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Autore: joellen    22/06/2015    1 recensioni
Cento anni orsono, la Terra è stata colpita da eventi misteriosi e devastanti che hanno decimato la sua popolazione tanto da risultare un pianeta deserto a chi lo vede attraverso i telescopi di altri mondi. E che la sta usando come discarica per liberarsi dell'immondizia metallurgica da cui è afflitto... O per cercare e procurarsi minerali preziosi per la propria sopravvivenza.....Ma non tutto è come sembra...
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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UN GIORNO DA NON DIMENTICARE

 

 

Terra, 2114, una notte stellata di giugno in una tranquilla cittadina svizzera

 

 

La graziosa cittadina di Grindewald, spalmata su una paradisiaca valle circondata dalle montagne, dormiva sotto un cielo stellato di giugno quando il buio e il silenzio furono bruscamente squassati da un fragore apocalittico e da un bagliore che illuminò a giorno la zona per alcuni istanti, svegliando per primi gli animali, soprattutto i cani che presero ad abbaiare furiosamente, atterriti dal baccano provocato dal boato.

Anche Wendy, la terrier della famiglia Aloisi, sprofondata fino ad un secondo prima nel sonno del giusto, si destò di colpo, uscì dalla sua cuccia in giardino e cominciò ad abbaiare con una certa veemenza all'alone azzurro-rosso-giallo che si vedeva oltre la cresta del monte, contro il quale, il profilo seghettato della cima si stagliava nero come la bocca super dentata di un' orribile creatura che si fosse svegliata anche lui dal botto.

Il forte rumore penetrò attraverso le persiane e le ante semi-chiuse della finestra che dava luce alla camera da letto dove Stefano Aloisi e Annamaria Di Gennaro riposavano dopo una giornata di lavoro. Quando Annamaria si destò e guardò l'orologio, questo segnava le 3 di notte.

E la donna ebbe un cattivo presentimento.

Si alzò e andò ad aprire la finestra. Presto, il presentimento si trasformò in amara previsione.

Avrebbe dovuto tornare in ospedale. Morti, o feriti gravissimi, in arrivo.

Anche Stefano si svegliò e la raggiunse alla finestra.

Insieme convogliarono gli sguardi in direzione della montagna di fronte, dietro la quale sembrava essersi acceso un incendio che però pareva anche essersi già ridimensionato.

Annamaria sospirò.

"Nemmeno stanotte si dorme" constatò, rassegnata.

Infatti, dopo pochi istanti, il suo orologio emise il classico bip del cerca-persone.

I due si guardarono alla luce del bagliore e Stefano scrutò serio sua moglie.

Annamaria tornò al letto e cominciò a vestirsi.

"Speriamo che non sia troppo grave" si limitò a commentare il marito.

"Grave o non grave, devo andare. Lo sai" asserì, senza tuttavia tono di lamento.

Stefano baciò Annamaria e lei, una volta vestita, uscì di casa aprendo nel frattempo il garage con un comando dell'orologio.

Federico, il terzo dei loro figli, uscì dalla sua stanza e incontrò suo padre.

"Che è successo?" chiese, assonnato.

"La mamma deve andare al lavoro. - spiegò l'uomo - Ma sarà una cosa breve. Torna a dormire" e nel dirlo, abbracciò il bambino e lo accompagnò nella sua camera.

Non sapeva perché, ma sentiva che invece non sarebbe stata una cosa molto breve.

Ciò nonostante, non aveva idea di cosa fosse capitato nella cittadina di cui era sindaco e, al momento, non aveva sentore dell'evento incredibile di cui il paese sarebbe stato protagonista nelle settimane successive.

Qualche ora dopo, nel suo ufficio di primo cittadino, Stefano era pronto ad affrontare una nuova giornata di lavoro, ignaro di cosa avrebbe dovuto ulteriormente fronteggiare nelle ore e nei giorni che seguirono.

La cittadina che amministrava si trovava in una splendida e soleggiata conca verde chiusa da una corona di montagne dalle cime nude ed aguzze, in un paesaggio che, visto dall'alto dava l'idea di essere capitati nel classico villaggio da favola o da cartolina natalizia, con le casette di massimo due piani, in pietra, legno e intonaco bianco, i tetti a punta e i balconcini da cui scendevano fasci di gerani colorati. Tuttavia, Stefano sapeva, per esperienza personale, che quel paradiso in terra nascondeva in realtà tensioni latenti fra la comunità teutonica e quella italiana, più numerosa, trasferitasi in parte lì dopo i fatti accaduti un secolo prima.

Lui era nato nella cittadina e da 45 anni ci viveva, ora con la sua numerosa famiglia composta da lui stesso, la moglie Annamaria e i quattro figli nati dalla loro unione, ma i suoi genitori e i suoi avi erano emigrati in quel luogo parecchio tempo prima e, inizialmente, si erano scontrati con la comunità locale tedesca che, come ovvio, non li aveva accolti a braccia aperte. Malgrado questo, ma, forse, grazie alla sua mole (1, 95 m), nonché al suo carattere deciso, Stefano era riuscito a imporsi sugli "indigeni" di lingua germanica. Non era andato tutto liscio, la strada non era stata ancora completamente spianata, ma era stato accettato e, alle ultime elezioni amministrative, era stato eletto sindaco di Grindewald anche dai tedeschi.

A dispetto che fosse un venerdì mattina, un dipendente del Comune in divisa entrò nell'ufficio per annunciare a Stefano che quella notte, in un locale della città era scoppiata una rissa fra autoctoni e Italiani dalla quale un certo numero di avventori era uscito con varie ammaccature, molto alcool e una discreta quantità di rabbia in corpo. Con un sospiro tranquillo, Stefano ordinò all'uomo di chiudere il locale, almeno per la sera seguente, andare all'ospedale e ascoltare le testimonianze dei presenti, nonché dei partecipanti attivi alla rissa, quindi, di tornare poi in ufficio per riferire la dinamica dei fatti, sebbene non gli fosse difficile immaginare come sicuramente questi si erano svolti.

Solita storia. Anche dopo anni, qualche indigeno ancora mal tollerava l'invasione italiana della sua quieta cittadina svizzera. Ma quando il graduato tornò in ufficio per conferire con lui, il suo volto chiaro di uomo nordico, caratterizzato dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, era ancora più chiaro, quasi cadaverico, e gli occhi erano sgranati. Turbato, Stefano chiese spiegazioni e la risposta, confusa, fu ancora più preoccupante.

"Signor sindaco, - balbettò quasi l'uomo - l'ospedale è in assetto di grave allarme. Non mi hanno fatto entrare. Si sospetta un'epidemia, ma non ho capito di cosa!".

Il pensiero di Stefano andò velocissimo alla moglie, primario al nosocomio comunale, e si fece ulteriormente più pesante, dopo il tentativo ripetuto e inutile di chiamarla con il telefono incorporato all'orologio. Riuscì a mantenersi calmo, almeno all'esterno, ma sentì il cuore fare le capriole. Questo nuovo allarmante evento aveva a che fare con ciò che lui e Annamaria avevano visto durante la notte? I nuovi tentativi di contattare la consorte, andati a vuoto, incrementarono la paura. Per mettere d'accordo la popolazione, il vice sindaco era tedesco, ma non si trovava in giro, sicché Stefano chiese all'uomo in divisa di andare a cercarlo, pregandolo, una volta trovato, di recarsi subito nel suo ufficio. Nella comunità tedesca, c'era anche chi amava Stefano per quello che era, riconoscendogli i suoi pregi di autentico leader e ottimo conduttore di un'amministrazione non facile.

L'ufficiale di Polizia montò in macchina e si avviò, spedito, in direzione di uno dei probabili luoghi in cui sapeva avrebbe trovato la "spalla" del sindaco. E infatti lo trovò proprio lì, in un locale, in cui stava consumando la colazione a base non di cappuccino e dolcetto, ma di birra e salsicce. E a giudicare dal colorito rosa acceso del volto paffuto, non era alla prima pinta. Con modi gentili, ma fermi, invitò il secondo cittadino a raggiungere subito il luogo di lavoro. Stancamente, e borbottando, il vice sindaco lasciò il grosso boccale di ceramica bianca dipinta a mano con paesaggi del posto, depositandolo sul bancone con fare seccato, pagò alla cassa e uscì dalla birreria, seguìto dal graduato che non lo perse mai di vista finché non lo vide entrare nella palazzina del municipio.

Il panico travolse quasi Stefano quando, arrivato all'ospedale, non fu possibile neppure a lui entrare.

Di Annamaria e dei suoi colleghi, nessuna notizia. Erano "ostaggi" all'interno dell'edificio.

Ma dopo un'ora circa, Annamaria comparve, piccola, affacciandosi all'apertura, in mezzo alle due grosse ante della porta in fondo al corridoio dove lui si trovava, all'imbocco. Vedendolo, corse verso di lui e si abbracciarono. Indossava ancora il camice da chirurgo, si stava togliendo i guanti ed aveva abbassato la mascherina sulla gola. Quell'atto rassicurò Stefano di molte tacche. Se lo abbracciava, voleva dire che non era infettata da qualche misterioso e pericolosissimo virus vagante.

"Allora non è epidemia! - constatò Stefano, rincuorato, stringendo le spalle della sua donna - Non ci sono malattie gravi in circolazione".

Il volto mediterraneo della moglie era pallido, ma non eccessivamente sconvolto. L'espressione dei suoi occhi scuri era di stupore, mista a preoccupazione per qualcosa di certamente serio e, più che altro, sconcertante.

"Ti dico tutto a casa, stasera. - tagliò corto la donna - Adesso non posso parlare".

"Cosa devo fare io?" chiese Stefano, invece più agitato.

"Niente. - rispose Annamaria - Continua pure il tuo lavoro. Stasera ti racconto tutto, Ora, meno sai, meglio è" e nel parlar così, lo baciò con dolcezza e passione confermando in questo modo l'assoluta assenza di eventuale pericolo di contagio.

Per quanto incuriosito al massimo, Stefano si sentì più rasserenato e, insieme con lei, si avviarono verso la prima macchina erogatrice di caffè. Il personale del nosocomio si aggirava, frettoloso per i corridoi dell'edificio senza però risparmiare un saluto riverente, seppur rapido, alla prima coppia della città e Stefano, dal canto suo,  non negò ad alcuno un breve inchino della testa sorseggiando il caffè che lui e Annamaria avevano pazientemente insegnato alla popolazione locale a fare secondo la ricetta italiana ovvero: forte, concentrato e aromatico.

Vedere i due insieme strappava un sorriso di compiacimento ma anche di sottile, bonaria, ironia.

Fra marito e moglie c'erano almeno trenta centimetri di differenza in altezza. Benché abbastanza magro, Stefano era un colosso fisico, un armadio a tre ante, con un viso largo e squadrato, addolcito però da un perenne velo di barba castana, come i capelli che gli coprivano per intero il collo, e irradiato da un paio di begli occhi grigio verde, di taglio leggermente allungato, acuti e indagatori. Annamaria era minuta, con capelli castano scuro lunghi, ora raccolti nella cuffietta dell'uniforme ospedaliera e gli occhi grandi e scuri come i capelli, dall'espressione dolce e intensa, che illuminavano un viso rotondeggiante dai tratti regolari da cui sporgeva il naso lievemente aquilino. Annamaria era medico ed era riuscita ad entrare a lavorare nell'ospedale della città grazie all'aver salvato la vita al figlio più piccolo di un notabile di lingua tedesca del luogo, colpito da un'improvvisa quanto misteriosa forma di meningite. Forse era stato anche questo episodio che aveva favorevolmente contribuito all'accettazione della comunità italiana nella rigida e diffidente comunità germanica.

Finito di sorbire il caffè, i coniugi si salutarono ed ognuno tornò alla sua mansione, ma per Stefano non fu facile riprendere a svolgere il suo incarico con i pensieri che andavano alla moglie e al mistero che avvolgeva la struttura sanitaria della città in quelle ore.

Quando Stefano rientrò in ufficio, la palazzina comunale, bianca, di soli tre piani, con decori geometrici in legno era circondata dalla cittadinanza che, malgrado lo sforzo congiunto del vice sindaco e dell'ufficiale di polizia di rassicurarla, aveva riempito la piazzetta antistante, per chiedere delucidazioni sulle voci che avevano cominciato a circolare a proposito di ciò che stava accadendo all'ospedale. Quella notte non solo Stefano e Annamaria avevano sentito il boato e avevano visto il bagliore quasi diurno illuminare il retro della montagna e volevano saperne di più,

"Tranquilli, amici! - tuonò Stefano in perfetto tedesco, salito sull'ultimo scalino davanti alla porta d'ingresso. - La situazione è meno grave di quanto si fosse immaginato all'inizio e tutto è sotto controllo. Potete tornare a casa e riprendere le vostre attività. Vi terremo informati sugli sviluppi".

Detto ciò, rientrò nell'edificio e raggiunse la sua postazione di lavoro. Inutile dire che i cittadini non lasciarono subito la piazza rimanendo lì a raccontarsi e a commentare gli eventi.

Oltre ad essere una piccola città, per la sua collocazione, e per le conseguenze di ciò che era avvenuto tempo addietro, Grindewald era isolata dal resto del mondo e, da allora, per i suoi abitanti ciò che importava maggiormente era solo ciò che succedeva all'interno della conca fra i monti nella quale era distesa. Di quel che accadeva al di fuori, nel pianeta, da tempo lì non giungevano più informazioni o notizie. Per caso o di proposito? Pertanto, i compiti del primo cittadino, spartiti poi fra i vari assessorati, erano di mantenere l'ordine, far quadrare i conti fra spese e ricavi, celebrare matrimoni, registrare morti e nascite e, periodicamente, organizzare feste e sagre.

Pochi minuti dopo essersi reinsediato al suo posto, Stefano fu, appunto, disturbato da una coppia mista - un italiano e una tedesca - che gli chiesero di sposarli. Finito il pacifico tumulto per l'arcano in ospedale, la normalità si ristabilì apparentemente in quel piccolo paradiso in terra.

Nessuno degli abitanti ebbe il minimo presentimento che qualcosa, invece, stava per cambiare.

 

 

 

Sera

 

Finalmente Annamaria, sfinita, varcò la soglia di casa, accolta da Stefano, in fibrillazione, dopo essere riuscito faticosamente a convincere i suoi figli più piccoli: Federico e Annalisa di sei e tre anni, ad andare a letto. Decisero di attendere  e assicurarsi che tutti e quattro i loro ragazzi fossero sprofondati nel sonno e si ritirarono anche loro nella loro stanza. Stefano non stava più nella pelle per conoscere i segreti del mistero che Annamaria gli aveva accennato in ospedale e Annamaria non sapeva invece da dove cominciare a raccontare. Non si poteva definire scioccata, ma era ugualmente scossa dall'evento.

"Sono....tutti morti?" azzardò Stefano, quasi timoroso di una conferma.

"No. - rispose sorprendentemente Annamaria - Beh... - proseguì poi, costernata - Tre sono gravi e non sappiamo se ce la faranno; due sono in prognosi riservata, ma nutriamo qualche speranza e uno sembra se la sia cavata con qualche costola rotta ma....".

"Ma?" la incalzò Stefano, trepidante.

Annamaria scosse la testa, molto esitante.

"Non so come dirlo" continuò.

"Dillo, semplicemente" la incoraggiò il marito.

Annamaria sollevò il viso e guardò il consorte negli occhi.

"Non sono dei nostri" rispose, espirando come per liberarsi di un peso.

Si sentì sondata dagli occhi grigio verdi di Stefano che le scavarono nell'anima fino ai meandri più reconditi.

"Cioè? - chiese maggiori lumi lui, assumendo il tono di chi sta sul chi vive, con le ciglia aggrottate - Non sono del paese? - Annamaria negò - Vengono da un'altra zona della Terra?" Annamaria negò ancora.

Stefano sentì di toccare la soglia dell'allarme rosso. Annamaria annuì.

"Hanno la pelle color bianco perlaceo, - specificò - e...il sangue blu". Vide gli occhi del marito ingrandirsi oltre misura.

"Alieni?" esclamò. Annamaria gli fece cenno di abbassare di molto il volume della voce.

"A meno che l'inquinamento sul pianeta non abbia raggiunto livelli tali da apportare simili modifiche al DNA umano, non risulta che sulla Terra ci siano popolazioni con queste caratteristiche" commentò.

"Oh cazzo!" se ne uscì Stefano strappando un sorriso alla consorte che pur non amando molto il turpiloquio, trovò, in questo caso,  l'esclamazione, divertente.

"Già" confermò lei, sorridendo ancora.

"E... - balbettò Stefano - come sono?".

"Come noi, Stefano. - rispose lei - Due braccia, due gambe, due occhi.... E sono belli. Non sono mostricciatoli con la testa grossa, il corpo piccolo o le antenne come li abbiamo visti in certi film di fantascienza piuttosto stupidi".

"Dio ci ha creati tutti a sua immagine e somiglianza. - commentò Stefano, fissando, ieratico, un punto lontano oltre le spalle della moglie - Non solo sulla Terra.... - Se è vero, - proseguì, serio -  e se....Dio esiste veramente.....ancora" concluse.

In qualità di sindaco, Stefano era autorizzato a celebrare matrimoni, ma non era il suo ruolo il solo motivo. Da anni non venivano più celebrati matrimoni religiosi in chiesa perché....da anni non c'erano più sacerdoti a celebrarli e le chiese erano chiuse.

   
 
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