò gli occhi color ametista, accarezzò il muso scaglioso, il drago non si sottrasse. Cassandra si avvicinò al cancello di lega, la serratura scattò.
 
Kuja osservò il panorama oscuro dal suo balcone, la notte aveva confuso tutto nel suo blu avvolgente, la luna aveva nascosto interamente la sua faccia, lasciando solo alle stelle l’arduo compito di illuminare la notte, tra tutti quei pianeti c’era anche la sua Tera. Sorrise mesto, in realtà sentiva forse di appartenere a Gaya, o magari a nessun posto, forse solo all’oblio. Sono l’angelo della morte, no!?
Kuja rimase lì ad osservare le tenebre, temendo di vedere una massa argentea allontanarsi dalla sua magione. Tornò dentro la sua larga camera, le coperte scure del letto a baldacchino lo invitavano ad annullare nel sonno le sue preoccupazioni. Qualcuno bussò alla porta di legno laccata di bianco. Kuja sospirò irritato, faceva caldo, nonostante tutto, e lui aveva smesso i suoi vestiti per un semplice lenzuolo attorno alla vita. di certo farsi vedere senza vestiti da Son o Zon non era il massimo delle sue aspettative, già era stata una pessima giornata, quella sarebbe stata la conclusione perfetta.
-Ho detto di lasciarla stare, idiota di un buffone!- la sua voce, fredda come sempre era tinta da accesi toni di superbia. Kuja si voltò verso il bordo del letto a baldacchino, il velluto violaceo ricadeva dal telaio in mogano finemente decorato con piccoli cigni di legno. La porta cigolò assieme alla serratura. Le mani di Kuja brillavano già per il fuoco, alzò gli occhi adirati sul pagliaccio, e la luce del suo fire illuminò la stanza in penombra. Il suo cuore si fermò per un momento.
 
Tremava, ma non per la paura o per il freddo. Gli occhioni scuri erano piantati su di lui, grandi e smarriti, quasi avrebbe detto fosse stato un attacco di sonnambulismo, non fosse che per aprire la sua cella ci voleva molta presenza di spirito. I capelli, più lunghi rispetto a quando l’aveva portata lì, le scendevano morbidi sul collo, lasciati liberi dalle intricate acconciature. Sembrava un cigno anche lei, come quelli del suo letto, avvolta com’era nel corpetto candido e nella sottoveste abbinata. Kuja deglutì alla sua vista. Era un sogno, doveva essere un sogno, non poteva essere la realtà. Il mago fece per parlare, ma per la prima volta in vita sua non sapeva cosa dire. Le pupille dilatate erano solo per lei, l’unica luce della stanza. La pelle chiara contrastava con gli occhi e i capelli scuri, ma i tratti sottili rendevano quell’accostamento esotico e sublime, Kuja sentì l’indomabile desiderio di scostarle una ciocca di capelli dal viso. Cassandra lo fissava, appena più sicura rispetto a quando era entrata. Kuja non si chiese cosa ci facesse lì, perché non c’era altro posto un cui lei doveva essere, per quanto gli riguardava. Il mago cercò di fare appello a tutta la sua forza, fece per parlare, ma Cassandra si portò un dito alla bocca, facendogli segno di tacere. La ragazza si sciolse i lacci del corpetto, ogni occhiello era una martellata nel petto di Kuja. Il mago sentiva il suo respiro farsi sempre più ansante, la pelle gli bruciava addosso come mai in vita sua. Il corpetto scivolò a terra, lasciando la ragazza nella sola camicia di seta. Cassandra sbottonò anche quella, lasciandosela sfuggire tra le mani. Kuja sgranò gli occhi, la sfera ancora accesa nelle sue mani illuminava con riflessi dorati il corpo nudo di lei, indugiando sui seni morbidi e delicati, sulla linea sottile del fianco, scolpendo la forma affusolata delle gambe.  Lei lo fissava in silenzio. Kuja lasciò estinguere la fiamma nelle sue mani, nell’oscurità camminò lentamente verso la ragazza. Le andò alle spalle, la sentì sospirare mentre lui le scostava i capelli dal collo, prese a lasciarle una scia di baci misurati sulla spalla, nell’incavo del collo, mentre le sue mani indagavano senza fretta sul suo corpo. La sentì gemere al suo tocco, tremava come una rondine. L’odore di lei sempre più forte lo stava inebriando, i suoi singulti di piacere erano una sinfonia. Kuja lasciò che il lenzuolo seguisse gli abiti di lei.
 
Cassandra si lasciò scivolare a terra sfinita. Se questo era quello che Kuja voleva l’aveva avuto, ma il suo cuore continuava a martellarle nel petto in modo quasi doloroso. Se il mago voleva solo un’amante passionale e non l’aveva uccisa per quello, allora poteva anche farla fuori. Cassandra sentiva la sofferenza sfondarle il petto, Kuja era un manipolatore, lei lo aveva accontentato, ma non poteva dirsi che lo aveva fatto solo per quello, lei ne era innamorata, inutile negarselo. Kuja la fissava nel buio, lei lo sapeva e cercò di trattenere le lacrime. Forse aveva fatto un grosso errore. Sentì dei fruscii segno che lui si stava avvicinando.  Poco alla volta sentì il suo respiro sul collo, dove prese a baciarla ancora. Cassandra sgranò gli  occhi, si voltò verso Kuja. Il mago era serio, nessuna maschera, nessuna finzione, era lì, una coda argentea faceva capolino all’altezza del coccige. Cassandra la guardò e poi osservò lui, aveva uno sguardo supplice e doloroso, ne rimase disarmata. Kuja si era ritratto appena, quando lei si era voltata, era in attesa di qualcosa. Rimase quasi commossa da quello sguardo così triste.
In un’altra vita, quando si spacciava per una studiosa di Daguerrero, aveva letto che inizialmente gli animali dichiaravano le proprie buone intenzioni con gesti semplici, per farsi riconoscere. Cassandra fece l’unica cosa che le venne in mente, alzò la mano destra, come a sfiorarlo, ma lasciò la sua mano sospesa. Kuja sgranò gli occhi, avvicinò lentamente la sua, sfiorando quella di Cassandra con le dita. La ragazza fece scivolare la mano lungo quella di Kuja, sovrapponendola e intrecciando le sue dita in quelle del mago. Kuja sorrise, la tirò a sé, baciandole le mani,  respirando a fondo il suo profumo, accarezzandole le spalle facendola rabbrividire. La coda argentea le solleticò la guancia. Cassandra sorrise accarezzando il pelo morbido e argenteo in tutta la sua lunghezza. Kuja rimase ipnotizzato. La ragazza rimase per un momento ferma, lo aveva sentito irrigidirsi, il mago le si avvicinò, le passò una mano sotto le ginocchia e una sotto le braccia, la sollevò. Le gambe sottili di lei, alla tremula luce delle stelle, sembravano quasi perlacee. Cassandra era avvampata, stretta a Kuja quasi disperatamente, lui la accomodò sul letto, lasciando sciogliere la sue braccia dal proprio collo. Cassandra lo guardava, gli occhi sgranati da cerbiatto. Kuja sorrise nella notte, si chinò e la baciò, assecondando la piega della sua bocca, adattando le proprie labbra a quelle di lei, in un’armonia perfetta. Se quello era un sogno, sperò di non svegliarsi più. Si abbassò su di lei e la cinse tra le braccia, lasciandola accucciare al suo petto. Passarono la notte così, con le mani intrecciate, lui a sentire il profumo dei capelli di lei, a raccontarle della sua casa, molto lontana da Gaya, del perché fosse lì, dello smarrimento che provava ogni giorno e della sua frustrazione. La sua maschera si era sbriciolata, non riusciva a interrompere il flusso di informazioni, Cassandra lo ascoltava in silenzio, lasciandosi cullare dalla voce di lui e dalle immagini di un mondo gemello in cui la luce zaffiro feriva impietosa gli occhi dei jenoma. Ogni parla gli scioglieva un nodo che non ricordava di avere mai avuto, le parlò persino di Garland, vedeva i suoi occhi divampare furenti alle torture da lui subite, al destino a cui era obbligato. Stranamente Kuja si sentì capito, anche Cassandra, in qualche modo si sentiva maledetta dalla sua natura, erano due unicità che si erano trovate.  Fu poco prima di addormentarsi che Kuja  fece un’osservazione silente, il potere non lo aveva mai reso felice, come aveva fatto Cassandra.
 
Kuja si risvegliò il giorno dopo, la luce chiara del giorno e la leggera afa del deserto gli pizzicarono il naso. Non ricordava l’ultimo giorno in cui aveva dormito così bene, forse non aveva mai dormito così. Si stiracchiò pigramente, godendosi quella inebriante sensazione di leggerezza. Cosa gli importava di Alexandria, di Garland o di suo fratello. I suoi piani di distruzione potevano attendere, magari poco alla volta Cassandra avrebbe preso parte attivamente. Non riuscì a trattenere un sorriso, si voltò verso l’altro cuscino
-Fiore del deserto buon…- ma riaprendo gli occhi, il posto accanto al suo era vuoto, le coperte scostate lasciavano intuire una presenza, ma il copriletto freddo indicava che se ne era già andata da un po’. Kuja fissò la massa di coperte accanto a sé e poi il pavimento. Era andata via, lo sapeva, non aveva bisogno di chiamare Son o Zon. Quella assenza faceva male, faceva molto più male di tutte le torture di Garland. Le aveva raccontato tutto. La bocca si fece secca, gli occhi sgranati dalla delusione e dall’umiliazione, in tutta la reggia echeggiò il fragore di frammenti di cuore che si infrangevano.
 
L’aria le accarezzava il viso, Cassandra aprì le braccia lasciandosi investire dal vento e dalla luce, sotto di sé il drago apriva le ali quasi ad imitarla. Il vento le scorreva, fresco, sulla pelle, facendola rabbrividire. Il panorama scorreva veloce sotto di lei.  La ragazza si afferrò più salda alla sua cavalcatura, sentiva la libertà, quella che da mesi non assaporava più. Cercò di godersi ogni istante di quel volo, spronò il drago a volare a più bassa quota, slittando tra le onde e mirando il i riflessi zaffiro sulle scaglie argentee della bestia.  La ragazza si sporse appena sul fianco muscoloso della bestia, reggendosi forte alle scaglie del drago; aveva tolto la sella non appena lo aveva visto, la sua libertà non doveva essere la prigionia di nessuno. Le dita sottili sfiorarono l’acqua creando una scia di schizzi brillanti come gioielli. Rise e si raddrizzò, anche il drago aveva fatto lo stesso con la sua coda, Cassandra si accovacciò sulla sua groppa, avvicinandosi all’orecchio membranoso della creatura.
-Più alto!-
Il drago non se lo fece ripetere, le possenti ali presero a mietere l’aria, facendoli salire sempre più in alto, sino al sole. Cassandra si asciugò le lacrime, un miscuglio di felicità e nostalgia. Volava sempre più veloce, le nubi candide scorrevano sotto le ali della sua cavalcatura. Era una sensazione meravigliosa, il mare sotto di loro sembrava una distesa di minuscoli zaffiri. Era tutto fantastico non fosse che mente e cuore fossero in due posti completamente diversi. La testa di Cassandra era in alto, sopra le nuvole e il cielo, decisa verso la sua mente, il cuore era a non sapeva quante miglia di distanza, lì, nella reggia del deserto.
Nelle sue orecchie ancora era ancora vivida la voce di Kuja, mentre le accarezzava i capelli e le raccontava di Tera. Cassandra aveva ascoltato con attenzione ogni parola di quello sfogo disperato, se per mesi non aveva fatto altro che chiedersi cosa e chi ci fosse dietro Kuja, finalmente lo aveva scoperto.
 E, come Kuja aveva liberato lei, lei avrebbe liberato lui. Nella parte più alta del cielo, un profilo scuro fendette le nubi, l’Invincibile era lì e Garland la stava aspettando.
 
-Ce l’avrei fatta, perché sei intervenuto!- la voce di Kuja era graffiata e tradiva tutto il suo risentimento. L’uomo in nero lo fissava, il rubino nel petto brillava fulgido e minaccioso, lo guardò inarcando le spesse sopracciglia bianche, nonostante l’aspetto senile, Garland era molto più forte di lui. Kuja lo guardava con disgusto, quasi avrebbe preferito rimanere ucciso da Alexander. Sentiva una fitta nel petto da quando lei era andata via. L’assalto ad Alexandria era stato un fallimento, l’Invincibile e il suo capitano erano intervenuti. Kuja si era trovato in mezzo ad una furia cieca, non gli importava dei suoi piani, dell’escogitare qualcosa di più sottile, lui voleva solo distruggere tutto. Ma aveva fallito e, in quel momento, si ritrovava davanti all’essere che più odiava in assoluto, dopo se stesso. Garland lo aveva sempre fatto sentire morto, un fantoccio, un’inutile schiavo sempre insufficiente, sempre secondo, un perenne niente- ma adesso era anche peggio.
Quando cassandra era scappata non aveva lasciato nulla di sé, neppure il suo profumo. Un’ala della magione era stata distrutta per la rabbia, Son e Zon avevano rischiato la loro miserabile vita. Kuja non si era mai sentito così vuoto, ingannato e disprezzato. Si era chiesto perché lei lo avesse lasciato così, cos’era successo per farla andare via, le aveva rivelato tutto, le aveva raccontato di sé del suo mondo, della sua inquietudine perenne, dettata dallo sconforto di un mondo che non lo aveva mai distinto dagli altri. Lei non lo aveva capito, lo aveva lasciato a se stesso, come una causa persa, come un qualcosa di vano e superfluo, come aveva sempre fatto Garland. Ora il vecchio passeggiava attorno all’occhio dell’invincibile, senza degnarlo di uno sguardo, come sempre. Kuja serrò le unghie contro il pavimento metallico dell’ aereo-nave.
-Sono davvero deluso, Kuja…
Il mago serrò il pugno, chi se ne importava!? Il vecchio pazzo lo odiava, bene, che lo distruggesse, lui era troppo anche per Garland, nessuno lo avrebbe mai capito, né quello stupido vecchio avvoltoio, né quella sciocca damina da due soldi. Insultarla lo fece sentire un po’ meglio e anche più meschino
-Il pericolo degli evocatori doveva essere fermato!- affermò con voce risoluta il vecchio. Kuja non lo guardò neanche, troppo bravo Garland a non sporcarsi le mani e a criticare l’operato altrui- il suo più degli altri.
-Ma alla fine dei conti…- Kuja alzò lo sguardo sconvolto
Quali conti? Non gli piaceva la luce negli occhi di Garland, c’era qualcosa di profondamente sbagliato nello sguardo rapace di lui –Mi hai comunque indicato le potenziali minacce alla nostra colonizzazione! Non deve essere stato facile, credevo si fossero massacrati tutti a vicenda… Sicuramente si stava nascondendo-  
Il cuore di Kuja prese a battergli in gola, di cosa accidenti blaterava quel tizio. Un pensiero scomodo cominciò a farsi largo nella sua mente, Kuja tentò di reprimerlo, ma fu inutile.
-Sai… nonostante tutto credo che tu meriti un premio, Kuja!-
Il mago alzò lo sguardo torvo –Ma davvero Garland, quale cortesia…- la voce era carica di risentimento e sarcasmo.
Garland aggrottò la fronte – Sei sempre così irascibile…-
 Kuja la riconobbe, la compagna frustrazione, quella che gli teneva perennemente la mano in ogni incontro con Garland.
-Dunque non mi ringrazierai per il dono che ti farò? Te lo sei meritato dopotutto hai fatto quello che ti avevo chiesto…
-Lasciarmi umiliare dal mio fratellastro!?- sputò il mago tra i denti. Garland sorrise ferino, per un attimo Kuja percepì un alito di terrore attraversargli le membra.
-Distruggere tutte le potenziali minacce al nostro insediamento…- Garland si spostò, solo allora Kuja alzò lo sguardo scrutando ciò che era alle spalle del vecchio. La sala comandi era ampia e dava su gigantesco abitacolo vitreo da cui era possibile vedere i cieli di quello e degli altri mondi. Il telaio su cui si innestavano le lastre trasparenti era scuro e formava una specie di ragnatela color onice. Al centro della ragnatela c’era qualcosa di chiaro, Kuja aguzzò la vista, la testa gli prese a ronzare mentre cercava di trattenere un conato di vomito. Era lì, coperta di sangue e altri liquidi sconosciuti, sembrava un grottesco collage di arti e membrane, la pelle del viso era perlacea, i capelli lunghi e sottili, neri come quelli di Zalera, argentei come quelli di Ultima. Il corpo era bloccato in una metamorfosi a metà, le zampe di Zodiak e le sue squame sostituivano la pelle e gambe, sotto il lato destro del costato spuntava un’ala color pece mentre l’accenno di un secondo scheletro emergeva dalla pelle in avanzato stato di decomposizione. Kuja non riusciva a capire, sapeva quale era la risposta a quello spettacolo terrificante, ma non riusciva a dirla.
Sei bellissima nonostante tutto…
La sua stessa voce gli echeggiò nella mente. Anche così, con il volto contorto in una smorfia di dolore inimmaginabile, era una visione tragica e magnifica: i capelli le si sparpagliavano sul generoso petto nudo, su cui, sottili come capelli, scorrevano piccoli rivoli scarlatti. Il drago argenteo era sotto di lei, morto.
-Appena ho visto la cavalcatura ho pensato subito che fosse un tuo regalo…- commentò divertito Garland. Kuja lo guardò con odio, poi osservò Cassandra bloccata in quello stato terrificante. Cosa aveva combinato per ridursi così e cosa ci faceva lì, soprattutto. Perché non era a Daguerrero, Burmesia, ovunque tranne che in quel posto maledetto?
-Ku…ja…- Cassandra si era sforzata di aprire gli occhi. La sua voce sottile  gli squarciò il cuore in mille pezzi pulsanti, Kuja non le staccava gli occhi di dosso, la riusciva ancora a riconoscere, dietro alla raccapricciante metamorfosi
-E’ viva…- Kuja si alzò in piedi, barcollò sul ponte dell’aereonave, portandosi proprio sotto all’eidolon. Non percepì la sferzata d’aria, il colpo di Garland si infranse contro la sua schiena e Kuja cadde carponi.
-Certo che è viva… - trattenne un sorriso – Cioè, più o meno, non so quando la sua coscienza si è spenta, ma rallegrati, ti ha riconosciuto! -
Il colpo infuocato gli passò accanto, Garland si era spostato appena un secondo prima
–Che figlio impulsivo… Sapevo che la fase ormonale avrebbe potuto dare problemi…-
-Cosa le hai fatto!?- era esasperato, ogni volta, ogni singola volta che cercava la propria identità, Garland la spezzava come un fuscello, ogni nuova possibilità, ogni strada diversa da quella tracciatagli da quel vecchio era destinata a dissolversi.
- E’ stata legittima difesa… E’ stata bravina, glielo riconosco, ma troppo potere in una creatura così piccola, l’ha portata alla pazzia prima che potesse uccidermi… Un peccato, un vero peccato…- si accarezzò la barba bianca scrutando la trasmutazione imperfetta – Cioè dal suo punto di vista intendo!-
Kuja la fissava affranto, non riusciva a capire quale dolore provasse, ma gli affiorò sulla bocca una sola domanda –Perché!?
Garland gli andò vicino con fare paziente – Ma come Kuja, di solito sei sempre così acuto e macchinoso…-
Il jenoma si voltò lentamente verso Garland, le mani gli bruciavano per la rabbia, pronte a scagliare l’ennesimo attacco fallimentare. Non gli interessava sconfiggerlo, voleva solo sfogarsi 
-Voleva aiutarti, credo… Ha detto qualcosa sul fatto che dovessi lasciarti libero e abbandonare la conquista di  questo mondo… Kuja, c’è qualcos’altro che devo sapere dalle sciacquette che mi porti a casa!?- finse un’espressione ferita. Ma Kuja aveva lo sguardo fisso su di lei, ora più che mai, Cassandra gli sembrava un angelo.
-Lei … lei voleva liberarmi…- fece un passo indietro, soffocato da quella rivelazione, si voltò verso Garland esasperato – Lei mi amava e tu l’hai uccisa!?-
Garland trovava quella situazione estremamente divertente, il dolore di Kuja era talmente profondo da poter ingoiare Tera e Gaya insieme. La sua creaturina si era mischiata così bene a quel mondo da diventare vittima delle stesse pulsioni umane, praticamente aveva rinnegato il suo lignaggio puro di jemona
-Oh, ti sbagli Kuja, non potevo ucciderla, rischiavo di perdere un tassello importante, cosa credi!?-
Kuja arretrò, sbarrò gli occhi in preda al terrore più cupo. Garland gli sorrise predatore
-Come ti ho detto, voglio farti un regalo… - distese il braccio verso Cassandra, il corpo della ragazza mandò un forte sussulto, Kuja riconobbe quell’incantesimo. Cassandra venne scossa da una miriade di scariche, le quali subdole le si infilarono nelle vene, scorrendo  fianco a fianco con il sangue, urlo fu disumano. Ad un tratto dal petto in preda alle convulsioni, prese ad emergere qualcosa di luminoso e rossastro. L’argento svanì dai capelli della ragazza, la pelle riprese una sfumatura più umana, sebbene le tracce di Zalera e Zodiak non accennassero a svanire.
-Sorridi, mio caro emissario, da adesso in poi sarai davvero un angelo… - così dicendo gli scagliò contro la sfera di energia. Kuja fu investito, urlò dal dolore mentre quello che aveva cercato con mesi di estrazione gli veniva ora infuso. Il corpo del jenoma fu scosso da spasmi, l’energia violenta di Ultima lo percosse sino alle viscere. Quando ripiombò a terra Kuja era attorniato da un’aura scarlatta. Garland gli andò vicino, gli afferrò la testa e sorrise –Sai, come un buon padre… Mi sa che è il caso di cancellare qualche esperienza traumatica… Che dici se ti modifico un po’ la memoria?- gli voltò la testa verso Cassandra, l’altra mano di Garland si infuocò
-Goditi questi secondi Kuja, perché presto di lei non ti rimarrà neppure un ricordo!- il colpo partì. Non appena la sfera gli esplose addosso, Cassandra si dissolse in polvere. Kuja urlò disperato, poi cadde svenuto ai piedi di Garland, con il fuoco di Ultima che gli ardeva nel petto, l’unico lascito della Dama dimenticata di Oeilvert. 


NdA: Ehm non sono molto brava a rivolgermi ai lettori (sono molto disabituata) quindi ho giusto un paio di cose da dire, spero di non essere fastidiosa.
1. Credo sia il caso di scusarmi per gli eventuali errori/orrori di ortografia, grammatica ecc che non sono riuscita a correggere, spero di non ispirare istinti omicidi nei lettori facendoli diventare dei gerarchi nazisti.
2. Mi scuso anche per il profilo che ho tracciato di Kuja, troppo melenso ed "equilibrato" rispetto al folle angelo distruttore con manie di persecuzione, di protagonismo, capriccioso e tendente al melodramma. Quella che ho dato è una mia interpretazione mooolto romanzata e piena di sdolcinatezze gratuite.
3. So di scrivere scicchezze e di scriverle anche male ( e nonostante questo le scrivo... la mia coerenza è pari a zero)
4. relativamente alla storia, per chi se lo stesse chiedendo, Cassandra non usa le sue abilità da possessore contro Kuja perchè ha passato la vita a reprimerle, ragion per cui non riesce a controllarle. La mutaforma riesce a mantere per poco tempo le sembianze di eidolon, infatti li alterna per aumentare l'autonomia di trasfrmazione. Ultima, essendo l'eidolon più potente le risucchia energia vitale ad una velocità maggiore degli altri, per cui, una volta esaurita, Cassandra è sempre più morta che viva e nel deserto, non sarebbe certo stato il massimo
5. potreste incontrare qualche parola priva delle "o", perdonatemti, ma è la tastiera che detesta quella lettera  
   
 
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