Il polpastrello del mio indice seguì lentamente la linea della sua mascella, trovandola più ruvida del solito. Un leggero velo di barba, chiara e morbida, aveva iniziato a crescere con lui, a testimonianza di come ormai avesse abbandonato l’infanzia. Era strano, soprattutto se ripensavo a quel bimbetto di undici anni che avevo conosciuto il primo giorno delle scuole medie, con quei suoi enormi occhiali rotondi e i vestiti troppo grandi. Delle lentiggini di un tempo rimaneva soltanto un’ombra appena percettibile e la linea della sua bocca, così morbida e calda da baciare, si era fatta più decisa, proprio come i tratti del suo volto. I suoi occhi chiari, bellissimi proprio come li vedevo sempre in sogno, mi scrutavano con un’espressione sorniona che non si addiceva per nulla al ricordo del nostro primo incontro, quand’eravamo ancora dei bambini.
   In realtà, quel giorno avevamo abbandonato insieme la nostra infanzia. Per la prima volta, forse, potevamo dire di essere davvero cresciuti. Avevo sempre creduto che, quando fosse venuto il momento, sarei stata tesa e imbarazzata, che mi sarei sentita intimorita, che non avrei saputo come comportarmi subito dopo. Nulla di tutto questo era accaduto. Anzi, ogni gesto, ogni sensazione, ogni singola parola, tutto si era svolto con una naturalezza tale che adesso faticavo quasi a credere di essere lì, fra le sue braccia, senza nulla addosso. Pelle contro pelle, non avvertivo la minima vergogna. La mente mi si era come svuotata e tutto ciò che avvertivo era una serenità mai provata prima di allora. Un po’ come la quiete dopo la tempesta, si potrebbe dire. Con la differenza che quella nostra tempesta, così intima e personale, non era stata affatto devastante ma soltanto terribilmente piacevole. L’unica cosa di cui avrei potuto lamentarmi, in tutta onestà, era il dolore ai muscoli delle gambe.
   «Sarei troppo melenso, se ti dicessi che ho sognato questo momento per anni?» La voce roca e soddisfatta di Kentin, pur bassa, ruppe il rilassante e sonnolento silenzio che era sceso fra noi.
   «Addirittura per anni?» lo presi in giro, dispettosa come spesso mi accadeva, quand’ero di buon umore. E lo ero moltissimo, in quella mia felicità del momento. «Che bambino precoce…»
   «Sono un maschio», precisò lui, fingendo di essersi risentito. «E tu sei bellissima», aggiunse un attimo dopo, accecato com’era dall’amore che provava per me.
   «Dovresti rimettere le lenti sul naso», mi schermii. Era paradossale come, anziché vergognarmi di essere nuda nel suo letto, mi imbarazzassi come una sciocca non appena mi faceva un complimento riguardo al mio aspetto fisico.
   In risposta, ricevetti un morso sul dito con cui stavo continuando ad accarezzargli il viso. Risi sommessamente e lui approfittò di quella mia distrazione per ribaltarmi di nuovo all’indietro, con le spalle contro il materasso. Le sue mani tornarono sui miei fianchi, la sua bocca sul mio collo, il suo respiro contro la mia pelle. Il brivido caldo che mi percorse da cima a fondo fu persino più intenso del primo che avevo provato durante quella domenica che ci eravamo ritagliati soltanto per noi, pur non pensando affatto che saremmo giunti a quel punto. Invece era inaspettatamente successo e ora ogni fibra del nostro corpo gioiva per quelle magiche scoperte. Era un mondo tutto nuovo, tutto nostro, che non avremmo condiviso con nessuno neanche a parole.