Premessa. Questa storia è
ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo de “Il Canto della
Rivolta". Gale sta tornando per la prima volta nel Distretto 12, assieme a
suo figlio, Joel.
Haley
Mellark è la primogenita di Peeta e Katniss. La storia è un missing-moment di una precedente one-shot,
“La cometa
del Distretto 12”, ma si può leggere anche senza aver letto l’altra.
Diversi
da loro
Incassò le spalle, quasi a volersi nascondere da quelle
strade non più rovinate e sporche di carbone.
Le stesse vie che un
tempo ospitavano le sue corse da piccolo, e il suo avanzare a fatica più tardi,
con la tracolla per la selvaggina in spalla.
Non li riconosceva
più quei vicoletti puliti e pieni di gente in salute; non riconosceva i negozi
sotto i portici che incorniciavano una piazzetta alla sua destra, né la persona
che lo fissava da lontano, senza avere il coraggio di raggiungerlo.
La donna dai capelli
neri che si stringeva nel golfino come se avesse freddo, nonostante fosse
estate. La persona che fino a quindici anni prima aveva considerato
un’estensione del suo stesso essere, la metà integrante di ciò che era. La sua
migliore amica.
Riconosceva tuttavia
qualcosa, in quel mosaico di dettagli nuovi incollati con precisione nella zona
in cui un tempo si trovava il Giacimento. Era il sorriso vispo di una bambina
che stava correndo incontro a lui e a suo figlio Joel. Erano la carnagione
olivastra della ragazzina e la treccia corvina che le oscillava sulle spalle.
Un ricordo sbiadito attraversò la mente di Gale, mentre la piccola salutava lui
e Joel a gran voce e quasi non gli capitombolava fra le braccia per lo slancio.
Rivide una ragazzina identica a lei – forse solo un po’ più grande e con due
trecce al posto di una. La ricordò mentre fissava incuriosita le sue trappole,
e quasi sorrise – un sorriso amaro – ripensando a come aveva farfugliato il suo
nome, quando lui l’aveva sorpresa alle spalle.
Catnip.
Non ebbe bisogno di
chiedere a quella bambina chi fosse; l’aveva già capito quando Joel gli era
corso incontro con un entusiasmo insolito per i suoi modi fare solitamente
controllati, spiegandogli che aveva fatto amicizia con una bambina che sapeva
cacciare. Una bambina vivacissima, che sfidava i maschi a gare di corsa e
vinceva quasi sempre; una ragazzina che l’aveva invitato a fare merenda in
panetteria: la panetteria dove lavorava il suo papà.
A Gale bastò
guardare la bambina negli occhi, per avere conferma della sua teoria. Una morsa
dolorosa gli azzannò lo stomaco, nel momento in cui due iridi azzurre
ricambiarono incuriosite il suo sguardo. La piccola aveva gli occhi del padre e
forse anche qualcosa del suo sorriso, così aperto e solare, in perfetto
contrasto con i modi diffidenti e riservati della madre. La stretta allo
stomaco si fece più intensa, nel momento in cui la vide sorridere a suo figlio
e dargli il cinque, nonostante si conoscessero da poche ore; erano bellissimi,
così emozionati per la novità di quel pomeriggio. Joel con il berretto del
padre calcato sugli occhi, la bambina con le guance rosse e una bretella della
salopette scivolata lungo il braccio. La guardò ancora, mentre l’attenzione
della piccola tornava a rivolgersi a lui; notò come i geni dei genitori si
fossero mischiati in maniera perfetta, dando vita ad una bambina che un giorno
sarebbe diventata splendida.
Qualcosa dentro di
lui incominciò a bruciare, come una ferita sporca di sabbia. Avrebbe voluto
andarsene, portare suo figlio con sé e non fermarsi fino a quando non avrebbe
riconosciuto i familiari, quanto anonimi palazzi del Distretto 2.
Restò invece
immobile – sul volto una maschera d’impassibilità, nonostante i suoi occhi
stessero minacciando di farsi lucidi. La rabbia e il dolore lo schiaffeggiarono
con violenza, quando la bambina si convinse a rivolgergli la parola.
“Chi sei?” chiese,
sorridendo con fare birichino.
L’uomo si irrigidì;
cercò di calmarsi cercando un contatto con il figlio e ci riuscì quando la mano
del bambino scivolò istintivamente nella sua.
“Sono il padre di
Joel” rispose infine l’uomo, abbozzando un mezzo sorriso. “Mi chiamo Gale.”
Lo sguardo della
bambina si illuminò.
“Tanto piacere,
papà-di-Joel-Gale!” esclamò, tendendogli una mano. Un po’ nervoso, Gale le
porse la propria e la piccola la strinse con energia. “Io sono Haley, tipo la
cometa. Joel mi ha detto che siete venuti qui nel Distretto 12 per vedere la
cometa di Halley che passa solo ogni tantissimi anni![1]”
“È così” confermò l’uomo, inginocchiandosi per essere
all’altezza dei due ragazzini. “Tempo fa ho promesso a qualcuno che sarei stato
qui, la sera del passaggio della cometa.”
Non disse che quel
qualcuno era sua madre; non ce n’era bisogno.
Haley gli sorrise e
si mise a saltellare su un piede solo.
“Ma è vero che sei
un pilota e che tu e Joel siete arrivati fino a qui volando?” chiese poi,
scrutandolo con aria indagatrice e un pizzico di ammirazione nello sguardo.
Gale annuì.
“In realtà è stato
proprio Joel a guidare per un bel tratto di strada” aggiunse, circondando le
spalle del figlioletto con un braccio, per stringerlo a sé. Il ragazzino
sorrise orgoglioso, annuendo in direzione della nuova amica.
“Wow, che bravi!”
esclamò compiaciuta la bambina, intrecciando le dita dietro la nuca. Tutto a un
tratto aggrottò le sopracciglia con fare serioso.
“Ma non è che venite
tipo da un altro pianeta, voi due, eh?” chiese, agitando inquisitoria l’indice.
“Insomma, sapete volare, sapete cacciare e siete pure un sacco belli. Avete
troppe cose fiche, siete tipo degli extra-terrestri!”
Joel si mise a
ridere, arrossendo lievemente. Anche le labbra di Gale riuscirono finalmente a
inarcarsi per formare un vero sorriso.
“Tu sei più bella”
rivelò infine, prendendo il suo berretto dal capo di Joel per posarlo su quello
della bambina.
Haley ridacchiò a
sua volta mentre gli occhi azzurri - e, assieme ad essi, gran parte di ciò che
la collegava a Peeta – sparivano sotto la visiera del cappello.
“Possiamo andare a
giocare al Prato, papà?” domandò a quel punto Joel, mettendosi le mani in tasca
e stringendosi nelle spalle. “Torno tra un’oretta, promesso!”
L’uomo esitò, ma
alla fine acconsentì.
Mentre li osservava
correre via – i due ragazzini con la
carnagione scura e i capelli neri e lisci, da Giacimento – la morsa tornò a
farsi beffe del suo stomaco, ferendolo in profondità.
Sembravano fratelli,
complici ed entusiasti delle loro corse, delle loro mani intrecciate.
Lo sguardo di Gale
tornò a muoversi in direzione della donna che ancora l’osservava, gli occhi
sbarrati e l’espressione diffidente, la stessa che assumevano gli animali
selvatici quando incappavano sulla loro strada, nei boschi.
Era l’espressione di
un’estranea. L’espressione di una donna qualunque.
Sostenne comunque il
suo sguardo, osando un passo avanti come il cacciatore che era stato un tempo e
che avanzava con movimenti felpati, per non spaventare la preda.
Intanto, in
lontananza, poteva ancora udire le schiamazzi di Haley e Joel.
Perfino le loro
risate suggerivano quanto si stessero divertendo.
Si conoscevano
appena, eppure sembravano davvero amici – migliori amici.
Almeno loro.
Note Finali.
Questa storia è stata
scritta per il DrabbleWeekend
indetto da We are out for prompts,
con il prompt di Eisblume: “Gale, Figlia di Katniss/Peeta - Quando la
vide notò come i geni dei genitori si fossero mischiati in maniera perfetta,
dando vita ad una bambina che un giorno sarebbe diventata splendida. "Chi
sei?"
La storia partecipa
anche all’iniziativa Ready, Set, Prompt proposta dal gruppo Facebook
“The Capitol” con il prompt “occhi azzurri” e alla challenge “Il banco
dei prompt” indetta da Eireen_23 con il prompt “occhi”.
[1] Riferimento a “La cometa del Distretto 12”.
Haley sta parlando della cometa di Halley; Joel l’ha infatti soprannominata
proprio Halley.