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Autore: Chihaar    23/06/2015    0 recensioni
Come si giudica un uomo che è responsabile di un paradosso temporale?
Genere: Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Si alzi l’imputato.”
Come sono finito qui? Il mio nome è Clive Donovan e sto per essere processato per il crimine più grave che la mia società abbia mai avuto modo di verificare: Paradosso di Primo Grado. Il Paradosso è un crimine molto particolare, tanto che ne esistono sei gradi:
- Primo Grado: interagire con se stesso ai fini di modificare la propria storia personale o quella altrui.
- Secondo Grado: interagire con una persona diversa da se stessi per proprio tornaconto personale o altrui in tempi futuri generando così anomalie che richiederanno intervento specialistico per la correzione.
- Terzo Grado: Modificare la storia in prima persona per tornaconto personale o altrui in tempi futuri generando così anomalie che richiederanno intervento specialistico per la correzione.
- Quarto Grado: Modificare la storia inserendosi nel punto di arrivo e proponendo tecnologie e/o informazioni che cambierebbero la storia conosciuta dal punto in cui il soggetto parte.
- Quinto Grado: Modificare il futuro portando indietro tecnologia e/o informazioni da un punto successivo a quello di partenza del soggetto
- Sesto Grado: Compromettere il continuum temporale generando un loop di eventi destinati a ripetersi all’infinito.
Nessuno è mai stato processato per quinto grado, ma una persona è stata processata per Sesto grado 22 anni fa. Ero io. Non mi hanno potuto fare nulla. Non hanno potuto fare nulla. E così, secondo i calcoli degli scienziati avremmo ancora da vivere 2091 anni da oggi, poi il buio e si ricomincia dal Big Bang, all’infinito. A mia discolpa posso dire ancora la stessa cosa che dissi quando mi processarono: non lo sapevo, si è trattato di un incidente, i macchinari dovevano essere spenti e quell’uomo non doveva trovarsi lì. Era un viaggiatore temporale, il primo che fosse mai stato identificato, sappiamo solo il suo numero di tesserino: 33 di 33. Per anni abbiamo cercato di capire come far funzionare i suoi strumenti e quando l’abbiamo capito abbiamo avuto una sconcertante rivelazione: gli strumenti di 33 erano in grado di dirci dove e quando fossero, con lo scarto di un metro, gli altri 32. Li abbiamo trovati tutti e li abbiamo radunati, uno dopo l’altro, togliendogli i dispositivi per il salto temporale, li abbiamo rimandati tutti nel loro tempo con un unico dispositivo. Dopo di che, 30 dispositivi per il salto si dissolsero sotto gli occhi della Corte Giurisdizionale Scientifica Internazionale. Erano rimasti con un pugno di mosche. Ma io avevo ancora il dispositivo di 33. Dissi loro che era sparito pure quello.
Per giorni, cercai di renderlo operativo non solo per il tracciamento di altri dispositivi (la prima funzione che riuscimmo a sbloccare) ma per il salto temporale vero e proprio. Quando lo smontai mi fu tutto più chiaro e riuscii a costruirne uno molto più semplice da utilizzare, con un linguaggio di comunicazione comprensibile per il nostro tempo. Insieme al dispositivo di salto, 33 aveva anche un diario personale, dove annotava tutte le curve di viaggio e dove, nelle prime pagine, aveva annotato come calcolarle. Fu semplicissimo tradurre un quaderno pieno di numeri e formule, sono uno scienziato.
Il 22 novembre 2078 effettuai il primo salto in direzione del passato, destinazione novembre 1989, Berlino. Avevo letto e visto delle immagini del crollo del Muro ma volevo vederlo. E fu lì che iniziarono i problemi. Arrivai in un punto fuori Berlino Ovest ma contemporaneamente ad un altro salto temporale, nello stesso identico punto. 33 era lì, in piedi davanti a me e io feci l’unica cosa che non avrei dovuto fare: gli parlai.
“Non è possibile! Tu sei morto il 23 novembre del 2063! Non dovresti essere stato cancellato dalle linee temporali come il tuo corpo?”
L’uomo mi guardò confuso, prese di nuovo il suo dispositivo per il salto e scomparve davanti ai miei occhi. Adesso so che a un viaggiatore temporale non si deve mai comunicare la data della sua morte, pena la lacerazione del continuum. Saltai poco dopo di lui per tonare a casa ma dopo qualche ora di ricerca scoprii che nessuno aveva mai sentito parlare dei 33 viaggiatori temporali, che il viaggio nel tempo era ancora una teoria e che la CGSI non si era mai riunita, anzi, che non esisteva. Capii all’istante di dover tornare al 23 novembre 2063, nel mio laboratorio: 33 era sopravvissuto, ma come? L’incidente non si era mai verificato, lui non era morto e io non avevo mai trovato i suoi effetti personali dando il via a tutto. La cosa più strana fu che io mi ricordavo tutto e che il mio dispositivo per il salto era integro e funzionante. Anche io, come 33, avevo iniziato ad appuntare i metodi e i calcoli necessari a viaggiare, ma ero rimasto l’unico del mio tempo con la consapevolezza che il viaggio del tempo è possibile ed ero anche l’unico del mio tempo in grado di farlo. Le questioni etiche e morali mi portarono a cercare risposta sul fondo di una bottiglia: avevo cancellato 15 anni della mia vita e li avevo sostituiti con qualcos’altro. Scoprii presto di essere un magnate dell’industria tecnologica e che avevo innovato l’intero modo di vivere del mondo intero. Ma io avevo una moglie e una figlia ed ora erano sparite: mia moglie era morta in un incidente automobilistico la stessa sera in cui io affrontai il processo di Paradosso di Sesto Grado, con la conseguente cancellazione dalla storia di mia figlia, nata due anni dopo. Ma come avevo fatto a diventare un genio della tecnologia? Le mie speculazioni mi portarono a credere che 33 aveva in qualche modo convinto il me del 2063 a non ucciderlo (senza sapere che io avevo solo trovato il corpo) e gli avesse promesso in cambio tecnologie che lo avrebbero fatto diventare ricco, ma senza fornirgli il dispositivo per il salto, altrimenti mia moglie sarebbe sopravvissuta a quella sera. Così mi decisi, dovevo tornare nel 2063 la notte della morte di 33.
Atterai nel tardo pomeriggio, per un errore di calcolo mio. Ero in periferia e i miei laboratori distavano solo un paio di chilometri, così feci un bel respiro e iniziai a correre. Era un bene che facessi jogging ogni mattina, quei due chilometri non li sentii nemmeno. Arrivai a destinazione mentre 33 stava per entrare nel laboratorio: lo mancai per un secondo e lo persi di vista nei corridoi della struttura. Sapevo di non essere più lì, ero a cena con mia moglie quando mi arrivò la chiamata dell’incidente, ma sapevo dove sarebbe stato 33 non appena avesse saputo qual era il mio laboratorio, non dovevo fare altro che nascondermi e aspettarlo; l’unico punto in cui potevo avere una visuale della porta rimanendo nascosto era dietro la consolle di comando dei miei elaboratori, da dove la corrente partiva per dare energia a tutta la stanza. Allora capii. Ero stato io ad accendere i macchinari, i quali non ancora raffreddati erano saltati per l’improvvisa e non accidentalmente possibile miscela di refrigerante e corrente elettrica. Quando 33 fu in posizione si sedette e aspettò per mezz’ora, continuando a scrivere sul suo quaderno. Ricordavo di essere tornato in laboratorio 20 minuti dopo quindi era il momento di uccidere 33. Non appena accesi il macchinario, un getto di calore si sprigionò dalla macchina facendo saltare un pannello: una vite passò da parte a parte la testa di 33 entrando dall’occhio sinistro e sbalzandolo nell’esatta posizione in cui lo trovai. Presi i nastri di sorveglianza, scollegai le telecamere e aspettai il mio arrivo. Non appena il me che era a cena con mia moglie entrò, fu colpito da un bicchiere di vetro sul volto saltato via da una seconda esplosione controllata. Mi sedetti a guardarlo morire dissanguato mentre pezzi di vetro lo avevano accecato e gridava come un pazzo dal dolore. Quando giunsero le forze dell’ordine mi trovarono di fianco al cadavere di Clive Donovan e di un uomo senza identità, ma scomparimmo (io e 33) davanti ai loro occhi. Mentre mi disgregavo, pensavo che sarei stato felice di morire purché mia moglie vivesse ma non fu così. Io e il cadavere di 33 finimmo nella sua epoca, l’anno 4171. Il tempo stava finendo, per tutti. I 33 viaggiatori erano coloro che erano stati designati per cercare di fermare la fine di tutto, mentre al suo posto avevano ottenuto un paradosso. Ero lì al centro di una stanza circolare con gli spalti intorno circondato da gente in camice nero e di fronte a me tre persone in tunica blu cominciarono a parlare una lingua che conoscevo a malapena. Mi accesi un sigaretta e mi distesi.
“Si alzi l’imputato.”
La mia lingua? Bene ora avrei capito. Ma già lo sapevo dentro di me dov’ero e cosa stava per succedere. Così estrassi la mia pistola e feci fuoco quattro volte. Le prime tre contro le tuniche blu, l’ultima contro di me, nello stomaco. Ora sto morendo dissanguato per la seconda volta, ma non riesco a smettere di ridere, anche con il sangue che mi cola dalla bocca mentre vedo 32 persone in manette che compaiono vicino a me.
   
 
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