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Autore: TimeFlies    15/06/2015    20 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 1


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1. Scarlett



Essere un licantropo, contrariamente a quello che pensa la gente, fa abbastanza schifo. O meglio, per tre giorni al mese fa schifo, il resto del tempo non è poi così male. Certo, si deve fare i conti con una grande suscettibilità, scarso controllo della rabbia, esasperazione più che facile da raggiungere… Le solite cose.
Oltre questo però ci sono anche dei vantaggi, per esempio la vista più acuta, l’udito più fine, l’olfatto più sviluppato, poter mangiare quanto ti pare senza ingrassare per via del metabolismo veloce, visione notturna incorporata e un sacco di altre cose che è meglio non mostrare in pubblico.
Quindi, in fondo, la licantropia ha anche dei lati positivi. Più o meno: se non sei abbastanza bravo da nascondere cosa sei veramente finisci male. Molto male. Perché l’uomo fugge dal diverso, se si venisse a sapere che tu puoi farti spuntare zanne e artigli saresti marchiato come un pericolo, saresti perseguitato e probabilmente ti ucciderebbero. O, peggio, ti userebbero come cavia per chissà quali esperimenti.
Questi erano gli allegri pensieri che mi accompagnavano quella mattina. Ora, chiunque può pensare che un lupo mannaro sia sempre pieno d’energia, pronto ad affrontare ogni tipo di nemico in ogni momento della giornata. Beh, non è assolutamente così. Soprattutto alle sette di mattina. Diciamo che a quell’ora assomigliavo ad uno zombie mannaro.
Sbuffai osservando la massa di nodi che avevo in testa: com’era possibile che i miei capelli non riuscissero a rimanere lisci per più di qualche ora? Che gli avevo fatto di male? Frugai nel cassetto del mobile del bagno alla ricerca di una pinza. Dopo una decina di spazzole, qualcosa come un centinaio di elastici e forcine, trovai quella che cercavo: una semplice pinza di plastica nera piuttosto resistente.
Mi raccolsi i capelli, o forse è meglio dire criniera?, in un chignon disordinato da cui sfuggivano molte ciocche: non era un granché, ma era meglio di niente. Tornai in camera cercando di infilarmi nei jeans strappati senza cadere. Afferrai la camicia a scacchi nera e bianca e la indossai mentre cercavo gli anfibi con lo sguardo. Li trovai sotto la scrivania e, quando mi chinai per prenderli, sbattei la testa contro il legno. Imprecai trai i denti sperando che mia madre non mi sentisse: odiava le parolacce tanto quanto odiava le persone false, quindi davvero molto.
«Scarlett! Sbrigati, o farai tardi!» Urlò dal piano di sotto.
Alzai gli occhi al cielo. «Se tu mi comprassi un’auto potrei dormire come minimo una mezz’ora in più.»
«Puoi vivere benissimo senza!» Replicò con voce fin troppo allegra per i miei gusti.
Le feci il verso tra me e me mentre cercavo lo zaino sepolto sotto un cumulo di vestiti. Lo tirai fuori e diedi un’occhiata veloce ai libri: sembrava ci fossero tutti. Me lo infilai in spalla e mi precipitai giù dalle scale riuscendo a non spalmarmi sul pavimento per puro miracolo. Entrai in cucina con la mia solita grazia e ci trovai mia madre, Natalie, tranquillamente seduta al tavolo intenta a sorseggiare una tazza di caffellatte. Indossava un morbido maglione rosso scuro e dei jeans semplici. Aveva raccolto i suoi lunghi capelli scuri in una coda bassa che lasciava alcune ciocche libere di incorniciarle il viso. Era una bella donna che non dimostrava i suoi quarant’anni, aveva gli zigomi morbidi, la fronte solcata da rughe poco pronunciate e quando sorrideva le si formavano delle piccole fossette sulle guance.
«Buongiorno tesoro.» Mi salutò come se lo scambio di urla di poco prima non fosse successo. A dirla tutta in casa nostra era una cosa da tutti i giorni.
«’Giorno.» Borbottai lasciando lo zaino su una sedia.
Afferrai un paio di biscotti al cioccolato dal piatto che stava al centro del tavolo e li mangiucchiai appoggiata al lavandino.
«Quando riparti?» Chiesi osservandola di sottecchi.
Prese un sorso dalla sua tazza prima di rispondere. «Domani. L’Egitto mi aspetta.»
E mi fece un sorriso materno di quelli che sembravano voler dire: “ripareremo tutto, promesso”. Anche se non c’era niente da riparare.
«Ah… Bello.» Commentai.
Mia madre faceva la hostess quindi viaggiava di continuo e io la vedevo poco o nulla. Inoltre cercava di guadagnare qualcosa in più accompagando gli uomini d'affari che volavano con la sua compagnia alle riunioni e facendo loro da interprete: fin da piccola aveva sempre amato le lingue e ne aveva studiata più di una per anni. Se la cavava alla grande con il cinese, il francese, qualcosa di tedesco e di russo.
Mi andava bene che passasse tanto tempo fuori casa, insomma, c’ero abituata ormai, anche se a volte mi avrebbe fatto piacere averla con me, magari quando affrontavo un periodo difficile o che so io. Così, però, rischiavo meno che scoprisse cos’ero in realtà e questo era decisamente un vantaggio.
«Ti porto un regalo, mmh? Magari una collana con uno scarabeo: sai, portano fortuna.» Aggiunse guardandomi, un sorriso entusiasta ad illuminarle il viso.
«Un po’ di fortuna mi farebbe comodo in effetti, sì.» Concordai.
Abbassò gli occhi e sollevò un sopracciglio con aria critica. «Tesoro i tuoi pantaloni sono strappati… Dovresti buttarli.»
Seguii la direzione del suo sguardo che si era soffermato sui miei jeans. «Ma no, sono fatti così. Fin da quando li ho comprati. Sai, vanno di moda.»
In realtà non mi importava molto delle tendenze in fatto di vestiti, ma i jeans strappati avevano un fascino particolare, menefreghista e strafottente che mi aveva conquistata quindi… Avevo ceduto alla tentazione ed ora ero lì, con quei meravigliosi pantaloni che sembravano essere finiti tra le grinfie di un gatto particolarmente arrabbiato.
Mia madre, com’era prevedibile, non sembrava convinta. «Sei sicura, cara? Non è che non vuoi ammettere di averli rotti per sbaglio?»
Sbuffai. «No mamma, te lo giuro. Sono fatti così e mi piacciono anche.»
Si avvicinò la tazza alle labbra. «Se lo dici tu… Anche se secondo me un sari ti starebbe meglio. Magari blu. O forse è meglio rosso…»
Alzai gli occhi al cielo: l’ultimo viaggio in India l’aveva condizionata un po’ troppo, era già la terza volta che tirava fuori l’argomento sari. «Lo sai che io ho una politica anti-gonna, no? E questo esclude automaticamente anche gli abiti tipici dell’India.» Mi strinsi nelle spalle. «Scusa mamma.»
Scosse la testa sorridendo. «Sei incorreggibile Scout.»
Mi irrigidii sentendo quel soprannome: lo aveva inventato mio padre, o meglio, aveva preso ispirazione dal suo libro preferito, “Il buio oltre la siepe”, dove il nomignolo della protagonista era proprio Scout.
Erano passati dieci anni da quando papà se n’era andato perché non amava più mamma e, anche se non l’aveva mai ammesso, perché si era innamorato della direttrice del suo ufficio, una certa Patty che amava alla follia le gonne inguinali.
«Tesoro devi sbrigarti se vuoi arrivare a scuola in tempo.» La voce dolce e rassicurante di mia madre mi strappò via da quei ricordi cupi.
«Sì, ora vado.» Borbottai distrattamente.
Mi stiracchiai e mi lasciai sfuggire uno sbadiglio: dovevo ricordarmi, per l’ennesima volta, di andare a dormire prima la sera. Mi infilai lo zaino in spalla, diedi un bacio sulla guancia a mamma e uscii con lei che mi augurava una buona giornata urlando dalla cucina.

Dopo quattro ore di scuola relativamente tranquille, il che poteva quasi essere considerato un record visto il mio carattere piuttosto spigoloso, era ovvio che almeno una materia andasse male, no? E quale, se non matematica?
La professoressa Smith camminava su e giù tra i banchi stretta nel suo tailleur grigio topo scrutandoci da dietro gli occhiali come se avesse dovuto decidere chi uccidere. Tutti, me compresa, tenevano lo sguardo fisso sul quaderno pregando mentalmente di non essere scelti per essere mandati alla lavagna a correggere gli esercizi per casa. A me non erano riusciti nonostante ci avessi provato più volte. Più o meno. In realtà non era completamente vero, ma solo perché le disequazioni di secondo grado non erano il mio forte.
La prof si fermò dietro alla cattedra e ci appoggiò sopra le mani sporgendosi un po’ in avanti come se non riuscisse a vederci bene.
«Dawson.» Abbaiò. «Alla lavagna.»
Mi irrigidii prima di sospirare: mi sembrava strano che non mi avesse ancora chiamata. Erano passate ben due lezioni senza che mi mandasse al patibolo, era un record. Presi il quaderno, ormai rassegnata, mi alzai e raggiunsi la lavagna. Abbassai lo sguardo sul lavoro che avevo fatto a casa e mi resi conto che peggio di così non poteva andare: la pagina era piena di scarabocchi, testi di canzoni, tentativi di tirare fuori la mia vena artistica troppo nascosta e pochi, troppi pochi numeri.
Cominciai a scrivere la traccia dell’esercizio alla lavagna, il gesso che mi macchiava le dita. Quando venne il momento di svolgerlo mi bloccai sperando in una qualche illuminazione improvvisa o che so io. Ovviamente, non successe niente del genere e io rimasi per cinque minuti buoni ferma lì come una perfetta idiota.
«Vedo che non ha studiato, signorina Dawson. Come pensa di passare continuando così?» Mi riprese la professoressa guardandomi con gli occhi socchiusi.
«Recupererò.» Mi affrettai a dire.
«Mmh.» Fu il suo commento decisamente scettico.
Beh, come darle torto? Quella sarà stata la decima volta che promettevo a me stessa, e a lei, che sarei riuscita a recuperare, eppure non ero migliorata nemmeno un pochino.

Elisabeth, la mia migliore amica, si osservava allo specchio con aria decisamente soddisfatta: aveva appena dato un “taglio drastico” ai suoi capelli, testuali parole.
Ora aveva mezza testa rasata e una cascata di boccoli ramati sull’altro lato. Le stavano bene, devo ammetterlo, e mettevano il risalto il piercing che aveva sul sopracciglio sinistro.
Batté le mani saltellando come una bambina. «Sono stupendi!»
Il parrucchiere, Tom, ghignò. «È un taglio audace e molto, molto di tendenza.» Mi lanciò un’occhiata. «E tu, facciamo lo stesso anche per te?»
Era un ragazzo di circa venticinque anni, magro, alto e un po’ allampanato. Aveva i capelli scuri pettinati all’indietro con un’abbondante quantità di gel, portava un dilatatore per orecchio e un piercing anche al naso. Nel complesso non era brutto, anzi, solo che il suo viso mi ricordava un po’ una volpe o un gatto piuttosto ambiguo e scaltro.
Aveva aperto quel locale con la sua socia, Sophie, ed Elisabeth l'aveva adorato subito definendolo "moderno e alternativo". In effetti era un po' diverso dal parrucchiere dove andavo da piccola: era un ambiente molto ampio e reso lumino dalle grandi finestre che si affacciavano sulla strada. I colori predominanti erano il bianco e l'argento con tocchi di azzurro e rosa posizionati con cura un po' ovunque. Il pavimento era di parquet chiaro, cosa che contribuiva a dare luce a tutta la stanza. Gli specchi posizionati davanti alle postazioni dove si tagliavano i capelli, costituite da comode poltrone di pelle nera dallo stile attuale e minimalista, erano alti da terra fino al soffitto. Era un posto piacevole da vedere, sempre fresco e profumato, ma dava l'idea di essere un po' freddo.
Saltai subito all’erta. «Uh, no, no. Io sono qui solo per… incoraggiamento.»
Inarcò un sopracciglio, poco convinto. «Okay… Come vuoi tu. E comunque adoro il colore dei tuoi capelli.»
Li sfiorai quasi senza rendermene conto. «Oh, grazie.»
Lui mi fece un sorriso parecchio ammiccante prima di tornare a chiacchierare animatamente con Elisabeth.
Distolsi lo sguardo incrociando le braccia al petto: non amavo quelle cose così… femminili quali shopping, trucchi, vestiti e simili. Però non ero neanche un maschiaccio. Semplicemente avevo uno stile mio e lo seguivo in tutto per tutto: in fondo, l’importante era che piacesse a me.
Guardai distrattamente fuori dalla finestra sperando che Beth la finisse presto di comportarsi come una ragazzina esaltata. Con il suo carattere esuberante e pieno di vita non passava mai inosservata. Come se questo non bastasse, la sua passione per la moda che la portava a compiere spedizioni infinite nei centri commerciali contribuiva a renderla molto appariscente. Per esempio, quel giorno aveva scelto di indossare dei pantaloni di pelle nera molto aderenti, una canottiera di tessuto morbido e leggero, stivali neri e una giacca dello stesso colore dal taglio elegante e moderno. L'eyeliner nero e il rossetto rosa completavano il tutto.
In fondo, dovevo ammettere che il suo stile mi piaceva, era audace ma sofisticato, e lei sapeva indossare di tutto, però ero sicura che non sarei mai stata in grado di fare lo stesso. E mi andava bene così.
Un'altra occhiata distratta alla finestra e mi resi conto che si era già fatto buio: la luna spiccava nel cielo scuro, ormai quasi completamente piena, col suo bagliore soffuso. Mi mordicchiai nervosamente un’unghia  fino a sentire il sapore amaro dello smalto nero in bocca. Mi ci erano volute ore per riuscire a mettermelo senza sbavature.
Mancava davvero poco, troppo poco, al plenilunio, un paio di giorni al massimo, e questo mi metteva addosso una grande inquietudine perché era più che vero che la luna piena influenzava i licantropi. Eccome se lo faceva: istinti omicidi, perdita di lucidità, furia incontrollata erano solo alcuni degli effetti che scatenava.
Con la perdita del controllo, poi, rischiavo di fare del male a qualcuno, di uccidere qualcuno. Se l’avessi fatto me ne sarei dovuta andare il più lontano possibile rinunciando a tutto quello che mi ero costruita in diciassette anni. E non potevo assolutamente permettermelo. Per me e per mia madre: cosa avrebbe potuto pensare di una sparizione improvvisa? Conoscendola, avrebbe mobilitato tutti gli agenti di polizia della città, avrebbe contattato il presidente degli Stati Uniti in persona e avrebbe richiesto un'intera squadra dell'FBI per indagare. No, non potevo farle una cosa del genere. 
In fondo, ero riuscita ad evitare di combinare casini per anni, ingegnandomi in mille modi diversi, diventando praticamente un'esperta dei boschi intorno a Seattle, però, come dice il proverbio, c’è sempre una prima volta. E io ero terrorizzata dall’idea che quella prima volta potesse coinvolgere qualcuno a cui tenevo. 





SPAZIO AUTRICE: Penso che ormai sia chiaro che adoro i licantropi. Credo che siano creature affascinanti, complesse e molto interessanti. In questa storia, di nuovo nata per caso, voglio dare ai "miei" lupi mannari delle connotazioni più tradizionali, come si può già cominciare a capire da questo primo capitolo.
Vi anticipo che ci saranno due punti di vista: un capitolo sarà narrato dalla protagonista, Scarlett, e un altro dal protagonista, Adam. L'ho fatto sia perché voglio sperimentare una tecnica nuova per cercare di capire qual è lo stile più adatto a me, sia perché mi servirà avere due narratori più avanti.
Voglio anche avvisarvi che più avanti ci saranno degli accenni ad una coppia slash, ovvero un ragazzo con un altro ragazzo. Non mi ci soffermerò molto, ma mi sembrava giusto dirvelo, anche perché riguarderà un personaggio abbastanza importante.
Spero che questa nuova storia possa piacervi, io mi ci sono già affezionata, sia alla trama che ai personaggi e spero che sarà lo stesso anche per voi.

TimeFlies

                  
  
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