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Autore: Always_Always    20/06/2015    26 recensioni
Quando Jeremiah Arkham ha aperto i cancelli per la prima volta, non sapeva certo a cosa stesse andando in contro. Era stato più un salto nel buio, il suo: il sogno di realizzare qualcosa di grande. Col pugno di ferro non si era fermato e non aveva mai ceduto alla paura, conscio che quelle che aveva davanti fossero solo persone. Persone che - seppur piene di problemi, di violenza latente e con una concezione di giusto e sbagliato altamente precaria - potevano essere gestite con il giusto personale e la giusta determinazione.
Ma con quest'ultima annata sta per cambiare tutto, perché qualcosa non quadra.
È la classe dell'ultimo corridoio che non quadra, con i suoi studenti. Come se concentrasse in sé qualcosa di sbagliato che fa tremare le pareti di tutto l'Arkham High School.

...
AU ambientato tra i banchi di scuola che cercherà di raccontare dei personaggi quando ancora non sono quelli che conosciamo. Di quello che succede in quel lasso di tempo tra il prima e il dopo.
...
{BrucexSelina, BrucexTalia, HarveyxRachel, JokerxHarley}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Due Facce, Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo n°1
Walking disaster
 
 
 
This city's buries in defeat
I walk along these no-name streets
Wave goodbye to home
 
As I fall
 
At the dead-end I begin
To burn a bridge of innocence
Satisfaction guaranteed
A pillow-weight catastrophe
 
(Sum 41, Walking Disaster)
 
 
 
Gotham City.
Una città dove la luce non arriva mai e quando lo fa non è abbastanza forte da illuminare il marcio che brulica nelle sue viscere. Anche quel giorno non fa eccezione. Il sole è coperto da nuvole grigie e il vento gelato trascina con sé le prime giornate d'autunno che si trasformeranno poi in inverno.
Alfred Pennyworth scosta lo sguardo dalla finestra e bussa con la mano libera alla porta di mogano. Con l'altra, il vassoio resta in equilibrio ed emana profumo di brioches e caffè.
 
"Signorino Bruce, è ora di alzarsi."
 
Non è così stupido da aspettarsi una risposta immediata. Conosce abbastanza Bruce Wayne da sapere che non è un tipo mattiniero, ed è anche per questo motivo che ha giocato d'anticipo: la colazione a letto è un'ottima arma, soprattutto in circostanze particolari come quelle.
 
"Non vorrà far tardi il primo giorno… ?"
 
Scuote la testa e lancia un'altra occhiata al cielo grigio. È quasi certo che pioverà. Non ne è sorpreso. L'umore nero del piccolo Bruce ben si rispecchia in quelle nuvole scure. Ma, d'altra parte, non potrebbe essere altrimenti.
Oggi non è una giornata come le altre.
Al quarto richiamo, finalmente un mugolio arriva in risposta e Alfred ottiene il permesso di entrare. La camera è avvolta nell'oscurità e pregna di aria viziata, così la prima cosa che fa il maggiordomo dopo aver poggiato il vassoio d'argento è scostare le tende e spalancare la finestra.
La luce fioca entra insieme a una ventata d'aria fredda. Bruce si lascia sfuggire un lamento di protesta e infila nuovamente la testa sotto il cuscino.
 
"Maledizione, Alfred."
"Buongiorno anche a lei."
"Che ore sono?"
 
Alfred lo scruta dall'alto. Bruce Wayne ha solo diciassette anni, ma è già una di quelle persone che non perde tempo in chiacchiere. Non sa se considerarlo un pregio o un difetto.
 
"Le sette e trenta, sir."
"Troppo presto."
"Al contrario: è già in ritardo".
 
L'occhiata eloquente che gli rivolge il padrone non lascia spazio a dubbi: Bruce ha sempre preferito la notte al giorno. Il buio alla luce. Per la verità, c'è stato un tempo in cui era così mattiniero che nemmeno Alfred riusciva a tenergli testa. Ma quel tempo se n'è andato. Quel bambino, se n'è andato. Sono cambiate tante cose da allora.
Pian piano, è cambiato tutto.
 
"Le lascio la colazione, sir. Le consiglio di fare in fretta, o finirà per non andare  a scuola."
"Non sarebbe così tragico."
 
Bruce sorride e lui sa quanto siano rari i suoi sorrisi. Potrebbe contare su una mano le volte in cui Bruce Wayne ha concesso al mondo la visione della sua perfetta dentatura. Lui glielo dice sempre, che dovrebbe sorridere di più. Ma non può nemmeno forzarlo. Bruce Wayne è…complicato. Molto complicato.
 
"L'aspetto di sotto."
"Alfred…"
 
È quasi alla porta quando Bruce lo blocca. La sua voce è fredda come il ghiaccio e non lascia trasparire nessuna emozione. Alfred sa già cosa sta per dirgli prima ancora che lui parli.
 
"Sai che giorno è questo?"
 
Come potrebbe non saperlo? Una serata a teatro. Una famiglia felice.
Poi un uomo mascherato. Un colpo di pistola. Thomas e Martha Wayne assassinati.
Suo malgrado annuisce, sprofondando in ricordi dolorosi che sanno di rimpianto. Bruce mantiene saldo lo sguardo, ma nei suoi occhi c'è solo il vuoto.
 
"Allora sai che questo non è un buon giorno."
 
Non c'è nient'altro da aggiungere. Alfred esce dalla stanza e quando chiude la porta dietro di sé, si appoggia alla parete. Ha bisogno di un istante per riprendersi. Un attimo. Solo un attimo da concedere a se stesso, poi tornerà alla compostezza che lo caratterizza. Osserva di nuovo il mondo oltre la finestra, dove le prime gocce di pioggia cominciano a scivolare giù dalle nuvole.
Deve essere forte. Per Bruce. Ha una promessa da mantenere. Ma ci sono dei momenti di sconforto in cui non può mentire nemmeno a se stesso: quella grande casa è troppo vuota per due persone sole, e la mancanza di Thomas e Martha Wayne grava inevitabilmente sulla villa.
È il ricordo di un tempo felice, ormai così lontano da sembrare un'altra vita.
 
 
 
Gotham City.
Il rumore assordante che invade le strade e che non si placa nemmeno di notte, non impedisce ad Harleen Quinzel di sentire il fastidioso richiamo della sveglia. Non che ne avesse bisogno, comunque. L'eccitazione l'ha tenuta in piedi fino a notte fonda e l'ha poi svegliata con largo anticipo. Ha impiegato più tempo del dovuto per scegliere degli abiti adatti all'occasione e il risultato è il disordine di ordinaria amministrazione al quale suo padre si è inevitabilmente rassegnato.
Non che potesse fare altrimenti, comunque. Harleen ha una maniacalità morbosa quando si tratta di creare scompiglio. È una dote naturale, non può farci niente.
Spalanca gli infissi e si ritrova faccia a faccia con la pioggia putrida di Gotham City. Sbuffa, intrappolando con le dita una ciocca di capelli biondi che non vuole mai stare al suo posto. Probabilmente i suoi compagni di classe troverebbero il clima opprimente ad hoc per la situazione, ma a lei è sempre piaciuta la scuola, la baraonda che si scatena per i corridoi, la gente da conoscere. Lo trova divertente. È per questo che sbuffa di nuovo e decide di dedicarsi alla colazione per non perdere l'ottimismo.
Non che le riesca bene, comunque. Sembra che questa mattina il mondo sia contro di lei. Sul tavolo della cucina trova un biglietto. È scritto a mano e la calligrafia è spigolosa. Non ci vuole un genio per capire di chi si tratta.
 
Ospedale. Torno tardi.
Ti voglio bene. Papà.
 
Papà ignora l'uso di una sintassi corretta. Papà è sempre impegnato da dimenticarsi di avere una figlia. Papà dovrebbe andare a viverci, in quel dannato ospedale. E non sarebbe neanche una perdita così rilevante, visto che non sa cucinare e la sua partecipazione alle serate familiari si limita a una birra e un libro. Poco male, papà può andare a quel paese. Non vuole farsi rovinare il primo giorno di scuola da lui.
Il suo ultimo primo giorno di scuola. È frustrante pensare che fra pochi mesi non metterà più piede nel posto che ha considerato casa per tutti quegli anni. Soprattutto perché il college sembra un miraggio lontano che soltanto il professor Bane e le vecchie care parallele potrebbero avverare. Ma ora non deve pensarci. Basta: colazione, ultima toelettatura e via. All'incontro con Pam. Prima che l'anticipo diventi ritardo. Pam metterebbe il broncio e questo non sarebbe divertente. Per questo sbocconcella quello che trova in cucina, poi si fionda sulle scale ed entra nel bagno.
Incontra il suo riflesso sulla superficie dello specchio e tra una smorfia e l'altra, un rituale poco ortodosso che fa fin da quando era una bambina, Harleen abbandona i brutti pensieri e trova un'altra ragione per essere felice.
 
 
 
Gotham City.
Un luogo dove il rispetto e la retta via sembrano un lusso che nessuno può più concedersi. Ma Jeremiah Arkham è fermamente convinto che la sua scuola sia l'eccezione che conferma la regola e per questo appare sorridente mentre passeggia per i corridoi dell'Arkham High School. Il primo giorno di scuola ha l'odore forte di giovinezza e buoni propositi. È la calma prima della tempesta, quando gli studenti sono ancora inebetiti dall'ebrezza dell'estate per rendersi conto di cominciare un anno di fatica e sudore. Per questo gli piace così tanto camminare in mezzo a loro, il primo giorno. È la sua personale cerimonia scaramantica.
 
"Signor preside, Vicki Vale è arrivata e chiede di lei."
 
Joan Leland è già al lavoro prima che qualcosa abbia davvero inizio. Non lo ammetterà mai, ma Jeremiah è contento della meticolosità della propria segretaria. Lo fa sentire con le spalle coperte, come se niente di male possa succedere.
 
"Ancora qualche minuto."
 
Lei annuisce leggermente e quando Arkham si volta è già sparita. Che donna affidabile. Deve fare in modo di tenersela stretta: la maggior parte delle brutte faccende le risolve lei e questo facilita di gran lunga la sua vita. Assumerla è forse stata la mossa più intelligente da quando ha ereditato la scuola da suo nonno.
Nel suo lento pellegrinare si ritrova a pochi passi dal suo ufficio. La pianta che ha ordinato ad Harold di annaffiare non sta crescendo come dovrebbe e per questo dovrà toglierla di lì, prima che diventi gialla. Ma non è la pianta che attira la sua attenzione, al momento.
Seduta nella piccola sala d'attesa davanti al suo ufficio c'è la testa bionda di Vicki Vale. Altalena lo sguardo attento a destra e a sinistra e con una fuggevole occhiata Jeremiah capisce al volo quanto sia sveglia. Bene. Gli piace che il personale della sua scuola sia ricettivo e ben qualificato. Inoltre non può negare che sia una bella donna. E anche questo è un bene. Le belle insegnanti sono rare, al momento. Potrebbe farla apparire nelle foto ufficiali. È certo che la scuola ne gioverebbe.
Sistemandosi la cravatta, Jeremiah Arkham si prepara ad andarle in contro, sfoggiando il suo sorriso migliore.
 
 
 
Gotham City.
C'è chi dice che sia in costante movimento, un grumo di larve che si attorciglia nel fango. Alcuni invece hanno scelto di non vedere il macabro spettacolo che è e sono riusciti a trovare un'abitudinaria routine nelle loro vite.
Come Rachel Dawes.
Uno… due… tre…
Non aveva mai visto il pavimento da quella prospettiva. Ci sono delle macchie scure nell'angolo, probabilmente dovute all'umidità. Dopotutto, è normale che nel bagno delle ragazze ci sia un po' di umidità, giusto? Scommette che anche in quello dei ragazzi è così. Dovrebbe farlo presente alla bidella, quella nuova. Potrebbe essere un pretesto per scoprire il suo nome.
Quattro… cinque… sei…
Deve solo contare fino a dieci. Solitamente poi Talia è soddisfatta e molla la presa.
Sette… otto… nove…
Sente delle risatine attorno a lei ma s'impone di ignorarle. Il pavimento, il pavimento è molto più interessante. E soprattutto, non vede. Non parla. Non giudica. Ora che ci fa caso, le macchie di umidità sono molte più di quelle che aveva notato. Deve davvero farlo presente a qualcuno. L'umidità porta muffa e l'odore che ne verrebbe fuori, unito all'olezzo gradevole che caratterizza i bagni dell'Arkham High School, sarebbe proprio un bel problema.
Dieci!
Come calcolato, Talia schiocca le dita e l'energumena che teneva Rachel ancorata al pavimento solleva il piede e la lascia andare. Sa che non le è concesso rialzarsi, quindi si limita a mettersi seduta e a massaggiarsi la guancia. È umidiccia e intorpidita.

"Sai, pensavo che l'estate ti avesse resa più battagliera…" Talia la guarda dall'alto in basso. Sbatte un paio di volte le ciglia lunghissime e ghigna. "È evidente che mi sono sbagliata. Oh beh, succede anche ai migliori, giusto?"
 
Le tre oche, dietro di lei, starnazzano. L'energumena le ha raggiunte e se la ride di gusto. Hanno finalmente lasciato cadere la sua borsa, però. Rachel sa che la maggior parte dei suoi libri saranno stracciati o scarabocchiati, ma ora come ora è contenta di non avere qualche livido ingiustificabile e questo le basta. Con Talia Al Ghul, è già un miracolo che non abbia un dente rotto.
 
"Sempre in gamba, Rachel Down."
 
Sono le sue ultime parole. La bellissima Talia, femme fatale dell'Arkham High School, cammina fino all'uscita seguita a ruota dal suo gruppetto di idiote. Quando la porta del bagno si chiude, il caos concitato si dissolve. Per un momento il silenzio è scandito soltanto dal gocciolio dei lavandini. Poi Rachel si rialza e dopo aver recuperato la borsa, si concede qualche minuto per rimettersi in sesto. Ed è proprio mentre si ripulisce davanti allo specchio che si ricorda la promessa che aveva fatto a se stessa: quest'anno doveva essere diverso; quest'anno doveva trovare il coraggio di affrontare Talia e la sua cricca e sputarle in faccia che non era proprio nessuno. C'è riuscita alla perfezione, a quanto vede. Suo padre sarebbe davvero fiero di lei.
Alla fine è il suono della campanella a destarla dal suo autocompatimento e improvvisamente si ricorda dell'intervallo. Talia non sembrava soddisfatta della performance quando se n'è andata, quindi è molto probabile che la cercherà per il bis. Questo vuol dire che Rachel deve trovare immediatamente Selina e nascondersi da lei fino a quando non sarà fuori pericolo. Dovrà darle qualcosa in cambio, certo. Selina non fa mai niente per niente. Ma è un compromesso che è disposta a fare: non vuole tornare a casa malmenata già il primo giorno. E poi, lo sanno tutti che Selina è una che non si fa metter i piedi in testa, soprattutto se si tratta della sua eterna rivale Talia Al Ghul.
Con un ottimismo che le è estraneo, Rachel si stringe nelle spalle e corre in classe, scacciando la brutta sensazione di freddo che le intorpidisce ancora le ossa.
 
 
 
Gotham City.
Se qualcuno lo chiedesse a lui, la descriverebbe come il covo per eccellenza dell'ignoranza del mondo.
 
"Crane, perché gironzoli per i corridoi come un babbuino nella giungla? È troppo difficile per te capire che quando la campanella suona devi andare in classe?"
 
Odia il primo giorno di scuola. Per la verità, odia tutti i giorni di scuola, ma il primo in particolare lo manda in bestia.
 
"Professor Nashton, vedo che il tempo passa e i suoi nervi reggono sempre meno."
"Fila in classe, Jonathan, prima che l'intera scuola sia contaminata dalla tua stupidità."
 
Stupidità. Un tempo era stato convinto di potervi porre rimedio. Per questo aveva studiato per diventare insegnante: per crescere i nuovi geni del domani. Presto però aveva dovuto ricredersi e accettare il fatto di essere l'unica mela sana in un cesto di frutta avariata. L'unica mente geniale è la sua.
 
"Eddy!"
 
Oh no, non lui, non così presto. Edward alza gli occhi al cielo in una muta preghiera che, ovviamente, non viene ascoltata. Perché mai rivolgersi al cielo, poi? Un uomo dal suo acume non dovrebbe dar credito a certe scempiaggini.
Jervis Tetch gli picchietta la schiena con la mano e a quel punto lui non può più ignorarlo. Non si sforza nemmeno di adottare un sorriso forzato quando si gira. Jervis non noterebbe comunque la differenza.
 
"Tetch." La sua ostinazione è palpabile, ma Jervis non sembra intenzionato a perdere quel lungo sorriso; come se fossero grandi amici. Cosa avrà mai fatto per instillargli un'idea tanto balorda? 
 
"Hai visto la nuova insegnante di arte? È carina, sai? È bionda!"
 
Se si aspetta un qualche tipo di reazione, resta deluso. Edward si limita a sottrarsi dal suo tocco e a oltrepassarlo con la degna superiorità che lo caratterizza. Camminare lontano da lui e cercare la sua classe di asini, ecco quello che deve fare.
 
"Ho una lezione di matematica da preparare, Jervis."
"Oh, allora ci vediamo in mensa! Buon primo giorno, Eddy!"
 
Non chiamarmi Eddy, sottospecie di nano mal riuscito.
Qualcosa suggerisce a Edward che oggi non mangerà in mensa.
 
 
 
Gotham City.
Un enorme teatro dell'assurdo in cui tutto rivendica giustizia ma brama divertimento. E il divertimento di Gotham non è mai puro latte materno ma fiele pericoloso che si fa strada tra le ossa e corrode l'animo.
 
"Buongiorno ragazzi."
 
Jervis Tetch si chiude la porta alle spalle e si avvicina alla cattedra. È più alta di lui, ma non ci fa caso. Non fa mai caso a nulla, il professore, come se fosse perennemente perso in un mondo tutto suo.
L'alunno lo guarda qualche istante e il pensiero che lo ha colpito la prima volta che lo ha visto torna a tormentarlo con maliziosa soddisfazione: quel professore è matto. Da legare. Ma non è una novità: a Gotham la pazzia è ordinaria amministrazione.
Alza lo sguardo e si concede una lenta analisi dei suoi compagni di classe.
Rachel Dawes è in prima linea nel suo solito posto davanti alla cattedra. Ha cambiato montatura degli occhiali, ma anche con quelle stecche nere ed eleganti sembra comunque una ragazzina che gioca ancora con le bambole. La materia prima c’è, ad ogni modo; dovrebbe solo stare un po’ più attenta a come si veste. Dopotutto l’eleganza è una delle prime cose di cui bisogna tener conto.
Talia Al Ghul, ad esempio, è una che di eleganza ne capisce. E tanto. Ma forse è anche grazie a tutti i soldi che le dà il caro vecchio Ras’.
Harvey Dent. Trova esilaranti i tipi come lui, cavalieri senza macchia e senza paura pronti a offrirsi in nome della giustizia. Queste ideologie potrebbero funzionare in città luccicanti come Metropolis o Star City, ma a Gotham… no, Gotham è tutta un'altra storia. Dovrebbe chiedere un parere a Selina Kyle, e allora sì che ci sarebbe da ridere.
Pamela Isley, la classica "bella e maledetta". Odiata fin dal primo momento in cui l’ha vista, forse per il suo smisurato femminismo. Non può dire lo stesso della sua amica dai capelli biondi, però. Harleen Quinzel. Il suo nome ha un sapore strano nella bocca, come se gli sfuggisse sempre qualcosa quando si tratta di lei. La trova fin troppo chiacchierona e a tratti irritante, ma deve riconoscerle un senso dell’umorismo a volte azzeccato. Non come Jack Ryder, che invece parla solo per dare aria alla bocca.
E poi, oh beh, poi il gran finale.
Bruce Wayne. Il principe orfano. Il pupillo di Gotham. C’è qualcosa di strano nel modo particolare in cui Bruce Wayne osserva ciò che gli sta attorno. Non è soltanto presunta superiorità, né curiosità disinteressata, quanto piuttosto una maschera di emozioni perfettamente controllate che rendono difficile leggere ciò che ha dentro; come se avesse paura di mostrarsi. Lo trova interessante. Divertente anche. 
 
Il professor Tetch si schiarisce la voce: "Parlando del programma di letteratura che affronteremo quest'anno…"
 
Vorrebbe continuare ad ascoltare, ma la risata soffocata di Jack Ryder lo distrae. Ha il corpo rivolto nella sua direzione e questo gli basta per capire che quelle attenzioni sono rivolte a lui. Ride, ma non in risposta. Trova esilarante la cieca convinzione di Jack che lui sia disposto a essergli amico. Patetico. Lui non vuole amici, non ne ha bisogno, ed è chiaro che Jack non l'ha ancora capito. Ha deciso di non infrangere i suoi sogni idilliaci, però, soltanto perché non ha ancora trovato un modo divertente per farlo.
 
"Sarà un anno interessante, Jacky" ammette, allacciando le mani dietro la testa e senza trattenere un sorriso. Poco importa se Ryder non ha idea di cosa stia parlando.
 
"Davvero interessante."
 
 
 
And now I've been gone for so long
I can't remember who was wrong
All innocence is long gone
I pledge allegiance to a word of disbelief where I belong
 
A walking disaster
The son of all bastards
You regret you made me
It's too late to save me
 
(Sum 41, Walking Disaster)




Angolo dell'autrice:

Anzitutto, grazie per essere arrivati fin qui.
Era da un po' di tempo che questa storia mi ronzava in testa e quale momento migliore per cominciare a pubblicare se non durante la sessione estiva? *nasconde i miliardi di libri che ancora deve finire di leggere*
A parte questi dettagli, la bozza c'è tutta e alcuni capitoli sono già stati scritti. Cercherò quindi di aggiornare la storia periodicamente, ma già da ora chiedo pazienza a chiunque avesse voglia di continuare a leggere i miei capitoli.

Per i personaggi, faccio riferimento soprattutto alla trilogia videoludica di "Arkham", ma c'è anche qualche riferimento a "The Dark Knight" di Nolan. E voi direte: perché allora non hai pubblicato nella sezione film? Perché i giochi si rifanno ai fumetti, quindi mi sembrava più giusto scegliere questa sezione.

Eeeee, niente. Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate! 
Intanto grazie...e a presto - si spera! 

Always_Always



 
   
 
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