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Autore: Rage The Soldier    18/06/2015    0 recensioni
In un futuro non troppo lontano, l'esercito ha preso il controllo della Terra, attraverso l'uso di soldati molto speciali, in grado di trasformarsi in ibridi fra umani e animali diversi. Sono senza pietà e piuttosto bellicosi, molto difficili da sconfiggere. Questa è la loro storia.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Zona atterraggio elicotteri, otto anni fa, ore 16:22
 
"Non sembri tanto felice di rivederli dopo tanto tempo."
"…Ah, non badare a me, mi stavo chiedendo quanto possano essere cambiati in quattro anni…"
Un lungo corno arcuato e nodoso andò a colpirle la spalla: "Non sei la loro mamma, sbrigati a scambiare quella faccia da pesce lesso e sorridi un po', altrimenti con che benvenuto vuoi accoglierli?" ridacchiò l'ibrido alla sua destra. Dopo molti anni erano diventati buoni amici.
"Ritira quelle corna Oniisan, vecchio caprone." lo ammonì Evelyn scollandosi finalmente di dosso quel muso lungo ridendo anch'essa, anche se più moderatamente dell'amico. Questo fece scomparire di malavoglia le corna come da richiesto fra i capelli biondi tirati all'indietro.
"Capriolo, prego." sbottò poi incrociando le braccia coperte da una pesante giacca in pelle, adatta ai luoghi di montagna.
"Capra."
"Caaapriooolo."
"CaPiroetta."
"Ca-pri-oooooloo!"
"Pecorella con le corna troppo cresciute hehehe."
"Adesso ti rompo!" esclamò infine il ragazzo dalle corna caprine, chiudendo le mani a pugno e cominciando a menare fendenti a destra e manca che la ragazza schivò magistralmente, saltando all'indietro e rispondendo con un calcio fulmineo placcato all'ultimo istante. La sua giacca nera sfiorava il terreno, mossa dal venticello mattutino.
"Frena Evy, non mi sembra il caso di ingaggiare una lotta QUI nel mezzo del campo di atterraggio, magari arriva un aereo e ci falcia tutti e due!"
Bald le lasciò la caviglia e lei fece uno scatto all'indietro rispondendo tra il divertito e l'indignato che a cominciare era stato lui, e si misero a ridere come due vecchi amici di infanzia, mentre in lontananza il rumore di un paio di eliche si avvicinava a tutta velocità. Praticamente poco dopo il suo trasferimento forzato, i suoi due amici Ryan ed Zoe ne avevano scoperto la causa e il luogo in cui era diretta, e avevano ottenuto il consenso dai loro genitori di venir trasferiti anch'essi, nonostante i punti di forza dei loro animali non fossero esattamente compatibili con il paesaggio innevato a cui volevano andare incontro. Quando lo aveva saputo, il cuore di Evelyn era scoppiato dalla gioia ed aveva atteso pazientemente, allenandosi a più non posso per essere pronta al loro arrivo: il suo desiderio era potersi confrontare con i suoi vecchi amici in uno scontro due contro uno.
Fu naturalmente Zoe la prima a ficcare il muso fuori dall'elicottero, ed ancora prima che questo atterrasse! Con il cuore in gola la vide saltare giù dal velivolo e lasciarsi cadere, per poi evocare le sue grandi ali nere scintillanti e spiccare elegantemente il volo fra le volte bianche dei monti innevati.
Non appena raggiunse il suolo si sentì investita da una furia felina che la fece schiantare al suolo in un caldo abbraccio.
"E-Evelyn!?" chiese il tucano esterrefatto e commosso.
"Zoe!" rispose il gatto nero abbracciandola con enfasi "Quanto mi siete mancati!" continuò alzando gli occhi finalmente su di lei, non era cambiata per niente: stesso sorriso furbetto, stessi occhi vivi color lapislazzuli, stessi capelli ribello nero pece.
"Ehy vi siete dimenticati di me?" fece una voce più profonda di quanto ricordasse, ma sempre con quella punta di scocciatura che la rendeva inconfondibile. Con uno scatto Evelyn si alzò in piedi e abbracciò anche Ryan il quale, appena atterrato, indubbiamente non se lo aspettava perché rimase spiazzato da tanta enfasi e inspiegabilmente il suo viso si colorò di un timido rossiccio.
"Sono così felice di rivedervi…. Oh no aspetta, non capite quello che dico vero?" chiese Evie ricordandosi solo ora della diversità di lingua; il ragazzo-tucano scosse la testa saccente e le spiattellò l'ala in faccia come ai vecchi tempi, sorridendo: "No cara testona, non siamo mica degli stupidi, lo abbiamo studiato l'Italiano prima di arrivare qui!" pronunciò senza un errore grammaticale, ma la sua pronuncia era pessima. Tanto che perfino Bald si mise a ridacchiare: "E quello sarebbe Italiano gente?"
Entrambi i volatili sobbalzarono dalla sorpresa nell'accorgersi di lui, ma non ci fece troppo caso e con una calorosa stretta di mano salutò i nuovi arrivati: "Era ora che vi conoscessi, Evie mi ha parlato talmente tanto di voi da rendermi impaziente di conoscere questi 'prodigiosi' fratelli!" affermò con una risata amichevole "Non sei ancora abituato a tutto questo Sole, vero? Sei tutto rosso, forse ti serve della crema abbronzante! Credevo che voi americani aveste la pelle dura…"
"Non sottovalutarmi, dammi un mese e ti avrò già superato." aveva risposto leggermente indispettito Ryan, ma si vedeva dallo sfregare delle sue mani guantate che il clima non era esattamente come avrebbe voluto.
Inizialmente confusa, Zoe non ci mise molto a diventare membro onorario del club e in breve divenne punto di riferimento per 'inimmaginabili storie di mondi sconosciuti', come lo definì lei ad un certo punto. Non vi erano molti esterni in quella base a parte loro e pochi altri. Fu Ryan ad avere qualche problema di socializzazione, come sempre, fin dal primo momento.
 
Passo di Campolongo, qualche settimana dopo, ore 17:34
 
L'odore della paura è così intenso da poter essere fiutato fino a mezzo miglio di distanza. Chiunque provi terrore davanti al pericolo ne sprigiona una quantità sufficiente da essere individuato come preda da qualunque animale ematofago nei dintorni, o peggio.
Derek Aiden, a capo di un'importante squadra fra le migliori resistenze del territorio alpino, non si era fatto scrupoli a scendere in campo quando all'alba un gruppo di ibridi caprioli aveva scovato una finta base segreta posta come esca, attirando i combattenti dritti nella loro trappola.
"A ore dieci, drappello di fuga!"
Il suo primo atto di doppiogiochismo, una volta a casa avrebbero dovuto festeggiare per bene.
La base segreta corrispondente ai dati raccolti doveva trovarsi proprio lì, in mezzo a quelle rocce: la truppa di avamposto li aveva preceduti di molto per assicurarsi che non vi fossero problemi ma la pattuglia aerea non aveva registrato nessun'interferenza. L'assalto cominciò.
Da lontano poté sentirli gridare di felicità, una gioia omicida degna del peggiore dei mostri che popolavano le più profonde cavità dell'Averno, ed assieme a questi gli ululati spaventosi dei feriti che lottavano per la salvezza del proprio corpo non curandosi di quella della loro anima lacerata. Era terribilmente contenta di non assistere a quella macabra danza della sopravvivenza da dimenticarsi quasi completamente del freddo insinuatosi sotto i suoi vestiti laceri fin dentro le fessure delle ossa scricchiolanti sotto il suo gracile peso, trascinandosi avanti nella tormenta del suo animo.
Si era persa. Ma sapeva cosa doveva fare.
Non lontano da lì il capitano della truppa nemica, l'obiettivo, stava impartendo fitti e precisi incarichi ai soldati che gli stavano attorno, poteva sentire perfettamente l'ordine di sparare nel punto prestabilito e di attendere l'esplosione da lontano, al sicuro. Quando fu certa di trovarsi abbastanza vicino da essere scorta, si lasciò cadere sulle ginocchia tremante per il freddo e con quel poco di voce che bastava implorò pietà.
"Signore, una bambina!" gridò un soldato che l'aveva avvista al comandante.
"Non avvicinatevi! Potrebbe essere una trappola!" diede l'ordine egli, fattosi sospettoso a dir poco.
"Eri sicuro di aver evacuato tutti gli abitanti del villaggio vicino, vero? Eppure ti sono sfuggita io, costretta a vagare in questa tormenta fino all'assiderazione per colpa tua. Vuoi veder morire una povera innocente in mezzo a questa marmaglia di peccatori? Accoglimi, te ne prego…"
"...No aspettate, andate a soccorrere quella povera creatura e portatela al sicuro dove io stesso potrò verificarlo!" cambiò improvvisamente idea il comandante, dopo qualche secondo di pura confusione in volto. "Non posso credere di averne dimenticato uno, mi avevano detto che l'intero villaggio era stato evacuato…"
Nascosta nell'ombra, la piccola spia si muoveva più silenziosamente e velocemente possibile per raccogliere ogni informazione: ogni singolo scambio di informazioni fra i soldati, il numero di armi, dati su altre postazioni e molto altro ancora.  Sombra era il suo nome in codice, il buio il suo alleato. Non aveva molto tempo se voleva continuare a vivere.
D'un tratto nel cielo si levò un grido imperioso, segnale che il suo tempo era scaduto.
"FUOCO!"
Da lì in poi ogni altro rumore venne sovrastato dal boato più terrificante che avesse mai udito in tutta la sua vita.
Immaginandosi anche la più cruenta delle guerre, migliaia e migliaia di colpi da sparo non avrebbero retto al confronto dell'impeto infernale provocato dalla caduta di un'enorme massa nevosa ad una velocità maggiore di 300 km/h: la punizione divina delle montagne, la slavina.
Se avesse conosciuto una preghiera in quel momento l'avrebbe pronunciata ad alta voce per il suo amico Bald, là in mezzo alla battaglia. Che il vento del Nord sia con te, sussurrò con un sorriso. Il piano procedeva alla perfezione.
Subito dopo quel tremendo fracasso scattò l'azione difensiva del piano del comandante Derek, convinto di aver seppellito le truppe ibride al di sotto della valanga che ancora si accingeva a falciare le anticime fino in fondo al valico; percependo altre persone avvicinarsi Evelyn si nascose nel camion nel quale l'avevano scortata e si finse magistralmente addormentata, attendendo il momento in cui l'avrebbero scortata assieme al comandante lontano da lì, mentre le sue amate truppe si liberavano dell'inconveniente della neve e organizzavano il piano per prelevarla.
Non aveva paura di morire, era certa nella riuscita del suo piano, sebbene fosse la prima volta che lo metteva in atto. Quello era il suo dono. Nessuno avrebbe potuto resisterle.
Quando finalmente furono giunti a destinazione, il comandante diede ordine a tutti di appostarsi in linea di difesa in caso di attacchi imprevisti, che previdente, non sospettava minimamente del contrario. Il luogo in cui venne rinchiusa non era poi così male, una camera all'incirca simile a quella che aveva lei, solo, grande tre metri per tre. Fu una passeggiata liberarsi della sorveglianza, strisciare nell'oscurità e riapparire davanti alla sala di comando della VERA base segreta, trovare l'unica finestra disponibile non chiusa e lanciare un piccolissimo razzo segnalatore.
Il vero problema sarebbe stato impedire al comandante di suicidarsi una volta scoperto il trucco, così decise di improvvisare.
"Ehm… Signore, abbiamo un problema! La piccola che avete trovato si sente male, chiede di essere riportata a casa..."
"Non è il momento di rintracciare la sua famiglia, dobbiamo prima essere certi che la situazione sia sotto controllo!" si sentì rispondere dall’interno.
Senza perdere la calma, riprovò: "Signore, posso almeno scortarla da voi, non si sentirà a suo agio fra noi militari…"
"Ho paura, vi prego lasciatemi entrare, voglio solo un po'di compagnia…"
"…Va bene." Si sentì rispondere, e un attimo dopo la porta blindata si aprì davanti alla guardia e alla bambina, rivelando un interno tappezzato di cartine e piani in costruzione, tutti perfettamente ordinati con cura e pazienza, ed al centro una serie di schermi di computer con un sacco di appetitose informazioni, pane per i suoi denti.
Il militare fece avvicinare la ragazzina ad una sedia che una delle guardie nella stanza lasciò libera per lei, poi si congedò e chiuse le porte alle sue spalle.
Dopo di che si accasciò al suolo.
Con un impercettibile gesto delle mani, fingendo di giocherellare con un elastico, la bambina lanciò dietro lo schermo dell'unico computer portatile una nera cimice, impossibile da vedere se non se ne conosce l'esistenza, e attese qualche secondo prima di avvicinarsi al comandante.
"Signore…" fece per accostarsi "Lei ha paura di comandare?"
Immediatamente altre due guardie si mobilitarono per allontanarla ma Derek le fermò con un cenno del capo: "No piccola, perché sono previdente e amo la mia gente. Ora torna a sederti."
Un sorrisetto compiaciuto comparve sul suo bel visino rosa chiaro: "Beh… avrebbe dovuto essere più previdente."
"…? Ma cos..."
KA-POOOW!
La prigione in cui era stata preclusa era appena esplosa. Nell'istante di distrazione che ne seguì Evelyn allungò le braccia e dalla manica fece uscire una piccola siringa che si conficcò nella spalla del capitano, che in un attimo cadde in avanti svenuto, e finalmente poté gettare la maschera: basta fare la brava bambina.
La stanza si tinse di rosso scarlatto e un'esplosione fece crollare parte del soffitto, dove un buco scavato in prossimità di esso conduceva fino all'esterno.
"Tutto a posto?" gridò dall'alto una voce familiare, alla quale Evy rispose con un ruggito soddisfatto; poco prima che altri militari potessero giungere nella sala, il comandante e lei erano fuggiti volando.
 
Base Nord, raduno delle truppe, qualche ora dopo
 
"Are you sure? Sono stati così allocchi? Non ci credo!"
"Lo giuro, hanno perfino creduto che venissi da un villaggio lì vicino!"
"Ma che dici, non ci sono villaggi vicino al passo di Campolongo, troppo rischioso dopo quelle valanghe improvvise..."
"Appunto."
Come eroi dopo la battaglia, il gruppetto più giovane della spedizione si era riunito a raccontarsi le reciproche imprese: Bald faceva parte delle false truppe, era bastato loro uccidere qualche soldato e far credere di essersi riuniti dove volevano loro e di essere spacciati, quando dalla loro parte avevano l"aiuto di ogni singolo esemplare di fauna presente fra quei monti.
"…E poi ho preso a cornate chiunque si avvicinasse, sembravo una furia! Non mi avreste riconosciuto sicuramente in battaglia, è lì che si misura il vero coraggio!" sentenziò nel suo glorioso monologo facendo spuntare un accenno di corna in mezzo ai capelli spettinati e gonfiando il petto in maniera esagerata, fra le risate generali.
"Caspita, deve essere stata durissima per te Evy: hai affrontato da sola il capo e non avevi alcun aiuto, non hai avuto paura di morire?" chiese Zoe con una punta di rammarico e un accenno di sarcasmo: purtroppo non era potuta venire a causa della sua inesperienza sulla neve, così si era limitata ad ascoltare la cronaca lamentandosi di continuo.
Evelyn ci pensò su un attimo prima di rispondere. Non aveva idea di cosa la spingesse a desiderare di poter rischiare la vita per delle informazioni, a volte la sua sete di sapere sorprendeva ella stessa.
"…No, perché sono previdente e amo le ricompense che ci daranno una volta finito di analizzare la cimice." rispose infine alzando gli occhi verso il soffitto, accennando ad un sorriso mesto "Ma come mai Rio non si è ancora fatto vedere?"
Vide Zoe storcere il naso ed alzare le spalle: "Non ne ho idea, quando tu e Bald uscite assieme in missione fa sempre lo scontroso, eppure quando eravamo in America mi era abbastanza socievole…"
D’'istinto ad Evelyn venne il dubbio che quel suo cambiamento repentino fosse colpa sua: e se avesse nostalgia di casa, se non avesse davvero voluto venire qui? Magari in sua presenza si sforzava di essere gentile ma in fondo forse provava rimorso…
Scosse la testa, e tentò di riprendere la conversazione, o per lo meno, di riprendere quella che Bald stava narrando da ormai mezz'ora.
Di lì a poco arrivò nella sala un signore vestito con un completo blu scuro, un lungo cilindro scuro sotto braccio ed un paio di occhi celeste chiaro all'apparenza tranquilli, che interruppe la conversazione e reclamò la presenza della ragazzina nella sala degli allenamenti n.3 in quell'esatto momento.
"E quello chi è?" fece Zoe stupita, le sembrava di riconoscerlo… D'un tratto la sua compagna le parve irrigidirsi come un tronco d'albero ed impallidire lievemente, ma fu forse solo un'impressione.
"Questo è il mio Maestro… Devo andare!" e si fiondò fuori dalla sala silenziosa senza che nessun altro se ne accorgesse. Dal brusio che si era levato dall'arrivo del suo Maestro non sentì quasi più niente, tranne alcuni scambi di botta e risposta fra Zoe e Bald:
"Ma chi era quel tizio?"
"Come chi era? Mai sentito parlare del Generale Volt?"
"QUEL Generale Volt?"
 
"Ci sono notizie gravi?" chiese sommessamente, temendo di aver compiuto un passo falso.
"No, nessun problema. La cimice che hai piazzato sul portatile ha installato come previsto il virus invisibile di localizzazione, che si travaserà assieme ai dati interni nel caso venga loro voglia di dare fuoco al computer. Hai presente che tempo fa hai accusato di non sopportare il sibilo che producono le spade quando tagliano l'aria?"
Evelyn si ritrovò stupita che il suo Maestro se lo fosse ricordato, ma era vero: odiava quel sibilo simile al verso di un serpente, e oltretutto i nemici potevano udirlo e mettersi in allarme. Guardò ancora il cilindro stretto sotto il braccio del Generale e trasalì: davvero l'aveva trovata, un'arma in grado di eliminare quel suono?
"…In realtà questo" esordì l'uomo aprendo la confezione dall'alto "È sempre parte del mio esperimento: tienila con estrema cautela, non potrai prestarla a nessun altro." La invitò ad infilare la mano nel cilindro, e così fece. Una volta afferrata l'impugnatura, Evelyn sentì distintamente la sua aura espandersi per tutta la base, percependo tutti gli esseri viventi che la abitavano. Estrasse con estrema cura dal cilindro una lunga, scura e lucente katana dall'aspetto fragile ma dalla consistenza incredibile: le sembrava di tenere in mano qualcosa di molto più denso e duro dell'acciaio, quasi tutti i tipi di metalli esistenti fossero stati battuti in un'unica sottile lama... Qualcosa di indefinitamente potente la attirava come un magnete al metallo freddo di quella stupenda katana. Rispetto alle altre spade era, in oltre, perfettamente bilanciata per lei, sembrava strano che non fosse sempre stata sua.
"Hai mai sentito parlare di Muramasa, Evelyn?"
Sentendo nominare quel nome Evy ebbe un brivido: lo sapeva bene chi era, era un famosissimo costruttore di katane, fra i più grandi al mondo. A causa di antiche leggende la sua figura era stata distorta in quella di un uomo malvagio, la cui sete di sangue veniva trasmessa alle spade che forgiava: Muramasa infatti significa 'pioggia di sangue'. Soltanto Masamune, considerato il più alto costruttore di katane, poteva superarlo, infatti il suo nome significava: 'essenza divina della giustizia eterna'.
"Sì, lo conosco. Non mi serve altra oscurità da brandire, Maestro." Rispose allontanando la katana dal suo corpo col braccio per timore di essere contaminata. Il Generale scosse la testa: "Non è questo il punto. Vedi, sai bene che le due spade leggendarie di cui parla la leggenda sono andate perdute, questa è quanto di più a loro si avvicina: ti chiedo di provare a vedere se riesci non solo a inondarla di impurità, ma di trasferirle del tutto."
C'era… C'era quindi una possibilità che diventasse normale. Non male come attrattiva.
"Non sarebbe stato più semplice con una spada forgiata da Masamune?"
"Sì, penso di sì, ma al momento non sono reperibili. Quando la troverò mi dirai se avrai voglia di provare. Per ora…" ma il suo Maestro non finì la frase, che una scarica elettrica le sfiorò la spalla andando a colpire il pavimento con violenza: assumendo in un istante il suo equipaggiamento ibrido Evelyn fece un balzo a sinistra per evitare ulteriori scariche ed impugnò la sua nuova arma. La osservò per un attimo, poi comprese una cosa importante. Non poteva competere con lui in velocità, non con un falco pellegrino, fra tutti l'animale più veloce in assoluto, ma aveva dalla sua un potere ben diverso. Sarebbe stato bello disfarsi dei suoi problemi, ma sapete cosa sarebbe stato molto più divertente?
Non appena ebbe spiccato un salto verso di lui il falco calò in picchiata in risposta per scaraventarla a terra, ma prima che avvenisse la collisione Evie fece vibrare con la sua volontà l'arma ed essa rifletté i suoi pensieri al Generale:
"La tua bramosia di verità ti condurrà ad una ricerca senza fine… Ma le regole, si sa, sono fatte per essere infrante no? Chi c'è in vetta al monte Olimpo dei superiori che odi? Chi ha cominciato a barare, suppongo… Ti dice niente la villa di Angus?"
"MA CHE…!" la furia con cui venne scagliata verso il basso fu molta di più di quella con cui avrebbe voluto colpirla e la ragazza si ritrovò a contorcersi dal dolore, ma a giudicare dalla sua espressione scandalizzata Evy aveva fatto centro: se non era normale, tanto valeva che si facesse amica quella parte di sé.
Naturalmente non poteva durare in eterno. Infatti poco tempo dopo, mentre si allenava di nascosto con le sue abilità, fu sorpresa dall'amico Bald che, preoccupato delle distanze da lei prese dopo l'ultima missione, l'aveva seguita.
"No… Non ci credo!" aveva biascicato ancora sbalordito. Immediatamente si ritrovò una mano che gli tappava la bocca e una katana puntata al collo: due occhi indemoniati lo fissavano puntando su di lui una rabbia accecante, una fila di denti affilati bramava di staccargli un braccio. Ma subito dopo la ragazza si tirò dentro spaventata ritirando gli artigli e scuotendo violentemente la testa per riprendere i sensi: stava per attaccarlo senza coscienza.
"Non… Non ti ho fatto niente, vero?" chiese tremante, stringendo l'impugnatura della spada "…Non devi dire a nessuno cosa hai visto, chiaro? Ti prego, davvero." aveva intimato lei, cinerea in volto.
Bald indietreggiò stordito, barcollando un attimo e sistemandosi la sciarpa bianca attorno al collo: "O-Ok va bene ma… Cosa diavolo erano quelle sfere nere e tutto il resto? Me lo puoi dire, non sono una spia!"
"No ma sei un chiacchierone!" lo sgridò serissima, risistemando la katana nera nel fodero con cura. Perché lui, perché non poteva scoprirla Rio, almeno lui avrebbe tenuto la bocca chiusa… Aspetta perché ci stava pensando?
"Sì beh, vabbeh… Dai me lo racconti?" chiese nuovamente con gli occhi illuminati dalla curiosità: era sempre il solito Bald, esuberante, chiacchierone, istintivo, chiacchierone, solare, e l'aveva già detto chiacchierone? Con uno sbuffo rassegnato, che si condensò in una calda nuvoletta bianca, Evelyn dovette raccontargli l'intera faccenda. Non che le dispiacesse, Bald l'aveva sempre saputo che era diversa, però non ci dava peso, anzi la sua era semplicemente curiosità, per cui non le era dispiaciuto raccontare a qualcuno dei suoi problemi. Ovviamente omettendo il fatto che le alte sfere avevano ordinato di ammazzare tutti quelli come lei.
Scherzandoci su, i due avevano consolidato il loro legame di amicizia grazie alla condivisione di quel piccolo segreto.
 
Dormitorio, 7 notti dopo la missione a Campolongo, ore 23:56
 
Lanciò un ultimo sguardo al disegno poggiato sulla scrivania, un angelo che coglieva un astro alpino, un fiore di montagna, prima di abbandonarsi di peso sul letto dalla stanchezza. Il suo corpo aveva un disperato bisogno di dormire, ma la sua mente voleva rimanere vigile e cosciente per non cadere in tentazione di riposare. Da quando aveva scoperto di non appartenere agli ibridi, alla sua famiglia, in lei era cominciato un profondo travaglio interiore. Cos'era? Qual era il suo scopo? Che diavolo ci faceva lì in mezzo a quella gente, quando avrebbe potuto essere un semplice fiore, che ne so, una campanula o un bucaneve?
Perché era umana? Chi aveva scelto questo per lei?
Senza accorgersene, era sprofondata nel sonno.
Fuori dalla base sembra tutto tranquillo, ma un'ombra fulminea si staglia nel cielo per qualche secondo oscurando la pallida luce lattea della luna. È una specie di civetta dalla testa squadrata, ricoperta di una gran quantità di piume bianche e marroni, due occhi giallognoli tinti di verde accecati dall'ira nella disperata ricerca di qualcosa. Si sente nell'aria un richiamo insistente, composto da 7 rapide note. Un ragazzo si aggira senza meta nella notte e la incontra, come la preda si imbatte nel suo cacciatore.
In quel preciso istante un urlo squarciò le spire dell'opprimente sonno e si dilagò per tutto il dormitorio. Aprì gli occhi scattando in piedi e d'istinto prese il fodero con la sua fidata Muramasa, cambiandosi in fretta e furia.
All'esterno c'erano già alcuni adulti intenti a scacciare quello che aveva tutta l'aria di sembrare un uccello formato jet, grande dieci volte il normale e con un'insolita voglia di attaccare chiunque le si avvicinasse: riconobbe chiaramente che era un Civetta Capogrosso, Aegolius funereus, ma c'era qualcosa in essa che le fece ribollire di angustia il sangue come colate laviche nelle vene.
"Qualcuno chiami l'infermeria!" gridò una ragazza accovacciata di fianco al ferito, lo stesso che aveva visto nel suo… Sogno? Forse non era così. La ragazza aveva un viso contratto in una smorfia di dolore e piangeva mentre cercava di tamponare il sangue che usciva dal bulbo oculare del ragazzo, che intanto gemeva ed invocava aiuto. Non avrebbe permesso che un'altra vittima venisse sfiorata.
Si lanciò all'attacco in direzione dell'animale le cui grosse ali scaraventavano a terra gli ibridi e sembravano trapassarli con un'aura… Oscura, spiccando uno di quei balzi impossibili che aveva imparato durante i suoi allenamenti sui percorsi per ibridi alati, anche se tecnicamente non avrebbe avuto il permesso, ed estrasse la sua spada con un grido minaccioso: "死の鎌!" (死の鎌 = falce della morte)
La lama compì una rotazione di 180° segnando di rosso il ventre dell'animale che, stordito, attaccò con entrambi gli artigli la ragazza: ella non si mosse e si lasciò afferrare da entrambe le zampe, rilassando i muscoli. La civetta gigante sembrò confusa e portò la sua preda davanti agli occhi scrutandone il contenuto delle mani.
Evelyn poté osservare i suoi occhi, giallo ibrido tinto di verde, rendendosi conto con sgomento di avere di fronte a sé un umano. Un umano che non aveva retto abbastanza il trasferimento del DNA nel suo corpo e si era trasformato in una gigantesca civetta capogrosso. Era certa di averlo incontrato tempo addietro, in una delle sue missioni: il suo nome era Jacquel, soprannome Artiglio d'Argento. Le era sembrato molto gracile fin dal primo momento, ma non pensava fino a questo punto. Perché era lì? Forse perché la follia aveva preso il sopravvento e, come le api sono attirate dal miele, era attratto dalla spada di Muramasa.
"Vuoi questa?" chiese assumendo un tono di voce più rilassato possibile, figurandosi in testa scene rilassanti e cercando di infondere nella katana la stessa sensazione. Probabilmente ci era riuscita perché d'un tratto la civetta si era fatta più calma, apriva e chiudeva i suoi grandi occhi gialli pieni di tristezza. Sembrava gridare con ogni fibra del suo corpo piumato: "Ti prego, aiutami."
Poi la quiete fu spezzata dal suo acuto urlo ed Evelyn fu lasciata cadere al suolo, atterrando saldamente in piedi: qualcuno l'aveva colpito ed ora l'ibrido… completo? Non sapeva come chiamarlo, ma era tornato irrequieto anche più di prima.
"No, fermi!" gridò correndo in soccorso dell'animale ma una mano le afferrò il polso, quella dell'ibrido di un Rondone Maggiore: "Non ti preoccupare ragazza, hai già fatto abbastanza nel tenerlo occupato."
"Ma no, quello è Jacquel! È un umano come noi!" tentò di spiegare in preda all'ansia. Non potevano fargli del male, non era colpa sua!
E invece l'uomo scosse la testa e materializzò le sue ali: "Lo sappiamo." disse serio, prima di spiccare il volo assieme ai suoi compagni.
Non avrebbe potuto fare niente per quella povera anima, a meno che non decidesse di ammazzarli tutti. Con la sua spada ora, poteva farlo. Ma a che sarebbe servito?
Fece dietrofront e aggirò l'edificio del dormitorio correndo, la giacca sventolante sopra il pigiama grigio, i capelli turbinanti nella gelida aria notturna. Quando fu certa di essere abbastanza lontana da non sentire alcun rumore si fermò, accasciandosi in ginocchio all'angolo di un edificio. Avrebbe dovuto aiutarlo, avrebbe dovuto usare ogni grammo della sua forza per impedire che gli venisse fatto del male.  E invece era fuggita come una codarda di fronte all'ingiustizia. Ma che poteva fare lei, una piccola onda nel mezzo della burrasca, per impedire che fosse sparso altro sangue? Niente. E forse sarebbe continuato così, in eterno, in una guerra che ha avuto inizio ma la fine non vedrà, finché non verrà svelato il suo vero scopo. Cosa l'aveva causata?
Com'era possibile che tra tutte le disgrazie che erano capitate a questo mondo dovessero continuare ad accaderne?
"Evie!" la realtà sembrò distorcersi per un attimo sotto un dipanato velo violaceo, per poi tornare a fuoco sull'inquadratura di due ragazzi che correvano in sua direzione: Ryan e Zoe.
"Evy che ci fai qui?" le chiese preoccupata Zoe porgendole una mano per rialzarsi "Sei fuggita senza dare spiegazioni..."
Non voleva parlarne, non voleva vedere nessuno, si sentiva una vigliacca.  "N-Non…. Non te ne deve importare."
"E invece ci importa! Non comportarti da egoista e raccontaci cosa ti succede!" fu Rio a replicare, e stavolta sembrava più adirato del solito, tanto che ebbe il presentimento che era meglio assecondarlo. Sentiva qualcosa che non riusciva a spiegare partire direttamente dal petto del ragazzo, ma non credette di poterla classificare come emozione. Bastarono pochi secondi per spiegare la situazione e la reazione di entrambi fu quella di strabuzzare gli occhi basiti: "Allora dobbiamo fare qualcosa, non possiamo permettere che lo catturino!" aveva esclamato la ragazza-tucano sbattendo le ali freneticamente per l'inquietudine.
"Tu credi che non ci abbia pensato? Ma è troppo tardi…"
"No che non lo è! Nonostante tu l'abbia ferito quell'uccello sta ancora volando sul campus."
"Ma che dici, ci sono un centinaio di ibridi, vorrai tu che non riescano a ghermire una civetta troppo cresciuta?"
"Non se questa ha la stazza di un carro armato e svolazza con la grazia di un calabrone drogato." aveva ribattuto lei con una luce speranzosa negli occhi, la stessa che aveva sempre intravisto in lei ogni volta che asseriva di quanto sarebbe bello viaggiare per il mondo. Il suo sogno si era parzialmente realizzato, no?
Corsero come delle saette nel luogo della battaglia, dove alcuni ibridi alati si erano fiondati alle calcagna della povera creatura che ancora andava in cerca di qualcosa che nemmeno lei conosceva.
"Data una rapida occhiata per accertarsi se ci fosse anche Bald, certo che no, lui ha il sonno pesante, scattò il piano: Zoe volò direttamente davanti alla traiettoria del volatile gigante assieme agli altri ibridi che a differenza sua avevano intenti più che bellici, e lanciò un grido abbastanza potente da infastidire la Civetta Capogrosso, che cambiò traiettoria. Dall'altra parte Rio teneva per le braccia Evelyn, la quale tenne in vista la sua spada maledetta facendola sventolare e rendendola desiderabile agli occhi di qualunque gazza ladra.
Jacquel sembrò intuire la cosa e si diresse spedito verso di loro, ma venne bloccata da un altro gruppo di ibridi che da terra aveva imbracciato le armi da fuoco: alcuni colpi andarono a segno e colorarono il suo bel manto, ma questo non gli impedì di librarsi sempre più in alto nel cielo, seguendo quel tucano impertinente e la sua amica felina, mimetizzati nell'ombra come parti di essa.
Erano ormai lontani, ma ancora sentivano gli schiamazzi spacca timpani della sorella tucano, al che ad Evelyn scappò una breve risatina. Sempre tenendo ben in vista la sua katana, i due sorvolarono gruppi di catene montuose e si fermarono su un'altura abbastanza nascosta. Il vento gelato sferzava attraverso le pieghe dei loro pigiami, facendoli pentire di non aver indossato nemmeno un cappotto.
"Beh… Ti ringrazio Rio." disse Evie mentre tentavano di curare Jacquel dalle sue ferite, il quale rimase tutto il tempo sdraiato su un fianco senza fiatare, riconoscente.
Ryan ebbe una reazione a dir poco interessante, a detta di Evy: il suo viso si colorò per un attimo, poi emise un sonoro starnuto e capì: aveva preso un raffreddore. Tirando su col naso Rio girò gli occhi dall'altra parte: "Di che? Sono io ad esserti riconoscente. Grazie a te il sogno di mia sorella si è realizzato." Disse tutto d'un fiato, per risparmiare calore corporeo. Grazie a lei…?
"Ricorderai tutte le volte che ti ha tartassato dicendoti che un giorno avrebbe viaggiato in lungo e in largo, e che sarebbe diventata una di quelle eroine che raccontava le proprie vicende agli altri davanti alla tavola calda, che avrebbe conosciuto un sacco di persone e avrebbe reso i suoi genitori fieri di lei. Grazie al tuo trasferimento ha avuto il coraggio di prendere finalmente una decisione. Ti ringrazio a nome suo."
Evelyn si sentì onorata di aver aiutato un'amica in un così magnifico intento, realizzare il suo sogno… Un sorriso di riconoscenza apparve sul suo viso, i cui occhi del color delle pietre preziose risplendevano luminosi nella notte.
"Allora... Pace?" chiese gentilmente ottenendo un cenno del capo come consenso. "E tu perché sei venuto?" chiese dopo un attimo di quiete.
"Io? Beh, a-anche io ho sempre voluto viaggiare. Tu invece?"
Se gli avesse risposto la verità, chissà che reazione avrebbe avuto. Il suo sorriso si spense.
"…Non l'ho scelto io. Davvero."
"Ha a che fare con gli Akuma?"
"Come lo sai?" esclamò sconcertata e in un certo senso truffata: "…Te lo ha detto Bald vero?"
"No, me lo ha detto Zoe dopo averlo estratto con la forza a Bald."
Al sentire queste parole, Evelyn emise un facepalm così potente e convinto da poter essere udito perfino dagli abitanti della foresta sottostante, che scapparono impauriti percependo tale schiocco come un'imminente valanga che per fortuna risultò non arrivare mai.
 "Tranquilla, ho già giurato di non dirlo ad anima viva." rise lui, sistemando l'ultima benda. Il volatile, o meglio Jacquel, emise un debole verso di gratitudine e si rialzò, puntando con gli occhi la spada di fianco ad Evelyn. "No Jacquel." gli aveva intimato "Non devi seguire questa traccia. Ora sei libero, spero che tu viva una vita lunga e serena. Non possiamo darti altro."
Con un cenno della testa il volatile spalancò le sue grandi appendici piumate e spiccò il volo con grazia, alla ricerca di una nuova meta. I due salutarono un'ultima volta l'amico da lontano, prima di voltarsi e tornare a casa.
 
Archivio segreto della base alpina del monte Bernina, sette anni fa, ore 21:29
 
Era decisa più che mai a scoprire la verità. L'episodio dell'incontro con Jacquel aveva riacceso in lei la fiamma del coraggio ed era disposta a tutto pur di far luce sulla questione. Anche infrangere le regole ed intrufolarsi negli archivi, se necessario.
"E scusa io che centro?" si lamentò per l'ennesima volta Bald acquattato dietro una pila di 'annales' e cronache ufficiali assieme alla furtiva felina.
"Perché hai promesso di tenere la bocca chiusa e non l'hai fatto, e per questo pagherai con lacrime e sudore, caro Oniisan!" lo strigliò seccata, fulminandolo con un'occhiata torva "E ora vedi di non fiatare… Stanno chiudendo." Infatti di lì a poco sentirono il rumore della serratura, precedentemente forzata da Bald, modestie a parte, dopodiché il silenzio riempì l'aria.
Non era stato così difficile entrare, il difficile sarebbe stato uscire. Senza perdere tempo i due sgusciarono fuori dal loro nascondiglio e si misero alla ricerca di qualsiasi cosa fosse appariscente e portasse scritto sopra il nome 'Akuma'. Dopo circa un'ora di ricerca erano esausti e non avevano trovato niente.
"Andiamo, non esiste neanche un documento cartaceo al riguardo?" aveva sussurrato Bald altamente contrariato, prima di rendersi conto di quello che potesse significare. "Secondo te hanno bruciato quelle carte e le hanno trasferite in un computer?"
"Spero di no, sono brava in informatica ma non di certo quanto basterebbe per un sistema di sicurezza di alto livello." aveva commentato Evelyn abbacchiata "A meno che…" e le venne in mente un'idea folle. Non aveva senso, ma d'altronde era per spiegare il senso della sua esistenza che era lì. Una volta trovato il computer centrale, stranamente non sorvegliato da nessuno, Evie ebbe l'accuratezza di spostare la visuale delle telecamere e poggiò una mano sullo schermo mentre lo accendeva.
"So che contieni quello che voglio. Non mi fermerò fino a che l'ultimo dei tuoi circuiti non verrà disintegrato e il più infimo dei virus non abbia divorato ogni byte della tua memoria, per cui farai meglio a non farmi perdere tempo."
Non aveva idea di come avesse fatto né di cosa avesse fatto ma non trovò neanche un sistema di difesa all'interno di quel computer.
"E brava la mia Neechan!" aveva attestato Bald con una pacca sulla spalla della 'sorellina' che, sorridendo di rimando, continuava a cercare. Era divenuta abitudine scambiarsi quegli affabili soprannomi, principalmente per l'indole protettiva ed aperta del compare, che considerava tutti i suoi amici al pari di fratelli minori. Alla fine trovò quello che cercava. Una cartella con delle immagini, immagini di uomini e animali dall'evidente irascibilità e con un'unica caratteristica in comune: gli occhi.
Vi era un solo documento Word, ma quando lo aprì l'intero schermo diede la schermata di Errore: "File inesistente."
"Che scherzi sono lattina troppo evoluta? Dammi quel file!"
 "File inesistente."
"Adesso sei tanto ma tanto mort-"
Delle voci provenienti da uno dei corridoi che gli scaffali formavano con la loro mole, segno che altre persone si erano introdotte senza permesso all'interno dell'archivio. Erano loro quelli morti.
"Evy...!"
"Ricevuto Bald..."
"Spegniti subito barattolo di lamiere digitali!"
Il computer si spense. Non avevano possibilità di fuga così si nascosero sotto la scrivania, attendendo che i tizi se ne andassero. Ed invece questi si sistemarono proprio accanto a loro, mettendosi a discutere di qualcosa che aveva l'aria di essere una questione realmente seria. Stavano parlando di… Una grande guerra, contro un impero buio, uno luminoso, non si capiva bene dal loro parlottio fitto. Il succo era, tuttavia, che stavano progettando una sorta di guerra. Cosa abbastanza strana, dato che erano GIÀ in guerra…
Ma non riuscirono ad ascoltare molto altro, che l'oblio li catturò nelle sue volute di fumo nero.
Il mattino dopo il suo risveglio non fu dei migliori. Il terreno ballava sotto i suoi piedi, e non smetteva di sentirsi scossa da un terremoto interiore che poco a poco si materializzò in modo sempre più nitido. Mise a fuoco l'ambiente circostante e si ritrovò al di sotto della scrivania, dall'altra parte Bald dormiva beato, e davanti a lei un uomo vestito con una divisa blu molto simile a quella del Maestro Volt la stava scuotendo con una mano per svegliarla.
"Buongiorno sssignorina." disse con fare seccato, attendendo che uscisse dal suo nascondiglio. Quando finalmente le sue facoltà mentali si riattivarono, ella trasalì: ADESSO erano morti sul serio.
"Volete spiegarmi gentilmente che ci facevate lì sotto?" chiese bruscamente l'uomo rimettendosi in piedi, e fu allora che lo riconobbe. Era la stessa persona che l'aveva 'tratta in salvo' dalla base in Sud America da quei medici impazziti, e non solo, le sembrò di averlo incontrato anche prima…
"Con lui farò i conti dopo, ma veniamo a te soldato Evelyn, nome in codice Sombra."
"Come sa il mio nome?" Pensò lei profondamente turbata.
 "Maestro Volt mi aveva segnalato di tenerti d'occhio, ma non pensavo che saresti arrivata a tanto."
Maestro… No, non ditemi che questo è quello di cui ho sentito parlare, il Vice…
"Se te lo ssstai chiedendo, e non vedo perché no, sono sempre quello che hai incontrato in America. Vice-generale Memphis, e tuo superiore."
Sì, era lui. Adesso se non era morta non lo sapeva nemmeno lei cos'era.
Fortunatamente no, non erano destinati al macello. Il Vice aveva chiuso un occhio solo perché Evelyn era letteralmente sotto l'ala protettiva del suo mentore, ma l'aveva ben capito che non gli stava tanto a genio. Ma ora non importava, doveva avvertire il suo Maestro di quello che aveva sentito nel corso della notte precedente, poteva essere di vitale importanza.
"Purtroppo il Generale è partito stamattina." aveva annunciato il Vice, mentre li rispediva dritti di filato nel dormitorio "Per questo mi ha dato l'incarico di tenerti d'occhio e vedere se fai progressi."
"P-progressi?" Evelyn tremò sospettosa "Voi sapete...?"
In risposta ricevette, e non gradì, uno degli sguardi più diffidenti e distanti che avesse mai ricevuto, come se fosse una non so che creatura orribile da tenere a distanza. Non le piacque affatto. Sì, lo sapeva. Non appena ne ebbe l'occasione infatti lei e Bald se la svignarono in camera loro, per poi partecipare agli allenamenti mattutini come se niente fosse.
"Perdonami Oniisan, non volevo metterti nei guai..." si scusò mentre camminavano poggiandogli una mano sulla spalla per risollevargli il morale, o forse per semplice riconoscenza: per quanta diffidenza gli altri avevano dimostrato verso di lei al suo arrivo, lui aveva aperto le braccia al nuovo arrivato senza pregiudizi e poco a poco l'aveva 'forzata' a farsi delle amicizie comportandosi come un fratello maggiore: ora era parte della comunità grazie al suo ingombrante appoggio. A Bald sembrò non importare molto, e per dimostrarlo sfoggiò un rassicurante sorriso: "Hehehe… Ma a me non dispiace per niente, se non altro ho recuperato questi!" le sventolò davanti al suo bel musetto un piccolo fascicolo riempito di carte bollate alla rinfusa. "Sai cosa sono questi? Sono i miei dati anagrafici!"
Spalancando gli occhi dalle pupille feline, la ragazza rimase con la mascella spalancata dalla sorpresa: "Hai rubato dei documenti?"
"Perché, tu che volevi fare?"
"Touché. Ma ci avrei dato solo un'occhiatina… Motivo?"
"Beh mi sembra ovvio, in questo modo potrò localizzare la mia famiglia."
Giusto! Non ci aveva pensato da brava stupida, ma le informazioni segrete dell'archivio potevano aiutare anche Bald! Gliene aveva parlato anni orsono, del suo trasferimento lontano dai suoi genitori ed i suoi fratelli maggiori per la sua eccessiva gracilità, e di come da allora aveva fatto di tutto pur di risultare il più forte e il più bravo. La sua grande stazza era frutto dei suoi smodati allenamenti e la sua personalità era scolpita sul ricordo di quella dei suoi fratelli. Insomma, aveva fatto il possibile per vivere unicamente con uno scopo: ritornare dalla sua famiglia. Per questo ad Evie piaceva la sua compagnia: la sua determinazione non l'aveva mai abbandonato e la sua aura positiva riusciva ad arginare le sue sfuriate improvvise.
"Perché non me lo hai detto subito? Posso aiutarti anche io a trovare la loro base ora che abbiamo delle informazioni!"
"Esattamente ciò che volevo proporti dopo l'allenamento: ti va di fare un viaggetto alla ricerca della base perduta?"
"Beh…. Ma certo che sì! " rispose più che felice di poter essere di sostegno.
"Bene allora ci vediamo dopo l'allenamento!" Bald non aveva finito la frase che già stava correndo attraverso i corridoi, verso l'uscita dell'edificio. Lei invece doveva continuare ad allenarsi.
Peccato che avesse dimenticato una cosa: non aveva un Maestro con cui allenarsi.
Certo, il Generale Volt era impegnassimo con i suoi compiti di alto livello data l'importanza della sua carica, ma trovava il tempo di condurre i suoi esperimenti quando meglio credeva. E ora, beh…
"Ci si rivede." si sentì proferire alle spalle. Con un balzo olimpionico con il quale toccò il soffitto e tornò giù in un nanosecondo, si ritrovò davanti il Vice con le braccia incrociare e l'atteggiamento di uno che stava aspettando da un po'.
"Quando ho detto che dovevo controllare i tuoi progressi, intendevo che DEVI fare progressi." concluse abbassando lo sguardo su di lei, alto e imperioso, ed Evelyn credette di aver scorto in quel tono di voce un avvertimento. Corrucciando la fronte la ragazzina si alzò sulla punta dei piedi per scrutare meglio il suo sguardo ma questi lo spostò altrove e si voltò verso l'interno facendo implicito segno di seguirlo; senza discutere Evie si affrettò a raggiungere la sala degli allenamenti, dove al momento vi erano una decina di ragazzi di età superiore alla sua nell'atto di affinare la propria percezione uditiva: se ne stavano raccolti ad occhi chiusi, mentre alcuni istruttori emettevano lievi rumori mentre camminavano attorno a loro ed attaccavano: compito loro era bloccare il colpo e rispedirlo al mittente, il tutto ad occhi chiusi.
Il Vice ancora proseguiva, senza pronunziare parola. Evelyn volle chiedergli come mai si erano diretti in quel luogo però non aveva il coraggio di contraddire il suo silenzio, così rimase paziente ad aspettare. Si sentiva così piccola ed indifesa in mezzo a quei combattenti dal manto fiero di possenti orsi polari, corazzati dalla migliore e ruvida pelle animale, ed impassibili nei loro sguardi di ghiaccio.
Ho osservato la tua prestazione tempo fa con quella Civetta Capogrosso, e mi trovo molto contrariato della tua incapacità di allontanare la pietà. Inizia l'addestramento anti emozione!" affermò poi lui arrestatosi di fianco ad una postazione già piena, nella quale Zoe e un allenatore sconosciuto stavano collaborando: la ragazza sembrava in seria difficoltà ed i colpi che riusciva a parare si potevano contare con le dita di due mani.
"Zoe!" immediatamente l'istinto di proteggere la sua amica si impossessò dell'allieva, che senza pensarci un attimo si lanciò in aiuto della compagna, venendo fermata con un unico semplice gesto: finì stesa a terra in meno di un petosecondo.
"Questo è il punto, allieva. Debolezza: è ciò che oggi imparerai a dimenticare." sibilò infatti Memphis prendendola per un braccio e rialzandola facendo attenzione a non farle troppo male; al suono delle sue parole le orecchie della ragazza si rizzarono perdendo la concentrazione accumulata nei dieci minuti precedenti all'inizio dell'allenamento e si lasciò sfuggire uno sguardo in direzione del duo.
Neanche un secondo dopo ricevette una frustata dritta in viso che la costrinse a coprirsi il volto ferito con le braccia, mugugnando, e lasciando così scoperto il torace che venne striato da una seconda frustata.
"AAARGH!"
"Zoe no!" esclamò Evelyn abbassando le orecchie feline per il senso di colpa: a causa della propria incompetenza, era stata penalizzata ingiustamente.
"Sssmettila, è esattamente questo il tuo problema!" si sentì dire dal Vice Generale un secondo prima di ricevere un potente ceffone che la rivoltò dall'altra parte. Nonostante lo sbilanciamento ricevuto dalla troppa forza si costrinse a non cadere all’indietro, mantenendo ben saldi i piedini al suolo.
"L'esercizio è questo: rimani lì salda in piedi finché non ti ficchi in quella testolina pelosa che il dolore altrui non è affar tuo." spiegò conciso poggiando le mani sui fianchi e irrigidendosi di fianco a lei, naturalmente si aspettava che la ragazzina facesse altrettanto; ma l'allieva non voleva rimanere, restare a guardare i suoi compagni che venivano sommersi di ferite senza nemmeno muovere un muscolo le sembrava la cosa più innaturale e disumana di questo mondo.
Un altro fendente riuscì a sorpassare la barriera di Zoe, che rischiò di cadere a terra dalla stanchezza. Un istintivo allungamento degli artigli posteriori avvertì Evelyn che stava per perdere il controllo delle sue volontà motorie e si costrinse a rimanere ferma, ma non trattenne un grido strozzato che la frustrazione le aveva accumulato in gola.
"SCIAF!"
Un secondo ceffone. Probabilmente avrebbero continuato così tutto il pomeriggio.
"SCIAF!” Un terzo. Ma non poteva rimanere lì impalata…
“SCIAF!" ok cominciava a farle male la guancia.
Intuendo la dinamica della prova Evelyn lo imitò alla bell'e meglio impietrendosi, poco convinta di affermare una cosa in cui non credeva: in fondo nelle missioni venivano raggruppati più membri no? Un compito di ogni membro dovrebbe essere quindi anche quello di preservare l'incolumità degli altr-
"Shwisssh." stavolta fu un violento colpo di coda a punirla schioccando sulla schiena come una frusta, non ne era sicura ma dal dolore Evy poté credere che si era aperto un gran taglio.
"Ci stai ancora pensando. Dimenticatelo ho detto. Quando lo avrai capito ti permetterò di tenere alla vita altrui."
Continuarono così, Zoe che parava i colpi, il sua maestro che trapassava la sua difesa e l'attaccava sempre più violentemente, Evelyn era lì per lì sul frapporsi fra i due per aiutarla ma rimaneva immobile, per non deludere il Vice.
Un ennesimo attacco andò a fondo e a quel punto Zoe non fu più in grado di sorreggersi, le restarono pochi secondi per osservare le proprie braccia le cui ferite insanguinate si mischiavano con il piumaggio nero che involontariamente aveva evocato, poi il suo corpo si afflosciò sul terreno. Evelyn ebbe un moto di rabbia, tristezza e confusione che non riuscì a frenare ma non appena vide l'espressione interrogativa del suo anti-Maestro comprese dentro di sé che egli sarebbe stato capace di chiedere all'istruttore di continuare l'allenamento con Zoe solo per temprarle lo spirito.
Trasgredendo le regole si feriscono gli amici… Allora… Rispettandole forse…
 Finché nel subconscio della ragazzina non si insinuò il dubbio che quella tortura che stava subendo avrebbe potuto anche evitarsela, e avrebbe potuto perfino aiutare il suo compagno rimanendo impassibile mentre veniva pestato a sangue…  Andava contro tutti i suoi principi, contro il suo credo. Ma il male alle guance le suggerì che 'adattarsi' era una capacità più richiesta della 'collaborazione' in quell'accampamento.
"Tsk." si lasciò sfuggire, voltandosi verso l'uscita.
Dietro di lei Memphis annuì duro, con una punta di approvazione.
Naturalmente dopo che se ne fu andato Evelyn corse come una matta verso di lei e l'aiutò a rialzarsi, ignorando le proteste del maestro.
"Ti prego di perdonarmi davvero, non volevo farti sopportare questo!" tentò di scusarsi ricevendo un'occhiataccia torva: "No ma l'hai fatto."
Evelyn abbassò le orecchie fattesi animali dal rammarico, ma Zoe le diede un debole buffetto sulla guancia: "Dai, non sono arrabbiata. Solo, chi era quel tipo?" e così dovette spiegarle tutto daccapo.
"Cavolo." commentò sarcasticamente "Tu e Bald avete corso un bel rischio, ma vi pare di andarvi a ficcare nelle situazioni più assurde, craziest, solo per divertimento?"
"Lo sai che non è così." aveva ribattuto arcigna "Ti andrebbe di aiutarci? Un paio di ali ci farebbe comodo."
"Adesso no, hai interrotto il mio allenamento super-special e devo ricominciare daccapo, quindi fila ad allenarti anche tu!" replicò indispettita Zoe risistemandosi la divisa con pochi colpi di mano ed ignorando le ferite. Non aveva molta scelta, quindi fece come richiesto. Si allenò tutto il giorno, attendendo il momento in cui avrebbe potuto sgattaiolare nel buio ed uscire dalla base senza essere scoperta, in una nuova missione.
A metà dell'allenamento ebbe però un'ideona geniale, che mise subito in atto non appena il suo Maestro tornò al campo, al tramonto.
"COSAAA?" Bald era sbigottito, allibito, basito, ammutolito, stupito e meravigliato dalla semplicità del gesto. "Mi è sembrato più semplice se avessi con te un'intera truppa che passasse durante una missione proprio da quelle parti." si era giustificata con un sorrisetto complice la compagna.
"E tu vieni?" chiese comunque il capriolo raggiante di felicità, tanto che aveva preso a ciondolare il capo con le corna caprine.
"Ecco… Forse è meglio che io non venga." disse accoratamente, inclinando la testa e spostando lo sguardo. Non le andava di vedere una famiglia riunita. Era da egoisti pensarlo ma non avrebbe mai provato la stessa felicità che provano dei parenti a riunirsi, si sarebbe solo sentita più inadeguata. Non ricordava nulla della famiglia…
Probabilmente Bald afferrò il concetto perché lo vide stringersi i denti e i pugni e si scusò ripetutamente di essere stato sgarbato e filò dritto in camera sua, dato che fra poco sarebbe scattato il coprifuoco. Non voleva disturbare, ma le pesava la sua differenza. Fu così che quella sera Evelyn decise che avrebbe imparato a fingere come si deve, per fare contenti Bald, il Vice, e chiunque altro avesse un'opinione diversa dalla sua. Sarebbe diventata un'attrice.
Quella notte fece un sogno veramente strano, popolato di ombre rosse e due figure identiche che danzavano e l'invitavano ad unirsi a loro: "Sarai felice più qui che in mezzo ai miseri mortali, devi solo trovare una cosa per noi… Vogliamo la vera spada demoniaca."
I giorni seguenti accadde sempre più spesso che, durante i suoi allenamenti, una forza interiore si sprigionava dal suo petto e veniva sprigionata dalla lama della Katana Muramasa, e nel frattempo il controllo sul suo ibrido diveniva sempre più complicato. Volt le aveva ripetuto più e più volte di non usare la lama per amplificare la sua natura, ma era facile a dirsi: una spada malvagia attirava malvagità. Solo quando raccontò dei suoi sogni il Generale ebbe l'accortezza di approfondire la situazione e, tra i rimproveri, aveva aggiunto un ordine.
"Se quello che dici è vero, ho paura che non sia rimasto molto tempo. So che ne sei in grado, per cui ti affido il compito di localizzare la vera Muramasa."
"Cosa? Non è rimasto molto tempo per cosa?"
"Non posso spiegartelo ma è di fondamentale importanza che tu la trovi prima di loro."
"Loro chi? La Feccia?"
"…S-Sì esattamente, la Feccia. Ti ho dato questa katana per familiarizzare con la sua onda, quindi non credo avrai problemi."
"Ma perché io?"
Non ottenne risposta, ma la conosceva già. Perché era un Akuma, ovviamente. Sapeva di essere l'unica a non essere stata uccisa immediatamente dopo la sua scoperta, perciò non v'erano altri candidati all'impresa e le possibilità di successo erano quasi zero.  Senza attendere altro il suo Maestro se ne era andato, per causa di forze maggiori, a sbrigare le sue pratiche. Lasciando Evelyn sola ad affrontare i demoni del suo passato, che avrebbero infestato la sua mente ancora per molto tempo. Si era impegnata con tutta se stessa ma non riusciva a percepire nulla, nemmeno la più vaga traccia dell'esistenza di una simile lama. Non sapeva nemmeno perché fosse così importante…
 
Sala di studio strategie, base segreta del monte Bernina, ore 19:28
 
Erano passati ormai anni da quando i due esterni si erano trasferiti nella base alpina, durante i quali entrambi avevano raggiunto ottimi risultati: grazie all'aiuto di Evy, Bald aveva potuto riabbracciare i suoi fratelli e seppur a malincuore si era trasferito nella loro base, dove era diventato capo delle truppe alpine, rispettato da tutti come tale, ma aveva affidato loro la promessa di tornare a trovarli.
Sia Zoe che Ryan avevano viaggiato molto in tutta Europa, ed Evelyn con loro, conoscendo un sacco di posti nuovi e combattendo molte battaglie insieme. Aveva scoperto una sfrenata passione per il disegno ed il canto, si era impegnata da matti per migliorare le sue abilità e grazie alla sua tenacia aveva raggiunto molti obiettivi, era stata eletta a carico di importanti missioni di infiltrazione, utilizzando la sua abilità persuasiva e quella artistica nel progettare piante e strategie.
La 'malattia' di cui soffriva la ragazza era però peggiorata di giorno in giorno, tanto da farla chiudere in sé stessa per evitare di ferire chi le stava attorno. La voce oscura che le appariva nella mente si fece sempre più insistente, e durante le sue battaglie le riusciva sempre più difficile resisterle: continuò a chiederle petulantemente della katana maledetta, della quale non aveva però ancora ritrovato le tracce.
Aveva continuato a collezionare le perle nere ottenute dai corpi dei caduti, e a sperimentare la sua katana Muramasa, ma purtroppo non sembrava possibile guarire dalla 'Akumite'. Le capitò varie volte di perdere il controllo, ma per fortuna i suoi amici erano accanto a lei e riusciva a tornare in sé.
 
Base alpina, un anno fa, ore 16:46
 
Come al solito gli straordinari toccavano a loro, l'élite del campo. Peccato che la sua valanga di impegni le impedisse di muoversi dalla base da più di una settimana, immersa fra piani e strategie, immagazzinando le informazioni delle mappe ed utilizzando quelle estratte dai dati soffiati alla Feccia.  Ormai era divenuta sua abitudine quella di girare sempre con la sua spada nel fodero pronta ad essere sguainata, o usata per le massacranti ore di meditazione che l'avevano impegnata per anni ed anni senza ancora un risultato. Apparentemente. Si alzò dalla sua scrivania e uscì silenziosa dallo studio senza accendere le luci, scivolando muta fra i corridoi alla ricerca di un posto dove rilassarsi un attimo, finendo nella sala delle armi n.3. Molti ricordi erano legati ad essa, dal suo primo allenamento assieme al Maestro al diploma di tecniche combattive, ottenuto in una prova tre contro uno. Con sua grande gioia, fra quei tre si erano offerti volontari Ryan e Zoe, realizzando il suo desiderio di un confronto diretto.
Si posizionò al centro della sala vuota, al momento i combattimenti erano sospesi, adagiò la katana davanti a sé e si mise in posizione di meditazione. Passarono una decina di minuti immersi nel più profondo silenzio, poi i suoi occhi si aprirono completamente neri, si rialzò meccanica ed impugnò la spada brandendola contro un nemico invisibile: la sua mente era il suo nemico, se l'avesse sconfitta avrebbe aperto le porte della sua anima al mondo e avrebbe potuto esplorarne ogni angolo più recondito con un battito di ciglia.
Ma non avrebbe mai potuto sconfiggerla finché sarebbe rimasta con un piede piantato nel buio e uno nella luce, attraverso a due mondi distanti miglia e miglia. A questo punto la frustrazione avrebbe dovuto attanagliarle il cuore fiorito, ma era sempre riuscita a trattenerla. Stavolta però ebbe il presentimento che stava sbagliando, per cui decise di fare come gli ordinava l'istinto. Istinto che evocò il suo ibrido e le impose di sfasciare metà dell'attrezzatura, prima di calmarsi definitivamente.
All'improvviso la vide.
Vide una piccola grotta, circondata da alberi di fiori di pesco e trincerata da un grande fiume.
Ma la sua concentrazione venne meno e la ragazza si ritrovò stesa per terra a fissare il soffitto, esausta.
"Ce… Ce l'ho fatta… L'ho sentito…"
Una ventata gelida le si insinuò nelle ossa facendole irrigidire gli arti e percepire una sensazione di tremendo pericolo. C'era qualcuno oltre a lei in quella stanza.
Si rimise in piedi e scrutò sospettosa ogni angolo della sala vuota, che all'improvviso le appariva più adombrata di quanto ricordasse. Non c'era nessuno.
Poi un qualcosa di freddo le toccò la spalla ed Evelyn ebbe un tuffo al cuore.
"Sentito cosa, milady?"
Con uno scatto allarmato Evelyn si appiattì al muro dall'altra parte della sala ritrovandosi ad osservare, da una decina di metri di distanza, un signore vestito con un sobrio abito nero.
"Chi sei tu?" chiese guardinga studiando l'intruso apparso magicamente davanti a lei: le sue vesti erano tipiche di un maggiordomo, la sua stazza abbastanza robusta. Vide l’uomo fare un riverente inchino, con un quieto sorriso sornione in volto, e udì la sua voce scusarsi della presentazione brusca.  Sembrava provenire dal basso, dal profondo della terra.
Subito dopo essersi scusato, il signore allungò una mano sul taschino della sua giacca, al che Evelyn si irrigidì aspettandosi una qual sorta di attacco a sorpresa, ma non fu così. Dalla tasca fece capolino un orologio d'oro, le cui lancette erano di un lucido rosso magenta, impossibili da notare. Quell'orologio produceva un ticchettio troppo forte, ironicamente in sincronia con i battiti del suo cuore, anch'essi tremendamente energici, e la cosa contribuì solo a creare maggior tensione. Evelyn percepì quasi distintamente di trovarsi in pericolo, ma non si mosse.
"Siete in ritardo, ci avete fatto aspettare parecchio: su venite, è ora di andare." pronunciò il maggiordomo, mostrando un sorriso rilassato.
"C-Cosa? Andare dove?" Evelyn fece un salto all'indietro facendo forza sul muro per spiccarne un altro più lontano ed allontanarsi dalla figura, ma mentre era ancora a mezz'aria vide il signore benvestito compire un leggero scatto ritrovandosi dietro di lei, mentre indicava con quel suo sorriso sereno il quadrante dell'orologio, picchiettandoci sopra con una mano guantata di bianco.
"È tardi." ripeté soltanto, dopodiché senza nemmeno averlo visto, il signore l'aveva compita con una gomitata facendola schiantare a terra. L'urto causò addirittura la semi distruzione del pavimento, e con essa Evelyn sentì che se non avesse accumulato abbastanza resistenza negli ultimi anni le sue ossa avrebbero fatto la stessa fine. Le era bastato quel confronto di potenza per confermare i suoi dubbi e realizzare di essere in serio pericolo.
Senza farselo ripetere più di una volta evocò il suo attrezzato armamentario da guerra e si preparò a stendere quel tizio a suon di pugni: caricata di tutta la sua collera compì uno sprint sfoderando la sua katana contro il maggiordomo il quale si ritirò con sua gran sorpresa appena in tempo per evitarlo. Era impossibile cambiare traiettoria in volo, eppure…
Neanche a finire il pensiero che un fulmineo pugno sul viso la fece schiantare nuovamente a terra creando un secondo piccolo cratere, e mentre si rialzava dolorante riavvistò l'uomo atterrarle di fronte con un'espressione rilassata, il quale scosse la testa ripetendo: "È tardi, signorina."
Inquietata come mai prima d'ora Evelyn strinse i pugni e, seriamente inalberata e confusa del fatto che nessuno accorresse al sentire tutto questo fracasso, si rialzò quasi senza sforzo e rizzò la colonna vertebrale rinfoderando la spada, pronta a sferrare micidiali colpi che avrebbero dovuto mandare al tappeto anche uno come lui, ma egli riuscì a schivarli tutti con un minimo di sforzo, e a rispedirli indietro: fortunatamente anche lei era parecchio veloce e li parò tutti, approfittando di un momento dopo che la scarica di pugni era cessata per tentare un affondo che venne eluso e anch'esso rispedito al mittente, senza provocargli danni. Qualunque mossa ella compisse il maggiordomo la copiava e rivoltava contro di lei, in modo da non mostrare veramente di che pasta fosse fatto!
Ma lei aveva un'arma, e lui no. Compreso quello che voleva fare, l'uomo allungò di scatto le mani verso le sue e la prese per i polsi impedendole di afferrare l'arma da taglio, così facendo si era sbilanciato anche se di poco ed Evy sfruttò questo per abbassarsi e cercare di farlo cadere in avanti: se fosse stato un normale uomo l'avrebbe ribaltato come niente e affettato nel momento in cui per proteggersi la testa avrebbe attutito la caduta con le mani, ma egli non si spostò neanche di un millimetro a tal punto da parere un blocco di granito, e la scagliò contro il muro. Evie usò entrambi i piedi come molla e si caricò di energia elastica per saltargli addosso di nuovo,  fendendo l'aria e facendo in modo che il maggiordomo ritirasse le braccia all'indietro per poi compire una rotazione con una mano sola e colpirgli le gambe per mandarlo al tappeto, ma l'uomo saltò appena in tempo ed atterrò sul suo piede, sbilanciandola in avanti: impugnata strettamente la sua katana ella la frappose fra di loro nel momento in cui stava per cadere ed essa lasciò un'indelebile traccia di sangue sul bel vestito nero del maggiordomo, trafiggendogli un'anca. Per reazione il tizio spalancò gli occhi, e le lanciò un'occhiata spaventosamente calma e collerica allo stesso momento, e la spinse all'indietro con forza. Evelyn atterrò con entrambi i piedi a terra ma disarmata, la katana era ancora conficcata nel torso del tipo, che osservando il suo vestito con finalmente un'espressione diversa dal suo sorriso inquietante, e con aria mesta prese l'impugnatura della lama e se la sfilò con calma dal corpo. Ignorando la ferita grondante di sangue, che non sembrava causargli molto dolore.
La mente di Evy era ancora protesa nell'istante precedente, quando aveva incrociato il suo sguardo. Le era sembrato di vedere non i suoi occhi, ma cavità oculari prive di orbite, immerse nelle fiamme.
Un secondo dopo il suo viso era davanti al proprio, orrendamente piatto e sereno: "È tardi." ripeté con più durezza. Non voleva credere a quello che aveva pensato per un attimo, non voleva credere che…
"Tardi per cosa!?" gridò incazzata Evelyn scaraventandolo all'indietro con tanta forza da stirarsi i muscoli, ma ormai non ci vedeva più: ci era cascata, il suo essere aveva preso possesso della sua coscienza nell'istante di smarrimento, ed ora il suo corpo emanava una voglia omicida nei confronti di quell'uomo come mai aveva provato nei confronti di qualcuno. La dolce e gentile Evie era stata rinchiusa all'interno della sua stessa testa.
"Vedo che avete iniziato a ragionare. Ora, se non vi dispiace, dobbiamo tornare e anche in fretta, perché si sta facendo veramente tardi."
"Ti ho chiesto…" ringhiò la ragazza adirata "Tardi… Per… Cosa?" e dalle sue mani partì un raggio viola scuro che rimbalzò per tutta la stanza come una palla di titanio che provocò altre decine di crateri per tutti i muri e il soffitto. Scuotendo freneticamente la testa riacquistò la calma, appena in tempo per realizzare cosa aveva appena compiuto.
Il signore sembrò alquanto stupito stavolta. Mosse la testa di lato e si toccò il mento con un indice, picchiettandoselo ritmicamente.
"Ma come per cosa? Per il vostro trapasso, è ovvio."
Un moto di vomito e orrore la travolse. "In che senso…?"
Terminato di formulare questo pensiero ella si ritrovò spiaccicata al muro, tenuta stretta al collo da una mano guantata, immobilizzata da una mostruosa angoscia, e più volte venne sbatacchiata contro le pareti provocandole seri danni alla salute e facendole sputare sangue. Quel signore non era umano, questo era certo. E ce l'aveva con lei, e l'avrebbe uccisa in quel momento...
No, qualunque cosa fosse quel tizio non aveva intenzione di morire.
 "Non so chi tu sia ma so chi sarà oggi quello a morire, e non sono io!" mormorò tossendo sangue. Con la vista appannata, vide l'uomo lasciarle andare il collo e spolverarsi il vestito nonostante non vi fosse alcuna polvere su di esso, e con gran cura lo vide riporre il suo orologio dorato nel taschino. E lo vide tirarne fuori un altro, stavolta di foggia più rozza e artigianale, dalla stessa ubicazione. Lo prese e lo tenne davanti a lei con entrambe le mani.
"Ah, allora credo tu stia parlando di Ryan." disse asciutto e con un po'più di durezza nella voce. Rio...? Che cosa aveva fatto al suo amico?
Ritrovata finalmente la calma, e con essa la propria coscienza, Evelyn si era rialzata in piedi ed aveva barcollato per un attimo all'indietro incerta sul da farsi. "Non ti lascerò sfiorare Rio nemmeno con un guanto, bastardo!" l'aveva insultato rabbiosa. Avrebbe impedito che lasciasse quella stanza, chiunque egli fosse.
Il maggiordomo la guardò avvilito, i lunghi capelli neri legati da dietro in una piccola coda di cavallo, gli occhi viol-VIOLA!?
"S-Sei un Akuma?" chiese esterrefatta Evelyn, dandosi della stupida per non averci fatto caso prima.
L'uomo scosse la testa: "No, il colore viola è normale da dove vengo io, e da dove vieni anche tu. E ci dovrai tornare al più presto se non mi racconti immediatamente cosa hai visto mentre eri in trance." asserì serio.
No aspetta… Quella voce la conosceva… Era la voce che aveva sentito nella sua testa la prima volta che gli avevano chiesto della katana di Muramasa!
"Volete dunque la katana maledetta? Beh scordatevelo!" affermò indignata lei, concentrandosi sulle sue ferite e cercando di trovare un rimedio temporaneo. Si aspettava di essere attaccata ed invece tutto quello che fece il tizio dopo averla ascoltata fu prendere con una sola mano l'orologio artigianale cominciare a stringerlo con forza, spaccandone il quadrante. "BENE!" aveva soffiato "Doveva giungere l'ora di uno di voi due…"
Mentre pronunciava quelle parole un senso di inquietudine la assalì, talmente tanto da desiderare che scomparisse più di ogni altra cosa, ma non poté obiettare nulla perché in un attimo l'uomo misterioso era scomparso. Svanito.
Evelyn si guardò attorno freneticamente alla ricerca del suo avversario ma non vi era più nulla che maceria. Avrebbe dovuto ricostruire la sala un'altra volta.
In quel momento, e non un attimo prima, ma no figuriamoci, aprirono la porta due ibridi, un tucano e un rondone: "Ma-WHAT!? Evelyn tutto bene?" era Zoe per fortuna, la sua vecchia amica Zoe. Senza più molte forze per risponderle le fece un cenno con la mano, venendo soccorsa dalla compagna prima che cadesse a terra.
"Che è successo, hai avuto un'altra delle tue sfuriate? Ma sei ferita, quindi c'era anche qualcun altro qui dentro! Who could have done it?" aveva cominciato a tartassarla di domande, alle quali non sapeva rispondere nemmeno lei, quindi dato che erano buone amiche non mentì e descrisse tutto quello che era accaduto, eccetto la visione della grotta. Era contenta di poter contare su di un'mica di tanto in tanto. Quello che era appena accaduto l'aveva turbata non poco, e quella disgustosa sensazione di pericolo non accennava ad abbandonarla.
Zoe l'accompagnò in infermeria, discutendo animatamente su chissà quale significato avessero quegli orologi… Ma chissenefrega degli orologi, c'era un intruso nella base e nessuno se ne era accorto? Ma in fondo aveva ragione, chi significato potevano avere?
Forse una risposta ce l'aveva, ma non le piaceva per niente.
Neanche dieci minuti dopo era il momento per la squadra di Rio di partire. Non sarebbe stato niente di che, se non fosse per la tormenta attualmente in corso.
"Per questo ho una scorta con me, ma non che mi serva per davvero!" aveva commentato distaccato come sempre, suscitando una risata generale. Per un attimo i suoi fieri lampi di zaffiro si posarono sul suo magnetico sguardo d'ametista, smarrendosi in una tonalità indefinita di accese sfumature, ma si ritirarono subito sotto la protezione delle palpebre opache.
"Come no!" Zoe ribatteva sempre alle sue affermazioni da presuntuoso, e lui ribatteva sui suoi commenti, e non si finiva finché qualcuno non li faceva smettere.  Avrebbe voluto continuare a vederli litigare amichevolmente per sempre.
Arrivò dunque il momento di partire, entrambe le ragazze fecero ciao ciao con la mano a debita distanza dalla pista di atterraggio e videro allontanarsi il jet a tutta velocità.
 
Esterno, base segreta del monte Bernina, ore 22:46
 
Una furia di nero alata girovagava per il campus senza meta, tentando di avere anche la più piccola informazione dagli avamposti o dalle vedette, ma niente. Non tornavano. Perché non tornavano?
"Come sarebbe a dire 'non c'è alcun segnale'? Siamo ibridi cazzo ci sarà qualcuno in grado di individuarli in mezzo alla neve, siete tutti animali di queste montagne! Cosa cazzo fate quando arriva una cazzo di burrasca?" continuava a sbraitare come un’indemoniata, ed Evelyn non le dava torto: c’era suo fratello fra i dispersi. Anche lei era preoccupata. Rio era sempre stato suo caro amico anche se si rivolgevano solo discorsi monosillabici, ma avevano sempre avuto un buon rapporto di amicizia reciproca. Ed ora lui era bloccato chissà dove, in mezzo a quella devastante bufera senza un riparo o un piumaggio adeguato per ripararsi dal freddo. Ma era sempre stato un tipo determinato lui: sarebbe ritornato a Casa, perché sua sorella lo aspettava ed era la cosa a cui teneva di più al mondo. Perfino quando i loro genitori, nel giorno delle visite, avevano fatto tutta quella strada per venirli a trovare, Rio non aveva abbandonato un secondo la sorella che si cacciava sempre nei guai, quasi fosse lui il maggiore. Sarebbe tornato.
...Vero?
"EVIE! Stanno arrivando, stanno arrivando!" sentì come un lampo nella notte che schiarì i suoi pensieri e le fece abbandonare ogni insicurezza. Lo sapeva che sarebbe tornato. Corse fuori assieme ad altri soldati, che salutarono calorosamente i sopravvissuti alla prova finale della montagna, la sua più grande sfida. Cercò freneticamente con lo sguardo fra gli animali, avvolta nel suo lungo cappotto grigio, per scrutare se fra essi vi fosse un'ala nera. E la trovò. Fattasi strada come una furia fra i gruppi che si abbracciavano con affetto giunse fino al proprietario dell'ala, scoprendo che apparteneva a Zoe. Era ferma in piedi, i pugni chiusi, il viso abbassato, il cappotto arancione spiccava fra tutti gli altri, con due buchi sulla schiena per le ali. Non muoveva un muscolo.
"…Dov'è?"
Vide la sua migliore amica girarsi lentamente, col viso contratto dalla paura e dal dolore: "…N… Non lo so."
 
Atrio, base segreta del monte Bernina, ore 22:58
 
C'era stato un incidente. Mentre la truppa avanzava nella tormenta qualcosa doveva essere in fermento sul versante della montagna, perché improvvisamente il monte aveva avuto un tremendo scossone ed un gran blocco di neve e ghiaccio si era staccato, provocando una valanga. Erano arrivati al campo solo per consegnare le informazioni e perché non avevano i mezzi per aiutare i propri compagni, ma dovevano tornare alla svelta.
"No…" sussurrò Evelyn col viso attaccato al vetro della finestra che dava sul tetro paesaggio innevato, del quale la maggior parte della visuale era offuscata dalla collera alpina.
"Ti prego… resisti…" mormorò attraverso il vetro, la fiamma della speranza si stava spegnendo in lei, il vento la trasformava in una tenue fiammella, sempre più evanescente. Il suo amico, quasi un fratello per lei, non voleva perderlo. Non capiva perché le facesse tanto male il cuore, perché sentisse che dentro di sé vi era appena stato scavato un vuoto incolmabile, una voragine che sprofondava direttamente nell'antro dell'Inferno. La stessa che aveva provato molto tempo addietro, ma non ricordava bene quando…
"Ti prego, ritorna… Torna da noi…" la sua voce si spense prima di terminare la frase. "Ti prego Rio, non puoi abbandonarci, non abbandonare Zoe, tua sorella sta soffrendo tantissimo della tua lontananza."
Una parte di sé, quella più profonda, sapeva però come finiva la sua frase, la sua preghiera.
"Ti prego… Torna… Torna da me…"
 
Atrio, base segreta del monte Bernina, ore 23: 36
 
Mentre aspettavano il ritorno della truppa di salvataggio sedute su una poltrona ai margini dell'atrio, Evelyn stette per tutto il tempo accanto a Zoe: era distrutta, e lei con ella. Il suo viso aveva perso tutto il suo colore, da scuro americano si era fatto pallido come un cencio. Le forze l'avevano abbandonata nel momento in cui aveva saputo di suo fratello, Ryan…
Senza parlare, entrambe si scambiavano le reciproche paure, bagnando le proprie divise di lacrime senza alcun controllo, si facevano forza a vicenda. Ma era dura quando la vita era attaccata ad un filo, la consapevolezza di non avere opportunità ti spinge ad affrontare il destino con sicurezza. Ma la speranza, avere ancora qualcosa per cui illudersi, è terribile.
Passavano di là alcune vedette durante il cambio dei turni, e le ragazze riuscirono ad udire chiaramente i loro discorsi: pare che alcuni uomini avessero affermato di aver visto una figura nera confondersi fra gli alberi…
Assalita da un orrendo pensiero, Evelyn drizzò le orecchie per ascoltare ancora, ma i due uomini erano andati. Una figura…
"Zoe aspettami qui." aveva detto con urgenza, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi a passi svelti nella direzione in cui si erano diretti i due tizi, con l'intenzione di interrogarli. Essi le risposero quello che avevano già detto, ovvero che prima di sentire il rumore della valanga alcuni ibridi avevano intravisto una figura scura nascondersi fulminea fra gli alberi, molto più in alto rispetto a loro.
"Una figura…!" Evelyn trasalì terrorizzata al solo pensiero. Ti prego no, non deve significare questo…
"Ehy." sentì qualcuno toccarle la schiena e sussultò un attimo, prima di voltarsi ed incontrare lo sguardo di Zoe, più duro del ghiaccio. Non l'aveva mai vista in quello stato.
"Dimmi che non centra con te. Dimmelo o non ti perdonerò mai."
Aveva paura di ferirla come nient'altro, ma non sapeva rispondere alla sua domanda: se quell'ombra fosse stata lo stesso tizio di prima, probabilmente le sue parole avrebbero avuto un senso: l'orologio rappresentava la sua vita, e lui l'aveva rotto. No, non poteva essere questo, non lo era.
"Ti giuro che non ho fatto nulla, come avrei potuto?" rispose cercando di essere più sincera possibile, o di fingerlo, non lo sapeva nemmeno lei.
"Sarà meglio." le aveva risposto Zoe voltandosi con il tono di voce più freddo che avesse mai udito, freddo come la solitudine, antico come le montagne.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
"Aspetta!" gridò all'amica che imperterrita continuò la sua camminata verso l'uscita più vicina. "Aspetta ti prego!" la pregò afferrandole una mano, che Zoe non ebbe la forza di scacciare via. Stava soffrendo tantissimo.
"Ti prometto, qui e adesso, che troverò Ryan e lo riporterò qui, partirò con la prossima spedizione. Te lo prometto." fu l'unica cosa che riuscì a dire mentre, cercando di trattenere le lacrime, le stringeva con forza la mano. La compagna e rivolse lo stesso sguardo che aveva visto molti anni prima nel suo amico Jacquel, un grido disperato di aiuto e di dolore. Non l'avrebbe delusa per nulla al mondo.
"Ci sono problemi!" un grido dalla vedetta trapassò le loro menti come una pioggia di coltelli: Zoe si trasformò in ibrido seduta stante e volò con una furia accecante negli occhi fino alla stazione di vedetta seguita a ruota dall'amica, che rimase ad attendere in basso. Non riusciva a vedere niente di quello che stava succedendo, ma sentiva un gran fermento provenire da lassù. Passò qualche minuto di grida e schiamazzi ininterrotti, dopodiché scorse la sua amica discendere dall'alto e posarsi stancamente a terra.
"Dimmi che non è nulla di grave."
"Lo è. Hanno perso di nuovo il segnale." rispose con gli occhi gonfi dal pianto. Ma una volta lanciata un'occhiata alla compagna la vide fare uno scatto indietro dalla paura.
Il sangue cominciò a ribollire e gorgogliare nelle vene, il suo cuore prese a battere sempre più velocemente e le sue pupille si restrinsero alle dimensioni di uno spillo.
"...Evy?"
EH NO. Non l'avrebbe permesso, non sarebbe finita così.
Gli artigli spuntarono al posto delle unghie, le orecchie si estesero ed appuntirono, la sua aura si espanse e si tinse di nero.
"Evy?"
Fu la forza della disperazione a farla parlare: "Te lo giuro Zoe, ti giuro sulla mia anima che tornerò con Rio!" e prima che avesse potuto deciderlo stava già correndo fuori dal campus, verso la pista di atterraggio. Dietro di lei Zoe spiegò le ali e tentò di raggiungerla gridandole dietro di fermarsi, ma la bufera la inghiottì. Fino a che Evelyn non si ritrovò sul ciglio dello strapiombo che segnava la fine della base, ma non si fermò lì: compì un balzo in avanti, nel vuoto. Ed atterrò sul vuoto.
Dalle sue mani e dal fodero della spada era uscita una fitta e pesante bruma nera che si era solidificata sotto ai suoi piedi per permetterle di proseguire il suo percorso. Non aveva importanza del perché accadesse e in che modo, ora c'era solo una priorità: salvare Rio.
Corse con l'impetuosità di un purosangue infuriato in mezzo alla tormenta, galoppando ribelle sopra al nulla sorretta da un'evanescente nuvola di miasma, ma verso una meta precisa: sapeva dove si trovavano, aveva studiato le loro mappe, non c'era angolo di quella catena montuosa che non conoscesse. In poco tempo raggiunse il sito prestabilito e si mise subito alla ricerca di forme di vita: i suoi sensi si erano stranamente ingigantiti per non si sa quale causa ma al momento non importava. Non riusciva a percepire nessuno.
"RIO! RIOOO!" gridava fuori di sé dalla disperazione, ma nessuno le rispose.
Le bastarono pochissimi minuti per esplorare tutta la fiancata del monte, ed infatti riuscì a trovare poco dopo il luogo del delitto, della giudizio delle montagne. La slavina.
Percepiva qualcosa sotto a quei cumuli e cumuli di neve, e non ci volle molto perché li ritrovasse: erano due uomini ancora vivi e vegeti, ma nessuno di loro era Ryan. Che fosse già… NO, non poteva esserlo.
D'un tratto avvertì qualcosa, poco distante. Era lui.
L'aveva trovato, l’aveva trovato! Utilizzò le sue ultime forze per rintracciare il corpo dell'amico, del fratello, e riportarlo alla luce.
Era freddo, non respirava.
"…Oh no… Ryan mi senti? Ti prego rispondimi!"
Percepiva ancora qualcosa in lui, non era ancora morto, davvero. Ma faceva troppo freddo per lui. L'aveva sempre fatto. Con cautela Evelyn avvolse il corpo del ragazzo con il suo cappotto grigio, e tentò di diffondere più calore possibile nell'aria, che sembrò ubbidirle e cominciò a riscaldarsi.
"Mi senti? Sono io, Evelyn, svegliati ti prego, Zoe è in pensiero per te, ha BISOGNO di te…"
Fece una lunga pausa, cercando invano di inghiottire il dolore e la frustrazione che in quel momento le opprimevano il cuore, per poi sussurrare: "Io ho bisogno di te…"
Non le rispose. Era ancora troppo freddo, di questo passo i suoi organi si sarebbero congelati. Non avrebbe mai fatto in tempo a tornare a casa con lui.
Una lacrima bagnò il viso del ragazzo congelato, trasformandosi quasi subito in una piccola perla di ghiaccio.
"Rio… Ti ricordi quella volta, quando abbiamo salvato Jacquel da morte certa, lo abbiamo fatto insieme ricordi? Alla fine l'abbiamo lasciato libero su una di queste montagne vicine, perché volasse libero…" parlava, e allo stesso tempo piangeva, come non aveva mai pianto al mondo. Lacrime artiche senza una stilla di gioia le grondavano sul viso, scosso dai fremiti del vento ghiacciato.
"Alla fine siamo stati puniti per esserci allontanati… E abbiamo riso assieme a Zoe… ti ricordi? …Rispondimi… Ti prego…" bisbigliò con le ultime forze umane che conservava nel cuore.
Ma la montagna aveva reclamato a sé la sua vita.
La sua anima si spense in mezzo alla bufera.
Con il cuore spezzato, gli occhi offuscati dal velo di lacrime ed il vento sferzante fra i capelli, la ragazza adagiò con premura il capo del compagno caduto sulla neve fresca, e senza fretta il suo viso fu coperto da una sciarpa nera.
"…Padre del cielo…" la sua voce si levò fin sopra la cima dell'Alpe, soave, quasi serena.
"...Signore delle cime…" essa intonava un canto antico, una preghiera.
 
Padre del cielo
Signore delle cime
Un nostro amico hai chiesto alla montagna
Ma ti preghiamo, ma ti preghiamo
Su nel paradiso, su nel paradiso
Lascialo andare
Per le tue montagne
 
Santa Maria
Signora della neve
Copri col bianco tuo soffice mantello
Il nostro amico, il nostro fratello
Su nel paradiso, su nel paradiso
Lascialo andare
Per le tue montagne…
 
Non appena ebbe pronunciato l'ultima sillaba un silenzio inquietante si abbatté sull'intera altura. Una sensazione di vomito ed angoscia cominciò ad animarsi nelle sue viscere come una belva assopita che aveva sentito il richiamo di un istinto primordiale di sopravvivenza.
Avrebbe scommesso tutto quello che aveva che quel maledetto maggiordomo soprannaturale le era apparso davanti. La paura si animò in lei, un terrore senza confini, ma fu subito ricacciato nei meandri della sua mente. Deglutendo silenziosamente, Evelyn riempì quel vuoto con una calda colata lavica di collera.
 "Vi avevo avvertito di non giocare col fuoco divino, o sarei stato costretto a spegnerlo." chiarì con voce greve l'ombra piedi fronte a lei "Ma ora che avete visto quali sono le conseguenze delle vostre azioni non è più possibile tornare indietro."
Lo sentì tirar fuori qualcosa dal taschino, e sapeva che era quell'orologio mostratole poco prima da egli stesso, con il vetro del quadrante rotto. Lo sentì stringerlo, fino a distruggerlo completamente. Il tempo era scaduto.
Evelyn stancamente levò il capo, aprendo due brecce nel cosmo color ametista più fredde del vuoto nello spazio, più incandescenti di milioni di supernove, più ciechi del centro dei misteriosi buchi neri, ma meno clementi della loro immobilità. Senza fretta, fissò l'essere davanti a lei con una quieta furia che attraversava ogni suo singolo atomo sotto forma di scarica elettrica da decine di miliardi di volt, che si condensò nelle sue mani e lentamente, una katana impregnata della furia omicida dei più antichi guerrieri fu sfoderata al cospetto dell'essere oscuro.
"…Nel nome del cielo, chiedo di essere sollevata della responsabilità che avrò nel compiere questo sacrificio."
Non aveva idea del perché lo avesse detto o del fatto che avesse assunto la posizione di combattimento in modo così naturale, ma era una sorta di rituale scaramantico che compiva prima di una battaglia molto importante.
"Milady, osate sfidarmi nuovamente, e con quelle premesse per giunta?" fu la risposta dell’uomo, che un secondo dopo stava già per colpirla con tutta la sua forza: stavolta fu rapida a scansarsi, e ad afferrargli la gamba bloccandolo a mezz'aria per poi sferrare un fulmineo calcio impregnato di miasma negativo che lo fece cadere al di fuori della linea del territorio, sullo strapiombo. Avrebbe dovuto cadere e schiantarsi al suolo, e invece quel bastardo riuscì chissà come a compiere uno sprint in aria e a caricargli addosso con ancora più potenza: per un fugace istante le parve di vedere il vago profilo di un paio di nere ali da chirottide sulle sue spalle. Ma Evelyn non era più incosciente della sua natura: era Sombra la vendicatrice, così come tutte le volte che cadeva nell'oblio la sua ragione e sopraggiungeva in uno stato vegetativo, Sombra come ogni battaglia che vincendo aveva inconsciamente perso, Sombra come il buio che tanto amava la sua personalità gemella.
"Buonasera Saph, arrivate sempre in ritardo: non è un comportamento da signorine." aveva infatti proferito il maggiordomo con un lieve inchino a mezz'aria, essendosi accorto con piacevolezza della nuova presenza.
"Taglia corto, non ti permetterò di ghermire quest'anima, lei è mia! E quello non è più il mio nome chiaro?" pronunciò Sombra altamente incazzata avvicinandosi al nemico e rilasciando una moltitudine di fasci neri e purpurei dalle mani che lo colpirono in parte lacerandogli il vestito e piccoli brandelli di carne, che subito egli si premunì di coprire dalle fredde raffica.
"In questo caso posso ben immaginarmi sotto chi andrà la tutela dei gemelli…" aveva ghignato l'uomo rispondendole colpo per colpo.
"I… Oh no, non oserai toccarli neanche con un guanto, lurido demone di bassa categoria!" sbraitò la corvina servandosi una buona volta del suo equipaggiamenti ibrido per rendere più funesti i suoi assalti.
La battaglia proseguì con esiti sempre più disastrosi, imperversando nella bufera e dirigendo con macabri rintocchi la danza della morte. Là dove doveva regnare il silenzio sfere di energia sibilavano nell'aria e si schiantavano contro alberi e rocce, che momentaneamente prendevano vita e urlavano dalla disperazione come se il male stesso le stesse sradicando dal suolo montuoso.
Nei brevi intervalli in cui riacquistava coscienza, Evelyn si rese conto che non aveva mai combattuto così accanitamente e mai si era spinta tanto oltre nella sperimentazione delle sue abilità poiché l'utilizzo le provocava sempre un bruciore interiore nelle vene che a dirla tutta sembravano doversi sciogliere da un momento all'altro. Stavolta però era diverso, si sentiva molto più in simbiosi con la sua 'gemella malvagia' che le dava la forza di rialzarsi, in compenso tuttavia il suo corpo era alla mercé della sua volontà.
Aveva appena compiuto una capriola in aria per atterrare sopra al suo fosco avversario quando un improvviso peso le si attanagliò alle caviglie rendendola più pesante e facendola sfracellare al suolo: i suoi piedi erano immobilizzati nella roccia?!
La medesima scena di qualche ora fa le si presentò dinnanzi, il bel maggiordomo troneggiante sulla sua visuale che, con un sorriso discreto, tirava fuori dal suo taschino l'orologio dorato dalle lancette cremisi.
"Dalla vostra affermazione sembra che non abbiate ancora preso il controllo della sua anima… Per di più dopo quella presentazione mi avete sconcertato: signorina Evelyn, davvero credete di essere nella grazia di …Dio?"
Subito dopo averlo pronunciato l'uomo ebbe un fremito ed assunse un'espressione di disgusto e autentica sofferenza, tornando normale subito dopo. "No milady, voi ed io siamo della stessa pasta, voi siete il contrario della luce e la dovete disprezzare come noi!" detto questo le afferrò il collo e lo strinse con violenza ignorando il grido soffocato di dolore "E non ci daremo pace fino a che non vi avremo trascinata nell'abisso con noi, se non ci rivelate subito la posizione di quella katana."
"P-Perché non te la cerchi da solo se ci tieni tanto?!" era riuscita a ribattere con un filo di voce divincolandosi selvaggiamente dalla presa, invano.
L’interlocutore scosse la testa rammaricato: "Mi dispiaccio di comunicarvi che siete voi l'unica in grado di rilevarne la presenza: vedete, per quanto girino voci sulla malvagità che sprigiona l'arma, senza un padrone è pur sempre un comune oggetto metallico, e in quanto tale impossibile da ritrovare. Nessun Akuma ha stretto legami così forti con gli umani, attratti dal suo potere amplificatore. Ma lasciamo le parole a chi per diletto le consuma…"
Evelyn non smise un attimo di dimenarsi e graffiargli il braccio e il volto, i quali sembravano apparentemente immuni al dolore e all'ingente perdita di sangue.
"Ve lo ripeterò un'ultima volta. Non avete idea di chi vi state inimicando. Quanto tempo credete ci serva per eliminare ogni vostro singolo rapporto con la realtà?" continuò imperterrito, ottenendo un'altra risposta negativa.
Incapace di liberarsi e con la faringe imprigionata in una letale tenaglia umana, Evelyn cominciò a perdere la cognizione dello spazio e non riuscendo a respirare, anche la capacità di ragionare. Dalla mano di quell'uomo… demone?  si sprigionava quella caligine oscura che aveva creato ella stessa per raggiungere il massiccio, sempre più pesante, sempre più mortale. Una paura sorda.
Poi la sua vista prese ad affievolirsi, e smise di lottare.
Con quella sola mano venne sollevata in aria con i piedi penzolanti nel vuoto, gli stivali traforati dagli artigli, il vestito sbrindellato, il cuore e una gran moltitudine di ossa in pezzi.
"Addio, milady." fu l'ultima cosa che sentì, prima che il suo intero essere fosse avvolto da un'aura talmente scura che al confronto di essa i suoi capelli erano albini. Aveva smesso di respirare, gli occhi dilatati in due sfere oscure.
Il gelo che permeava lo spazio circostante le penetrò nelle membra, le afferrò letteralmente l'anima e cominciò a strapparla e lacerarla nel tentativo di trascinarla via.
Gridò dal dolore fino a sentire la gola sanguinare, in preda alla più orripilante delle torture concepibili Evy ritrovò la forza di divincolarsi dalla torbida morsa per liberarsi da quel tormento atroce ma era inutile, davanti a lei apparvero una ad una tutte le perle nere che aveva collezionato in guerra e con la stessa rapidità esse vennero risucchiate in un abisso nero al di sotto di lei, nel quale la sua anima stava inesorabilmente precipitando.
Ma quando metà del suo flusso vitale era ormai andato perduto, l'intero globo nero scomparve in un battito di ciglia e un istante dopo il maggiordomo in piedi dinnanzi a lei venne sparato in aria da una scarica elettrica.
"…Ati… Mpo da perder… Muoviti, in piedi!"
Una voce familiare la stava spronando ad alzarsi il più in fretta possibile, ma ci vollero alcuni secondi prima che la sua mente tornasse a focalizzare la realtà.
Innanzitutto, si trovava nel mezzo di una bufera di neve, senza protezioni contro il freddo pungente e con le forze vitali ridotte all'osso. Qualche cosa dentro di lei era stato raschiato via a forza, ed ora il suo corpo tremava senza controllo nella furia della tempesta di neve. Sentiva di non riconoscersi più…
La voce, invece, quella la distinse bene: era il Generale! Che ci faceva in mezzo alla bufera? E che ci faceva... Lei?
Altre voci da lontano stavano sopraggiungendo, ma nessuna era abbastanza forte da essere identificata come vicina. Solo Volt sembrava essere sopraggiunto, con la sua incredibile velocità, sul posto a causa di forze maggiori: riacquistata parziale visibilità riuscì infatti a distinguere il suo Maestro e l'uomo misterioso fronteggiarsi in un duello alla pari a quanto pareva, l'uno con oscuri richiami di ombre, l'altro con temibili assalti carichi di elettricità. Doveva aiutare il Maestro ma le sue forze l'avevano abbandonata lasciandola inerte in mezzo alla neve.
"Muoviti idiota, alzati e fuggi!" udì provenire direttamente da dentro sé stessa, eppure non poté ubbidirle poiché i suoi arti non le rispondevano. Erano congelati.
La loro battaglia assomigliava alla resa dei conti di due forze della natura, maestose e temibili; ma la disparità di potenziale si fece sentire proprio all'ultimo momento quando durante una piroetta in aria il maggiordomo ebbe un sussulto e fece scivolare fuori dal taschino un altro orologio, uno abbastanza levigato ma leggermente grossolano nella forma, ed esclamò poche semplici parole che ella non riuscì a distinguere. Senza alcuno sforzo lo vide arrestarsi in aria, IN ARIA, e sembrò pronunciare alcune formule, dopodiché davanti a lui fece la sua apparizione la proiezione di un grande quadrante di un orologio rosso senza lancette. Con un teatrale schiocco delle dita il quadrante esplose in tutte le direzioni, investendo dapprima il Generale che venne avvolto da una luce accecante, poi ella stessa e tutta l'area circostante, spianando il terreno.
Il boato che ne susseguì avrebbe potuto provocare un'ennesima valanga, ma stranamente non accadde nulla del genere.
Il silenzio rimase l'ultimo testimone, immobile nel mutevole disegno che il destino aveva già redatto tempo orsono.
Poche indistinte immagini giunsero a lei prima di cadere definitivamente nell'oblio: un gruppo di ombre affini ad ibridi che sorvolavano la zona, alcune paia di mani che le si stringevano attorno e qualcosa simile ad una coperta avvolta nel tepore.
Quando si risvegliò, Evy si ritrovava sospesa nel vuoto, stavolta a bordo di un piccolo jet governato a fatica attraverso la bufera. Si alzò di scatto come un predatore improvvisamente mutato in preda, annusando l'aria irrequieta con le orecchie rialzate e vigili. Non c'era alcun pericolo, al momento. Patendo un'insopportabile mancanza si portò istintivamente le mani al petto e strinse le braccia attorno alla vita per trattenere un'amarezza interiore che la stava lacerando: aveva perso qualcosa, qualcosa di essenziale per vivere.
Accanto a lei alcuni uomini e donne addormentati, dai visi color del ghiaccio secco. Probabilmente erano stati ritrovati in tempo e perché no, avevano avuto più resistenza al freddo, perché erano ancora tutti vivi. Accorgendosi di saperlo con certezza Evelyn si ridestò dalla paralisi e si rannicchiò su sé stessa: anche lei era viva. Anche lei era sopravvissuta. Ryan invece no.
Percorsero delle ore prima di giungere alla base, nella quale una moltitudine di persone attendevano con fiducia il ritorno dei propri cari. Passando rapidamente in rassegna i volti contratti dal freddo dietro al vetro del finestrino, Evelyn individuò la sua amica sul margine della pista, le mani strette in un pugno e il labbro inferiore torturato fino a farlo sanguinare. Come avrebbe potuto guardarla in viso, dopo la sua promessa?
Ma più di tutto, quando vide Zoe farsi strada nella calca di gente per avvicinarsi il più possibile, Evelyn ebbe paura di cosa ella stessa avrebbe fatto. Non si sentiva più in grado di padroneggiare i suoi arti, qualcosa non funzionava quando imponeva loro di smettere di assumere forma ibrida. Certamente non avrebbe potuto controllarsi, per cui non se la sentì di mettere in pericolo Zoe.
Purtroppo per lei ciò che aveva previsto non accadde: non appena sbarcata, programmato di nascondersi nella folla e sgusciare via alla chetichella si accorse di aver definitivamente esaurito ogni stilla di energia e quindi di non potersi più muoversi.
"Evelyn, Evelyn!"
I suoi occhi riacquisirono il dono della luce quando udì quella voce invocare il suo nome. La figura indistinta della sua amica si stagliava nel corridoio in mezzo alle candide ombre dei camici bianchi dei medici.
 "…" Non riusciva a parlare, talmente provava dolore alla gola, ancora piena di quell'insopportabile sapore di ferro.
"Oh godness che aspetto orribile, cosa sono tutte queste ferite?"
"…Non è niente…" riuscì a biascicare scuotendo la testa mestamente. Era sdraiata su un soffice manto candido, così confortevole che avrebbe potuto considerarlo una calda coperta. Per poterla vedere meglio in viso Evelyn si drizzò stancamente in posizione seduta, tossendo debolmente.
"Mi preoccupi Evelyn, che è successo?"
"...Ti prego Zoe non avvicinarti, potrei farti del male."
"Ma che dici, e dov’è R..."
Zoe ammutolì, impallidendo. In quel momento avrebbe voluto non aver mai aperto gli occhi, avrebbe voluto non vedere quell'espressione talmente sconvolta da imprimersi nella sua memoria come un terribile marchio di fuoco. Non avrebbe mai più dimenticato quell'immagine.
"...No… Non ce l'ha fatta, vero?"
"…"
"…"
"…"
"Come hai… Potuto." la sentì ringhiare d'un tratto, diversamente dal tono dolce usato poco prima. Il suo viso si era repentinamente rabbuiato ed i suoi muscoli erano carichi di tensione e collera. Sapeva che l'avrebbe mortalmente ferita la sua sola vista, il solo pensiero che Ryan fosse morto. E lei no.
"Come hai potuto!?" con il viso in fiamme Zoe scattò in avanti afferrandole con foga le spalle e trascinandola verso di sé per costringerla a guardarla dritto negli occhi. "Io mi fidavo di te! Credevo che avresti lottato fino alla fine, che avresti tentato il tutto per tutto!"
"Credimi Zoe, quello che è avvenuto non aveva nulla di umano e non ho potuto fare nu-"
"NON MI INTERESSA! Avevi promesso sulla tua anima di ritornare assieme a Rio, e non l'hai fatto! Traditrice! Ti odio, ti odio!"
Evelyn percepì distintamente un formicolio sinistro nelle sue braccia: "Ti prego allontanati subito non posso trattenerlo a lu-" un pugno carico di rancore le rivoltò il viso lasciandola di stucco e facendole perdere per un attimo la vista. Un terrificante formicolio di bramosia di vendetta le percorse la spina dorsale e con orrore realizzò che la sua gemella reclamava l'egemonia del suo corpo, non poteva più impedirglielo.
 
It's over now I know inside,
No one will ever know...
 
Stava correndo, correndo a tutta velocità verso l'uscita più vicina, ad ogni respiro un rantolo di agonia e disperazione le risaliva attraverso la gola, che cosa aveva fatto, cosa aveva fatto!
Aveva appena ferito a morte la sua migliore amica, l'aveva quasi uccisa! Delle grida alle sue spalle l'avvertirono di aumentare la velocità, grazie alla quale riuscì a fuggire in tempo prima che le uscite fossero tutte bloccate.
L'aveva incontrata durante il tragitto verso l'infermeria, le si era avvicinata con un'aria così afflitta che non se l'era sentita di parlare, altresì non ne avrebbe avuto materialmente le forze.
E poi era successo… Cos'era successo? Si era risvegliata con le mani sanguinanti trasformate in spietate falciatrici, Zoe era a due metri di distanza da lei, accasciata alla parete, una profonda ferita sul braccio sinistro e molti altri tagli sulle gambe e sul torace.
Sul suo viso una manifestazione di terrore puro.
Che cosa stava diventando?
Doveva trovare una via di fuga al più presto se non voleva venir catturata, e certamente nessuno l'avrebbe più potuta difendere: sarebbe stata uccisa all'istante, o torturata ed impalata come una strega, usanza decaduta secoli e secoli orsono; c'era però qualcosa che non andava, la sua resistenza e le sue forze si erano drasticamente indebolite e la sua lucidità era vacante e terribilmente instabile. Lanciatasi in una folle corsa verso le porte della libertà, Evelyn dovette far ricorso a tutte le sue misere energie per poi spalancare l'uscita verso un bianco mondo di asperità e pericoli: fuori la tempesta si era finalmente placata, le cime delle circostanti vette erano ora di nuovo visibili attraverso la percezione sviluppata delle sue cornee. Dietro di lei rumori indefiniti, esclamazioni ed imprecazioni varie alle quali non diede ascolto, difronte un baratro profondo che la separava dal resto del mondo. Non poteva fermarsi, sentiva ancora le grida dei Soldier avvicinarsi sempre di più. Finché non giunse davanti al dirupo, senza possibilità di fuga. Voltatasi meccanicamente vide i soldati in lontananza accorrere verso la disertrice, abbastanza confusi a giudicare dalle loro espressioni: la conoscevano, l'avevano sempre vista come una competente alleata, affidabile, posata, sicura. Non come una irragionevole, folle traditrice.
Un pensiero assurdo le balenò in testa, una sola speranza le si presentò davanti, ma le possibilità di successo erano quasi certamente nulle. Puntando la sua vita su quell'unico 1% Evelyn si tastò i fianchi alla ricerca del fodero della sua katana che, stranamente, non le era stata tolta. La sfilò con decisione, carica dell'odio dei suoi compagni e di coloro che non era riuscita a salvare. Convogliò in essa tutte le sue ansie ed i suoi tormenti abbastanza da riempirla di miasma negativo, e si preparò a compere un gesto folle.
Non appena la raggiunsero, ella rivolse loro un sorriso fragile come il petalo di un fiore, e fece un passo indietro.
Fu un soffice letto di livree bianche e marroni ad attutire la sua brutta caduta: incredibile ma vero, il suo richiamo aveva davvero funzionato.
Era sbigottita. Allibita. E terribilmente grata all'amico volatile per averla salvata.
"Ti ringrazio Jacquel..." sussurrò col viso affondato fra le grandi e morbide piume della civetta.
Posatisi su un'altura, al riparo dagli sguardi indesiderati coloro che al momento la credevano ufficialmente morta, Evelyn ringraziò nuovamente l'amico volatile che, accorso immediatamente un suo soccorso, doveva aver percorso un lungo tragitto in poco tempo oppure doveva essersi accampato troppo vicino alla base. Gli chiese poi se poteva avere un passaggio per fuggire lontano, in un'altra base, e lo vide annuire come un essere umano: con un timido battito d'ali l'uccello si librò in volo facendo attenzione a non far cadere la passeggera stremata che trasportava sulla schiena, e partì alla volta dell'orizzonte.
Mentre le vette dei monti sfrecciavano davanti ai suoi occhi mezzi chiusi ed inebriati dal sonno pesante che si era appena abbattuto sulla soldatessa, mille interrogativi si sfilacciavano come frammenti di DNA nella sua mente: di chi era quella voce misteriosa sentiva provenire da dentro se stessa, capace di intendere ed agire contro la sua volontà, e persino con un nome… Saph, aveva detto quel tizio? Che significato poteva avere? E che fine aveva fatto il suo Maestro, e le sue forze accumulate in battaglia, e quella sensazione di aver perso quasi… L'anima.
Ma più di tutto, che cosa poteva avere di così speciale la leggendaria katana di Muramasa, oltre ad essere, ovvio, una leggenda?
Come il fastidioso sottofondo di un moscerino, i due udirono da lontano il rumore delle eliche di un aeromobile e a quel suono tanto familiare il volatile si irrigidì istintivamente, ma venne calmato dalla voce tranquilla della sua accompagnatrice: "Credo di sapere chi sta guidando quel veicolo, non corriamo alcun rischio." lo confortò Evelyn accarezzandogli il lungo piumaggio, prima di sprofondare nel sonno.
In compagnia del silenzio, i due erano diretti in un luogo dove avrebbero trovato ospitalità ed un luogo sicuro, per il momento.
 
Luogo imprecisato, Il mattino seguente
 
Una volta atterrati su un'altura abbastanza sicura né troppo lontana da un campo base, Evelyn ringraziò di cuore il suo accompagnatore il quale sbatté le grandi ali in segno di riconoscenza reciproca, inclinando la testa ed emettendo il suo caratteristico verso composto da sette rapide note. Fu quella l'ultima volta che lo vide ripartire alla volta delle montagne e sparire fra le candide nuvole che ne circondavano le cime innevate. Respirò a fondo. Avrebbe dovuto affrontare qualcuno che non aveva la minima voglia di incontrare.
Poco dopo infatti il rombo delle eliche riempì l'aria mentre l'elicottero guidato da un personaggio ben conosciuto atterrava nei paraggi. In men che non si dica ricevette una strigliata esemplare per essersi allontanata senza permesso, aver ferito un compagno ed aver abbandonato il campo di battaglia dal Vice Generale, che dal tono alterato con il quale la fulminò sembrava più furibondo che mai.
"N-Non ho scusanti per il mio comportamento, so bene di meritare una punizione…"
"Tu non ti meriti un bel niente, e non sono io ad avere l'autorità di darti alcuna sanzione. Purtroppo chi ne aveva la carica…"
Non finì la frase. Questo la preoccupò non poco. Significava forse che il suo Maestro era in pericolo, era ferito? O peggio?
Una rapida occhiata alla fila di mostrine appese al petto della divisa dell'uomo, che non portava alcuna protezione contro il freddo nonostante la temperatura, la portò ad identificare il simbolo di Generale su una di esse. Gli occhi dell'uomo si incupirono ed il suo sguardo cadde vacuo verso il basso.
Il Generale Volt era scomparso nella tormenta e non era stato ancora trovato, dunque sebbene a malincuore Memphis aveva dovuto prendere il suo posto.
La sua mente la portò ad immaginare come dovesse essere stato duro per lui apprendere la notizia: lo immaginò in piedi immobile mentre il distintivo di Generale gli veniva consegnato ufficialmente, mentre una smorfia di rancore e tristezza si formava sul suo viso nel vederla rilucere affissa sul suo petto.
Se non avesse compiuto un gesto così azzardato non avrebbe messo in pericolo la vita del suo mentore, ma Evy continuava a non spiegarsi come mai proprio lui guidasse una normale spedizione di salvataggio. Quali erano i suoi reali intenti nel venire a controllare di persona il gelido spettacolo di un palcoscenico dipinto di bianco sullo sfondo nero della notte buia, proprio in quel momento?
Comunque fosse, non poteva rimanere a lungo fuori al freddo, si era accorta solo ora di star tremando come una foglia e di essersi probabilmente ammalata a giudicare dai fremiti che scuotevano il suo corpo. Il Neo-Generale sembrò essersene accorto perché le diede le spalle e si incamminò velocemente verso la base che si trovava ad una cinquantina di metri più avanti, aspettandosi ovviamente di essere seguito. Volto un ultimo sguardo al cielo, senza aspettarsi di trovare alcuna traccia del candido volatile, Evelyn si incamminò verso una nuova meta, un nuovo inizio, o almeno così sperò che fosse.
I due si diressero al campo base grazie al velivolo, dove il Generale si affrettò a consegnare alcuni incarichi 'di maggior urgenza' che fare da balia ad una non-allieva, approfittando di quel fastidioso contrattempo per risolvere una questione intricata che rallentava le spedizioni in quella branca di catene montuose. Nel frattempo Evelyn aveva altri luoghi da esplorare, altre persone da incontrare. L'aveva notato fin da subito che quel posto le era familiare, ed i suoi sospetti si erano rivelati fondati quando, nella maniera più inaspettata, mentre girovagava per il campus, intravide un viso amico che non incrociava da tanto tempo.
"…E-Evelyn!?"
Stessi capelli biondi tirati all'indietro, stessa voce profonda e determinata. Era il suo amico Bald.
"Per la barba del dio Pan, ma che ci fai qui?! Avresti potuto avvertirmi che venivi a trovarmi sorella!" con uno slancio inaspettato si ritrovò sommersa In un caloroso abbraccio, stupendosi di quanto fosse piacevole ricevere un po'di affetto dopo tanto tempo. Si chiese se potesse raccontargli cosa era successo, ma le sembrò azzardato rivelare ogni dettaglio.
"Non sono venuta in visita fratello, sono fuggita dalla mia base: è successo un putiferio, una squadra è rimasta inghiottita dalla neve e il Generale Volt è scomparso!" disse tutto d'un fiato, felice di potersi ancora fidare di qualcuno. La notizia preoccupò molto l'amico, che chiese subito della salute degli altri loro compagni, ma non era prudente restare a discorrere all’aperto. Con un brivido che le percorreva la schiena, causato anche dal freddo pungente, Evelyn rammentava il monito che le era stato proferito dall'essere soprannaturale. Che anche Bald fosse in pericolo?
All'interno dell'edificio comune si avvertiva un'insolita eccitazione dal continuo muoversi di una gran quantità di soldati in subbuglio, dando l'impressione che anche lì la situazione fosse più tesa del solito. Gettando un'occhiata su ogni postazione senza aspettarsi di trovarvi quel che temeva, Evelyn venne a conoscenza della fragile condizione fra alcune basi situate sulle Alpi che negli ultimi anni avevano riportato certi problemi tecnici dei quali neppure lei era a conoscenza, come un costante flusso di piccole quantità di informazioni rubate senza lasciarne traccia. Negli ultimi giorni questo fenomeno sembrava aver raggiunto il picco massimo. Era evidente che vi era sotto qualcosa e se avessero continuato a questo ritmo l'incombenza sarebbe potuta peggiorare, nessuno immaginava di quanto.
"…Poi è da un giorno o due che alcuni hanno avvistato la presenza di un'ombra nel campus, continuiamo a tenerlo sotto controllo al massimo ma non abbiamo mai individuato tracce di intrusi… Sono preoccupato Evelyn. Qualcosa sta cambiando, abbiamo provato a comunicare con altre basi ma molte volte è stato impossibile e in rari casi ci siamo resi conto che la situazione è più o meno la stessa. Non avevate notato niente da voi?"
"No, era tutto sotto controllo prima che partissi ma…" la Soldier non finì la frase che le venne in mente un piccolo particolare. Non era tutto sotto controllo, ricordava bene che le stazioni avevano perso più volte il segnale con la truppa intrappolata nella bufera nonostante fosse già accaduto molte volte e non ricordava avessero mai avuto problemi del genere. Dunque non era un caso.
"Devo lasciarti adesso, devo controllare una cosa in archivio, ma fra una mezzora ho finito quindi non sparire!" le aveva sorriso apertamente prima di intrufolarsi in un gruppo di uomini che discutevano animatamente ed allontanarsi assieme a loro con un’aria alquanto impensierita.
Che avrebbe potuto fare nel frattempo, si chiese Evelyn diventata un'ombra occultata fra la gente, se non accertarsi della salute dei suoi compagni alla base, ed investigare? Dopo un brevissimo giro di ispezione per esaminare l'ambiente nuovo nel quale doveva muoversi, Evelyn chiese informazioni per dirigersi spedita verso la più vicina stazione di comunicazione in grado di mettersi in contatto con la sua base sperduta fra i passi del Bernina. Mentre compiva ciò cento riflessioni si accavallavano nella sua mente alla ricerca di un significato che desse loro un ordine definitivo: la serie di eventi che seppur nascosta da sguardi indiscreti si stava verificando sotto gli occhi di tutti. Il solo fatto che qui ne fossero tutti informati significava soltanto che in questa base era contenuto qualcosa di importante quanto bastava per mobilitare tutti gli ibridi presenti.
Procedendo spedita per il campus, Evie si fece venire il dubbio che dovesse essere correlato con quanto successale.
Era velatamente implicito che la sua esperienza fosse parte di un progetto molto, molto più grande, lo aveva compreso fin da subito. Anzi. Lo sapeva da anni, da quella notte che lei e Bald si erano intrufolati nell'archivio, ed ebbero ascoltato quelle persone nascoste nell'ombra che discutevano animatamente riguardo a una guerra…
Ma certo.
Con una frenata in stile Ferrari Evelyn si piantò in piedi e lì rimase per diversi secondi, come se la scoperta le avesse fatto crescere le radici fin dentro al terreno.
Non parlavano certamente della guerra attualmente in corso, ma di un'altra guerra, e molto più temibile, tanto da incutere timore al solo pensiero che questa potesse scoppiare. Era evidente che gli avversari avessero già da tempo cominciato a tramare nell’ombra, e ora stavano raccogliendo i pezzi di un puzzle a lei sconosciuto per completare un piano di attacco che senza le dovute precauzioni li avrebbe annientati.
Muramasa. Se… Se quel tizio centrava qualcosa, significava che il loro desiderio di avere quell'arma poteva ricondursi ad una sola conseguenza: un uomo, abbastanza crudele da poter assorbire il potere di Muramasa, e diventare invincibile.
Le venne in mente il tipo di avversario che l'aveva affrontata alla base e poi in mezzo alla bufera.
Stavano affrontando qualcosa di soprannaturale. Qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe prodotto nulla di buono. Stavano giocando col fuoco.
E i bambini che giocano col fuoco si bruciano le dita.
Un tremendo boato fece tremare l'aria. Un terribile sospetto le strisciò nelle viscere pungendole l'anima inquieta: cento per cento di probabilità che gli archivi fossero appena esplosi.
"Merda!" sibilò a denti stretti prima di gettarsi in una folle corsa verso l'edificio in fumo.
 
Qualche minuto dopo:
 
Per quanto si sforzasse di cercare non trovava Bald da nessuna parte, ma non bastò questo per gettarla completamente nel panico. In linea di massima era già nel panico, ma si impose di non perdere la testa: doveva entrare in quell'edificio, anche a costo di scavalcare con la forza la folla di ibridi e le guardie che si erano affrettate a circoscrivere l'area o ad usare il suo potere persuasivo per riuscirci. Non le servì nessuna delle due opzioni, perché in quel momento un'altra esplosione fece crollare parte dell'edificio e senza che nessuno se ne accorgesse ella poté intrufolarsi nell'area vietata. Chiunque stesse azionando le detonazioni doveva avere uno scopo preciso per distruggere quei dati, ma non ne trovava il senso. Qualunque fosse, non era lì per quello. Prima di immettersi nell'edificio sfilò il fazzoletto che teneva legato alla cintura e se lo mise sul viso per non respirare i fumi tossici, ed entrò.
Una fitta nebbia nociva ammantava lo spazio circostante e le impediva di vedere dove stesse andando, e in un attimo la sua calma esteriore fu sostituita da un senso di pericolo e inquietudine che non la faceva pensare lucidamente.
"Bald! Sono io, mi senti!?" gridò più volte tormentata, non ottenendo risposta. No, non di nuovo, ancora no, mio Dio…
Sentì un vago rantolio provenire da dietro una scrivania ribaltata e ridotta a brandelli come del resto ogni altro mobile nei dintorni, ma non era la sua voce. Avvicinatasi dovette trattenere con orrore la voglia di distogliere lo sguardo: oltre allo stato pietoso del suo corpo, il viso di quella ragazza grande poco più di lei era per metà intatto, ma l'altro lato era irriconoscibilmente scavato e dalla pelle carbonizzata. Non poteva fare nulla per quella povera anima se non trasportarla fino all'entrata in modo che i soccorsi la trovassero subito, seppur con il poco tempo che aveva a disposizione.
"Stai calma adesso ti porterò fuori di qui, ok? Riesci a sentirmi, mi senti?" si abbassò all'altezza del suo viso per constatare che fosse cosciente ed esultò silenziosamente: non era ancora morta, poteva salvarla. La ragazza non rispose ma scosse gli arti con disperazione ed allora Evie si accorse che aveva un braccio incastrato sotto la scrivania, se non addirittura schiacciato.
"…ego…Die…go…"
La ragazza stava pronunciando il nome di qualcuno. In un attimo Evelyn realizzò che non aveva idea di quante persone fossero state sorprese dall'esplosione e capì che non poteva farcela da sola, aveva bisogno di aiuto.
Un rumore di assi spostate da braccia umane la riscosse: i soccorsi stavano arrivando finalmente! Lanciò uno sguardo alla giovane che poco a poco stava riprendendo conoscenza e incrociò i suoi occhi castani ora più lucidi e si alzò immediatamente per segnalare la sua posizione: "Ehy, siamo qui! Presto, ci sono dei feriti!" si sbracciò quanto bastava per essere individuata, e con un ultimo sguardo di intesa sparì fra le pile di scaffali accatastati ed in fiamme.
Quanti feriti c'erano ancora, e dov'era Bald? Doveva essere lì da qualche parte! Oramai il fumo le annebbiava anche la vista e più volte andò a sbattere contro le pire infuocate, il panico in aumento dentro di lei ad ogni secondo. Finché un'altra detonazione, stavolta più contenuta delle precedenti, non scoppiò dall'altra parte dell'edificio: fu abbastanza perché tutto il soffitto tremasse e si disintegrasse in centinaia di detriti e pezzi più grossi. Colta alla sprovvista Evelyn non fece in tempo ad evitare che un blocco di cemento le precipitasse accanto facendo abbattere su di lei un intero scaffale: non fu fatale per lei ma abbastanza da bloccarla sotto una catasta infuocata dalla quale tentò di liberarsi disperatamente; rumori di persone gridavano nomi che non conosceva e si perdevano nello sfrigolare delle vampe, le quali fecero in tempo a raggiungerla prima che si liberasse del tutto ed appiccarono un incendio sulle sue vesti. Il contatto con il fuoco la fece gridare dal terrore e il calore le bruciò la pelle tanto che temette di bruciare viva, non aveva dell'acqua per spegnere il fuoco, era perduta!
Si gettò a terra per spegnere le fiammate sino a quando queste sembrarono smettere di bruciare, poi si rialzò e tossì violentemente: aveva perso il suo fazzoletto.  Non poteva rimanere lì un minuto di più o sarebbe morta soffocata!
Un rumore di scartabellare attirò la sua attenzione. Fu improvvisamente come se quel rumore flebile sovrastasse tutti gli altri. Si voltò verso uno dei corridoi in lontananza, uno di quelli più intatti, per quanto lo potessero ancora essere, e intravide una figura della sua stessa altezza sfogliare freneticamente i documenti contenuti in un archivio. Quella figura la incuriosì stranamente, come se la conoscesse. Si avvicinò, oltrepassando le barriere ardenti avvolte da uno strato di carta velina, ora lontane da lei, lontana dal mondo.
I suoi passi attirarono l'attenzione della figura, la quale si voltò di scatto. Ora era abbastanza vicina da vederne i lineamenti.
I suoi.
Quello era il suo volto.
La sconosciuta si avvicinò mutando la sua espressione seccata in un sorriso furbastro, ed Evelyn realizzò con sgomento che era identica in tutto e per tutto a lei.
"Shhh, non preoccuparti, fra poco sarà tutto finito." sussurrò la sua sosia, e senza che Evie muovesse un muscolo si avvicinò dandole un colpetto sulla fronte con l'indice. Sembrò come se il mondo intero si fermasse in quell'istante.
L'urto contro il terreno fu talmente forte da farle perdere i sensi.
 
They'd only see the tragedy
They'd not see my intent
The shadow of Sombra's evil…
Would forever kill the good that I had meant…?
 
Nel profondo baratro nero nella quale precipitò, le parve di udire in lontananza la voce di una donna. Un ricordo familiare che era rimasto sepolto sotto chilometri di oceano buio agguantò uno spiraglio di luce e vi si aggrappò con tutte le forze per venire a galla, lottando contro la volontà della ragazza di ricacciarlo fra i flutti e lasciarlo annegare. Sarebbe stato molto meglio se non fosse mai riemerso.
Riaprì gli occhi. D'improvviso Evelyn non si trovava più in mezzo alla neve, alle rigide strutture di un campo di addestramento, in mezzo ai soldati. Era da sola.
Il silenzio sembrava l'unico testimone dello spettacolo desolante di un cumulo di macerie, quello che un tempo aveva costituito le fondamenta di una città fiorente. Sullo scenario livellato e deserto si stagliava un panorama di lontane vette senza colore, sulle quali gli ultimi, freddi raggi del sole proiettavano deboli chiarori morenti che andavano affievolendosi nell'ultimo bagliore del crepuscolo.
Una dolorosa fitta al cuore la assalì quando con sgomento si accorse dei corpi senz'anima che giacevano fra le macerie come parte del paesaggio stesso: gli sguardi vitrei, mille parole non dette affioranti dalle labbra e cuori fermi, bloccati nell'istante del loro ultimo respiro.
Le lacrime cominciarono a scenderle copiose sul viso, mentre i ricordi la investivano come violente ondate nella tempesta. Stava ricordando.
No, non poteva… Non poteva essere stata lei. Rifiutava di concepirlo.
"Mamma…"
La voce di una bambina proveniva da una delle tante strade sommerse dai detriti, una voce familiare. Con il cuore in gola, si avvicinò alla fonte del suono, fino a giungere davanti alla scena incriminata. Ci mancò poco che un colpo al cuore la cogliesse quando si accorse di ritrovarsi davanti a sé stessa, una bambina di pochi anni, e al cadavere di sua madre. Poco più in là, se avesse alzato lo sguardo, avrebbe intravisto la sagoma del corpo di Esmeralda, abbracciata al marito in un ultimo atto di infinito e disperato affetto.
Provò a gridare ma dalla sua bocca non uscì alcun suono ed anzi cominciò a bruciarle orribilmente, segno che la sua gola era ancora gravemente danneggiata.
Ormai conscia dei fatti, Evelyn si dette una calmata e si asciugò con un grande sforzo le lacrime, avvicinandosi alla scena: la piccola se stessa piangeva a dirotto e tremava dalla disperazione. Provò ad avvicinarla ma con sua gran sorpresa e spavento la mano di Evelyn trapassò la massa della giovane come fosse incorporea.
Non c'era motivo di piangere, ora ricordava, era successo molto tempo orsono, e le lacrime non avrebbero risolto nulla. Si trovava in un'illusione che la teneva prigioniera e certamente avrebbe dovuto trovare un modo per fuggire.
Quel pazzo era ancora libero e avrebbe provocato altri danni alle persone a lei care… Ma ne erano rimaste?
Sì! Era rimasta Zoe! Era ancora viva, ne era sicura. Doveva uscire da lì, doveva farlo per lei.
"Vuoi andartene così presto?" udì con allarme pronunciare alle sue spalle. Lentamente si voltò, incrociando diffidente gli occhi con quelli di una persona totalmente differente, eppure identica ad ella stessa. Spavaldo, ghignante, beffardo, il suo sguardo la impietrì e luminoso la accecò per un istante. L'attimo dopo si ritrovava in uno spazio evanescente circolare completamente avvolto nella penombra e tappezzato da lucidi specchi.
Guardinga, Evelyn diede una rapida occhiata in giro ma non vide nessun altro nel riflesso degli specchi. Nessun altro a parte se stessa.
Si avvicinò ad una delle superfici scrutando il suo stesso sguardo, che rifratto sullo specchio il suo viso aveva un'espressione diversa da quella che tuttora assumeva: la fronte rilassata, gli occhi vacui, la bocca serrata in un insopportabile sorriso sornione a forma di V.
"Quel pazzo, come lo definisci, è l'ultimo dei tuoi problemi. Davvero hai creduto che ti avrei lasciata andare? Credevi seriamente che ti avrei lasciata libera?" pronunciò con superiorità e rimprovero la gemella dall'interno della parete riflettente.
"Se lo pensavi, mi spiace dirti che così non sarà: non ti sbarazzerai mai di me, Evelyn!" gridò l'immagine, creando una potente onda sonora che colpì Evie e la colse di sorpresa scaraventandola contro la parete opposta. Immediatamente sullo specchio sulla quale si era schiantata apparve la sagoma torreggiante di Sombra, in piedi e trionfante.
"Sta zitta! Sei solo un viso distorto riflesso nello specchio, se chiudo gli occhi di te non resterà nulla!" rinviò furiosa la Soldier rialzandosi ed allontanandosi dalla superficie con uno scatto. Di rimando, Sombra sogghignò e lo specchio che la ospitava cominciò a tremare, tanto da dare l'impressione di potersi frantumare con un misero tocco.
"Io son quel che vedrai quando ti guarderai allo specchio, anche se non lo vuoi rimarrò con te finché avrai vita!"
"No! Sei solo un incubo, un sogno demoniaco! Quando sarà tutto finito la smetterai di perseguitarmi coi miei ricordi!" Evelyn si strinse le braccia al petto, le mani avevano cominciato a tremarle, stava perdendo il controllo sul suo corpo. Con orrore vide ora ognuno degli specchi della sala riflettere la figura di Sombra, sempre più vicina, sempre più temibile.
"No, questo non è un sogno mia cara, e ti assicuro che non finirà: sono qui per restare, per prendere il tuo posto, e tu non me lo impedirai."
La stanza cominciò a rimpicciolire sempre di più, gli specchi divennero più grandi, e con essi la presenza ingombrante della parassita.
Si sentiva soffocare. Con tutta la fermezza di cui era ancora dotata, Evelyn mantenne fermo lo sguardo e ribatté: "Io ti fermerò, sono più forte di te! Ti rinchiuderò lontano dalla mia mente per sempre!" e scacciò l'aria simbolicamente con un gesto della mano.
"Controllarmi? Mai! Sono io la più forte! Continuerò a divorare la tua anima fino alla fine dei tuoi giorni, Evelyn!"
"Tu hai bisogno di me per vivere, ma io no, per questo verrai sopraffatta Sombra! Arrenditi!"
Una smorfia di rabbia trasparì dal volto della falsa, seguito da un terrificante rumore di vetri infranti: il pavimento era fatto di vetro, e l'enorme viso della ragazza si specchiava nel suo terrore mentre una profonda crepa si allargava. Un istante dopo l'intero pavimento si frantumò sotto i suoi piedi lasciandola precipitare nel vuoto. Tutte le immagini di Sombra si condensarono in un attimo in un unico corpo materiale che non perse tempo ed agguantò Evelyn per il collo mentre entrambe precipitavano nel nulla, stringendo con tutta la forza di cui era padrona.
"Io ci sarò, sarò sempre con te, per sempre!" gridò con un ghigno demoniaco e una furia accecante negli occhi violetti.
"NO!" Evelyn tentò di sottrarsi alla sua presa ma Sombra era troppo forte.
"Satana stesso è con me!"
"NOOO!" la gola le implorava pietà e tutti i muscoli erano tesi tanto che temette che si strappassero tutti in un sol colpo.
"Rassegnati, nessuno al mondo potrà mai dividerci, mai!" urlò lei, e le sue mani cominciarono ad affondarle nel collo, fondendosi con il suo corpo, finché Sombra non ne fu completamente assorbita. Evelyn gridò fuori di sé dal dolore ma non ebbe il tempo di agire che il terreno sopraggiunse con una velocità inaudita: atterrò pesantemente in fondo al baratro, le cui pareti erano percorse dagli stessi interminabili specchi troppo lucidi nonostante l'ombra nella quale erano immersi.
Era dentro di lei. Doveva eliminarla adesso, non avrebbe avuto altre possibilità! Si rialzò in piedi sofferente, con un'unica possibilità davanti a sé.
"Se non posso ucciderti… Allora ucciderò me stessa. Moriremo insieme." decretò seria, consapevole di quel che voleva fare ma anche di quel che sarebbe successo in caso contrario. Ma subito dopo un brivido le percorse la spina dorsale e la sua espressione cambiò repentinamente: "Sbagliato, toccherà solo a te." esclamò risoluta Sombra da dentro il suo corpo.
"Se muoio allora anche tu morirai!" continuò Evelyn riprendendo il controllo, ma oramai era diventata una battaglia di botta e risposta per il possesso della sua mente.
"Tu morirai in me, perché sarò IO a diventare te!"
"Bastarda, lasciami essere me stessa!"
"Ma come, non hai ancora capito?! Tu SEI me!"
"Bugiarda!"
"Io sono te, sei tu Sombra!"
"No never!"
"YES, forever!"
"Dannata, lasciami stare e vattene all’inferno!"
Come ebbe pronunciato quelle parole percepì che al suo interno Sombra ebbe un cambio d'umore: rimase stupita. Dopo un attimo di esitazione però, il suo viso era tornato spavaldamente beffardo e l'aveva fissata intensamente allo specchio.
"Allora ci rivedremo là, Evelyn. Contaci."
Tutti gli specchi si frantumarono all'unisono, rovinando sulla ragazza, la quale venne sommersa da frammenti aguzzi e sottili come spilli gridando un'ultima volta, prima di crollare nel silenzio.
 
Era successo tutto così in fretta.
Si era risvegliata all'interno di un velivolo, lontano dalla sua casa, da ogni luogo conosciuto, verso una meta incerta ed un futuro oscuro.
Il rumore delle eliche sovrastava i mormorii preoccupati provenienti dalla cabina di comando. Si erano allontanati il più in fretta possibile, come ordinato dal vice-comandante della Base, il quale aveva imposto di abbandonare il Campus a tutti i soldati una volta domato l'incendio che minacciava di inghiottire dentro di sé insieme all’Archivio informazioni preziose come l'ossigeno. Proprio al suo interno era stata ritrovata priva di sensi e tratta in salvo prima che morisse asfissiata, con una piccola cicatrice bruciacchiata sulla fronte.
Non aveva più avuto notizie dei feriti e dei morti, due, e per tutto il tragitto di ritorno aveva sperato che fra questi non vi fosse il suo amico.
Il paesaggio montanaro sfrecciava sotto ai passeggeri a bordo di dell'Albathros, un silenzioso velivolo da guerra in grado di mimetizzarsi con il cangiante cielo azzurro in modo da risultare invisibile.
Un ultimo sguardo verso quelle meravigliose vette bianche le fece ricordare tutti i bei momenti che aveva trascorso in compagnia della sua famiglia, perché quello erano diventati, uniti non dal sangue ma dalla fiducia reciproca che si promettevano ogni giorno.
"Mi dispiace ragazzi…" Sussurrò una volta abbassato un poco il vetro del finestrino, perché il rumore dell’aria coprisse le sue parole. Quell'ultima boccata d'aria di montagna le riempì i polmoni e le strinse il cuore, perché sapeva che non le avrebbe riviste molto presto, forse mai più.
 
Base di Lidos, nove mesi fa, ore 05:42
 
Ore. Giorni. Mesi. Anni. Quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che il vuoto creatosi al centro del suo petto, nel profondo del suo cuore, si riempisse definitivamente?
"Zoe… Bald… Rio… Mi mancate ragazzi…"
Sulla spiaggia si estendevano una serie di piccole scogliere che si facevano strada fra i flutti del profondo blu, arrivando a comunicare con le barriere naturali formate dagli scogli in lontananza che segnavano la divisione fra zona balneare sicura e zona pericolosa, magari infestata.
Evelyn si trovava seduta su una di queste, la leggera brezza le accarezzava i capelli e contribuiva a ravvivare le onde turchine, brillanti del fuoco della vita, che si infrangevano sulle rocce in nuvole spumeggianti.
Mirando la linea dell'orizzonte, un'unica bianca linea incontaminata dalla purezza di quella distesa ondulata in moto perpetuo, ed udendo il lento mormorio delle onde ed il verso dei gabbiani in cielo, con le ali spiegate protese verso l'alba che stava per sorgere, per un attimo Evelyn si sentì in pace con sé stessa.
Doveva rialzarsi, doveva farlo per Bald, per Zoe e per Rio. Non importava cosa dicesse Sombra, quella non era lei, ne era certa.
Si alzò in piedi facendo attenzione a non scivolare, portando di istinto una mano al fianco: che sciocca, non aveva più quella spada.
L'aveva nascosta, incastrata sotto al letto, non l'avrebbe portata più con sé dopo tutto quello che le era successo, tutti quei truci ricordi che le faceva rimembrare…
La katana…
Ormai da tempo ci stava pensando. Se per loro era così importante ottenerla, non importava chi fossero questi 'loro'. Non l'avrebbero avuta, nessuno l'avrebbe potuta più impugnare. Nessuno avrebbe più sguainato una spada contro qualcun altro per vendetta personale, divertimento, o per null'altro.
Posò il palmo destro aperto sul petto, in posizione del cuore.
Aveva deciso. Da quel giorno, Evelyn avrebbe dato il meglio di sé stessa per rintracciare la Katana leggendaria di Muramasa, e l'avrebbe distrutta con le sue mani. Si sarebbe re-impossessata della sua forza originaria, sottrattale da quell'essere misterioso, e avrebbe fermato quell'inutile guerra, nel nome di una fede che a stento anch'essa tratteneva ma manteneva ancora viva dentro la sua anima.
I petali del delicato fiore che era stata un tempo non si erano ancora rinsecchiti del tutto.
Da quel giorno giurò, sul suo nuovo nome, sulla sua nuova identità.
Dark Rose.
 
Base di Lidos, stanza di Evelyn e Misaki
 
"FERMATI!" Evelyn colpì Misaki al petto sbalzandola all'indietro e con uno scatto aprì la porta della sua camera, richiudendola alle sue spalle. Stava piangendo.
"Evelyn aspetta..." Misaki cercò di aprire la porta senza successo, bussò delicatamente in segno di umiltà "…Io non volevo, davvero…" ma Evelyn non rispose.
Non avrebbe mai potuto immaginare quale segreto contenevano i suoi ricordi. Si sentì così oppressa da quel pensiero che i suoi piedi indietreggiarono leggermente al pensiero, ma si costrinse a rimanere immobile.
Dopo qualche minuto di silenzio, si fece coraggio e bussò nuovamente alla porta. Tamburellò delicatamente, scoprendo che era aperta, così la spinse lentamente in avanti "Evie…"
Evelyn era rannicchiata in un angolo del suo letto, ancora disfatto. La luce era spenta. Misaki si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei, tenendosi però a debita distanza.
"Evie… Non volevo..." cercò di scusarsi, ma non trovò le parole. Che diritto aveva avuto lei di andare a guardare dentro la sua memoria e risvegliare quei ricordi che sarebbero dovuti rimanere sepolti per sempre? La ragazza-gatto però non disse nulla. Alzò il capo, nascosto dietro le sue braccia messe a scudo sul petto, mostrando un viso rigato di brucianti lacrime amare.
"Io… Non volevo, non volevo più…" biascicò tra un singhiozzo e l'altro.
 Misaki mise una mano sopra la sua, cercando di tranquillizzarla.
"È tutto a posto, sei al sicuro." le ripeteva con dolcezza.
Evelyn scosse il capo, senza smettere di piangere: "No non sono al sicuro e non lo sarò mai... Tutta quella gente… sono stati tutti uccisi… Per colpa mia…"
Cominciò a tremare. Misaki la circondò con le braccia per tranquillizzarla: "Shhh, è tutto a posto. È tutto finito… Non abbandonarti al dolore, rilassati e respira. Respira..." disse piano mentre avvicinava l'indice di una mano per asciugarle una lacrima. Evelyn respirò, lentamente, singhiozzando.
"Facciamo così. Visto che ho violato la tua privacy, ora è giusto che anche tu sappia di me, così siamo pari ok?" disse con un mesto sorriso.
"N-no, non sei obbligata a farlo…"
"Scherzi? Voglio pagare il mio errore e non ammetto un No."
 Evy non disse niente, solo, annuì piano.
Misaki appoggiò delicatamente il palmo della mano sulla sua fronte, e chiuse gli occhi.
 
"Un piccolo villaggio in Giappone." Misaki pronunciò le sue prime parole dopo tutti quei minuti di pesante silenzio.
"Mh?" Evelyn alzò la testa posando gli occhi rossi per il pianto sulla figura minuta dell’amica e compagna.
"È lì che sono nata… Ehm ricordo tutto così bene: la mia casa, i miei genitori… Era tutto perfetto, solo… Solo IO ero sbagliata… Con un'abilità troppo fuori dal comune per un semplice villaggio di contadini…"
Misaki si girò a guardare un punto indefinito della camera buia mettendo una mano sulla sua fronte per attivare la sua abilità innata.
Evelyn la guardò preoccupata: sembrava in trance, persa in un mondo di ricordi da troppo tempo assopiti.
"Mi ricordo ancora perfettamente i miei primi tre mesi di vita: ero felice, i miei genitori mi volevano molto bene… Se avessi avuto il buon senso di comportarmi come un normale neonato, invece no! No, gattonai velocemente fino a casa della vecchia del villaggio dove ero solita passare i pomeriggi, ma non mi era mai successo di vedere i suoi ricordi!"
Misaki chiuse per qualche secondo gli occhi per poi tornare a fissare la parete.
"Mi prese in braccio e, come al solito mi misi a giocare con la sua lunga treccia di capelli bianchi, ma questa volta volli salire più in alto 'Più su, dove i capelli sembravano nuvole!' pensavo e fu in quel momento che accadde…"
La ragazza si fermò stringendo gli occhi e mordendosi il labbro, come a ricacciare indietro le lacrime. L'amica le mise una mano sulla spalla guardandola con occhi compassionevoli spronandola ad andare avanti.
"L-Le toccai la fronte attivando i miei poteri, riuscii a vedere nitidamente ogni più piccola sfaccettatura della sua vita, ogni momento di gioia, tristezza, rabbia, tutto! Ma… Ma quello che non sapevo era che nel momento in cui io potevo vedere i ricordi, anche l'altra persona, il protagonista diciamo, li riviveva attimo per attimo. Infatti finita la 'proiezione' la vecchia mi guardò con occhi spaventatissimi, quasi terrorizzati e mi lasciò cadere pesantemente sul futon dove eravamo sedute, indietreggiando velocemente."
'Chi sei tu...? Co-Cosa vuoi da me!?' urlò. Subito alcuni uomini del villaggio, richiamati dalle sue grida, irruppero in casa domandando cosa stesse succedendo.
'Q-Quella bambina è-è un demone!' disse guardandomi con odio. Mi presero per i piedi portandomi al centro della grande piazza. Non c'era un minuto da perdere, se la vecchia saggia diceva che nel villaggio c'era un demone bisognava eliminarlo, per la pace di tutti!
Il capo del villaggio ascoltò fino in fondo il suo racconto dei fatti… Il giudizio fu uno solo: uccidere il demone al più presto. Mi riportarono dai miei genitori comunicando la terribile notizia."
Nonostante gli occhi di Misaki fossero ancora aperti e fissi, si riempirono di lacrime che cominciarono a scendere copiose.
"Mia madre mi prese in braccio piangendo e stringendomi al petto. Mio padre camminava nervosamente con le braccia dietro la schiena. 'Non possiamo lasciare che la uccidano così… Non possiamo…' continuava a ripetere guardando alternativamente prima me e poi mia madre.
'Hai ragione! Stasera con il favore delle tenebre scapperemo e porteremo nostra figlia in un luogo più sicuro.'
E così fu. A notte fonda lasciammo la nostra casetta e ci addentrammo nel bosco che circondava il villaggio. Fu probabilmente in quel momento che mi addormentai… Da quel punto ho solo un ricordo confuso… Solo rumori e niente immagini… Ricordo distintamente il fruscio dell'erba e gli ansiti di mia madre per via della lunga corsa. Quando mi svegliai ci trovava davanti a un monastero. Mi guardai attorno confusa: che ci facevamo lì? Dove era la mia casetta?
Poi mia madre appoggiò sulle scalinate di pietra la cesta che mi aveva fatto da culla per tutto il tragitto. Si avvicinò al mio viso baciandomi dolcemente la fronte e il naso. Mi guardò con gli occhi lucidi cercando di sorridere, poi strinse il braccio di mio padre facendolo avvicinare alla culla improvvisata.
'Addio piccola, è venuto il momento di lasciarci... Sapevamo già che questo giorno sarebbe arrivato: conoscevamo da tempo le tue abilità…'
Dagli occhi iniziò a scendere un fiume di lacrime: 'Ti prego non pensare mai che non ti abbiamo voluto bene… Ti abbiamo amato e ti ameremo per sempre.' tentò i sorridere mentre mi cullava un'ultima volta e mi rimise nella culla tremando."
Evelyn si avvicinò in silenzio all'amica asciugandole il viso rosso e bagnato.
"Un secondo. È bastato un secondo per vederli sparire per sempre dalla mia vita. Ero troppo piccola per comprendere appieno la situazione, sapevo solo che la mia mamma era sparita e io ero rimasta da sola. Avevo paura, nel buio di quella notte, mi misi a piangere con quanto fiato avevo in gola, fino a richiamare l'attenzione di tutto il monastero!
Quando aprirono il portone vidi un vecchio signore con lunghi capelli bianchi legati in una coda e una barba anch'essa bianca che gli arrivava al bacino. Mi prese in braccio portandomi in quella che poi scoprii essere la sua camera mentre io continuavo a piangere disperata. Mi adagiò sul futon cercando di tranquillizzarmi fino a che mi addormentai definitivamente. Ryonosuke… Così si chiamava. Io-Io non lo ringraziai mai abbastanza: mi ha regalato una nuova vita, una nuova identità… Mi chiamò Misaki, che vuol dire 'bellezza che sboccia'.
Mi accolse come se fossi stata sua figlia e mi concesse l'onore di diventare una delle sette sacerdotesse del monastero. È stato l'unico ad accorgersi del mio potere senza spaventarsi delle conseguenze."
Misaki ridacchiò.
"Un giorno mentre mi cullava tra le sue braccia si mise a pensare ad una barzelletta che proprio quella mattina aveva sentito dire da due contadini. Ridacchiò e io di rimando risi proprio come se l'avessi sentita. Poi pensò a quando, mentre tornava a casa vide un povero uccellino trafitto da una freccia. Scoppiai a piangere e il povero Ryonosuke sorpreso da quel repentino cambiamento d'umore pensò a come tenermi buona: 'Ci vorrebbe una caramella…' pensò, il lo lessi chiaramente nella sua mente e allungai le mie manine verso l'alto esclamando: 'Gagaghella, gagaghella!'
Un sorriso triste si fece spazio sul viso delle due ragazze.
"Poi una sera d'inverno un gruppo di uomini americani bussò alla grossa porta di legno. Ryonosuke andò ad aprire, ma prima mi nascose in camera: sentiva che qualcosa non andava. Un uomo con una irritante 's' sibilante ordinò che gli venisse consegnata immediatamente la bambina, cioè io.
Sentii Ryonosuke rispondere che nel monastero c'erano sette bambine e che comunque stavano tutte dormendo. Beh, in realtà non tutti… Oltre a me anche un altro bonzo era sveglio… Venne a prendermi per portarmi lontano in un nascondiglio in mezzo al bosco, non ci saremmo stati molto probabilmente solo quella notte, ma a quel rifugio non arrivammo mai.
Mentre correvamo tra gli alberi della buia foresta, la nostra fuga era illuminata solo da una pallida luna. Prima della frettolosa partenza il bonzo aveva avuto la premura di avvolgermi in una coperta di lino: calda ma non abbastanza per quella notte gelida che faceva rabbrividire il mio corpicino.
Improvvisamente uno sfrecciare inumano ci fece riprendere dalla disperata corsa. Il mio salvatore non perse tempo: si mise in posizione d'attacco stringendomi forte al petto per proteggermi e estrasse un lungo kunai facendolo scintillare sicuro davanti a sé.
'Chi sei? Vieni fuori!' urlò al vento mentre cercava di identificare il misterioso aggressore.
Poi un’altra serie di passi velocissimi lo misero in allerta: erano in due o forse più e ciò voleva dire che noi eravamo in svantaggio numerico. Il bonzo si guardò intorno velocissimo voltando la testa rasata prima da una parte poi dall'altra, decidendosi poi a partire all'attacco verso quello che credeva aver identificato come il nemico. Ma fu tutto inutile. Una freccia lo colpì alla schiena, all'altezza dei reni, trapassandolo da parte a parte. Il suo urlo agghiacciante spezzò il silenzio che per pochi istanti aveva riempito il bosco, graffiandomi le orecchie e facendomi scoppiare a piangere disperata. Si accasciò su se stesso sputando sangue che andò a sporcare la coperta di lino e le mie mani ancora tremanti.
Poco dopo due figure nere ed incappucciate mi si avvicinarono portando le mie urla e il mio pianto disperato a diventare sempre più forte. Senza troppe remore, diedero un calcio al corpo del bonzo per verificare che fosse effettivamente morto, mi raccolsero da terra mentre ancora mi dimenavo terrorizzata e si arrampicarono su un albero per ritornare al monastero saltando da un ramo all'altro.
Ormai ero in trappola. Era stata tutta colpa mia, avevo messo in pericolo un sacco di persone completamente innocenti." Un sospiro amaro accompagnò quelle parole.
"Poi improvvisamente mentre il misterioso rapitore ancora volava tra la foresta buia, i miei pensieri si focalizzarono su Ryonosuke. Anche lui era sicuramente in pericolo!
Mi bastò pensare a lui che le nostre menti, costantemente in contatto grazie al collegamento mentale del vecchio monaco, mi trasmettessero le immagini di ciò che vedeva e ciò che pensava.
Il monastero completamente avvolto dalle fiamme. Uomini che tenendo in braccio bambine tentavano di scappare da quell’inferno di fiamme. E Ryonosuke completamente circondato dalle stesse figure nere che avevano fermato la mia fuga. Si stava battendo con coraggio respingendo più attacchi possibili, ma era in difficoltà a causa dell'età e dello svantaggio. Non ci volle molto prima che il suo urlo soffocato arrivasse chiaramente alle mie orecchie portandolo via da me per sempre." Misaki non poté impedire in alcun modo che silenziose lacrime le rigassero il viso.
"L'urlo straziante che mi riempì i polmoni squarciò il silenzio di quella fredda notte invernale. Le lacrime mi offuscavano la vista e i singhiozzi mi scuotevano violentemente il corpo. Era finita per sempre. L'oasi di felicità e pace era stata distrutta, spazzata via da un'inesorabile tempesta di sabbia. Tutte le persone care sparite per sempre. Prima i miei genitori, poi Ryonosuke. Tutto quello che riuscivo a pensare era il fatto di essere sola al mondo, senza un luogo dove andare o una casa in cui tornare.
Finalmente dopo un'interminabile viaggio arrivammo al campo di base militare, in un luogo protetto alla vista a qualche chilometro dal monastero.
Dopo essere arrivati davanti ad una grossa tenda verde militare, i miei rapitori fecero diligentemente il saluto annunciando di aver portato ciò che aveva chiesto, togliendosi il cappuccio per rivelare i loro volti animaleschi, mentre mi tenevano dai piedi come se fossi qualcosa di immensamente sudicio.
Quando i due lembi di tela cerata si aprirono ne uscì uno spaventoso ed orripilante, a mio parere, uomo sulla quarantina dai capelli rossi e verdi e, particolare che mi scioccò all'inverosimile, al posto delle gambe aveva una strisciante coda da serpente corallo.
Quello, che identificai a fatica come il loro capo, mi si avvicinò facendomi rabbrividire e scoppiare a in un pianto violento e terrorizzato. Mi prese dalle mani dei due soldati tenendomi sotto le braccia per osservarmi meglio alla luce artificiale del campo. 'Mh… Sssì… È proprio lei, avete fatto un ottimo lavoro… Ssstavolta.' disse avvicinandomi al viso, cosa che mi fece rabbrividire dal disgusto, tanto che cercai di tirargli un calcio sul naso per farlo allontanare. Brrr, mi sembra di vederlo ancora, si vedevano tutte le scaglie! Bleah!" finì Misaki tentando di strappare un sorriso all'amica e riuscendo nel suo intento facendo fare alla ragazza-gatto una breve risata coperta poi prontamente da una mano sulla bocca. Contenta della reazione scatenata nell'altra e del fatto che fosse finalmente riuscita a calmarla un po', la ragazza giapponese decise di concludere la storia. "L'orribile uomo-serpente mi fissò con i suoi occhi da rettile visibilmente infastidito da tanta impudenza. Mi prese, mi poggiò sul braccio, come quando mio padre mi cullava, e fece scontrare le sue iridi gialle con le mie nell'intento di ipnotizzarmi. Purtroppo per lui ero una bimba un po'troppo furba e prima che ci riuscisse chiusi velocemente gli occhi facendogli una linguaccia indispettita."
Una nuova risata si levò dall'angolino dove Evelyn si era rifugiata.
"Mh… Sssei una ragazzina in gamba… Credo che sssceglierò la volpe per te…" Misaki si cimentò in una quasi perfetta parlata sibilante nell'intento di copiare il Generale, scoppiando poi a ridere per la sua stessa performance seguita a ruota dall'amica. Constatando che finalmente il clima era tornato pressoché sereno e gli animi si erano calmati, la ragazza dai capelli blu si avvicinò a Evelyn sedendosi vicino a lei sicura che stavolta non l'avrebbe respinta. "Beh… Poi ovviamente riuscì a ipnotizzarmi e… Ora sono qui." ridacchiò sarcastica alzando la testa per incontrare gli occhi viola della compagna. "Questa era la mia storia… Ecco come è nata Misaki." concluse togliendo la mano dalla fronte sorridendo amara e mordendosi il labbro nel vano tentativo di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano ancora una volta di uscirle.
Una mezz'ora dopo Rage, venuta a cercarle, le trovò addormentate sul letto, l'una di fianco all'altra, appoggiate alla parete.
 
   
 
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