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Autore: AurumLiddell    16/06/2015    7 recensioni
Se pensate che questa sia soltanto una semplice e breve biografia del famoso killer della Freddy Fazbear Pizza, vi sbagliate.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie, Chica, Freddy, Purple, Guy
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Se credete davvero che io sia stato sempre quello che sono adesso vi sbagliate, non avrei mai voluto che si arrivasse a pensare che io avessi ucciso quei bambini per puro divertimento, il mio era un semplice desiderio, un desiderio di spezzare vite umane proprio come fecero con me. E’ vero: io non sono morto, sono stato spezzato in modo diverso, ma spero davvero che chi legge questa sorta di biografia sappia cosa intendo dire per “spezzato”. Vogliamo partire da quando mia madre andò via di casa? O di tutte quelle innumerevoli volte che mio padre abusò di me?  O, ancora meglio, quando quel vecchio psicopatico picchiò mia sorella in modo talmente violento che riuscì a farla svenire facendole così sbattere la testa? Ed il sangue che vidi.. Quel bastardo non le fece nemmeno il funerale, non si costituì alla polizia, non provò nessun maledettissimo rimorso nell’aver ucciso la propria figlia, o meglio, sì pianse, ma non fece mai sapere a nessuno, a parte me, quello che aveva fatto. Adesso sono solo convinto del fatto che quelle lacrime gli uscirono solo per “dovere” e non per tristezza, adesso che ci vedo più chiaramente.  Fui costretto ad aiutarlo ad occultare il cadavere, all’epoca ero un ragazzino e potevo avere sui dodici anni all’incirca. Quando tornammo a casa si precipitò in cucina e prese un coltello, venne da me e me lo puntò alla gola dicendomi che se avessi proferito anche solo una parola mi avrebbe ammazzato. Certo, è ovvio: non sapeva fare altro. In fondo cosa potevo aspettarmi da uno come lui? Non fu mai punito quello stronzo. No.. Ma che dico? Fu penalizzato alla fine, da me. Il mio ultimo briciolo di lucentezza se ne andò quando avevo diciotto anni, quel fottutissimo vecchio mi fece raggiungere il limite: entrò nella mia stanza mentre leggevo un libro, me lo tolse con la frase “Vieni a riprendertelo. Dai, su!” Con un ghigno che non scorderò mai. Lottai con tutte le mie forze per riprenderlo ma lo scontro finì con me, a terra, con il naso sanguinante e un occhio nero.. Forse tutti e due. Quando capì di aver vinto, posò il libro sulla scrivania e fece di nuovo quel sorriso semplicemente insopportabile. Scese le scale uscì di casa per andare nel suo locale preferito. Credo che rimasi steso sul pavimento, inerme per un bel po’ di minuti. Poi con molta fatica mi alzai, avevo tutte le ossa doloranti, scesi le scale ed andai in cucina per prendere del ghiaccio. Il locale era completamente buio, ma non ero più un bambino e non avevo più paura dell’oscurità quindi non mi preoccupai di accendere la luce, presi del ghiaccio e me lo poggiai sull’occhio più dolorante. Ebbi parecchio tempo per riflettere e fu’ in quel momento che la mia “innocenza” svanì del tutto, ero stanco di vivere con quel nullafacente ubriacone e molestatore. E dopo tutto quello che mi aveva fatto non avevo il diritto di fargliela pagare? Mi ha picchiato e violentato innumerevoli volte. Volevo davvero continuare così? Sì, è vero: mi sarei dovuto mantenere da solo, ma in fondo ero maggiorenne e forse non avrei riscontrato molti problemi. Così nella mia mente si formarono innumerevoli immagini di quell’uomo morto, sanguinante e possibilmente infilzato da parte a parte con il sangue che scorreva da ogni singolo angolo del suo corpo. Alla fine capii cosa dovevo fare per metterlo fuori gioco per sempre, tenevamo sempre un fucile in casa e quando mia madre era ancora con noi, quando mia sorella era ancora viva e prima che mio padre diventasse violento, me lo mostrò dicendomi che non avrei mai dovuto usarlo perché era estremamente pericoloso e.. Beh, le solite scuse che usano i genitori quando non vogliono far toccare qualcosa ai propri figli. All’epoca  mio padre era gentile. L’avremmo usata solo in caso di bisogno, mio padre la teneva sempre nel cassetto del suo comodino nel caso fosse entrato qualcuno in casa. Posai il ghiaccio e salii in camera sua. Guardai l’orologio, era quasi mezza notte ma lui tornava sempre verso le due all’incirca. Avevo tutto il tempo. Presi il fucile, lo caricai e ovviamente aspettai in cima alle scale, così che quando fosse arrivato non mi avrebbe visto. Non arrivò alle due, per fortuna fu’ a casa un ora prima. Ho aspettato di meno, finalmente il momento era arrivato. Sentii la sua auto parcheggiarsi fuori dall’abitazione, ed i suoi piedi che schiacciavano il fogliame mentre si avviava per entrare. Ricordo il cigolio come un qualcosa di bellissimo, come un grido di battaglia che mi chiedeva disperatamente di entrare in azione. Con passi molto pesanti, chiuse la porta “Viiiiiiiiiiin?” urlò “Dove sei stupido ragazzino? Stai già dormendo?” chiese con quella voce da ubriacone, iniziai subito a mirare e quando mise un piede sul primo gradino feci partire il primo colpo. Il suo urlo fu qualcosa di raccapricciante ma al contempo bellissimo, significava che lo avevo centrato e quando cadde a terra capii che lo avevo ferito alla gamba. Per sicurezza ne feci partire un altro che gli arrivò al torace, un altro urlo. Musica per le mie orecchie. Sentivo di avere un enorme scarica di adrenalina in corpo, e mi piaceva. Scesi le scale e feci molta attenzione che al vecchio non venissero in mente idee strane, tipo quella di strangolarmi o cose simili. Il suo sguardo morente passò dal soffitto a me, pensavo che mi maledicesse o che comunque imprecasse, invece l’unica cosa che fece fu sorridermi ma non era un sorriso come un altro, non era il tipico sorriso che sfoderava ogni volta che finiva di picchiarmi a sangue, sembrava il tipo di sorriso che un genitore fa ad un figlio quando è orgoglioso di lui. In quei ultimi istanti di vita, pochi secondi prima che morisse lo sentii sussurrare “Grazie.” Poi chiuse gli occhi e non si risvegliò mai più. Forse un po’ spaventato pulii l’arma per far sì che non ci fossero impronte digitali e nel frattempo pensavo a quella scena. Sentivo di non essere più io… Sentivo che qualcosa era cambiato.. Sentivo di non essere più un ragazzo qualunque, ma qualcosa di più potente ed allo stesso tempo più malvagio. Decisi di seppellire il suo corpo nel giardino sul retro, ovviamente non utilizzai la porta principale, nessuno mi vide. Proprio come aveva fatto con mia sorella ed il rituale si ripeteva. Quando finii di buttare gli ultimi grammi di terra rientrai, presi il necessario e svuotando lo zaino dai libri di scuola lo riempii con quello che avevo deciso di portare, poi presi anche un accendino ed un fiammifero, e con della benzina diedi fuoco alla casa. Scappai naturalmente sempre dal retro correndo più veloce che potevo. Non avevo molti soldi, dovevo trovarmi un lavoro e possibilmente una casa.
Due anni dopo ero già in un'altra città e con un lavoro stabile da ormai un bel po’ di tempo, non era stato facile trovare una sistemazione e tutto il resto ma alla fine ce l’avevo fatta. Lavoravo da un meccanico, un lavoro molto utile, che mi diede qualche dritta sullo smontare e rimontare alcune cose, vale a dire: non solo le macchine. Un giorno mentre mi prendevo una pausa dal lavoro (in fondo ero solo un assistente quindi ero abbastanza libero) andai in un bar, mi sedetti e mi presi una birra. La cosa che notai subito fu la ragazza che me la portò, era molto carina, aveva capelli corvini ed occhi azzurri. Stentavo a credere che fosse vera. “Ecco a lei.” Mi disse sorridendo “Grazie.” Risposi ricambiando l’espressione. Mi chiesi se sarei potuto piacerle, è vero: non avevo un fisico esattamente palestrato ma non avevo un minimo accenno di pancetta ed ero anche abbastanza alto. Così quando finii di consumare la mia bevanda chiesi ad un suo collega a che ora avessero chiuso e lui mi rispose che avrebbero terminato dopo le dieci. Perfetto, io finivo di lavorare un ora prima. Quando quella sera stessa smisi di lavorare tornai nel locale, cercando di farmi coraggio. Entrai ed inizialmente non vidi nessuno “Ehi, c’è nessuno?” urlai “Mi dispiace, stiamo chiudendo.” Mi rispose una voce femminile, era lei, che stava uscendo da una porta dietro il bancone. “In realtà, cercavo lei.” Dissi e la donna si fermò quasi guardandomi impaurita, cercai subito di calmarla facendole capire che non avevo assolutamente buone intenzioni, all’inizio pensavo che non avrebbe funzionato poi per fortuna sembrò tornare serena. Le chiesi un semplice appuntamento, non parlava molto. Alla fine scrissi il mio numero su un tovagliolo e lo lasciai sul tavolo per poi andarmene senza dire una parola. Due giorni ero ormai convinto del fatto che molto probabilmente aveva semplicemente buttato il tovagliolo e che si era già dimenticata di me. Mi arresi e cercai di non pensarci. Poi mi squillò il telefono, era un numero che non conoscevo ma non immaginavo fosse lei, davvero. Invece lo era, mi disse che aveva pensato a quello che le avevo detto e che voleva uscire con me. Linda, era questo il suo nome. Io cercai di contenere la felicità nella mia voce mentre decidevamo il giorno, il posto e l’ora. Altri due giorni dopo uscimmo, se inizialmente mi era parsa un po’ timida adesso mi sembrava abbastanza aperta e socievole, mi piaceva. Scoprimmo di avere molte cose in comune. Dopo esserci conosciuti meglio, cioè: dopo un paio di mesi, ci siamo messi insieme. Stavamo bene ed eravamo felici.
Dopo cinque anni di convivenza decidemmo di sposarci, e così fu’. Non potevo essere più felice di così, finalmente potevo avere una vita normale, essere importante per qualcuno che amavo e avere dei figli. Purtroppo però quello che successe dopo mi fece capire che la vita non riservava nessun tipo di sorprese positive per il mio futuro: io e Linda provammo molte volte ad avere dei figli, ma alla fine venimmo a scoprire che lei non poteva darmeli. Per molti mesi, tornando a casa da lavoro la trovavo a letto, piangente. Era straziante vederla in quello stato, ed io ero del tutto inerme. Provai a consolarla molte volte dicendo che avremmo adottato un bambino, e lei mi rispondeva sempre che non sarebbe stata la stessa cosa. Non sapevo cosa fare, ero totalmente distrutto. Una sera rientrando da lavoro, la trovai sul divano con le valigie accanto. Quella era una scena che io non dimenticherò mai. Le chiesi spiegazioni nonostante avessi paura di ricevere la risposta, mi disse che aveva bisogno di tornare dai suoi genitori per un po’, e che le dispiaceva. Alla fine mi baciò, mi disse che mi amava e mi chiese di capirla. La lasciai andare, non potevo fare altro.
Un paio di settimane dopo mi licenziai, non avevo più la facoltà di uscire da casa e se mi capitava di mettere piede fuori dall’abitazione era solo per prendere il giornale. Fu proprio il giornale la mia occasione, e così un giorno, mentre lo sfogliavo trovai un annuncio della Freddy Fazbear Pizza che cercava del personale. Pensai che se Linda aveva cambiato aria potevo farlo anche io. Così decisi che il giorno dopo sarei andato lì per fare un colloquio. Quando mi presentai il titolare mi fece alcune domande, gli dissi del mio lavoro precedente e gli chiesi se aveva bisogno di vedere un curriculum, lui mi rispose che non c’era bisogno. Avrei iniziato il giorno dopo.
Entrai nella pizzeria, andai verso il mio armadietto, mi misi la divisa ed entrai nella sala pranzo. I bambini correvano ovunque ed urlavano di gioia, qualcuno piangeva per essere caduto a terra a causa dello scivolamento provocato da alcune bevande il cui contenuto era sparso sul pavimento, alcuni inservienti si precipitarono a pulire, anche se ci misero un po’ per arrivare, ed alcuni genitori stavano a fumare fuori dal locale e parlavano. Per me quello del fumo è sempre stato un brutto vizio. Non succedeva niente di interessante, guardavo gli animatronics che si muovevano, mi sembravano un po’ minacciosi.. Bha! In fondo erano solo dei pupazzi elettronici, a chi potevano nuocere? Mi stavo annoiando, decisi di farmi un giro del posto dato che non lo avevo visto tutto ma solo una parte. In una parte della stanza da pranzo stavano riverniciando la parete, di un color porpora intenso. Per accedere all’altra parte del locale dovevo passare vicino ai lavoratori, camminai e proprio in quel momento un secchio di vernice mi finì addosso, per fortuna non in testa. Una buona parte della gente nella stanza si girò, un inserviente venne da me e si scusò parecchie volte “Ehi, non è niente amico, sta’ tranquillo.” Risposi io, dopo qualche chiacchera riuscii a fargli capire che non aveva importanza e che non era un problema, alla fine mi disse che in caso mi avrebbe procurato un'altra camicia. Dopo, finalmente, uscii. Nella stanza in cui entrai c’erano i costumi delle mascotte: Freddy, Bonnie, Chica, e… Un altro Freddy. Solo che questo aveva un colore diverso, era giallo, che sembrava dorato oserei dire. Proseguii. Quando finii di esplorare il posto tornai nella mia postazione, in fondo nessuno mi aveva permesso di allontanarmi (anche se non era esattamente il mio posto fisso) quindi cercai di sbrigarmi. Il mio turno finiva alle sei. Tornai a casa, mangiai qualcosina al volo e mi misi subito a letto. Mentre ero disteso pensavo, almeno per una volta i miei pensieri non erano rivolti a Linda, e non sapevo se preoccuparmi o meno perché stavo pensando a tutti quei bambini che avevo visto. Così puri ed innocenti, ancora senza rimorsi.. Probabilmente nessuno di loro aveva ancora provato il VERO dolore. Poi però il mio pensiero si trasformò in qualcosa di molto più macabro, volevo la loro innocenza, volevo la loro purezza, forse in fondo volevo indietro quello che loro avevano. Perché anche io ho avuto quello che loro avevano, solo che io ho avuto il beneficio di goderne solo pochi anni. Così decisi che se io non potevo riavere indietro quello che mi era stato tolto, molti anni fa, allora nemmeno loro avrebbero dovuto goderne, ma come ho detto prima: non augurerei a nessuno quello che ho passato io, quindi se non avrebbero potuto avrebbero conservato la loro innocenza, non sarebbero nemmeno vissuti senza di essa.
La soluzione era una, ed era unica.
Non vedevo via d’uscita.
Le loro anime non erano adatte a questo mondo…
Ed io dovevo rimediare,
portandoli via. Spezzandoli.
Soffiandogli via la vita.
E Linda? Quando tornerà cosa le dirò? E se lo scoprisse? Cosa succederebbe in tal caso?
Ma in fondo, ha molta importanza?
Il mio è un semplice desiderio, un desiderio di spezzare vite umane proprio come fecero con me.
Piacere, io sono il ragazzo dalla divisa color porpora!
   
 
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